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Discussioni - Kobayashi

#1
Tematiche Filosofiche / Rapporto tra etica e memoria
13 Agosto 2022, 12:27:02 PM
L'etica nel Novecento, in certe formulazioni, è tornata a concentrarsi sul dialogo, sulla comunicazione (Apel, Habermas). Ma il dialogo, la partecipazione al dialogo, implica la consapevolezza della propria identità. E la propria identità nasce dal confronto continuo con il proprio passato, con la propria memoria (Locke, Hume).
Nel corso della sua evoluzione l'uomo ha cercato supporti esterni alla memoria organica.
La scrittura, per esempio.
Oggi questo processo di concentrazione dell'informazione su supporti esterni si basa sulla rete. Nella rete confluiscono continuamente nozioni generali ma anche ricordi personali. Foto accompagnate da poche parole postate sui social come ricordo di una gita, per esempio. E le parole, le espressioni, al di là delle capacità di scrittura del singolo, sono sempre "sociali", stereotipate. Conformi ad uno stile impersonale, per non irritare gli altri con forme che potrebbero essere interpretate come ostentazione di originalità.
Il risultato è un flusso di nozioni e ricordi anonimi.
Mentre il diario mantiene un livello di sincerità e personalizzazione massimo, e il testo epistolare si costruisce sulla relazione con il proprio interlocutore, i messaggi social sono rivolti a tutti, quindi in fondo a nessuno.
Se quindi il luogo dell'elaborazione del rapporto con il mio passato sono i social, se il luogo della riflessione e della scrittura sono le chat e le pagine di facebook, allora la mia identità (risultato appunto del rapporto tra presente e passato, sguardo sulla propria memoria) sarà deviata verso l'anonimato.
E se tutti hanno identità simili, allora non può nemmeno prendere avvio un dialogo, ma solo una comunicazione di rispecchiamento.
Senza dialogo la filosofia muore, perché il carattere veritativo della filosofia è indissolubilmente legato al dialogo (convinzione mia, certamente discutibile).

Dunque molti problemi contemporanei attinenti la stessa esistenza della filosofia e del dibattito etico dipenderebbero dai processi di trasformazione del rapporto con la memoria?
O magari, al contrario, questo mutamento, sempre che sia reale, segna finalmente il passaggio ad una cultura libera dall'illusione romantica dell'originalità (la quale ci fa dire che tutti sono conformisti e scontati tranne noi, che la nostra vita per quanto apparentemente uguale a quella di tutti gli altri è particolare, anche se tale particolarità poi si esprime solo come passione per la ricerca di un nostro mitologico desiderio originario – R. Girard)?
#2
Il Vangelo racconta che lo Spirito di Dio, prendendo dimora in Gesù di Nazareth, era tornato tra gli uomini.
All'inizio sembrava che si trattasse di fare solo una scelta: accogliere o non accogliere lo Spirito attraverso un atto di fiducia nei confronti della persona di Gesù.
Ma ben presto ci si rese conto che non bastava: un atto di fede infatti non determina necessariamente un cambiamento. Non si diventa un uomo nuovo grazie ad un semplice assenso.
Divenne chiaro che quell'assenso era solo l'inizio di un lunghissimo cammino.
I monaci dei primi secoli iniziarono così a sperimentare le più diverse tecniche per riuscire a dare consistenza a quel cammino.
Alla fine, tra molti fallimenti e qualche successo, diedero forma ad una prassi specifica. Essa era basata sull'idea che lo scontro cosmico tra luce e tenebra di cui parla il Prologo del Vangelo di Giovanni ha il suo correlato umano nella lotta interiore contro i pensieri malvagi, i pensieri che conducono alla distruzione e alla morte.
Questi asceti compresero che tutto dipende dalla capacità di vincere il male, il quale è sperimentato da ciascuno attraverso la presenza costante e ossessiva di pensieri che se anche non hanno chiaramente la forma esplicita della malvagità, possono annidare dentro di se' un potenziale di odio pronto a radicarsi e a riprodursi.
La pratica di questa lotta spirituale veniva definita "vera filosofia".

Forse c'è una certa inconciliabilità tra l'idea che la salvezza venga sempre per iniziativa divina e l'attivismo di questi monaci.
Se si parte però dalla fede che l'uomo porta dentro di se' una traccia dello Spirito di Dio, di fronte al disastro dell'umanità (il dominio del male), si può concludere solo in due modi: o lo Spirito è estinto, o siamo noi responsabili del suo soffocamento o di una sua rinascita.
Così l'idea è questa: non puoi conoscere Dio, sentirne la presenza, finché non passi attraverso una prassi purificatoria e liberatoria. Quindi paradossalmente devi iniziare il cammino (quindi rinunciare a tutto) senza aver mai sperimentato in alcun modo Dio (qualsiasi cosa s'intenda con la parola "Dio").
Soltanto nel corso del cammino inizierai, proporzionalmente alla vittoria sui pensieri malvagi e al restauro della tua vera umanità, a fare esperienza di quella luce, la quale sembra alla fin fine tutt'uno con la beatitudine di essere finalmente in pace, libero dal male.
(Sembra un ragionamento circolare e paradossale e forse lo è...).

La mia convinzione è che il cristianesimo possa ripartire da questa prassi. Non dalla teologia (la dottrina), non dalla morale, tanto meno dalla Chiesa con tutte le sue preoccupazioni istituzionali in fondo irrilevanti... Ma dall'ascetica dei primi secoli (disciplina che resta al centro della vita del monaco anche oggi).
#3
Buongiorno a tutti.
Volevo sottoporvi alcune riflessioni ispirate dalla lettura di un articolo di Thomas Macho (Aut Aut n.355).

In questo articolo Macho parte dalla constatazione che nella nostra civiltà sono sempre esistite tecniche di solitudine, cioè pratiche che spingono le persone alla ricerca di un certo isolamento considerato positivo o necessario.
Queste tecniche di solitudine si sono sempre caratterizzate come tecniche di raddoppiamento.
Ci si isola per poter stabilire un rapporto con se stesso, come se si fosse in due.
Nell'antichità ci si immaginava di avere a che fare con un doppio più nobile: un custode, un guardiano che esercitasse il controllo del dialogo interiore.
Perché il problema era questo: arrivare a non essere posseduti dalle immagini che si formano nella propria cittadella interiore.
Quindi le tecniche di solitudine miravano a disciplinare i dialoghi interiori.

Queste tecniche sono state poi riprese dai primi monaci cristiani.
Il combattimento spirituale dei monaci del deserto era una lotta contro forze (che il monaco considerava demoniache) che miravano all'egemonia dell'io dell'atleta.
Anche qui si trattava di una questione di libertà: essere posseduti dai demoni o sovrani e liberi.
Ovviamente il loro "grande Altro", il custode nobile, era Cristo.

Lasciamo lo scritto di Macho e veniamo ora ai nostri giorni.
A me sembra che la situazione attuale sia dominata da un potere che attraverso le tecnologie digitali impedisce sempre di più la solitudine positiva (perché è interesse di questo specifico sistema economico che tutti partecipino attivamente per esempio ai social network etc.), e dal fatto che il custode nobile che ci dovrebbe accompagnare in un processo di liberazione sia sparito o si sia moltiplicato in una schiera di figure ambigue.

Eppure la filosofia, nel tempo della fine dei grandi sistemi metafisici, sembra aver ritrovato un certo interesse per questi temi, tornando al suo inizio. Basta citare i lavori di Hadot.
Ma si tratta di studi teorici.
La pratica è lasciata a discipline che gravitano intorno alla psicologia e che mancano totalmente di consapevolezza storica, con tutto ciò che ne consegue in fatto di semplificazione e manipolazione delle coscienze.

Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
#4
Tematiche Filosofiche / Il filosofo riluttante
07 Ottobre 2017, 12:56:30 PM
Nelle ultime pagine di un suo breve testo dedicato agli effetti antropologici della rete ("Nello sciame. Visioni digitali"), il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han parla di un articolo della rivista Wired che ipotizzava la fine della teoria. In sostanza l'autore dell'articolo (Chris Anderson) sosteneva che la disponibilità di un'enorme quantità di dati insieme alla potenza straordinaria degli attuali sistemi informatici di analisi avrebbero portato ad una conseguenza precisa: il rifiuto nel fare ipotesi sul perché di un certo fenomeno sostituito dal come.
In pratica non si perderà più tempo a interrogarsi sulla causa di un fenomeno. Ci sarà la correlazione statistica a mostrare l'esistenza di un legame tra certi fenomeni. Dal software utilizzato emergerà questa misteriosa correlazione che ci dice che cosa accade nella realtà.
 
Sempre nello stesso testo Han fa notare che pensare significa fondamentalmente separare l'essenziale dall'inessenziale.
Siamo costantemente bombardati da flussi di informazioni ma queste ondate di dati non stimolano affatto la riflessione, anzi, piuttosto la soffocano. Per poter pensare bisogna fare silenzio, "scollegarsi". Bisogna sapersi concentrare su una sola cosa, guardarla da tutti i punti di vista possibili, avere il tempo e la capacità di concentrazione per rimanere in compagnia di quella cosa e delle sue infinite sfumature per ore.
È così difficile che si finisce spesso per inventare un alter ego con cui poi costruire un dialogo sull'oggetto della propria ricerca. Una psicosi controllata senza la quale non ci sarebbe mai stata la storia della filosofia...
 
Quindi l'attività del pensare, così come la conosciamo, è destinata a sparire.
Volendo essere ottimisti però possiamo pensare che continuerà a sopravvivere una minoranza ribelle, così come "la morte di Dio" non impedisce l'esistenza di qualche comunità monastica cristiana.
A che cosa assomiglierà il filosofo del futuro?
Al monaco di oggi?
Non avendo una lingua in comune con gli altri esseri umani come potrà comunicare la propria verità?
Con il proprio corpo? Incarnando la propria visione del mondo accettandone i rischi e i paradossi così come i primi monaci, con il loro ascetismo e l'accettazione del martirio, hanno mostrato la (loro) verità del cristianesimo?