L'etica nel Novecento, in certe formulazioni, è tornata a concentrarsi sul dialogo, sulla comunicazione (Apel, Habermas). Ma il dialogo, la partecipazione al dialogo, implica la consapevolezza della propria identità. E la propria identità nasce dal confronto continuo con il proprio passato, con la propria memoria (Locke, Hume).
Nel corso della sua evoluzione l'uomo ha cercato supporti esterni alla memoria organica.
La scrittura, per esempio.
Oggi questo processo di concentrazione dell'informazione su supporti esterni si basa sulla rete. Nella rete confluiscono continuamente nozioni generali ma anche ricordi personali. Foto accompagnate da poche parole postate sui social come ricordo di una gita, per esempio. E le parole, le espressioni, al di là delle capacità di scrittura del singolo, sono sempre "sociali", stereotipate. Conformi ad uno stile impersonale, per non irritare gli altri con forme che potrebbero essere interpretate come ostentazione di originalità.
Il risultato è un flusso di nozioni e ricordi anonimi.
Mentre il diario mantiene un livello di sincerità e personalizzazione massimo, e il testo epistolare si costruisce sulla relazione con il proprio interlocutore, i messaggi social sono rivolti a tutti, quindi in fondo a nessuno.
Se quindi il luogo dell'elaborazione del rapporto con il mio passato sono i social, se il luogo della riflessione e della scrittura sono le chat e le pagine di facebook, allora la mia identità (risultato appunto del rapporto tra presente e passato, sguardo sulla propria memoria) sarà deviata verso l'anonimato.
E se tutti hanno identità simili, allora non può nemmeno prendere avvio un dialogo, ma solo una comunicazione di rispecchiamento.
Senza dialogo la filosofia muore, perché il carattere veritativo della filosofia è indissolubilmente legato al dialogo (convinzione mia, certamente discutibile).
Dunque molti problemi contemporanei attinenti la stessa esistenza della filosofia e del dibattito etico dipenderebbero dai processi di trasformazione del rapporto con la memoria?
O magari, al contrario, questo mutamento, sempre che sia reale, segna finalmente il passaggio ad una cultura libera dall'illusione romantica dell'originalità (la quale ci fa dire che tutti sono conformisti e scontati tranne noi, che la nostra vita per quanto apparentemente uguale a quella di tutti gli altri è particolare, anche se tale particolarità poi si esprime solo come passione per la ricerca di un nostro mitologico desiderio originario – R. Girard)?
Nel corso della sua evoluzione l'uomo ha cercato supporti esterni alla memoria organica.
La scrittura, per esempio.
Oggi questo processo di concentrazione dell'informazione su supporti esterni si basa sulla rete. Nella rete confluiscono continuamente nozioni generali ma anche ricordi personali. Foto accompagnate da poche parole postate sui social come ricordo di una gita, per esempio. E le parole, le espressioni, al di là delle capacità di scrittura del singolo, sono sempre "sociali", stereotipate. Conformi ad uno stile impersonale, per non irritare gli altri con forme che potrebbero essere interpretate come ostentazione di originalità.
Il risultato è un flusso di nozioni e ricordi anonimi.
Mentre il diario mantiene un livello di sincerità e personalizzazione massimo, e il testo epistolare si costruisce sulla relazione con il proprio interlocutore, i messaggi social sono rivolti a tutti, quindi in fondo a nessuno.
Se quindi il luogo dell'elaborazione del rapporto con il mio passato sono i social, se il luogo della riflessione e della scrittura sono le chat e le pagine di facebook, allora la mia identità (risultato appunto del rapporto tra presente e passato, sguardo sulla propria memoria) sarà deviata verso l'anonimato.
E se tutti hanno identità simili, allora non può nemmeno prendere avvio un dialogo, ma solo una comunicazione di rispecchiamento.
Senza dialogo la filosofia muore, perché il carattere veritativo della filosofia è indissolubilmente legato al dialogo (convinzione mia, certamente discutibile).
Dunque molti problemi contemporanei attinenti la stessa esistenza della filosofia e del dibattito etico dipenderebbero dai processi di trasformazione del rapporto con la memoria?
O magari, al contrario, questo mutamento, sempre che sia reale, segna finalmente il passaggio ad una cultura libera dall'illusione romantica dell'originalità (la quale ci fa dire che tutti sono conformisti e scontati tranne noi, che la nostra vita per quanto apparentemente uguale a quella di tutti gli altri è particolare, anche se tale particolarità poi si esprime solo come passione per la ricerca di un nostro mitologico desiderio originario – R. Girard)?