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Discussioni - Carlo Pierini

#1
Tematiche Filosofiche / Un Principio ...salvatore?
30 Maggio 2019, 01:14:12 AM
"Ci sono molte ottime ragioni per credere che un principio universale applicato alla materia ci porterebbe prima o poi all'ambìta meta di attingere finalmente in modo pulito, economico ed ecologico ("ecologico" significa conforme ai principi della natura) a quell'immensa riserva di energia di cui è fatta la materia (E=mc2); ...e allora desalinizzeremmo l'acqua del mare, coltiveremmo i deserti, scongiureremmo le imminenti guerre per l'acqua e per il petrolio (nemmeno tanto imminenti), vinceremmo la fame e la povertà (...altro che Di Maio!), fermeremmo lo scempio della distruzione delle foreste e l'inquinamento dell'atmosfera invertendo il processo di riscaldamento del pianeta..., ...insomma, sarebbe una festa per l'intera umanità!!!
Questa sì che sarebbe una vera salvezza. E allora sì che sarebbe giusto dare enfasi di sacralità alle "profezie" bibliche:

"Poiché da me uscirà la Legge stessa, e farò sì che il mio giudizio riposi anche come una luce per i popoli". (Isaia, 51: 4 )

"...E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. ...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi". (Apocalisse, 21:1- 6):
#2
Potrà sembrare paradossale, ma il mito evangelico della morte di Gesù può essere visto ANCHE come la prefigurazione simbolica dell'epoca moderna, dominata dal razionalismo, dallo spirito laico e dall'ateismo di massa che costituiscono una vera e propria "morte di Dio" (vedi Nietzsche, Marx, Engels, Freud, ecc.) o, meglio, la morte della Sua incarnazione (la religione) nella cultura umana.
Per questo il teologo T. Altizer considera l'ateismo come "vangelo", cioè come "buona novella": perché la morte di Cristo (l'ateismo) diventa il preludio della sua imminente resurrezione come Redentore, come Logos, come Verità Ultima.
 
"Per Altizer, la metamorfosi kenotica [la morte] di Dio determina la scomparsa del sacro dalla storia. È questa è la fase storica che stiamo vivendo, ma non la condizione finale, non la meta suprema. In realtà il crollo del sacro e l'avvento del profano stanno già alle nostre spalle, ma la rivelazione, l'epifania di Dio, continua. Noi siamo all'alba della terza e ultima età dello Spirito (piuttosto gioachimita che hegeliana): «Una nuova rivelazione sta per irrompere nella nuova età, e questa rivelazione differisce dal Nuovo Testamento tanto quanto questo differisce dal Vecchio».
La seconda fase segna dunque il trionfo del profano sul sacro; Dio abdica alle sue primordiali epifanie di potenza e di purezza assolute per incarnarsi e morire".  [SERGIO QUINZIO, prefazione a T. ALTIZER: Vangelo dell'ateismo cristiano - pg.23]
 
"Partecipando alla realtà della morte di Dio, sperimentandola concretamente nella sua vita, l'uomo contemporaneo attinge la salvezza. Dio, annientando se stesso, libera infatti l'uomo da ogni alienante trascendenza, da ogni vincolo di soggezione e di peccato, da ogni oppressione e pena".   [T. ALTIZER: Vangelo dell'ateismo cristiano (Introduzione di Sergio Quinzio) - pg.14]
 
"Solo una falsa dialettica postula un definitivo e insuperabile baratro fra gli opposti [teismo/ateismo], perché solo in quanto dualisticamente isolati l'uno dall'altro gli opposti sono raggelati in una forma statica e rifiutano la loro intrinseca risoluzione".   [T. ALTIZER: Vangelo dell'ateismo cristiano pg.87]
 
Ma Altizer non è il solo:
 
<<Secondo la tradizione indiana, l'umanità si trova in questo momento nel "Kaliyuga", cioè nell'«epoca buia», epoca di tutte le confusioni e di totale decadenza spirituale, ultima tappa di un ciclo cosmico che si chiude>>.  [ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.189]
 
<<L'«èra buia», il Kali-yuga, sarà seguita, dopo una dissoluzione, da un'èra nuova, rigenerata. Si incontra la stessa idea in tutte le tradizioni dei cicli cosmo-storici. (...) L'epoca buia è assimilata all'oscurità, alla notte cosmica, e come tale può essere valorizzata nella misura precisa in cui la morte rappresenta un «valore» in sé; è lo stesso simbolo delle larve nelle tenebre, dello svernamento, dei semi che si decompongono sottoterra per rendere possibile la comparsa di una nuova forma>>.   [ELIADE: Trattato di storia delle religioni - pg.191] 
 
In altre parole, dopo un dominio di 17 secoli della figura di Cristo (o della religione cristiana), con l'avvento della scienza e del razionalismo il suo regno decade rapidamente e inizia una vera e propria passione che culmina nel dilagante relativismo moderno che, se non è ancora la morte totale di Dio (o della religione), è molto prossimo ad essa.
Siamo in attesa, dunque, di una Sua trasfigurazione e resurrezione come Verità ultima, cioè come Principio universale incarnato.

<<Tornerò a Sion e siederò in mezzo a Gerusalemme; e Gerusalemme sarà chiamata 'la città di verità'>>.  (Zaccaria: 8,3)
#3
Tematiche Filosofiche / Etica e neuroscienze.
26 Maggio 2019, 22:08:24 PM
Ogni tanto provo a leggere qualche libro di "neuroscienze", ma ogni volta mi trovo di fronte alla solita spudorata ambiguità tipica dei neuroscienziati materialisti, riconoscibile da un miglio di distanza. L'ultimo, dal titolo accattivante di "Neuroscienze ed etica", di Alberto Oliverio, non mi ha permesso di superare nemmeno le prime venti pagine, trovandomi per l'ennesima volta spiattellato sotto il naso il solito paradigma "double face".
Un double face che si esprime, come consueto, da un lato in una dichiarata consapevolezza dell'immiserimento e del degrado dell'immagine dell'uomo che deriverebbe da una interpretazione riduzionistica, e dall'altro lato dal solito servilismo di sempre nei confronti del sacro dogma dell'identità cervello-mente, cioè nei confronti del riduzionismo. Infatti, a delle affermazioni ANTI-RIDUZIONISTE come questa:

"Sono stati sottolineati i pericoli che derivano da un'interpretazione banalmente riduzionistica o meccanicistica. Nel caso delle conoscenze neuroscientifiche, quale può essere l'impatto sull'immagine degli esseri umani di una semplificante riduzione della mente alle sue basi fisiche?"

...si alternano, con spudorata non-chalance, delle affermazioni RIDUZIONISTE come questa:

"Non si intende affatto auspicare una separazione tra mente e cervello o mettere in dubbio le conoscenze che emergono dagli studi delle neuroscienze..."

...come se riconoscere alla mente una propria sostanzialità significasse separarla dal cervello! ...O come se per uscire dai "...pericoli che derivano da un'interpretazione banalmente riduzionistica o meccanicistica..." esistesse una via di mezzo tra monismo e dualismo, una sorta di "monismo e mezzo", come ha proposto sfacciatamente Popper.
Mi consola soltanto che lo stessoOliverio riconosca indirettamente che le osservazioni scientifiche delle attività neuronali non provano affatto l'identità cervello-mente in quanto esse prescindono dalla causa o dal "meccanismo" che innesca quelle attività:

"Spesso i risultati di numerose ricerche, anche se stupefacenti, ci dicono DOVE nel cervello si è verificato qualcosa, non QUALI siano i meccanismi del riconoscimento della memoria, le motivazioni alla base di una scelta, lo strutturarsi di un'emozione".

"Lo studio dei rapporti tra cervello e scelte morali sottolinea ancora una volta che, anche se siamo sempre più in grado di descrivere il cervello e di comprenderne i meccanismi, SIAMO ANCORA LONTANI (...) dal comprendere come (...) dalla materialità dei circuiti cerebrali possa scaturire quel mondo dei significati e dei valori che ci guida in ogni azione, anche la più banale, della vita quotidiana".  

Insomma, Eccles a parte, non c'è niente di nuovo sotto il sole delle neuroscienze. Nonostante la crescente consapevolezza della grave insufficienza del paradigma materialista, tutti genuflessi e obbedienti alla parola d'ordine: <<Non aprite quella porta, ...la porta che dà sull'abisso della rinnegatissima dualità anima-corpo!!! Lasciate ogni speranza o voi che entrate in quella porta!!>>.
#4
Tematiche Filosofiche / Escher e Popper.
26 Maggio 2019, 01:03:40 AM
Popper, nella sua teoria dei 3 Mondi, per sostenere che il Mondo 2 è REALE, ha suddiviso il Mondo 1 (della materia) in Mondo 1f (fisico) e il Mondo 1m (mentale) dicendo che quest'ultimo <<...consiste nella descrizione in termini fisici della classe di tutti i processi mentali o psicologici che verranno sempre conosciuti per esperienza diretta>>, e poi conclude che <<...siccome Mondo 1f e Mondo 1m sono parti dello stesso Mondo 1 che è reale, (...) allora il Mondo 2 non sarà più epifenomenico, ma sarà un mondo REALE>>.
In altre parole, Popper rappresenta il Mondo 2 (il mentale) su un altro piano rispetto a quello del Mondo 1, ma nello stesso tempo conferisce al Mondo 2 la stessa realtà (ontologia) del Mondo 1 (POPPER-ECCLES: L'io e il suo cervello - pg. 107).

Escher ha così rappresentato questa assurdità:

https://i.postimg.cc/t4JQX94m/ESCHER-waterfall.jpg
#5
Il pensiero filosofico oggi predominante considera:
- l'oggetto come una rappresentazione del soggetto;
- il soggetto (la mente) come espressione dell'oggetto (il cervello, il corpo).

Escher ha così rappresentato questo circolo vizioso :

https://3.bp.blogspot.com/-WkaUQcgMsk0/V7lsc0eBzDI/AAAAAAAAAhQ/MYPTxij6au8LBaUgoCfxmLdU3uVwN6s8QCLcB/s1600/ESCHER%2B5.jpg
#6
Nella mia sempiterna manìa (di derivazione tecnico-scientifica) di osservatore metodico della realtà, ho passato la mia gioventù a studiare le mie storie sentimentali come si fa con un fenomeno fisico, proprio per cercare di capire questa strana bestia che chiamiamo amore (in questo mi è stato di grande aiuto l'essermi sottoposto a una psicoterapia di quasi tre anni). E quando mi resi pienamente conto di quanto potente e devastante sia quell'altra strana bestia che chiamiamo "gelosia" e con quale forza - in certi momenti di "pericolo corna" - essa ci trascini a rinnegare l'amore per la libertà della persona amata fino a farcela odiare e a farci sembrare i nostri grandi ideali di libertà delle fragili e illusorie sovrastrutture, arrivai alla conclusione desolante che, in realtà, noi umani siamo contraddittori per natura e che quindi i nostri ideali d'amore, di libertà, di giustizia, di verità sono solo illusioni destinate a crollare come castelli di carta persino di fronte a difficoltà esistenziali  così poco "nobili" come quella delle "corna".
Per me questa semplice constatazione fu un duro colpo "esistenziale", dopo aver coltivato per tanto tempo degli ideali politici e aver creduto nel loro "potere redentore"; tanto che cominciai ad abbandonarmi allo scetticismo, all'opportunismo e al libertinaggio, visto che comunque non ero un ragazzo da buttare via.
E fu la famosa visione del Caduceo a rimettermi in pista e a suggerirmi che persino le pulsioni che ci appaiono più contraddittorie, se illuminate dall'alto, possono elevarsi fino a formare un'unità indissolubile"; che la gelosia, cioè, se riconosciuta come un *nostro* impulso viscerale e non come la conseguenza "naturale" del comportamento libero del nostro partner, può essere "disobbedita", non trasformata in avversione verso l'amata e quindi progressivamente vinta.

Quello della gelosia, cioè, non è un problema da poco, qualcosa che riguardi le "piccole storie", gli "amorucci", ma è la sfida che si presenta ai piccoli e ai grandi amori e che chiede imperiosamente di essere affrontata con coraggio e vinta
E quando, ancora inesperti, ci troviamo per la prima volta, più o meno consapevolmente, di fronte a questo sfondo paradossale e dissonante, che ci appare come un oscuro aut-aut esistenziale, per paura di esserne travolti cerchiamo di rimuoverlo come se si trattasse di un falso dilemma, di una valutazione pessimistica. Ma prima o poi esso ci si ripresenta; e le due alternative possibili - sacrificare i nostri bei sogni di libertà sul ceppo di una fedeltà rassicurante, o tradire il sogno di appartenenza totale in nome di una libertà esaltante - ci appaiono entrambe come ineluttabili mutilazioni dell'Amore con la "A" maiuscola. E allora? Come affrontare questo paradosso, dal momento che l'etica religiosa e quella laica sono entrambe "riduzioniste", la prima in un senso (sacrificio della libertà) e la seconda nel senso opposto (sacrificio della fedeltà)?
Qual è il giusto atteggiamento da tenere, dal momento che il nemico principale di questo equilibrio è una delle pulsioni più potenti e potenzialmente devastanti del nostro essere (c'è chi uccide in suo nome)? Come potranno sopravvivere i nostri più autentici sentimenti di rispetto per la libertà della persona amata (e per la nostra) di fronte al morso velenoso del serpente della gelosia?
Ognuno affronterà questo arduo dilemma secondo la propria indole, ma una cosa è certa: se vivremo come colpa il nostro anelito alla libertà di fronte alle prescrizioni della gelosia, o se colpevolizzeremo il nostro sogno di appartenenza esclusiva di fronte al sogno di un amore libero, l'amore stesso è destinato a dissolversi.

Insomma, così come tutte le cose importanti della nostra esistenza, anche l'amore è una "pietra filosofale", cioè, una paradossale integrazione di opposti. Per questo è tanto difficile da mantenere vivo. Scrive Jung:

<<L'enorme importanza che assumono gli opposti e la loro unione ci consente di comprendere come mai il linguaggio alchemico prediliga tanto il paradosso. E' significativo che i paradossi si affollino intorno all'idea di "sostanza arcana" di cui si credeva che, in quanto prima materia, contenesse gli opposti in forma disgiunta, per riunificarli poi in quanto "pietra filosofale">>.       [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.45]
#7
<<Chi afferma che tutto avviene per necessità non ha niente da rimproverare a chi lo nega, perché questa stessa negazione è frutto di necessità>>.  [EPICURO: Gnomologium, aforisma 40]
#8
Questa suddivisione di Popper è un'altra mistificazione verbale scopiazzata da Kant, poiché non si pronuncia sulla rispettiva valenza ontologica dei 3 mondi. Cosicché i materialisti la usano da una parte come se il Mondo 2 (il "trascendent-ale" kantiano e gli "stati mentali" di Popper) fosse una realtà ontologicamente distinta dal Mondo 1 (il mondo fisico), mentre dall'altra negano alla mente (psiche, anima) una propria sostanzialità e la considerano appartenente all'ontologia del Mondo 1.
E non è un caso, infatti, che questo pseudo-paradigma venga utilizzato sia per foraggiare la tesi dualista-interazionista di Eccles (POPPER-ECCLES: L'io e il suo cervello - pg. 54), sia per foraggiare le tesi anti-dualiste, per dare una parvenza di credibilità alla loro concezione monista-riduzionista.
E' proprio grazie a questa truffa filosofica che nel campo delle neuroscienze troviamo una schiera di teorie (Searle, Oliviero, Edelmann, ecc.) che pretendono di collocarsi furbescamente in una inesistente posizione che respinge sia il monismo che il dualismo, come se l'anima umana potesse avere - ma anche no - una propria sostanzialità ontologica.
#9
C'è un altro mito che parla di noi, di una tragedia moderna: il degrado ecologico del nostro pianeta.
E' il mito dell'apprendista stregone (l'uomo-scienza), il quale ha carpito alcuni segreti alla Natura diventando mago, stregone; ma la sua magia gli sta sfuggendo di mano, gli si sta ritorcendo contro, proprio perché ha soppresso dal suo orizzonte la polarità etico-spirituale del mondo, la quale, così, è rimasta primitiva, involuta, infantile.


Dal film FANTASIA, di W. Disney (fino a 7:47)
https://youtu.be/hgfF4Iwy0dc

Chi è il grande mago finale, quello vero, che ristabilirà l'ordine?
Io dico che sarà un Mago-Re, sarà colui che siederà su questo trono ancora vacante:

http://4.bp.blogspot.com/-rCL6Koyx1P8/UkQ62d5Lx3I/AAAAAAAAAUk/4cwoYSAAs7Q/s1600/62+Cristo+Re+38.jpg

https://aleteiaitalian.files.wordpress.com/2017/02/web-chair-of-st-peters-basilica-fr-lawrence-lew-op-cc1.jpg?quality=100strip%3Dall&w=1440

Prima o poi arriverà, e verrà ...dal mare:

http://3.bp.blogspot.com/-kB9c_jmxnIw/UX2iOp4RJHI/AAAAAAAAAE8/LwJNb90Y2CQ/s1600/Filius+noster.jpg

(si noti il globus imperii, nella mano sinistra del Filius Noster)
#10
La Complementarità degli opposti tratta di *enti* opposti di pari dignità ontologica che convergono complementarmente verso una unità *ontologica* superiore. Questo significa che l'ontologia in generale è sempre un concetto *uni-trinitario*, il quale non presenta alcuna autocontraddizione, poiché la complementarità di due ontologie conduce ad una unità superiore, cioè ad una unità che non giace sullo stesso piano della dualità e quindi non fagocita la dualità; solo se giacessero sullo stesso piano, unità e dualità costituirebbero una contraddizione, poiché DUE cose non possono essere, insieme, anche UNA cosa.

L'esempio più significativo è la triade: "Uomo-Donna-Amore. L'uomo e la donna sono DUE ontologie opposte (non una dualità solo gnoseologica), ma al termine di un ideale processo di integrazione profonda, essi tendono a quell'unità superiore (archetipica) che si chiama Amore (Amore è una divinità: Eros, Venere, Cupido, ecc., o un attributo di Dio). Ma si tratta di una unità che, appunto, NON cancella la dualità, bensì la esalta, cioè porta al suo massimo compimento sia la virilità di lui, sia la femminilità di lei. La massima dualità nella massima unità!
Per questo il rito matrimoniale si celebra in tutte le culture in un luogo sacro, e per questo gli sposi cristiani non sono semplicemente uniti, ma sono uniti in Cristo, (che è trinitario).

Tutto ciò ci suggerisce che l'amore non è SOLO una relazione tra DUE persone, ma è, insieme, una partecipazione ad un Tertium superiore, al senso dell'eternità, all'unità col Tutto, un salire in Paradiso. Chiunque sia stato innamorato o che abbia vissuto sia pure per un breve istante nella vita la magia più alta dell'amore sa a cosa mi riferisco. Ma se non siamo consapevoli di questo "tertium" che è racchiuso nella pienezza dell'unità amorosa e che la alimenta, rischiamo seriamente di attribuire alla nostra "lei" o al nostro "lui" (anzi, al vostro lui) quelle qualità celesti che tanto ci hanno deliziato e affascinato e travolto, facendone una dèa o un dio, ...ma preparando, così, il terreno a future cocenti delusioni, quando, prima o poi, ci renderemo conto della sua "ordinaria" umanità, del suo non esser affatto dea o dio. Allora potremmo sentirci addirittura degli stupidi o degli illusi per aver provato sentimenti tanto elevati e sublimi, e cominceremo persino a nutrire seri dubbi sull'esistenza stessa dell'amore, fino a diffidare del nostro cuore "ingannatore". E così un'esperienza "divina" può finire col renderci paradossalmente più duri, più guardinghi, più freddi, e magari giungiamo persino a pensare di aver recitato entrambi una parte, di esserci ingannati a vicenda... e così via, fino a toccare il fondo. Dalle stelle alle stalle! ...E tutto questo, per colpa di una "piccola" svista: per non aver riconosciuto quel miracoloso zampino del dio Amore all'interno della nostra unione!


Insomma, la realizzazione dell'ideale amoroso rappresenta la sfida più difficile a cui un essere umano possa essere chiamato a cimentarsi: perché l'amore (come ogni altro archetipo) è una complessa complementarità di opposti e noi non abbiamo alcuna guida né teorica né pratica che ci indichi il corretto cammino per realizzarla.
Un altro degli aspetti di questa dualità-dialettica da realizzare in amore riguarda la coppia di ideali "libertà-fedeltà". Il rispetto della libertà di chi si ama è un ideale etico, spirituale. Ma è altrettanto spirituale il sogno - e anche l'aspettativa - di una dedizione esclusiva e prioritaria (fedeltà) che l'amore ci ispira; e sta proprio in questa dualità di tendenze il destino fallimentare che ci attende se non sapremo tenere in equilibrio ENTRAMBE le polarità di cui essa è fatta, o sopprimendo l'impulso alla fedeltà in nome della libertà (scivolando così nel libertinaggio), oppure sopprimendo l'impulso alla libertà in nome della fedeltà (scivolando così nella dipendenza reciproca).  Nel primo caso l'amore morirà nella trascuratezza e nell'indifferenza; nel secondo morirà soffocato nelle sabbie della schiavitù reciproca

Ma se riusciamo a mantenere vivo l'amore (impresa ai limiti del sovrumano per una umanità come la nostra, ancora spiritualmente rozza e primitiva) i vincoli che esso impone non ci schiavizzano, ma ci realizzano. Quando riusciamo a conquistare la nostra libertà interiore (ed è un cammino "sovrumano" anche questo), ci accorgiamo che essa non è fine a se stessa, non è più un "essere liberi da-", ma diventa un "essere liberi di-", cioè scopriamo che essa, paradossalmente, trova il proprio compimento ultimo nel "sacrificarsi" (rendersi sacra) ad un ideale e nell'obbedire alle regole che esso esige (obbedienza è l'opposto di libertà). In altri termini, dobbiamo conquistare la nostra libertà *per sacrificarla*; e non potremmo mai sacrificarla se prima non saremo riusciti a conquistarla. Se l'avremo conquistata allora saremo in grado di regalarla alle persone amate, di immolarla ad un ideale di fedeltà o di genitorialità. Altrimenti la fedeltà sarà solo una catena, una dipendenza psichica che strangolerà gradualmente ma inesorabilmente l'amore.



MOZART - Per pietà, bell' idol mio KV 78
https://youtu.be/42F6Q6AKFuE
#11
Il mito di Caino e Abele non è un (inesistente) archetipo del "fratricidio originario" (come se la soppressione del fratello fosse un modello-guida presente tra gli altri modelli-archetipi dell'"Iperuranio"), ma è proprio l'esatto contrario: è il simbolo dell'inevitabile archetipica opposizione che esiste tra "Spirito" (Abele) e "Natura" (Caino) e della tragedia che si consuma quando chi si identifica con la Natura vede lo Spirito come una contraddizione, come un nemico da sopprimere, invece  che come una realtà opposta-complementare da integrare armonicamente con la propria. 
Quindi, più che di un archetipo, si tratta di un monito archetipico: <<Ogni tragedia nasce da una violazione del Principio di complementarità degli opposti>>. 
In altre parole, il mito di Caino e Abele ci parla dello stesso dramma eterno che si consuma in ogni luogo, anche in questo NG, dove gli adepti della Natura considerano la realtà spirituale come illusoria, superflua, nemica della Ragione e quindi da sopprimere. 
#12
Tematiche Filosofiche / La Dialettica del Tutto.
20 Maggio 2019, 16:13:02 PM
Cit. CARLO
Se sei agnostica, puoi ascoltare le ragioni "gnostiche" che supportano il teismo, ma se sei atea, neghi a-priori l'esistenza (o la validità) di tali ragioni, e quindi nemmeno le ascolti. E io ho proprio l'impressione che tu sia atea, non agnostica. Se è così, la tua colta riflessione è solo ...fumo negli occhi.

IPAZIA
Fumo negli occhi è la tua incapacità di leggere un testo: se io affermo l'immanenza di tutto riesco a fare sintesi dialettica con un pensiero teista per la sua parte immanente. Spero che adesso ti sia più chiaro. Sui massimi sistemi non vi è sintesi dialettica perchè appartengono all'intimo delle supposizioni umane su cui si può fare letteratura e poesia, ma non filosofia o scienza.

CARLO
Una sintesi dialettica è l'integrazione armonica di una tesi e una antitesi che non siano contraddittorie (come lo sono un "sì" assoluto e un "no" assoluto). Pertanto affermare <<il Tutto è immanente>> NON è una sintesi, ma è una tesi, la cui antitesi si chiama <<il Tutto è trascendente>>. La VERA SINTESI di queste due idee contrapposte si realizza nell'idea secondo cui <<il Tutto è governato da un unico Principio trascendente e immanente>>; da un Principio, cioè, che è immanente in quando fondamento e origine di ogni cosa sensibile-immanente, ma che, sotto un altro aspetto altrettanto legittimo, è anche trascendente in quanto non appartenente all'insieme delle cose sensibili-immanenti.
Infatti, il principio di non contraddizione (pdnc) recita:

<< E impossibile che a un medesimo oggetto possano convenire, nello stesso tempo e nel medesimo rispetto, due attributi reciprocamente contraddittori>>.

Cosicché, il pdnc non è violato, poiché il Tutto è immanente NON nel medesimo rispetto secondo cui il Tutto è trascendente.

Questo è il significato del simbolo cristiano della "Assunzione al Cielo della Mater (Mater-ia)": se il Tutto si fonda su un Principio trascendente, il Tutto E' trascendente (la Materia trans-ascende al Cielo). E questa affermazione-tesi NON contraddice l'antitesi, ma la complementa nell'unità ultima del Principio.
#13
Sì, la Meccanica Quantistica ammette questa possibilità.
Scrive Eccles:

"Secondo i criteri materialisti, l'ipotesi che gli eventi mentali immateriali come il pensiero possano agire in qualsiasi modo su strutture materiali come i neuroni della corteccia cerebrale, incontrerebbe difficoltà insuperabili. Tale effetto presunto degli eventi mentali sarebbe incompatibile con le leggi di conservazione della fisica, in particolare con la prima legge della termodinamica. Questa obiezione sarebbe stata certamente sostenuta dai fisici del XIX secolo e dai neuroscienziati e filosofi che ideologicamente sono rimasti alla fisica del XIX secolo, senza riconoscere la rivoluzione operata dai fisici quantisti nel XX secolo.
Nel formulare più precisamente l'ipotesi dualista sull'interazione fra mente e cervello, l'asserzione iniziale è che l'intero mondo di eventi mentali possiede un'autonomia pari a quella del mondo di materia-energia".     [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.137]

"Si dovrebbe riconoscere che c'è stata una rivoluzione filosofica, dai tempi di Tyle (1949) e dei comportamentisti, che negavano qualsiasi significato scientifico ai princìpi filosofici della coscienza e alle esperienze dell'autocoscienza (Searle, 1984), persino da parte dei materialisti (Armstrong, 1981; Dennett, 1969; Hebb, 1980). Questi, però, pensano che le loro credenze materialiste non siano minacciate in alcun modo, perché ritengono che gli eventi mentali esistano in una enigmatica sorta d'identità con gli eventi nervosi, ai livelli superiori del cervello, probabilmente nella corteccia cerebrale. La strana ipotesi sull'identità non è mai stata spiegata, ma si ritiene che sarà risolta allorquando saremo in possesso di una conoscenza più completa del cervello, forse fra migliaia di anni; per questo tale credenza è stata ironicamente definita «materialismo promissorio».
L'aspetto essenziale è il dualismo. L'intero mondo delle esperienze coscienti, cioè la mente, viene indicato come Mondo 2 e nettamente separato, attraverso un'interfaccia, dal cervello, che appartiene al Mondo 1 della materia".    [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.120]

"La teoria dualista interazionista è la formulazione più antica del problema mente-cervello, in quanto già alcuni pensatori greci, da Omero in poi, la condividevano sostanzialmente (..). La sua caratteristica essenziale sta nel considerare la mente e il cervello come entità interagenti secondo i principi della fisica quantistica. (...)
Esiste una frontiera oltre la quale si realizza un'interazione in entrambe le direzioni, che può essere concepita come un flusso di informazioni, ma non di energia. Si tratta perciò di una dottrina straordinaria".   [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.37]

"Poiché tutte le teorie materialistiche (panpsichismo, epifenomenismo e teoria delle identità) asseriscono l'inefficacia causale della coscienza in sé, esse non riescono a spiegare in alcun modo l'evoluzione biologica della coscienza, che è un fatto inconfutabile. Secondo l'evoluzione biologica, stati mentali e coscienza si sarebbero potuti evolvere e sviluppare solo ammettendo la loro efficacia causale nel provocare cambiamenti negli eventi nervosi del cervello, con le conseguenti modificazioni nel comportamento. Questo può accadere solo se i meccanismi nervosi del cervello sono accessibili all'influenza degli eventi mentali che appartengono al mondo delle esperienze coscienti, secondo il principio fondamentale della teoria dualista-interazionista". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.38]

Eccles allude al fatto che "evoluzione della coscienza" significa emancipazione dagli istinti biologici, cioè trasformazione del comportamento da istintivo-biologico a etico-spirituale e quindi al fatto che una trasformazione così radicale e veloce è impensabile senza l'ipotesi di una psiche che la guida.

"Un gruppo di «misteriani», tra cui il fisico Roger Penrose, sostiene che i misteri della mente debbono essere messi in relazione con i misteri della meccanica quantistica, che genera effetti non deterministici, impossibili nelle teorie classiche della fisica e delle neuroscienze".  [J. HORGAN - Le Scienze, Nov.1994]

"Nel 1984 venne pubblicato il libro di un insigne fisico quantistico, Henry Margenau, dal titolo "Il miracolo dell'esistenza". Fu come vedere la luce alla fine di un tunnel.
«La mente può essere considerata un campo nel comune senso fisico del termine. Ma si tratta di un campo non-materiale; l'analogo più simile è forse un campo di probabilità (...) e non è indispensabile che esso debba contenere energia per spiegare tutti i fenomeni noti nei quali la mente interagisce col cervello".  [J.ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.51]

"La nuova luce sul problema mente-cervello viene dall'ipotesi che gli eventi mentali, non materiali, siano legati agli eventi nervosi del cervello attraverso processi conformi ai princìpi della fisica quantistica. Questa ipotesi apre una prospettiva immensa di ricerche scientifiche, sia in fisica quantistica che in neuroscienze. (...)
I progressi nella comprensione del cervello (...) si attardano per la convinzione che esso sia un dispositivo elettronico supercomplesso. Il cervello è stato studiato in tutte le ricerche sul'intelligenza artificiale, con le computazioni sulle reti neuronali e il modello robotico di Minsky, Moravec, Edelman e Changeux. Secondo me si tratta di un errore madornale, causato dalla mancanza di studi sui microlivelli necessari, sia della struttura che della funzione della neocorteccia".  [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.37]

"È stato ipotizzato che negli stati di coscienza la corteccia cerebrale si trovi in una condizione di estrema sensibilità, come un rivelatore di minuscoli campi spazio-temporali di influenza. Questi campi di influenza sarebbero esercitati dalla mente sul cervello nelle azioni volontarie". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.44]

"Sperry (1974) ha fatto una proposta simile:
«In questo schema si immagina che i fenomeni coscienti interagiscano con gli aspetti fisiochimici e fisiologici dei processi cerebrali e li controllino ampiamente. La mente autocosciente ovviamente lavora anche in senso inverso, e pertanto si immagina che esista un'interazione reciproca tra le proprietà fisiologiche e quelle mentali. Se così fosse, la presente interpretazione tenderebbe a ricollocare la mente nella sua antica posizione di prestigio sulla materia, nel senso che si considerano i fenomeni mentali come trascendenti i fenomeni della fisiologia e della biochimica". [ECCLES: L'Io e il suo cervello - pg.453]

"Alla domanda: dov'è localizzata la mente autocosciente? non si può rispondere in linea di principio. (...) Non ha alcun senso chiedere dove sono localizzati i sentimenti di amore e di odio, o di gioia e di paura [oppure i nostri pensieri]. Concetti astratti come sono quelli della matematica, per esempio, non hanno nessuna localizzazione specifica". [J. ECCLES: L'Io e il suo cervello - pg.455]

"Secondo la nostra teoria si ipotizza che gli eventi mentali influiscano semplicemente sulla probabilità di un'emissione vescicolare, che viene scatenata da un impulso pre-sinaptico. Tale effetto di un evento mentale verrebbe esercitato sul reticolo vescicolare presinaptico paracristallino, che complessivamente agisce controllando la probabilità di emissione di una singola vescicola dall'insieme delle numerose vescicole in esso inglobate.
La prima questione che può essere sollevata riguarda l'entità dell'effetto che potrebbe essere prodotto da un'onda di probabilità della meccanica quantistica: la massa della vescicola è abbastanza grande da oltrepassare i limiti del principio di indeterminazione di Heisemberg? Margenau adatta la comune equazione di indeterminazione a questo calcolo (...) dimostrando che l'emissione probabilistica di una vescicola dal reticolo sinaptico potrebbe essere idealmente modificata da un'intenzione mentale che agisca analogamente a un campo quantico di probabilità.
La seconda questione riguarda l'ordine di grandezza dell'effetto, che consiste semplicemente in una variazione delle probabilità di emissione di una singola vescicola. L'entità di tale effetto è troppo limitata per modificare gli schemi di attività neuronale persino in piccole zone del cervello. Ad ogni modo, ciascuna cellula piramidale della corteccia cerebrale viene raggiunta da migliaia di bottoni sinaptici. L'ipotesi è che il campo di probabilità dell'intenzione mentale sia ampiamente distribuito non solo alle sinapsi di quel neurone, ma anche a quelle di gran parte degli altri neuroni con funzioni simili appartenenti allo stesso dendrone". [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg.104/5]

"Il controllo mentale sull'attività cerebrale è talmente profuso da poter presumere una dominanza dell'io sul cervello. Ora, per la prima volta, è stata proposta l'ipotesi sul modo in cui queste influenze mentali potrebbero controllare le attività cerebrali senza infrangere le leggi di conservazione della fisica. Così alla critica materialista di Dennett, di Changeux e di Edelman viene meno la propria base scientifica. Le spiegazioni materialiste al problema mente-cervello, come la teoria dell'identità, possono essere ormai considerate prive di alcun fondamento scientifico e, persino, superstizioni durate troppo a lungo, come anche del materialismo promissorio. Tutte queste teorie sembrano ormai insostenibili. Ciascuno di noi possiede naturalmente la credenza dualista nell'interazione fra io e cervello, ma la filosofia riduzionista e materialista prevalente ne ha imposto il rigetto. Si tratta di una credenza filosofica ingenua, eppure ha raggiunto lo status di "oggetto di fede".   [J. ECCLES: Come l'Io controlla il suo cervello - pg. 200]
#14
Quando accade che la "trascendenza" si apre all'esperienza immanente? Quando, dopo un lungo lavoro di autoanalisi (o di "esame di coscienza"), si riesce a far emergere alla luce della consapevolezza un conflitto importante che prima era inconscio (o di cui uno dei due termini era inconscio, represso). Questa consapevolezza in genere produce tensione, anche sofferenza, perché in un certo senso lacera in due la nostra identità, dal momento che  i "poli" contrapposti fanno parte di noi, ci appartengono entrambi e non sono più scissi, separati. Ed è da questa tensione, da questo disagio che si attiva in noi quella che Jung chiama la "funzione trascendente" grazie alla quale "piove dal cielo" quel "tertium", quel contenuto *inaspettato e imprevedibile* - spesso di carattere archetipico (un sogno intenso, una visione, una profonda intuizione) - che è necessario per superare il conflitto, per dare avvio alla sua soluzione e spesso alla guarigione definitiva dalla nevrosi.
Perché <<un contenuto di carattere archetipico>>? Perché l'archetipo è, strutturalmente, sempre una complementarità-unità di opposti realizzata.
Scrive Jung:

"Il contrasto delle posizioni comporta una tensione carica di energia che produce qualcosa di vivo, un terzo elemento, che non è affatto, secondo l'assioma tertium non datur, un aborto logico, ma è invece una progressione che nasce dalla sospensione dell'antitesi, una nascita viva che introduce un nuovo grado [o livello] dell'essere, una nuova situazione. La funzione trascendente si manifesta come una caratteristica di opposti che si sono reciprocamente avvicinati. Fino a quando questi opposti sono mantenuti estranei l'uno all'altro - allo scopo naturalmente di evitare conflitti - non funzionano, e ne consegue un morto ristagno".  [ JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.105]

"La funzione trascendente è un processo naturale, una manifestazione dell'energia che si sprigiona dalla tensione fra contrari, e consiste in una successione di processi fantastici che emergono spontaneamente in sogni e visioni. [...]
Il processo naturale dell'unificazione tra contrari è diventato per me un modello e il fondamento di un metodo che consiste essenzialmente in questo: far emergere intenzionalmente ciò che per sua natura si verifica inconsciamente e spontaneamente, e integrarlo nella coscienza e nel suo modo di vedere proprio".   [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.135]

"Il distacco dall'inconscio significa privazione di istinti, mancanza di radici. Se si riesce a produrre la funzione trascendente, si elimina questa scissione e si può quindi attingere serenamente al lato favorevole dell'inconscio. Allora esso fornisce tutti gli appoggi e gli aiuti che una natura benevola può dare in sovrabbondanza all'uomo, [...] in quanto dispone [...] della saggezza derivante da un'esperienza vecchia di secoli, sepolta nelle sue strutture archetipiche".      [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.179]
#15
Riporto lo stralcio di un'altro scambio di idee di qualche tempo fa in un altro NG:


FRANCO
Dichiara Jung (in una famosa intervista della BBC con John Freeman):

<<Tutto cio', che ho appreso nella vita, mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell'esistenza di Dio. Io credo soltanto in cio' che so per ESPERIENZA. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all'esistenza di Dio per fede: io *so* che Dio esiste.>>

Mi fa meraviglia che una tale argomentazione non sia mai stata da nessuno presa in seria considerazione, se non per essere fatta addirittura oggetto di ironia. Eppure e' stringente, impostata secondo l'unica via da cui possa conseguire rigorosamente la conclusione; una via gia' tracciata dal geniale S.Agostino, per il quale, come e' noto, "Deus intimus cordi est", Dio sta nel profondo del cuore. Dio non va dunque cercato con il cervello, occorre scendere, "scavare" nell'intimo della propria coscienza, finche' scendendo dal cervello si arriva al cuore; perche' e' li' che la Verita' e' fonte di luce su tutte e di tutte le cose. Passeranno secoli, prima che con Jung, forte della scoperta della psicoanalisi e di tutto il suo parco di caterpillar scientifici, si capisse che l'opera di S.Agostino era incompleta, che occorreva scavare ancora, scendere ancora piu' nel profondo, nei fino ad allora insondati abissi della psiche umana. Jung dunque riprese l'opera interrotta, una vera e propria impresa di archeologia della psiche, validamente aiutato in questo (la menzione al merito e' d'obbligo) dal fido discepolo Pierini.
E scendendo, come era intuibile, finalmente si giunse alle viscere, la' dove Dio non e' piu' un vago concetto di astrazioni intellettuali, ne' si dimostra con esse, ma si coglie come l'inconfutabile *sapere* di  un'esperienza personale. Altro che la prova di Anselmo d'Aosta! Altro che la prova di Goedel! Altro che la *prova ontologica* di Cartesio o di Hegel! Finalmente abbiamo l'inconfutabile *prova viscerale* di Jung.
Sia gloria a Jung nel piu' alto dei cieli.

CARLO
A dire il vero, quelle di Anselmo, di Goedel, di Cartesio&Co. non erano prove, ma riflessioni logiche astratte che, alla fin fine, lasciano il tempo che trovano. Dio non è un teorema matematico, ma un'entità vivente che, per quanto ordinariamente trascendente (ente-ente-ente), non è separato in senso assoluto dall'immanenza (come predicava erroneamente Kant) ma è "onnipresente", cioè "presente" nelle profondità dell'intera immanenza: nell'inconscio dell'essere umano (e chissà, anche nell'anima-le), sia nelle profondità della realtà fisica, quasi sicuramente come Principio ultimo (imminente la dimostrazione).
Pertanto, le vere prove - intese secondo lo spirito scientifico - non possono che fondarsi su quelli che teologicamente sono chiamati i "Segni".
- Quali Segni?
- Gli archetipi.
- Dove si manifestano gli archetipi?
- Sul piano individuale, in certi sogni, nelle visioni, nelle intuizioni
  artistiche (ma anche filosofiche);
- Per esempio?
- Per esempio:
 
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

- sul piano collettivo, invece, nei contenuti della storia della cultura,
  in particolare nella storia del simbolo, del mito e delle idee religiose.
- Come sono riconoscibili?
- Per la loro presenza trasversale come modelli tipici in tutte le culture.
- Per esempio?
- Per esempio:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'archetipo-della-complementarita-l'archetipo-piu-diffuso-nella-storia-della-cu/msg21936/#msg21936

FRANCO
D'accordo che il mio post era decisamente beffardo, tuttavia penso che meriti da parte tua, da esperto di Jung, qualche considerazione nel merito, piuttosto che questa ennesima ri-frittura. E il merito sta in quel "io *so* che Dio esiste" di Jung, e lo sa "per esperienza". Cosa intendeva dire? Perche'  i casi sono due, e una cosa e' dire "io *so* che esiste la mitica Atlantide" intendendo che lo so per esperienza diretta, perche' sono stato in Atlantide; altra intendere che lo so perche' ne ho avuto indirettamente notizia, cosa che pone la questione circa la veridicita' della notizia...

CARLO
Non ti devi inventare degli esempi astrusi, quando hai degli esempi di esperienze reali. Atlandide è una località geografica che ha ben poco a che vedere col nostro discorso. Già te l'ho detto tre volte: prima le ESPERIENZE REALI, poi l'interpretazione.

FRANCO
1) Se Jung lo intende nel primo senso, ha avuto esperienza diretta di Dio, allora la sua e' un'esperienza mistica che lo assimila a santa Teresa d'Avila; esperienza in se' di qualcosa di alieno rispetto alla natura umana. Cosa che sarebbe certamente un "segno", anzi un "Segno";

CARLO
Qualcosa di <<alieno alla natura umana>> non può essere oggetto di esperienza, non può essere un "segno" né un "Segno". Quindi è ora che cominci a dialettizzare il tuo rigido e univoco concetto di trascendenza (ereditato da Kant), che fa molto comodo agli agnostici e a certi mistici dell'ineffabilità, ma che è falso, in quanto non conforme all'esperienza. Scientia docet.
Scrive Jung:

<<L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima o uno stato psichico, mi limito a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla>>. [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]

E dovrai dia-lettizzare anche il tuo rigido e univoco concetto di "psiche", sdoppiandolo in "coscienza" e "inconscio" e prendendo atto che lo <<stato psichico>> a cui allude Jung non è un "pensiero" o una "fantasia" che si origina nell'Io, ma un contenuto che SI IMPONE all'Io ed è quindi PERCEPITA dall'Io, in modo del tutto analogo all'imporsi di un'immagine visiva proveniente dal mondo esterno.

FRANCO
2) Ma non penso che Jung intendesse questo, se diamo per scontato che non avesse in corpo un bicchiere di troppo; perche' dice prima: <<...mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell'esistenza di Dio>>. Questo "passo dopo passo" dice che non ha avuto esperienza diretta di Dio, quanto invece esperienza diretta dei *segni* che lo hanno via via portato a quella incrollabile "certezza".

CARLO
Io non so esattamente se lui abbia avuto esperienza "diretta" di Dio, anzi dubito che qualcuno possa avere esperienze "dirette", dal momento che ciò che irrompe improvvisamente alla coscienza sono contenuti archetipici "numinosi", cioè carichi di un "significato" talmente speciale che risuona contemporaneamente con tutte le facoltà della psiche e le rende percettive: intelletto (idee), sentimento (amore, stupore, timore, ecc.), immaginazione visiva (visione plastica), uditiva (sentire una voce), olfattiva (odore ...di santità) e persino tattile. Una sorta di raggio di luce che è unico, ma che si scompone in tanti "colori" quante sono le facoltà dell'Io. E il significato di ciascun "colore" è inaspettatamente vivo, intelligente e complementare al significato di tutti gli altri colori, proprio come se si trattasse di un'esperienza esterna che coinvolga tutti i sensi, ma i cui significati trasmessi sono significati nuovi e sconosciuti che non appartengono al proprio vissuto personale; ciononostante, recano in sé il "marchio" inconfondibile dell'esser veri. Col senno di poi, si scopre che essi appartengono al vissuto filosofico-religioso della ...specie umana e sono legati ad esso in una relazione di profonda complementarità (non di identità), come se si trattasse di una rivisitazione originale e rinnovata di motivi arcaici universali.
Se vuoi capire meglio, devi rileggerti i resoconti di quelle due o tre visioni che ho pubblicato.

FRANCO
Perche' avere esperienza dei *segni* di qualcosa lascia impregiudicato *di che cosa* siano segni: di qualcosa di veramente reale ed alieno dalla natura umana, o di qualcosa di puramente soggettivo come espressione di un'illusione umana?

CARLO
Si tratta di segni straordinari di una presenza vivente in noi, ma che è ALTRO da noi. Di un'intelligenza, di una Grande Mente Amica dal linguaggio enigmatico (ma non alieno) la cui comparsa fugace, ma intensissima, ha il potere di risvegliare-illuminare ogni angolo della nostra interiorità e che proprio per questo vi lascia una traccia incancellabile.  
Tuttavia, la logica di questi "segni" non è affatto complicata.  Se ciò che improvvisamente percepisco è:

1 - una sequenza di immagini che culmina nella figura di un simbolo arcaico (percezione visiva);
2 - una voce chiarissima che proviene da uno degli elementi dell'immagine (percezione uditiva di un'idea "filosofica");
3 - la sensazione di una iniezione (percezione tattile);
4 - un gusto e un odore di essenze vegetali (percezione gustativa-olfattiva)...

...si tratta sicuramente di un'esperienza in piena regola. Ma se nella realtà oggettiva non c'è nulla che possa essere percepito in questo modo, devo dedurre che si tratta di un'esperienza interiore NON ORDINARIA, cioè, rivolta verso un'ALTRA realtà; e se le mie percezioni sensoriali testimoniano l'esistenza della realtà ordinaria, non ho motivi per negare la loro stessa testimonianza di un'altra realtà.

Se poi scopro che quel simbolo è una variante originale di un simbolo presente da almeno 4 mila anni nella storia della cultura umana più o meno in ogni luogo geografico (Cina, India, Grecia, Mesopomamia, Egitto, ecc.), devo dedurre allora che l'ALTRA realtà non è una MIA realtà soggettiva, ma che esiste da sempre e che è percepibile dovunque.

E se poi scopriamo che fin dalle sue origini l'homo sapiens non solo ha testimoniato l'esistenza di una tale misteriosa ed enigmatica realtà (e che l'ha chiamata "trascendente" per distinguerla da quella ordinaria "immanente"), ma che ha anche eletto i "messaggi" proventi da essa a oggetto di devozione e che su di essi ha edificato le più grandi civiltà, ...allora per quale ragione "logica" dovrei gettare la mia esperienza nel cestino delle superstizioni, delle "allucinazioni", o delle illusioni? Perché non dovrei considerare illusione, invece, quella di chi crede nella SOLA esistenza della realtà ordinaria?
#16
Copio-incollo lo stralcio di uno scambio di idee che ebbi tempo fa con un interlocutore (che, per la privacy, chiamo "Franco) in un altro forum di discussione. Per ragioni di spazio lo divido in due post.

N. 1
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FRANCO
Posso perfino sospendere il giudizio, in nome di un principio di tolleranza estremamente liberale, sulla scientificita' della teoria junghiana degli archetipi, ma non posso evitarti la domanda che piu'  volte ho fatto, circa il *che cosa* sarebbe dimostrato.
 
CARLO
"Dimostrare" ha due significati ben diversi a seconda che lo riferiamo a teorie riguardanti domini di studio che si prestino - oppure che non si prestino - al metodo matematico sperimentale. Se si intraprende il cammino del "conosci te stesso", dobbiamo essere ragionevolmente e fermamente disposti a rifiutare i metodi - assolutamente inadeguati e inutili - del cammino del "conosci il mondo fisico".
 
FRANCO
Infatti il "conosci te stesso" e' un cammino solitario, che dall'inizio alla fine riguarda solo te stesso.
 
CARLO
"Conosci te stesso" è una metafora per dire "conosci l'uomo", costruisci una scienza dell'uomo. E la psicologia è il primo passo di questa scienza, sebbene i suoi metodi non possano e NON DEBBANO coincidere con i metodi delle scienze del mondo fisico. La psiche e i suoi contenuti non hanno proprietà fisiche. Ma questo non significa certo che essa sia un territorio senza ordine né leggi, un Far-West senza sceriffo.
 
FRANCO
La "scienza dell'uomo" e' una "scienza" non solo incompleta, ma in se stessa incongruente; perche' scienza *dell'* uomo pretende il senso *oggettivo* del genitivo (l'uomo come *oggetto* di un sapere scientifico), mentre e' ineliminabile il senso *soggettivo* del genitivo (l'uomo come *soggetto* attivo, produttivo di tale sapere).
 
CARLO
Anche il soggettivo può avere una sua oggettività, sebbene di natura diversa dall'oggettività matematicamente ponderabile. Se tu hai sognato Brigitte Bardot e invece dici di aver sognato Napoleone a Waterloo, la prima versione è oggettiva, la seconda è soggettiva; o, comunque, non si può parlare di un medesimo grado di soggettività. Come dice Jung:
 
"La psiche è inizio e fine di ogni conoscenza. Anzi, essa non è soltanto l'oggetto della sua scienza, ma ne è anche il soggetto. Questa situazione eccezionale tra tutte le scienze implica da un lato un dubbio costante sulla sua possibilità in generale, dall'altro assicura alla psicologia un privilegio e una problematica che appartiene ai compiti più ardui di una futura filosofia". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.143]
 
E questo compito della filosofia consisterà certamente nel dover rielaborare il pdnc (e dico "rielaborare", non "abolire").
 
>> CARLO
>> Io ho proposto delle esperienze concrete (le famose "visioni"); e ho dato delle risposte alle tue domande sulla base di quelle, proprio come fanno (mutatis mutandis) gli scienziati: ho interpretato dei fatti. Quindi dovresti partire anche tu da quelle esperienze (o da altre, se ne hai) e fornire una tua interpretazione. Poi metteremo a confronto la tua interpretazione con la mia, che, guardacaso, coincide in linea di massima con quella di Jung. Questo è il modo più sicuro per non finire col parlarci addosso in interminabili disquisizioni astratte. Scientia docet: prima i fatti, poi l'interpretazione dei fatti.
 
> FRANCO
> Nel corso degli anni abbiamo esaurito tutta la gamma di altezza, intensita', timbro e durata della polemica > e dell'eristica, riguardo al merito del contenzioso.

CARLO
No, nel corso degli anni, non c'è stata una sola persona che abbia commentato nel merito, nel dettaglio e nel contenuto quelle esperienze e che abbia minimamente tentato un'interpretazione materialista alternativa a quella junghiana. Quei pochi ed evasivi giudizi che ho letto sono solo giudizi a-priori, ben alla larga dai fatti. Esattamente come i giudizi dei preti sulle osservazioni di Galileo: lo stesso identico timore del confronto in nome del Santissimo Metodo Matematico-Sperimentale!
Ma tutto questo imbarazzo lo capisco molto meglio di te e di chiunque altro, perché io stesso, da teorico del materialismo qual ero, ho dovuto arrendermi di fronte all'impossibilità di dar loro un'interpretazione diversa da quella junghiana. E la resa è difficile per chi non pone al primo posto la verità.
 
FRANCO
Quale verita'?
 
CARLO
Se hai sognato Brigitte Bardot, *non è vero* che hai sognato Napoleone a Waterloo, sebbene entrambe le versioni siano "soggettive" ed entrambe popperianamente "inverificabili e infalsificabili".
 
FRANCO
Il simbolo, il mito, l'idea di dio... sono di certo *significati*, prodotti della facolta' immaginativa della mente
umana e che come tali possono interessare la psicologia; ma sono anche  *significanti*, cioe' denotanti realta' indipendenti dalla mente umana?
 
CARLO
Nessuna conoscenza è assolutamente indipendente dalla mente umana, nemmeno la Fisica, essendo ogni sapere una concordanza dia-lettica tra  <<ordo et connexio idearum>> e <<ordo et connexio rerum >>.
Come ci ricordano Heisenberg e Bohr, in accordo con Jung:
 
"Dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa, ma *la natura esposta ai nostri metodi d'indagine*. Nella fisica il nostro lavoro scientifico consiste nel porre delle domande alla natura *nel linguaggio che noi possediamo* e nel cercare di ottenere una risposta dall'esperimento con i mezzi che sono a nostra disposizione. In tal modo la teoria dei quanta ci ricorda, come ha detto Bohr, la vecchia saggezza per cui, nella ricerca dell'armonia nella vita, non dobbiamo dimenticarci che nel dramma dell'esistenza siamo insieme attori e spettatori".  [W. HEISENBERG: Fisica e filosofia - pg. 73]
 
"L'empirista cerca, con maggiore o minore successo, di dimenticare o rimuovere, in favore della «obiettività scientifica», i suoi principi esplicativi, ossia le premesse psichiche indispensabili al processo della conoscenza. Il filosofo ermetico, viceversa, considera proprio queste premesse psichiche, ossia gli archetipi, come le componenti indispensabili dell'immagine del mondo empirica. Egli non è ancora così dominato dall'oggetto da poter trascurare la palpabile presenza delle premesse psichiche nella forma di quelle idee eterne da lui sentite come realtà. [...] Il nominalista empirico spera di riuscire a produrre un'immagine del mondo indipendente sotto ogni aspetto dall'osservatore. Questa speranza si è realizzata solo parzialmente, come hanno dimostrato i risultati della fisica moderna: l'osservatore non può essere definitivamente escluso; le premesse psichiche continuano ad operare".   [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.311/12]


La risposta è nel post seguente.
#17
Se Dio esiste nella trascendente profondità di noi stessi (inconscio) ma la coscienza (la ragione) lo rimuove, la sua "numinosità" si proietterà nel mondo immanente facendoci apparire dèi gli oggetti che  richiamano simbolicamente i Suoi (di Dio) attributi.
Il denaro è potenza, come Dio, e noi lo adoreremo sopra ogni altra cosa; il sapiente incarnerà la Sapientia Dèi, e noi faremo di Einstein un dio; il grande pittore esprimerà la Sua enigmatica bellezza, e noi faremo della Gioconda un idolo e di Leonardo un santo; il grande musicista incarnerà l'armonia delle sfere celesti, e noi faremo di Michael Jackson un grande DIVO; la nostra donna incarnerà Amore e noi la venereremo come una dèa.

Come diceva M. Ende nella sua "Storia infinita", quando i personaggi del Regno di Fantàsia sono inghiottiti dal Grande Nulla, essi cadono nel mondo reale trasformati in menzogne.

"Il fatto che l'inconscio appaia proiettato non ha in sé nulla di sorprendente: è come se non potesse venir percepito in altro modo. [...] Naturalmente la proiezione non è un evento volontario, ma qualcosa che muove incontro alla coscienza "dal di fuori", un'apparenza dell'oggetto, dove il soggetto resta ignaro di essere lui stesso la fonte di luce che fa brillare l'"occhio di gatto" della proiezione".     [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]


Ma, comunque la si pensi, queste sono DAVVERO due dee:     :)

HÄNDEL: Tornami a vagheggiar, op. Alcina
https://youtu.be/8Kvdf-fRNM8

DVORAK: Canto alla luna, op. Rusalka
https://youtu.be/MwuNqcKUxto?t=6

PUCCINI: Quando m'en vo', op. La Bohème
https://youtu.be/IDvE8uKWznc

DONIZETTI: Quando rapito in estasi, op. Lucia di Lammermoor" (fino a 9'45")  
https://youtu.be/--WH9j11q8Y?t=299

PUCCINI: O mio babbino caro, op. Gianni Schicchi
https://youtu.be/x-4TSWg2h3w
#18
Tematiche Filosofiche / La Scienza è materialista?
08 Maggio 2019, 14:34:02 PM
La Scienza non è materialista. Essa si limita a studiare la materia, ma non ha niente a che vedere col materialismo. 
Se l'idea di una scienza materialista è diffusissima, ciò deriva esclusivamente dal fatto che  i "preti materialisti" sono saliti abusivamente sul carro del vincitore per farsene scudo e per far credere agli sprovveduti che le loro superstizioni abbiano un fondamento scientifico. ...E tra questi sprovveduti ci sono i preti teisti, i quali, nella loro miopia, per colpire i preti avversari sparano a casaccio sull'intero carro della Scienza, invece di prenderli uno per uno per le orecchie, farli scendere, e riservar loro lo stesso trattamento che Totò amava riservare agli "uomini di talento":
 
https://youtu.be/NXFHDNSW4z4

:)
#19
Gli scienziati studiano lo Yin (la Materia) e trascurano lo Yang (lo Spirito) perché, per ragioni di risentimento storico contro gli "spiritualisti" persecutori di ieri (i yanghiani cattolici), vuol credere che Yang sia solo un abbaglio, che non sia nient'altro che lo Yin in azione, o lo Yin visto secondo la prospettiva illusoria del linguaggio "metafisico". E sono talmente convinti di questa illusorietà, che negli anni '30 tentarono persino di purgare il linguaggio scientifico da ogni residuo "metafisico", senza alcun successo (Circolo di Vienna).
Cosicché, verrà il tempo in cui essi si imbatteranno inaspettatamente nel "punto Yin" all'interno dello Yang; e allora la loro corsa "teorizzante" subirà una battuta d'arresto e tutti i paradigmi Yin - che sembravano così solidi, chiari e coerenti - cominceranno a indebolirsi, a complicarsi e a perdere la loro chiarezza.

Ebbene, sono convinto che le prime avvisaglie di questo dirompente incontro col "punto Yang" stiano cominciando ad affacciarsi: si chiamano, "Meccanica quantistica", "Principio di indeterminazione", "funzione di probabilità".

Per il momento il suddetto "punto Yang" non è lo Spirito inteso in senso religioso, ma la sua accezione laica di "mente", di SOGGETTO osservatore, contrapposto all'OGGETTO (yin) materiale osservato. La Scienza, cioè, è conoscenza dell'oggetto osservato e misurato (yin), mentre il soggetto osservatore e misuratore (yang) è SEMPRE al di fuori di essa. ...Allora la domanda sorge spontanea: come può essere *compiuta ed esaustiva* una conoscenza che indaga solo sulla natura e sulle proprietà dell'oggetto materiale e che esclude da sé l'indagine sulla natura e sulle proprietà del soggetto osservatore?
Il soggetto, cioè la mente che crea i paradigmi indispensabili e determinanti ai fini della descrizione dell'oggetto, è eliminabile da una conoscenza degna di questo nome? Se si getta il soggetto dalla finestra del sapere, non ce lo ritroveremo prima o poi alla porta di casa nelle vesti di uno o più paradossi teoretici che scardinano le nostre certezze sulla pura oggettività di quanto osserviamo? Io credo proprio di sì, sebbene non sappia dire quale ordine di conoscenza del soggetto sarebbe necessaria per eliminare tali paradossi teoretici.
Scrive Heisenmberg:


"Dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa, ma *la natura esposta ai nostri metodi d'indagine*. Nella fisica il nostro lavoro scientifico consiste nel porre delle domande alla natura *nel linguaggio che noi possediamo* e nel cercare di ottenere una risposta dall'esperimento con i mezzi che sono a nostra disposizione. In tal modo la teoria dei quanta ci ricorda, come ha detto Bohr, la vecchia saggezza per cui, nella ricerca dell'armonia nella vita, non dobbiamo dimenticarci che nel dramma dell'esistenza siamo insieme attori e spettatori".  [W. HEISENBERG: Fisica e filosofia - pg. 73]

...E gli fa eco Jung:

"L'empirista cerca, con maggiore o minore successo, di dimenticare o rimuovere, in favore della «obiettività scientifica», i suoi principi esplicativi, ossia le premesse psichiche indispensabili al processo della conoscenza. Il filosofo ermetico, viceversa, considera proprio queste premesse psichiche, ossia gli archetipi, come le componenti indispensabili dell'immagine del mondo empirica. Egli non è ancora così dominato dall'oggetto da poter trascurare la palpabile presenza delle premesse psichiche nella forma di quelle idee eterne da lui sentite come realtà. [...] Il nominalista empirico spera di riuscire a produrre un'immagine del mondo indipendente sotto ogni aspetto dall'osservatore. Questa speranza si è realizzata solo parzialmente, come hanno dimostrato i risultati della fisica moderna: l'osservatore non può essere definitivamente escluso; le premesse psichiche continuano ad operare".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.311/12]

Ma nello studio dell'emisfero Yang del sapere, quello della Psicologia, il medesimo problema si presenta per così dire rovesciato: come può il soggetto (la psiche) essere anche l'oggetto del suo sapere? Se la determinazione dell'oggetto osservato ha bisogno di un soggetto osservatore esterno all'oggetto, che trascende l'oggetto stesso, cos'altro, se non un punto di vista ultimo, il punto di vista di Dio (il Deus ex-machina) potrebbe soddisfare questa funzione?
Scrive Jung:

"La psiche è inizio e fine di ogni conoscenza. Anzi, essa non è soltanto l'oggetto della sua scienza, ma ne è anche il soggetto. Questa situazione eccezionale tra tutte le scienze implica da un lato un dubbio costante sulla sua possibilità in generale, dall'altro assicura alla psicologia un privilegio e una problematica che appartiene ai compiti più ardui di una futura filosofia". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.143]

"La rappresentazione del mondo apparentemente senza soggetto che emerge alla fine del XX secolo è il prodotto di una lunga storia di cancellazione, della disincarnazione sistematica e progressiva del soggetto conoscente. Questa storia è la storia del soggetto illuminista.
È Descartes, ovviamente, il punto di partenza canonico. Nel pensiero cartesiano il soggetto, liberato dal suo luogo corporeo, si colloca accanto a Dio, al di sopra dell'oggetto della sua conoscenza. (...) Solo il cogito, l'io conoscente e pensante non poteva essere visto. Per Descartes il cogito è il deus ex machina, un espediente divino reso invisibile per la sua assenza dallo spazio, ma onnipotente per la sua unione con Dio. In quanto tale elude la descrizione (...) e la costrizione. Esso semplicemente è, ontologicamente anteriore allo sguardo indagante e insieme al di fuori della sua portata.
I duecento anni successivi hanno visto uno straordinario avanzamento nel progetto di rimuovere il soggetto scientifico da qualunque obbligo terreno. (...) Fra il XVII e il XIX secolo (...) il posto del soggetto era vuoto e in esso poteva essere collocata, all'occorrenza, una macchina: la lacuna della prospettiva classica era così colmata nel quadro della scienza, pur emergendo nella mente dell'osservatore. (...)
Un compito cruciale della retorica della scienza moderna è stato di bandire ogni riferimento al soggetto, e di costruire invece l'illusione che la conoscenza non fosse il prodotto dell'uomo; non manufatta o costruita, ma scoperta: in una parola, semplicemente vera. (...)
Dopo secoli di cancellazione, per quanto invisibile e impensabile, il soggetto conoscente permane ostinatamente anteriore. La questione è: in un'epoca di ateismo, dove va collocata l'anteriorità che era stata precedentemente ceduta a Dio e che ora non può esserlo più? Questa è sicuramente una delle questioni più critiche che ci stanno di fronte in questo scorcio di secolo". [EVELYN FOX KELLER: Il paradosso della soggettività scientifica, in S. TOULMIN: La passione del conoscere  - pp. 50-53]
#20
Scrive Jung:
"Non tutti i sogni hanno la stessa importanza. Già i primitivi distinguevano tra "piccoli" e "grandi" sogni. [...]
A ben guardare i piccoli sogni sono frammenti della fantasia che compaiono ogni notte, provengono dalla sfera soggettiva e personale e, quanto al loro significato, si esauriscono nella vita quotidiana. La loro validità non va oltre le oscillazioni quotidiane dell'equilibrio psichico. Vi sono invece sogni pregni di significato, i quali spesso sono conservati nella memoria per tutta la vita, e formano non di rado il nucleo racchiuso nel forziere degli eventi psichici. [...] Essi contengono i cosiddetti «motivi mitologici» o «mitologemi», che io ho definito col termine di archetipi [...] e provengono dagli strati più profondi dell'inconscio collettivo. La loro significatività trapela - a prescindere dall'impressione soggettiva - già fin dalla loro plasticità, che mostra non di rado forza e bellezza poetiche. Essi si presentano perlopiù in periodi decisivi della vita, vale a dire nella prima giovinezza, durante la pubertà, a mezzo del cammino (fra i trentasei e i quarant'anni), e in cospectu mortis ". [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.313]

"Come si sa per esperienza, l'inconscio ha una indipendenza estrema. Se non l'avesse, non potrebbe esercitare la sua funzione peculiare: la compensazione della coscienza. La coscienza è ammaestrabile come un pappagallo, non così l'inconscio. Esso è e rimane una parte della natura che non può venir né corretta né corrotta; i suoi segreti possono soltanto essere intravisti, non manipolati." [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.52]

"I simboli prodotti dall'inconscio significano molto di più di quanto si possa saperne di primo acchito. Essi trovano il loro significato nel tendere, ogni volta che sono compresi, a compensare e a integrare nel senso della totalità un atteggiamento della coscienza non adeguato, che cioè non adempie al suo scopo".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.323/24]

Analogamente, i miti possono essere visti come i grandi sogni o le visioni dell'umanità; e la loro funzione, come nel caso dei sogni individuali, è quella di compensare dialetticamente gli squilibri della coscienza storica attraverso l'apporto di quei contenuti culturali (sentimenti, idee, valori etici, ecc.) che in certi momenti storici "di passaggio" sono carenti o assenti presso le culture nelle quali essi compaiono.
Per esempio, la figura evangelica del Dio che si incarna come uomo (Cristo) e come fratello amoroso dell'uomo appare in un'epoca in cui prevaleva la mitica figura vetero-testamentaria - un po' squilibrata - di un Yawè-Padre-padrone, giudice severo e giustiziere iroso e vendicativo. La funzione compensatrice del mito cristiano è evidente: <<La legge per l'uomo, non l'uomo per la legge>>.

Dunque, il mito appartiene alla categoria dell'arte: esso è principalmente letteratura (saghe, racconti, poemi, favole, ecc.), ma può anche esprimersi come arte plastica o pittorica. Ed è l'arte sacra rinascimentale quella che maggiormente evidenzia questo carattere compensatorio degli squilibri della visione religiosa dominante.
Ebbene, uno degli "squilibri" più fuorvianti dell'esegetica cattolica consiste nell'aver sottratto la figura di Cristo dalla dimensione spirituale-simbolica che le è propria ed averla "secolarizzata" nelle vesti di un personaggio storico reale vissuto duemila anni fa. Cosicché, da una parte il culto di Gesù si trasforma in una vera e propria "idolatria" e, dall'altra, il significato evangelico di "buona novella", di "annuncio di un futuro Messia salvatore-redentore" cade nell'ombra, privando l'intero Disegno di Salvezza del suo "baricentro" futuro naturale, cioè, della sua autentica ragione d'essere.
In una certa misura la evangelica "seconda venuta del Messia" o del "Secondo Adamo" (Giovanni 14:1-3, Ebrei 9:28, Apocalisse 22:12, Matteo 24:37-39 e 23-26, Tito 2:11-14, Luca 21:34-36, ecc.) compensa questo squilibrio temporale, ma non abbastanza da lasciar intendere chiaramente che i racconti biblici sono *solo annunci* mitico-simbolici di una Redenzione e di una Salvezza non ancora realizzate (del resto, se l'umanità fosse stata redenta dal "primo Avvento", quale sarebbe lo scopo di un "secondo Avvento"?).
Ebbene, l'arte sacra rinascimentale cerca di compensare questo "malinteso spazio-temporale" nelle forme più varie e originali. La più ricorrente è quella che cambia tempo e luogo alla storia di Cristo, trasportandola dall'Israele di duemila anni fa all'Europa contemporanea degli autori, cioè, all'epoca rinascimentale:

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http://2.bp.blogspot.com/-T-x1QzO9lTM/UhCWO8NTsXI/AAAAAAAAAIA/UE3EQ3VWiiw/s1600/02+Annunciazione,+van+der+Weyden.jpg 

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http://4.bp.blogspot.com/-cuEfMxJ1CGo/UhCXDHsDnAI/AAAAAAAAAJw/dnkWWVwOFKE/s1600/06+Madonna+con+Bambino,+Cima+da+Conegliano.jpg 

http://2.bp.blogspot.com/-T0yDm1sZje0/UhCWgGapi-I/AAAAAAAAAIg/BlvL8WFUskY/s1600/07+Nativit%C3%A0,+David,+1515.jpg 


Nella seguente "Natività" del Ghirlandaio, sull'estremità della colonna centrale è addirittura scolpita in caratteri romani una data: 1485

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Nelle due seguenti raffigurazioni della Natività sono presenti due particolari che non dovrebbero comparire se i dipinti volessero davvero rappresentare una Natività avvenuta 1500 anni prima: due immagini del Crocifisso. La prima (Van der Weyden) è appesa sulla colonna centrale dietro alla Vergine,

http://4.bp.blogspot.com/--BHynI2sR4Q/UhCW77L8X4I/AAAAAAAAAJI/ywq6A2hNENM/s1600/09+Nativit%C3%A0,+Van+der+Weyden.jpg
...come per sottolineare che si tratta di una seconda nascita,  di un secondo avvento del quale il "Cristo antico" era solo l'annuncio.
Nella seconda figura (L. Lotto) il Crocifisso è in alto a sinistra del dipinto:

http://4.bp.blogspot.com/-izAQhteksxI/UhCWqJpMwWI/AAAAAAAAAI4/oxE6aGHgN7I/s1600/10+Nativit%C3%A0,+Lorenzo+Lotto,+1523.jpg

Un'altro tentativo di "de-secolarizzare" la figura di Cristo è quello di negare direttamente la sua storicità e di affermare la sua natura di immagine simbolica.
Se, infatti, osserviamo questo dipinto di Giotto (il Giudizio finale):

http://2.bp.blogspot.com/-Q13GAtrymd8/UhdErnKgoMI/AAAAAAAAAKA/pOPH-oHIr9Y/s1600/Giudizio+Finale,+Giotto.jpg

non è difficile leggervi un messaggio tendente a far apparire l'intera scena evangelica non come un evento storico, ma come una sorta di "scenografia teatrale", una rappresentazione simbolica, un'immagine pura, un racconto mitico ispirato dal cielo. La chiave di questo messaggio è rappresentata dai due angeli (ánghelos = messaggero) in alto a desta e a sinistra della figura nell'atto di srotolare (o di arrotolare) i bordi di quella che appare, così, come una vera e propria immagine di fondo di un palcoscenico allestita da registi celesti.

Lo stesso tipo di messaggio è stato espresso anche in altre forme. Per esempio: nelle seguenti rappresentazioni il personaggi sacri sono rappresentati non come persone reali, ma come immagini del personaggio:

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http://4.bp.blogspot.com/-WWQeIbFUMhY/UhfH3KjH2dI/AAAAAAAAAKQ/E20PBAShKvw/s1600/12+van+der+Weyden,+Cristo-veronica+1,+dal+Trittico+Crocefissione,+sec.+XV,+particolare.jpg

http://2.bp.blogspot.com/-iFKUsFcg1fo/UhfH6veVfCI/AAAAAAAAAKo/3gQmq0pnR-Q/s1600/14+Madonna+della+Vallicella.jpg

Mi fermo qui, ma esistono molte altre opere rinascimentali che cercano di correggere/smentire il dogma cristiano - ancora oggi dominante - di un Gesù storico che ha *realmente* compiuto dei miracoli (moltiplicazione dei pani e dei pesci, trasformazione dell'acqua in vino, resurrezione di Lazzaro, ecc.) e che poi è *realmente* morto, risorto e salito fisicamente al cielo.
L'arte, in definitiva, non si limita a riprodurre il mito, ma lo ricrea, lo ripresenta in modo tale da chiarire gli aspetti che nella versione originaria erano stati espressi in maniera oscura o ambigua, se non addirittura errata.
Scrive infatti Jung:

<<In ciò sta l'importanza sociale dell'arte: essa lavora continuamente all'educazione dello spirito contemporaneo facendo sorgere le forme che più gli difettano. Volgendo le spalle alla manchevolezza presente, l'ispirazione dell'artista si ritrae sino a raggiungere nel suo inconscio l'immagine primordiale che potrà compensare nel modo più efficace I'imperfezione e la parzialità dello spirito contemporaneo. Essa s'impossessa di questa immagine, e traendola dal più profondo inconscio per ravvicinarla alla coscienza, ne modifica la forma in modo che essa possa essere accetta all'uomo d'oggi, a seconda delle sue capacità. Il tipo dell'opera d'arte, cioè, ci permette di trarre conclusioni sul carattere dell'epoca in cui essa è apparsa. Che cosa rappresentano, per la loro epoca, il naturalismo e il realismo? Che cos'è il romanticismo? Che cos'è l'ellenismo? Sono orientamenti dell'arte che misero in luce quanto v'era di più necessario per l'atmosfera spirituale di ogni epoca. L'artista come educatore della sua epoca, ecco un soggetto sul quale oggi ci si potrebbe a lungo intrattenere.
I popoli e le epoche hanno, come i singoli individui, i loro orientamenti e i loro caratteristici atteggiamenti interiori. L'espressione "atteggiamento" tradisce già la parzialità inevitabile di ogni orientamento determinato. Orientamento significa esclusione; l'esclusione sta a significare che una determinata quantità di elementi psichici, che potrebbero anch'essi vivere, non sono autorizzati a manifestarsi, poiché non corrispondono più all'atteggiamento generale. L'uomo normale può tollerare senza danno l'indirizzo generale; ma il vero vantaggio per I'artista, è la sua relativa incapacità di adattamento; essa gli permette di tenersi lontano dalle grandi vie comuni, di seguire la propria ispirazione e di scoprire ciò che manca inconsapevolmente agli altri. Come nel singolo individuo l'unilateralità dell'atteggiamento cosciente è corretta da reazioni inconsce di compensazione, così I'arte rappresenta, nella vita delle nazioni e delle diverse epoche, un processo di compensazione spirituale>>.  [JUNG: Psicologia e poesia - pp. 48-49]