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Discussioni - Enrico73

#1
Attualità / Il Limite Invalicabile
04 Ottobre 2025, 13:18:32 PM
Ho visto un frammento di storia. Forse. Il 3 ottobre 2025 è stato il giorno in cui la nostra intrinseca INDIFFERENZA si è scontrata con un fatto chiaro.
L'origine di tutto è stata un dolore insopportabile, il dolore dell'impotenza, l'orrore dinnanzi al genocidio dei palestinesi e alle brutalità contro i civili israeliani che non si poteva più guardare dall'altra parte. Il punto di rottura, la scintilla che ha acceso il fuoco, è stato l'arresto di chi cercava di portare aiuto simbolico, rivelando l'ipocrisia del sistema: esiste UN LIMITE INVALICABILE. In quel momento, le persone hanno compreso che la procrastinazione era finita. Ignorarlo o banalizzarlo sarebbe PORNOGRAFIA INTELLETTUALE
Ciò che definiamo "caos" o "potere al popolo" è stata solo una cosa: la reazione a quel dolore. Non violenza cieca e irrazionale; è stata una scelta obbligata dettata dalla necessità. Come una persona stanca che deve fermarsi per guarire, la gente ha detto: Basta.
La risposta, a livello globale, sono stati gli scioperi. Non per uno stipendio, bensì per un'esigenza molto più antica: la PACE. Gli scioperi sono diventati il nostro muro. Non un muro di droni, bensì un muro di voci e canti che si è alzato contro il rumore assordante della guerra e dell'indifferenza. È stata la dimostrazione che siamo stanchi di vivere in un mondo oceanico senza avere le branchie.
È stato il monito a tutti i colori politici: esiste un LIMITE A TUTTO, un confine che non si può più tollerare. Non permetteremo a nessuno di OLTREPASSARE QUESTO LIMITE.
L'auspicio è che questo sia solo l'inizio, e che includa presto anche l'Ucraina, attraverso l'innalzamento delle spese per la PACE al 5% del PIL. Forse, è l'ennesima credenza salvifica.
Perché, in fondo, l'unica cosa di cui sono certo è che non ho risposta alcuna né soluzioni brillanti. So però che la GUERRA NON È MAI LA RISPOSTA GIUSTA ALLA GUERRA.
#2
Percorsi ed Esperienze / Il Proprio Valore
20 Settembre 2025, 15:59:08 PM
Indomito mi interrogo quale sia mai il mio valore, il senso intrinseco della mia esistenza, chi mai potrà vedermi e desiderarmi. Domande segrete, eretiche o peggio ancor banali, convinto che il senso di questi interrogativi, sia sepolto in un ricordo troppo lontano ed ancestrale a me inaccessibile. Ho provato a conformarmi, a vivere di titoli, incarichi, privilegi, piccoli o grandi successi, ma ho fallito. Cosi per sfuggire all'irresistibile e inconcludente oblio, costruisco e catalogo tutte le possibili versioni di me stesso. Nessun doppione ammesso! Si avranno così innumerevoli forme di un me che sarei potuto essere, alcune senza senso alcuno, altre cariche di troppo senso – frammenti di sogni infranti, echi di scelte mai fatte, simulacri di desideri repressi. La vista di questa ricca abbondanza di possibilità si rivela fonte di grandissima ispirazione, consolazione, ma anche di dolore: dà e toglie confini, ma soprattutto riporta a noi ed al caso il nostro modo di esistere, come se le nostre scelte non ci appartengano davvero. È sempre vero che il riconoscimento del valore è un dono altrui, ma la illusoria comprensione del suo senso ne sdrammatizza il valore: Il pensiero sottile di sentirsi eletti, la salute come illusione di autosufficienza, ne sono monito. L'uomo sano vive nell'oblio, bestia irrilevante agli occhi della natura, anestetizzato o inconsapevole, ripete il se stesso secondo copione. La malattia risveglia il pensiero, turbato dalla fragilità del corpo o della mente. Gli uomini ignari, ossessionati dall'uniformità e credendosi Dei, combattono la diversità – sia propria che degli altri – soffocando l'individuazione. Incapaci di nuotare, si aggrappano, annegando le proprie frustrazioni sui corpi altrui, che si fanno oggetto.
#3
Immagina un superpotere, quasi una stregoneria: il dono di vedere qualcuno per quello che è, nella sua essenza o anche solo in una parte di essa. Questo gesto genuino, questo "io ti vedo", crea un legame invisibile, quasi viscerale ma puro, un debito che sentiamo il bisogno di ripagare. Siamo come persi, intorpiditi dalla paura, dal dubbio e dall'incertezza, il mondo che ci circonda si fa sfocato, irriconoscibile e ambiguo. La mente diventa presbite. In questo stato di confusione, i pensieri si contorcono, diventando irriverenti, inopportuni, persino irrealizzabili e subito messi in discussione. Una paralisi fredda ci coglie, l'anima suda e trema perché non vede più i confini, non percepisce i limiti, il terrore del vuoto più assoluto si palesa pronto ad ingoiare noi e la nostra inadeguatezza. E così, cerchiamo di restituire quel dono, in fretta, come se fosse un misero baratto, come se l'esser visti abbia un prezzo economico o affettivo. "Io ti vedo" non ha prezzo. È un dono che viene dal profondo, un debito che non deve essere saldato, ma accettato. Quel peso non è un fardello, ma una palestra per l'anima, il prezzo da pagare per rafforzare il nostro cuore di bambino ferito. La gratitudine non è una transazione, ma un muscolo che si irrobustisce, rendendoci capaci di sopportare il peso di un sentimento profondo e disinteressato che come tale va rispettato e preservato come un tempio laico. Ci vuole il coraggio estremo di dirlo, anche con discrezione. Una sorta di ringraziamento a chi ci ha visto ed a chi ci ha restituito la speranza di vederci e di vedere gli altri, la speranza di accogliere senza giudizio o aspettative senza che tutto debba per forza avere una collocazione chiara e netta.
#4
Il silenzio si sta inesorabilmente estinguendo e mio malgrado, anch'io ne sono uno degli artefici. Terreno vergine, un labirinto invisibile brulicante di possibilità inesplorate, un oceano profondissimo ed abbagliante dove le domande si accoppiavano e moltiplicavano, generando infinite domande di possibilità. Soffocato non da una violenza improvvisa, ma dall'insidiosa pressione del suo stesso potenziale generativo. Un eccesso di parole, di immagini, di notifiche, di opinioni urlate a squarciagola o anche solo sussurrate – un coro assordante di voci che si aggrovigliano senza senso. Un mondo di rumore costante, ove il volume e' sinonimo di rilevanza, di necessità. Ma la verità è che l'eccesso genera confusione, paralisi, una sorta di amnesia collettiva. Le idee vivono relegate in zoo ove non generano, ove diventano sterili, oggetti da osservare che placano in qualche modo la nostra coscienza ipocrita. Non si tratta solo di rumore fisico. È il rumore interiore, l'eco incessante dei giudizi, delle aspettative, delle paure, delle prestazioni – un'orchestra stonata, dissonante che ci impedisce di ascoltare la nostra stessa voce e men che meno quella degli altri. Ci siamo trasformati in eco di voci esterne, amplificatori inconsapevoli di un sistema che si autoalimenta. Eppure, il silenzio è ancora lì, nascosto tra gli strati. Una nuvola bianca in un mondo oceanico, una pausa, un sospiro prima dell'ennesima ondata di rumore. Basta fermarsi un istante, aprire gli occhi al cielo, respirare profondamente per sentirlo pulsare, lentamente. Non ho risposta alcuna né soluzioni brillanti, intelligenti. Taccio quel poco di silenzio che ancor mi appartiene.
#5
Sono forse affamato di domande, e mai di risposte? Non è forse il grande limite umano proprio questa ricerca ossessiva e frettolosa di risposte, spesso mediocri e superficiali? Le risposte non sono forse l'antitesi del pensare, ciò che uccide il pensiero e cristallizza tutto in finte certezze? Le domande, al contrario, non ci elevano? Non ci consentono di pensare, di uscire dalla palude del sapere cristallizzato? Le domande devono produrre risposte, o non dovrebbero invece generare solo altre domande, in un ciclo infinito di scoperta? Solo così, forse, non possiamo accettare l'incertezza come motore della ricerca e comprendere che il vero progresso non sta nel trovare una meta, ma nell'esplorare il cammino? Non sono forse le domande l'origine del pensiero stesso? E il loro ripetersi in profondità non è forse ciò che le rende significative? Non sono le domande che sgretolano la nostra ignoranza, come un muro che ci blocca, come una base solida da cui partire per esplorare territori inesplorati?
#6
Non servono dogmi ma solo viaggi interiori che ci conducono in luoghi apparentemente paradossali, spesso evitati. Pensieri forse critici, ma che non si adattano, ma sposano una visione grandangolare dell'esistenza, che prevede in prima istanza il fallimento come strumento di comprensione ed il dolore come un debito dovuto alla conoscenza. Cosi l'emozione si fa commozione, come per un regalo tanto sperato ed inatteso. Partiamo! L'inconscio non esiste, mi ripetevo come un mantra, nel silenzio del mio pre-conscio. Cercavo disperatamente una chiave crittografica, unica via per decifrare l'impossibile. L'inconscio e' uno stanzino concettuale, uno scantinato buio ove riporre tutte le nostre domande ed il mio ne era ed e' stracolmo. Risposte che ci frantumerebbero con un dolore insopportabile! Presi coraggio o forse solo confusa follia ed iniziai a scrivere...La sommatoria del sapere acquisito, innato e collettivo di un individuo è come una biblioteca di Babele (Borges): una mole di informazioni vastissima, seppur finita, un insieme di elementi grezzi, istintuali e minimali. L'istinto come un alfabeto primitivo di istruzioni semplici, il connettoma la rete dei collegamenti, la corteccia orchestra la trasformazione di questo alfabeto in biblioteca – iniziavo a vedere confuse le prime immagini. L'istinto abita nelle profondità ancestrali del cervello, dove cervelletto, tronco encefalico, amigdala e ipotalamo danzano una coreografia primitiva. Nella corteccia dimora il pre-conscio, regno di elaborazione, possibilità e scelta. Cosa era dunque la coscienza se non la manifestazione delle scelte operate nel pre-conscio che si fondono con l'istinto, o parte di esso? Sono costretto a scegliere deliberatamente solo una parte di questo enorme sapere (biblioteca). Questa scelta non è un atto improvviso, ma avviene nel pre-conscio. È proprio in questo contesto che emerge la coscienza. Essa non è altro che il risultato di un potentissimo filtro che agisce come una censura volontaria e in tempo reale delle informazioni interiori, la biblioteca. La coscienza, quindi, non è il luogo della scelta, ma la sua manifestazione. A differenza della coscienza, il pre-conscio è uno spazio sicuro dove posso sperimentare, testare combinazioni di informazioni contraddittorie ed esplorare scenari alternativi senza il rischio di un sovraccarico emotivo. Qui, il concetto di opposto non solo è tollerato, ma favorito. Lo scopo primario ed evolutivo di questo filtro-censura è ridurre il dolore che tale quantità di informazioni, spesso enormemente contrastanti, potrebbe provocare. Questo meccanismo di censura non è repressivo, ma primariamente protettivo e di questo ne sono profondamente convinto. Mi resi conto che dovevo esplorare il concetto di dolore. Il dolore psichico è una lacerazione che attraversa i sistemi neurologici come un terremoto interiore, facendo collassare dall'interno le architetture della mente fino al loro totale esaurimento. Il dolore fisico è una lacerazione che viene dall'esterno, aliena e per questo ancor più temuta. In entrambi i casi, la lacerazione non è altro che il tentativo di sottrarsi all'elaborazione delle informazioni causa della lacerazione. L'informazione in sé può generare contraddizioni a cascata, che imprigionano la mente nel circolo degli opposti, incapace di elaborare gli scenari che tale mole di dati contrastanti e contraddittori produce. Il filtro agisce quindi come un limitatore di banda cognitiva. Tant'è vero che, in presenza di un dolore (sia fisico che psichico) molto forte, si possono perdere i sensi. Il filtro ha una funzione secondaria che assolve a due scopi esistenziali: il desiderio di riconoscimento del valore (vero o presunto) e il desiderio di sentirsi parte (conformandoci anche con la sola presenza). Questi bisogni sono primari e vitali, superiori persino a quelli fisiologici, come dimostrano fenomeni estremi come l'anoressia, il suicidio di massa, le religioni, la militanza politica etc. Più i rapporti si complicano, più complesso e potente diventa il filtro-censura. Non è il filtro ad essere debole o forte in sé, ma è l'individuo (nel pre-conscio) a decidere il prezzo del dolore da pagare; la forza del filtro-censura è solo una conseguenza di questa scelta. L'anticonformismo, per esempio, è un tentativo di conformarsi, cercando il riconoscimento attraverso il valore della rarità ovvero il coraggio. L'individuo ha contemporaneamente il desiderio di far parte, senza rinunciare al riconoscimento delle sue peculiarità. È consapevole della sua divergenza e questa informazione, che provoca dolore e separazione, viene integrata col coraggio. Solo "l'altro" può darci il riconoscimento di valore, rendendoci tutti interdipendenti. Il filtro agisce per favorire la nostra scelta di inclusione. Le capacità discriminatorie del neonato sono precoci, ma il filtro si attiva solo attraverso l'esperienza: anche la sola sensazione di caldo e freddo può favorire una prima bozza del filtro, poiché introduce la prima categorizzazione dell'esperienza (il concetto di opposto). Il neonato è assolutamente privo della distinzione tra opposti, almeno inizialmente; non esiste una distinzione tra bene e male, giusto o sbagliato, e perciò tutte le informazioni, anche opposte, possono coesistere. È proprio questo esercizio con la madre, il padre e, via via, con parenti e coetanei, a far attivare e/o complicare il filtro, che forse non è innato. Nel pre-conscio il processo di selezione, bilanciamento dinamico e continuo è un atto di volontà che, seppur libero, è profondamente condizionato dalla consapevolezza che l'informazione non filtrata genererebbe un dolore insopportabile per la coscienza. L'informazione genera una sofferenza che agisce come un deterrente potentissimo. È pur vero che l'individuo rinuncia con dolore all'informazione, ma il suo sacrificio è modesto se paragonato ai vantaggi, in termini di riduzione del dolore, che egli ottiene. La natura del filtro/censura è del tutto simile a qualsiasi processo naturale e quindi fallace. Queste piccole discrepanze generano squilibrio, una condizione necessaria e sufficiente per garantire l'evoluzione dell'individuo, anche con il filtro attivo. Possiamo in qualche modo accorgerci dell'esistenza di questo filtro/censura nella malattia, nella perdita, nell'abbandono, nel rifiuto. In questo caso l'individuo si sente tradito e può innescarsi un fenomeno di autoreferenzialità: si tende, soprattutto in prima istanza, a rispondere solo a se stessi e alle proprie esigenze. Questo è tipico dei malati oncologici, terminali, nella sofferenza d'amore, ma anche della malattia mentale grave dove il filtro si inceppa. Per esempio, la psicosi è la manifestazione caotica e cruda di troppe informazioni che inondano una mente priva di un filtro efficiente. Il blocco di sistema, invece, è una risposta estrema in cui la mente, di fronte a un dolore travolgente, preferisce "spegnersi" per evitare l'autodistruzione. Per contro, nella malattia terminale il filtro può diventare meno significativo per l'individuo poiché non ricerca più l'appartenenza e non ha più bisogno di riconoscimento. Mentre nella meditazione profonda il filtro si attenua in modo significativo. Perché, allora, non siamo tutti uniformemente consapevoli? Perché è sempre l'individuo a fare le scelte a livello pre-conscio. Per semplicità, per opportunismo o per un vantaggio vero o presunto, molti scelgono di non affrontare questo dolore, una scelta tanto lecita quanto comprensibile e forse l'unica davvero tollerabile. L'evoluzione del filtro non segue un processo lineare, ma procede per tentativi, pertanto avremo gruppi di individui che compiranno scelte più o meno conservative riguardo alla gestione del dolore. Ogni individuo sviluppa una propria strategia evolutiva e deve scegliere consapevolmente fin dove spingersi: ognuno dovrebbe conoscere il prezzo in termini di dolore che è disposto a pagare per vivere. Tuttavia, questo processo non è sempre lineare e coerente, poiché l'individuo è un essere fallace e soggetto all'errore di valutazione. Infatti, una vita fatta di certezze e piccole incertezze, di dogmi e qualche sporadica domanda, può essere piacevole e appagante. Il raggiungimento di un ruolo, il riconoscimento sociale impreziosito da un prefisso più o meno nobile, sembrano suggellare tutte le aspirazioni dell'individuo nel suo piccolo mondo; siamo l'ologramma di noi stessi? Si tratta di una esistenza in miniatura, ma forse l'unica davvero sostenibile. Permane in alcuni, e forse in tutti noi, quella sensazione di menzogna, quella sensazione di perenne incompletezza, anche in assenza di conflitti interiori o dubbi esistenziali. Si è come orfani della conoscenza; se ne sente la mancanza, come un eco silente, e ci si convince che sia impossibile altrimenti. Qui nasce il concetto di inconscio, un luogo a noi inaccessibile che giustifica tutto, un dogma di fede! Anche nel linguaggio corrente esistono indicatori del pre-conscio, come frasi quali 'in fondo lo sapevo già', 'me lo sentivo', 'è come se avessi sempre saputo' o 'non mi è nuovo'. Lo stesso discorso e valenza hanno i lapsus. Le prime espressioni risuonano come l'eco di qualcosa di conosciuto e intimo, qualcosa che è venuto a galla, è stato scoperto e non necessita più di censura, ma che spesso richiede il pagamento di una sofferenza. I lapsus, invece, provocano disagio e imbarazzo. In vecchiaia il filtro tende a deteriorarsi, la pressione sociale viene meno e le domande iniziano a moltiplicarsi ed acuirsi. Nella maggioranza dei casi il filtro è così potente da rallentare tutto il pensiero, come una locomotiva sui binari procede per inerzia ma senza più propulsione; in altri casi la follia prende il sopravvento. Altre volte sopraggiunge il silenzio triste, dagli occhi perennemente lucidi, per ascoltare il mondo interiore e sé stessi, soprattutto quando i rimpianti, la rassegnazione ci afferrano ed il dolore è troppo forte per sopportarlo. L'arte, in quanto mezzo socialmente accettato per definizione, permette di esprimere contenuti che altrimenti sarebbero censurati ed auto-censurati. Per esempio, la nudità, il grottesco, il ridicolo o l'irriverente sono tutti concetti che, se non fossero 'filtrati' attraverso l'arte, provocherebbero imbarazzo e rifiuto sociale. Solo durante i regimi autoritari o le restrizioni religiose l'arte "ritorna nel pre-conscio", dovendo operare attraverso simboli nascosti e significati velati. Per esempio l'individuo ha sviluppato l'allusione come strategia fondamentale per esprimere contenuti che altrimenti sarebbero censurati. L'allusione rappresenta una strategia sociale efficace: consente all'individuo di non scegliere apparentemente, ma costringe l'altro a scegliere al suo posto. È uno strumento evolutivo che permette di esprimere l'opposto senza assumere una posizione di conflitto, né interiore né con l'altro. Questo meccanismo risolve il problema evolutivo fondamentale di come esprimere idee potenzialmente pericolose mantenendo la sicurezza del gruppo. Chi usa l'allusione può sondare il consenso senza rischiare l'esclusione, mantenere la dualità comunicativa, trasferire la responsabilità dell'interpretazione all'altro e preservare le relazioni anche in caso di disaccordo. L'allusione inverte il meccanismo della scelta: invece di scegliere cosa rivelare, si costringe l'altro a scegliere cosa vedere. È il perfetto compromesso tra il bisogno di espressione che indebolisce il filtro e il bisogno di appartenenza sociale che lo rinforza. Per contro, 'la militanza' è un meccanismo evolutivo atto a consolidare e rafforzare il significato di appartenenza a un gruppo e/o a un'ideologia. Essa prevede, fondamentalmente, una sorta di amnesia selettiva nei confronti di ogni informazione contraria alla parte a cui apparteniamo. Questi meccanismi mettono in luce la centralità dell'interazione fra individui e la necessità di appartenenza, entrambi essenziali per l'esistenza di ciascuno. Il viaggio interiore è il luogo ideale per le speculazioni. La coscienza, il pre-conscio e la biblioteca sono forse presenti in forma rudimentale in ogni essere vivente. Essi seguono le leggi di natura, come rami di una stessa pianta. La loro evoluzione verso una forma più strutturata e complessa si è sviluppata principalmente negli ominidi, a causa di due fattori chiave: l'evoluzione dell'intelligenza e la crescente complessità della biblioteca, con conseguente conflittualità tra le esigenze dell'individuo (autoreferenzialità) e quelle di gruppo (appartenenza). Il viaggio è solo all'inizio, ma il prezzo pagato è stato già alto; percepisco solo pochissimi meccanismi di censura che si stanno attivando in me e che alludono alla follia delle mie teorie, all'inconcludente utilizzo del tempo in attività inutili e forse persino dannose o alla vanità di aver esplorato aspetti forse nuovi. Io vado avanti e lo faccio arrendendomi a tutto ciò, lascio che ogni opposto abbia parola, divento nuvola, vapore, una sostanza che non può essere rinchiusa e lo faccio con tutta la massima gentilezza che mi sia possibile immaginare. Il viaggio continua leggero, affamato di domande e mai di risposte, perché il grande limite umano sta proprio in questo, l'ossessiva ricerca di risposte, che non arriveranno mai perché nessuno potrebbe sopportare il dolore che ne deriva.