La storia umana, o addirittura una certa interpretazione filosofica della storia potrebbe suddividere l'agire storico sotto due bandiere: la bandiera dell'universalismo e la bandiera dell'identità gruppale (potrebbero esserci e ci sono anche altre bandiere, ma per il momento fermiamoci a questa dicotomia).
La bandiera dell'universalismo è quella che amplia lo sguardo dell'uomo, oltre la sua comunità, la sua tribù e dice che siamo tutti allo stesso livello. Un'idea che nella storia occidentale ha fatto ingresso con l'egemonia dell'impero romano, e culturalmente tramite stoicismo e cristianesimo. Per molti secoli si è assistito alla compresenza di identità gruppale ed universalismo, tramite lo spostamento dell'universale nel metafisico. Con le rivoluzioni liberali, c'è stato un ulteriore passaggio: la laicizzazione dell'universalismo in diritti storici e materiali e la progressiva riduzione/estinzione dei valori metafisici universalistici (che fungevano da stampella o ornamento ai valori gruppali). Questo passaggio ha comportato talvolta la recrudescenza dei valori gruppali pur non eliminando mai del tutto quelli universalistici.
Fatto sta che in un mondo iperconnesso e iperdeterminato globalmente, una visione universalistica permetterebbe di affrontare meglio i problemi che sono problemi universali (riscaldamento globale, inquinamento, desertificazione, concentrazione della ricchezza in una piccola élite), ma questa possibilità è contrastata sia dalla nostra impostazione tribale, antica di migliaia di anni, sia dalle politiche di orientamento dell'opinione pubblica, affinché non si affrontino i problemi in chiave universalistica, poiché questo significherebbe sostanzialmente mettere le mani in tasca a quella élite ormai quasi/sovrannaturale che domina il mondo attuale.
Inoltre non va sottovalutato il problema identitario, il cui nucleo è sempre il riconoscersi in una parte di società e non in un "tutto", tanto vasto quanto informe.
In queste considerazioni strampalate mi viene da dire che è come se si fosse verificata una frattura tra la nostra mente sociale (ancora arcaica, gruppale e tribale) e la tecnologia, che ha già reso il mondo universale, globale e informe.
In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione.
La bandiera dell'universalismo è quella che amplia lo sguardo dell'uomo, oltre la sua comunità, la sua tribù e dice che siamo tutti allo stesso livello. Un'idea che nella storia occidentale ha fatto ingresso con l'egemonia dell'impero romano, e culturalmente tramite stoicismo e cristianesimo. Per molti secoli si è assistito alla compresenza di identità gruppale ed universalismo, tramite lo spostamento dell'universale nel metafisico. Con le rivoluzioni liberali, c'è stato un ulteriore passaggio: la laicizzazione dell'universalismo in diritti storici e materiali e la progressiva riduzione/estinzione dei valori metafisici universalistici (che fungevano da stampella o ornamento ai valori gruppali). Questo passaggio ha comportato talvolta la recrudescenza dei valori gruppali pur non eliminando mai del tutto quelli universalistici.
Fatto sta che in un mondo iperconnesso e iperdeterminato globalmente, una visione universalistica permetterebbe di affrontare meglio i problemi che sono problemi universali (riscaldamento globale, inquinamento, desertificazione, concentrazione della ricchezza in una piccola élite), ma questa possibilità è contrastata sia dalla nostra impostazione tribale, antica di migliaia di anni, sia dalle politiche di orientamento dell'opinione pubblica, affinché non si affrontino i problemi in chiave universalistica, poiché questo significherebbe sostanzialmente mettere le mani in tasca a quella élite ormai quasi/sovrannaturale che domina il mondo attuale.
Inoltre non va sottovalutato il problema identitario, il cui nucleo è sempre il riconoscersi in una parte di società e non in un "tutto", tanto vasto quanto informe.
In queste considerazioni strampalate mi viene da dire che è come se si fosse verificata una frattura tra la nostra mente sociale (ancora arcaica, gruppale e tribale) e la tecnologia, che ha già reso il mondo universale, globale e informe.
In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione.
