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Discussioni - Jacopus

#1
Tematiche Filosofiche / Fallacia naturalistica
25 Luglio 2025, 22:42:32 PM
In altra parte del forum ha luogo un duello senza esclusione di colpi rispetto al concetto di "fallacia naturalistica". Piuttosto che entrare lì, ho preferito aprire una nuova discussione qui, che possa circoscrivere il tema. La questione nei suoi tratti generali è nota: "dalla descrizione non può derivare la prescrizione". Questa impostazione presuppone una netta divisione fra natura e cultura. La cultura è un prodotto artificiale e l'uomo si è completamente emancipato da ogni legge non convenzionale, sia che essa si faccia derivare dalla natura o dalla religione o da ogni altro fondamento dogmatico.
Si tratta di un approccio "responsabilizzante" perchè si fa riferimento esclusivamente a ciò che "teoricamente" i membri di una società decidono su cosa sia bene e cosa male, su ciò che bisogna prescrivere (genericamente "le norme", dal galateo alla dichiarazione dei diritti dell'Uomo). Questa estrema libertà è anche facilmente osservabile, nello studiare le società che si sono succedute nel tempo e nello spazio. Ci sono società che definiscono malvagio mangiare carne di maiale, ed altre che ritengono sconveniente parlare in metropolitana. La fallacia naturalistica inoltre si è notevolmente sgonfiata, quando si sono appresi meglio i comportamenti degli animali, spesso in passato paragonati come il buon modello dell'umanità, mentre oggi si è scoperto che sono violenti, sessualmente morbosi, pigri, rabbiosi e desiderosi di drogarsi esattamente come noi umani.
In effetti, io penso che siamo in un estremo della scala della natura, dove la natura ha poco peso, anche se è stata la natura a volerlo, affibbiandoci un cervello voluminoso ed in grado di creare "un suo mondo". L'uomo, in sostanza, attraverso la cultura ha creato "un mondo artificiale" sempre potenzialmente modificabile. Questa modificabilità è diventata anzi un tratto consueto, in qualche modo la modificabilità è nelle società umane un tratto permanente, così come le formiche in modo permanente sono organizzate a seguire la fila.

Ma questo pigiare l'acceleratore nell'artificialità hobbesiana, che pur ha evidenti vantaggi, non mi convince del tutto. In qualche modo noi siamo il nostro cervello, sia a livello individuale che sociale e il nostro cervello non è unico, ma è un insieme un pò accrocchiato di diversi cervelli sovrapposti. Il principio della fallacia naturalistica funziona molto bene a livello di neocorteccia, che è la parte del cervello maggiormente in grado di costruirsi una realtà autonoma, a pensare oltre al già dato. Ma nei cervelli inferiori sono iscritte norme di comportamento di base, che inevitabilmente regolano il nostro agire e regolandolo emettono scale di priorità e quindi valori e quindi scelte etiche. Gran parte di esse sono ovviamente centrate sullo scopo di sopravvivere, almeno quel tanto che basta per procreare la generazione successiva. Credo che proprio a causa di questi schemi ancestrali ed automatici di stampo emozionale, le fallacie naturalistiche ci piacciono tanto. Ancora una volta credo che cadere nel tranello della  critica alla fallacia naturalistica, sia il bisogno della neocorteccia di dominare, con i suoi raffinati ragionamenti, tutta la baracca umana, che però è anche natura e bisogno di mimesi naturale. Ancora una volta, ritengo che la procedura per il buon vivere sia quella di non lasciarsi irretire nè dalla fallacia naturalistica, ma neppure dalla fallacia artificialistica.
#2
"Nell'universalità della ratio occidentale esiste una separazione rappresentata dall'Oriente: l'Oriente pensato come l'origine, sognato come il punto vertiginoso dal quale provengono le nostalgie e le promesse del ritorno, l'Oriente offerto alla ragione colonizzatrice dell'Occidente, ma indefinitivamente inaccessibile, perché rimane sempre oltre il limite, notte dell'origine, in cui l'Occidente si è formato, ma in cui ha tracciato una linea di separazione, l'Oriente è per esso tutto quello che esso non è, benché debba cercarvi la sua verità primitiva." Questo passo tratto da "Storia della follia nell'età classica", da solo vale il prezzo del libro. Da un lato l'Occidente che classifica, distingue, misura, scinde e si espande nella storia. Dall'altro l'Oriente, come ciò che non si lascia definire, che è vitalmente oscuro. In un altro passaggio si cita una poesia "je nommerai desert ce chateu que tu fus,nuit cette voix, absence ton visage". L'Oriente appare come un enorme "inconscio" che viene divorato dall'Occidente colonizzatore. Un inconscio che conosce i suoi migranti di ritorno come i due Kurz (heart of darkness e Apocalypse now). Ma nel momento in cui l'enigma viene risolto e la sfinge si uccide la tragedia è pronta a bussare alla porta e la ratio si scioglie come l'Orrore evocato sempre da Kurz e dal suo antenato McBeth.
Allora la lezione è sempre la stessa "il mesotes" capace di accettare il politeismo dei valori, ratio diverse che solo convivendo permettono un sano ambiente ecologico, che dal piano culturale inevitabilmente sfocia in quello propriamente naturale. Si potrebbe dire in qualche modo che il riscaldamento globale è iniziato con Sofocle.
Ed ancora, a proposito di provocazioni, per epater le bourgeois, non sembra che le due rationes, occidentale ed orientale, siano sovrapponibili ai due emisferi del cervello e alla progressiva sottomissione di uno, il destro (Oriente) al sinistro (Occidente)?
#3
Attualità / Negazionismo climatico
05 Luglio 2025, 08:22:45 AM
Mi domando, da qualche tempo, quale sia la causa profonda del negazionismo climatico, il quale, a scorrere i social, è estremamente diffuso. C'è ne sono di diverse tipologie, quello radicale: non c'è alcun riscaldamento globale, quello soft: il riscaldamento c'è ma non dipende dall'azione antropica. Lo proclamano anche politici come Rizzo, il che è ancora più grave. Qual'è il vostro parere?
#4
Estratti di Poesie d'Autore / Se dovessi morire
20 Giugno 2025, 23:44:37 PM
Se dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
per comperare un pezzo di stoffa
e un po' di filo,
e farne un aquilone
(magari bianco, con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte, a Gaza
con gli occhi fissi in cielo
nell'attesa che suo padre,
morto all'improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a sé stesso,
veda l'aquilone, il mio
aquilone, fatto dalle tue mani
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore
Se dovessi morire
che la mia morte porti la speranza
che la mia fine sia l'inizio di un racconto!
Refaat Alareer
(Trad. M.F.)
Refaat Alareer (1979 - 2023) era un poeta, scrittore e professore universitario di Gaza. Ucciso il 6 dicembre 2023 dall'esercito israeliano.

Questa è la sua ultima poesia prima di morire a seguito di un attacco aereo. Si era rifiutato di andarsene dal nord di Gaza dove abitava da sempre. Non era un terrorista, era un professore. 
#5
Tematiche Filosofiche / La società degli ascensori
26 Maggio 2025, 08:46:42 AM
M. Nussbaum, filosofa dell'Università di Chicago, propone questa brillante metafora per definire il diritto penale occidentale nel suo complesso.
"Immaginate una società dove gli ascensori si rompono in continuazione, blocchi per assenza di corrente, incidenti, assenza di manutenzione, ma i gestori replicano orgogliosi alle critiche: sì, ma noi puniamo severamente chi non fa manutenzione, i progettisti, i sabotatori".
Il diritto penale si comporta pressapoco allo stesso modo. Non si preoccupa delle condizioni precedenti che sono il preludio della commissione dei reati, fondandosi sulla finzione che tutti i soggetti sottoposti alla legge siano uguali e quindi punisce i rei, senza preoccuparsi dei reali motivi che hanno permesso la commissione dei reati. Motivi che sono da ricercare in molteplici cause, ma tutte riconducibili nella diversa possibilità di accedere alle risorse materiali, culturali, affettive della società di appartenenza.
#6
Tematiche Filosofiche / Autocontrollo o virtù
22 Maggio 2025, 08:49:47 AM
Una tesi autorevole che ha attraversato i secoli è quella secondo cui, l'uomo nasce selvaggio e deve apprendere come si sta al mondo, riconoscere i suoi limiti e quando li viola deve essere fornito di "senso di colpa" che funzioni da semaforo. Innescato un numero sufficiente di volte, il senso di colpa si trasforma in autocontrollo e i limiti restano inviolati. Questa tesi ha innumerevoli versioni, nella Bibbia, in Hobbes, in Freud, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Un'altra tesi, minoritaria, è quella secondo cui, l'uomo nasce virtuoso e viene corrotto dalle istituzioni. È quanto ritengono le teorie progressiste da Rousseau in poi. Io partirei da un diverso approccio, ovvero che l'uomo nella sua evoluzione filogenetica, pur conservando entrambi i possibili imprinting, sia facilmente modellabile dai processi culturali, dalla trasmissione del sapere e dalle ideologie dominanti. In fondo è stata questa struttura di neuroplasticità a farci colonizzare l'intera superficie terrestre insieme a poche altre specie (topi senz'altro e cani e gatti al nostro seguito, ma anche i topi probabilmente sono al nostro seguito, anche se non li coccoliamo come gli altri). È come se ci fossero iscritte nella nostra struttura genetica delle proto forme pronte all'uso, che si attivano se condivise attraverso la trasmissione culturale e il comportamento condiviso. Con una importante differenza. Il modello del "cattivo selvaggio" crea le premesse per differenziare il mondo, giustificare disparità, giustificare sfruttamento, guerre, violenze che svolgono anche il ruolo di "self fullfilling prophecy". Il modello del "buon selvaggio" incrina lo stesso modello capitalistico, fondato sulla differenza, sul merito, sullo sfruttamento violento ma allo stesso tempo crea un ipotetico mondo orwelliano, dove l'uguaglianza è un diverso tipo di oppressione contro la creatività e la libertà. Non offro soluzioni e preferenze. Mi piaceva solo evidenziare che non esiste un modello morale rigido dentro di noi, ma che esso è il risultato della interazione fra strutture neurobiologiche che condividiamo con tutti i mammiferi e le strutture culturali.
Proprio in virtù di ciò la speranza è quella di poterci dire padroni del nostro destino, ma solo in una visione che concili le nostre istanze individualistiche con quelle collettivistiche.
#7
Oggi casualmente mi sono imbattuto in questa frase di Sciascia in "Le parrocchie di Regalpetra"

Citazione«Credo nella ragione umana, e nella libertà e nella giustizia che dalla ragione scaturiscono; ma pare che in Italia ci si affacci a parlare il linguaggio della ragione per essere accusati di mettere la bandiera rossa alla finestra»

Forse questa frase non è più tanto vera come 50 anni fa, quando venne scritta, ma mantiene un sottile strato di esattezza. Sciascia, uomo liberale, sottolinea come in Italia, i liberali, il mondo dei "conservatori" sia un mondo dove il rispetto delle regole, la ricerca della giustizia sia inutile se non un pietoso metodo da "comunisti". Infatti, quando Sciascia parla di ragione fa riferimento proprio alla ricerca della giustizia e dell'equità nei rapporti sociali, che fu sempre uno dei suoi temi più cari (ed è il tema per eccellenza delle Parrocchie di Regalpetra). Da quei tempi molto acqua è passata sotto i ponti e non esistono più nè i comunisti tutti d'un pezzo, ma non sono neppure emersi i liberali capaci di sentirsi tali, nel rispetto delle regole e della giustizia. La borghesia in Italia è un coagulo di strati che assorbe facilmente nuclei malavitosi o modi di fare malavitosi (esempio macro: Benetton). Forse nel capitalismo c'è una inevitabile tendenza nel far questo, poichè l'accumulazione si è scissa dalla morale, diventando autoreferenziale, ma ciò non toglie che vi siano, all'interno dei singoli paesi a conduzione capitalista, una diversa visione della morale e dell'etica, anche di quella capitalistica, passando da quella rigida dei paesi scandinavi o del Giappone a quella ambigua dell'Italia, fino a quelle dominate direttamente dal malaffare, come in alcuni paesi sudamericani o in Russia. Non credo che vi siano ricette per cambiare le cose, poichè esse sono radicate in modi di pensare e di fare che sono secolari (de Franza o de Spagna...). Nella storia italiana vi sono stati periodi dove è stato possibile immaginare un futuro diverso, nel post-risorgimento, nel post-dopoguerra e nel post-sessantotto, principalmente, ma in tutti e tre i casi, forze violentemente oppositive hanno bloccato ogni evoluzione verso la creazione di una ideologia borghese realmente liberale ed eticamente salda.
#8
Scienza e Tecnologia / Homo sapiens è un animale
08 Febbraio 2025, 08:55:48 AM
Homo sapiens, la specie a cui apparteniamo, è una specie animale, nè più nè meno della formica o dell'orango. Una prova in questo senso è raccontata da F. Lenoir in "lettera aperta agli animali e a chi li ama". La biologa J. Patterson ha insegnato ad alcuni gorilla il linguaggio dei segni, come quello che usano i sordomuti e attraverso di essi, i gorilla addestrati possono comunicare grazie alla condivisione di diverse centinaia di parole. Un giorno la biologa ha visto un gorilla triste e, con il linguaggio dei segni, gli ha domandato perché e il gorilla ha risposto, sempre con il linguaggio dei segni " madre morta, cacciatori".
Questo episodio ci racconta due cose: le emozioni le condividiamo con almeno due grandi famiglie di animali, mammiferi ed uccelli ( e quindi almeno anche dinosauri, fra le specie estinte) e le capacità cognitive pure. Da ciò un insegnamento ne deriva, noi siamo solo i fratelli maggiori degli animali, non i loro padroni e nulla ci distingue da loro a livello biologico, se non l'espansione delle facoltà cognitive, un esperimento "dubbio" di madre Natura, visto ciò che sta accadendo al pianeta terra, grazie a queste extra/capacità cognitive.
#9
Ognuno parla dei propri daimones. Questo è uno dei miei. La storia biblica di Gesù e quella sofoclea di Edipo parlano entrambi dell'uccisione del padre ma in una struttura narrativa diversa e che porta ad esiti diversi.
Edipo si muove su dei binari parzialmente obbligati. Inevitabile risolvere l'enigma, uccidere il padre, diventare re di Tebe, sposare sua madre. Ciò che resta nella disponibilità di Edipo è la ricerca della verità, nonostante i molteplici avvertimenti nel non farlo e la ricerca della verità avrà effetti ambivalenti. Edipo diverrà cieco, perderà il trono e diventerà un esiliato, ma il miasma che ammorbava la città scomparirà. Il sacrificio dell'uno salva la comunità, ma quell'uno è "uno di noi", attraversato dalla tragedia dell'uomo fatto di carne e ossa, con in più il desiderio insopprimibile della conoscenza. Dopo il riconoscimento della morte del padre, Edipo diventa saggio, da cieco accoglie la figura di Tiresia, colui che sa e che ha esperienza. Il focus è sul figlio.

La morte di Gesù (Dio) si muove sul focus del padre (anche se in modo ambiguo) ma non sul tema della ricerca dolorosa della conoscenza, perché la verità di fede è indiscutibile e nessuna ambivalenza è permessa. La morte del Dio ha lo scopo della "salvezza" oltre a quello del "sacrificio" (che condivide con Edipo).

A partire da questa differenza diventa possibile comprendere meglio l'uso psicoanalitico di Edipo. La lotta omicida fra figlio e padre è sempre necessaria per crescere e sostituire il padre con il figlio, nella naturale successione temporale. Certo affinché essa sia costruttiva deve essere sostituita da una lotta simbolizzata, dove entrambe le parti costruiscono un gioco all'insegna dell'accettazione delle parti.

L'omicidio di Gesù invece rappresenta una cesura definitiva e fondata sulla accettazione di un "Padre eterno" e indiscutibile, fondatore di tutte le cose.

Ecco allora che da un lato, assistiamo ad un mondo mutevole, tragico ed ambivalente, dove generazioni si susseguono a generazioni e regole a regole. Dall'altro, l'ipostatizzazione di un padre inamovibile, costruisce un fondamento stabile e straordinariamente efficace, in cambio della propria permanenza in uno stato di minorità. L'unico potere avviene non per acquisizione individuale ma per trasmissione mimetica dall'alto verso il basso e pertanto anche il padre umano adotterà lo stile della indiscutibilità.

In altre parole, il mito biblico potrebbe essere rappresentato come il mondo di Hobbes (sicurezza in cambio di perdita di libertà), mentre il mito sofocleo come il mondo di Freud (conoscenza in cambio di perdita di sicurezza).
#10
Scienza e Tecnologia / La mappa e il mondo
12 Gennaio 2025, 22:53:36 PM
Citazioneio credo che la mappa sia stata sempre il mondo, cioè ciò che ci ha fatto  apparire il mondo, ma solo finché  non abbiamo imparato a leggerla, o meglio finché non la abbiamo esplicitata a parole prendendone coscienza.
Prenderne coscienza però significa metterla in discussione, ed è sul possibile vantaggio di  metterla in discussione che la nostra evoluzione ha scommesso.
Quello che si è verificato è però che la mappa continua a stare per la realtà, anche quando messa in discussione, non perchè sia stata confermata la sua validità assoluta, ma anzi nonostante diventi sempre più evidente il suo essere relativa.
L'averla messa in discussione ha comportato invece che ad essa altre mappe si siano affiancate, desistendo dopo i primi tentativi di sostituirsi a quella originaria, ma affiancandosi ad essa.
Che l'evoluzione sia stata capace di costruire una mappa che ancora tendiamo a confondere con la realtà è qualcosa di meraviglioso, ma che non potremo più replicare.
Nessun nuovo mondo da confondere con la realtà potrà più apparirci in alternativa al vecchio, se non scimmiottandolo con una maggiorata replica virtuale, ciò che diventa indirettamente una dimostrazione della sua originaria virtualità.

Riprendo questo discorso di Iano per approfondirlo su un versante "relativamente" diverso rispetto alla discussione sulla "legge della parola". Iano ha ragioni da vendere quando dice che la mappa è il mondo. "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". Nominare il mondo crea il mondo, il mondo per noi umani. Ma il mondo sarebbe anche senza la nostra nominazione. Shakespeare a proposito di rose, diceva che La Rosa, anche chiamandola in altro nome, avrebbe avuto comunque quel profumo. Singolo/generale, concreto/astratto, unico/categorizzabile.
A questo duplice registro rispondono tutti gli esseri viventi. Bisogna stare contemporaneamente nel concreto della situazione ma sapere anche che genericamente il lupo è il mio predatore (ammesso che sia un agnello). Ma quel lupo magari ha già mangiato, oppure è alla ricerca di una compagna. Il lupo categoria è anche il lupo individuo. Ebbene, il nostro percorso evolutivo ha sempre più privilegiato la categorizzazione, la classificazione, la misurazione e l'inserimento in cartelle per argomenti. È un notevole strumento conoscitivo. Ci permette di semplificare il mondo, di fare ipotesi e verificarle. La scienza occidentale si fonda su questo meccanismo. Resta il problema che se l'equilibrio fra concreto/astratto si rompe, allora sorgono problemi ed oggi il problema principe è il dominio dell'astratto sul concreto, della classificazione rispetto allo sguardo che individua e singolarizza. E ciò comporta, oltre che alla manipolazione del mondo alla riduzione dell'Altro in oggetto da classificare, desoggettivandolo. Quindi la mappa è parzialmente il mondo, ma è comunque una tecnica, un artificio mirabile della connessione cultura+sistema nervoso centrale. Venire monopolizzati dalla mappa è in realtà venir monopolizzati dal dominio della tecnica. Se, sul lato opposto si vivesse esclusivamente di singolarità, allora non sarebbe possibile la conoscenza del mondo, ma si conoscerebbe meglio la più profonda natura di ogni essere umano. Il gioco quindi sta nella ricerca di un equilibrio fra La Rosa di Shakespeare e quella di B. Da Cluny (ripresa da Eco).
#11
Tematiche Spirituali / La legge della parola
11 Gennaio 2025, 18:07:41 PM
M. Recalcati, da tempo cerca il collegamento fra Bibbia e psicoanalisi. In un suo testo recente, il Dio biblico è rappresentato come il senso del limite. Dio, nell'atto della creazione separa l'uomo dalla natura, poi da sè stesso e infine lo mette in guardia da non desiderare di essere lui stesso Dio. In questa analisi molto ben scritta, Dio assume le sembianze del "principio di realtà", il senso del limite, l'accettazione del Due come principio organizzatore del mondo, contro la tentazione sempre presente di organizzarlo attraverso l'Uno, definito da Recalcati come l'ingresso della violenza nella vita umana.
Questa interpretazione mi ha fatto pensare come si possano plasmare e rielaborare le storie bibliche. In sostanza Dio, l'Uno per eccellenza, ci istruisce della necessità di fare i conti con la molteplicità del mondo e delle sue relazioni.
Pertanto l'estrema perversione è quella di attaccare Dio, perché si crede di essere come lui, abolendo ogni differenza.
Il nocciolo del discorso è qui. Accettare la differenza è fondamentale, ma nel momento in cui tale differenza diventa indiscutibile tanto da definire il principio di realtà contro l'azione allucinatoria, si ripropone l'insuperabilità dell'Uno, che invece sarebbe propriamente lo scopo della divinità, protesa verso l'affermazione del molteplice.
Insomma una interpretazione "audace" come minimo, che però propone la possibilità di volgere uno sguardo divergente rispetto a quello usuale.
Psicoanaliticamente è "l'interdizione del Padre", che si impone al figlio e che se avviene nei giusti termini realizza la civiltà umana. L'ultima domanda che pongo è però sé questo necessario passaggio divino, come fondamento della civiltà non debba oggi essere superato verso un modello che non racchiuda in sé le notevoli contraddizioni presenti nel testo biblico. A Recalcati posso concedere che vi sia una possibile interpretazione secondo la sua direzione, ma essa non è l'unica. Del resto, forse anche questa molteplicità di interpretazioni possibili rendono il concetto di un Dio molto meno monolitico di quello tramandato dalla teologia mainstream.
#12
Tematiche Filosofiche / Ragnatele di signficato
01 Gennaio 2025, 22:57:25 PM
C. Geertz è stato uno dei più famosi antropologi. Oggi mi sono imbattuto in una sua frase interessante: "L'uomo è un animale appeso a ragnatele di significato da lui stesso costruite". La nostra peculiarità è tutta qui. Siamo biologicamente animali e non possiamo pretendere uno statuto speciale, eppure lo statuto speciale lo otteniamo nel momento in cui costruiamo (unici nel mondo animale) delle ragnatele di significato, così complesse ed estese, da sovrapporsi e appannare la nostra originaria identità animale.
Il mondo dei segni non è quindi solo una "skill", un attrezzo tecnico che ci ha permesso di accelerare il nostro sviluppo, ma è una mappa che orienta e ci dice chi siamo. Questo discorso è molto importante dal punto di vista etico, perchè può esserci la ragnatela che prescrive di uccidere la propria figlia se mangia cibo impuro oppure la ragnatela che promuove la possibilità di donare la propria moglie all'ospite che ci viene a trovare. In un mondo caotico come il nostro, accade allora che queste ragnatele sono tantissime e rendono difficile l'azione, poichè ognuno di noi è appeso a molte ragnatele diverse e talvolta antitetiche.
La consapevolezza è però quella di sapersi dire che è a partire dai costruttori di ragnatele, dei loro riparatori e dei loro difffusori, che si promuove o meno una certa visione dell'uomo. Se l'uomo X è appeso alla ragnatela dell'Homo homini lupus, le sue azioni si accorderanno a quella visione. Se l'uomo Y è appesa alla ragnatela dell'altruismo, allora anche lui cercherà di adeguarsi a quella ragnatela. Tutto ciò ha come ulteriore conseguenza, il fatto che noi siamo i responsabili delle nostre ragnatele di significato e non più la tradizione. O meglio: la tradizione crea la ragnatela di significato ma essa perde il suo valore di immutabilità. La sua trasmutazione è compito della responsabiiità degli uomini.
Il problema attuale, visto da questa prospettiva, è la presenza di molteplici ragnatele di significato, che vengono ormai considerate anch'esse un elemento come altri, da sottoporre al vaglio del mercato. Anche le ragnatele divengono merce e si moltiplicano, rendendo difficile sviluppare una ragnatela di significato condivisa e "buona", "eudaimonica".
#13
Tematiche Filosofiche / Edipo: da Freud a Platone
01 Dicembre 2024, 23:18:18 PM
Nota è l'interpretazione dell'Edipo da parte di Freud. Una pulsione originaria comune a tutti gli umani (maschi) a sostituirsi al proprio padre. Il veto del padre, rende possibile la formazione del Super-Io e quindi la società organizzata. Una interpretazione brillante, ancora parzialmente valida, a un secolo dalla sua esposizione. Edipo però ha ricevuto anche altre interpretazioni. Una che sarebbe interessante confrontare con quella freudiana è quella di A. Curi che in "Endiadi",  collega il dramma di Sofocle con il tema del parricidio parmenideo di Platone. Platone uccide simbolicamente Parmenide, nel Sofista, perché in questo modo sposta l'Uno indivisibile eleatico nell'IperUranio e nel mondo materiale può dispiegarsi la conoscenza nelle sue molteplici forme, che possono addirittura presentarsi all'interno della stessa persona, basti pensare al mito della biga alata o al detto Zenoniano, tradotto in "unus ego et multi in me".
Ma anche Edipo era ossessionato dalla sete di conoscenza e proprio quella sete sarà la sua rovina.
Ma oltre al significato freudiano, quella uccisione, nel senso platonico, diventa uccisione dell'Uno Parmenideo. Uccidendo, Edipo sconvolge la legge dell'Uno paterno: Edipo-figlio è anche padre e marito e solo chi è molteplice può rispondere all'enigma della sfinge, la quale chiede proprio qualcosa relativamente alla identità molteplice dell'uomo.
Il dramma edipico quindi assume un ruolo diverso in Freud e in Platone (nella lettura di Curi). Nel primo caso è necessario il passaggio edipico ad ogni nuova generazione per fissare il senso del limite e di conseguenza la norma sociale. Edipo è un gioco ciclico che si ripete da quando esiste la civiltà. Nel secondo, l'uccisione di Laio da parte di Edipo è la rappresentazione teatrale del parricidio parmenideo: l'Uno non tornerà più. Interessante che proprio da questa uccisione simbolica di Parmenide, Severino decreta l'inizio del pensiero nichilistico occidentale. Il nichilismo, secondo Severino, inizia con Platone.
#14
Storia / Bambino e acqua sporca
15 Novembre 2024, 16:53:35 PM
Sulla scia di Eutidemo che ci diletta con i suoi excursus storico-filologici vi racconto come è nata l'espressione "buttare il bambino con l'acqua sporca". Nel Medioevo l'acqua era un bene prezioso e serviva molta forza muscolare per trasportarlo dove serviva. Per questo pulirsi a fondo si faceva una volta all'anno, in prossimità dell'estate, per via del fatto che c'era più acqua e si cambiava l'abito invernale con quello estivo (di solito uno a persona). Il lavaggio era un rito e iniziavano gli uomini con l'acqua ancora cristallina, poi toccava alle donne, poi i giovani maschi e poi le giovani femmine ed infine i bambini. A quel punto l'acqua era talmente sporca che, se non si faceva attenzione, si rischiava di buttare via l'acqua sporca e qualche bambino ancora all'interno della tinozza. Metaforicamente il significato è diventato quello di sapere distinguere all'interno di un argomento gli aspetti positivi (il bambino) da quelli negativi (l'acqua sporca) senza sacrificare i primi ai secondi.
#15
Ultimo libro letto / Il Nome della Rosa
01 Novembre 2024, 22:05:39 PM
"Stat Rosa Pristina nomine, nomina nuda tenemus".

Con queste parole si chiude "il nome della Rosa" di Umberto Eco. Un libro che ha avuto su di me sempre un grande fascino. L'ho riascoltato recentemente nel podcast di Raiplaysound, con un lettore straordinario, Moni Ovadia. Grazie a questa nuova esperienza sonora, il libro mi ha ritrasmesso quella percezione di materialità, che già nella versione su carta mi aveva piacevolmente sorpreso. Questo è il primo aspetto estetico che affascina. Ben pochi romanzi sono riusciti a farmi immergere fra i personaggi, fino al punto di sentirmi quasi accanto a loro. Eco riesce a donare questa tridimensionalità, quasi da realtà virtuale, attraverso una conoscenza approfondita della storia del pensiero medioevale. Questa magia non sarà più raggiunta da Eco, nei successivi romanzi.
I dibattiti continui su essenza e singolarità, sul male e sul bene, sulla povertà e la ricchezza, su verità e falsità che si inseguono nel corso del romanzo, sono assolutamente deliziosi, come le citazioni sparse, come quando l'amplesso del coprotagonista Adso da Melk viene espresso con le parole del Cantico dei Cantici mescolate a quelle del Cantico delle Creature. Ma anche la descrizione accurata di chiese, torri, cori, stalle, farmacie, con le parole specifiche, parole che spesso costringono di andarle a cercare sul web per capirle perfettamente, anche questo fa ottenere questo effetto di materialità, di realtà virtuale. Il dialogo fra Guglielmo e il farmacista dell'Abbazia, Severino, sulle qualità delle erbe officinali è ancora una volta un esempio di maestria, in questo senso. Sembra di essere accanto a loro mentre discettano di veleni ed erbe curative.
Già questa cura "gotica" per i particolari e per le citazioni sparse (da cercare, come in una caccia al tesoro) sarebbe sufficiente per rendere questo libro un grande libro.
Ma la grandezza si intensifica anche per altri motivi. Il primo di questi è la sovrapposizione di chiavi di lettura, il libro è al primo livello un "giallo", al secondo livello è un "romanzo storico", al terzo livello è un "romanzo filosofico", al quarto livello è un romanzo "semiologico".
Difficile affrontare tutte le molteplici questioni affrontate dal romanzo, che è in realtà un vero e proprio mondo a sè stante. Mi soffermo solo sul tema della conoscenza, che già si affronta nel primo capitolo, a proposito della fuga del cavallo Brunello. Da un lato vi è la visione di Guglielmo da Baskerville, che è l'avatar di un altro Guglielmo, ovvero Guglielmo da Occam, teorico di quella nuova visione del mondo, che è alla base del nuovo metodo scientifico, che si affermerà definitivamente solo 300 anni dopo. L'antagonista è Jorge da Burgos, il monaco anziano e cieco, che non accetta la conoscenza come ricerca dei dati sensibili ma come sottomissione della stessa alla teoria, che nel suo caso è la religione rivelata. Ogni dato sensibile che contrasta a quella visione va rigettato, anche se la realtà invece afferma quella verità. Una verità rivelata e dogmatica contro una verità che va sperimentata sul dato sensibile.
L'oggetto del contendere è infatti il secondo libro (perduto) sull'arte di Aristotele, dedicato alla commedia e all'umorismo. Libro che pur esistendo, non doveva esistere perchè contraddiceva la visione di un potere che, per affermare il suo potere totalitario ed assoluto, non poteva accettare la presenza del riso, dell'umorismo e dell'ironia, primo segnale del relativismo e della possibile presenza di tante verità.
Questo contrasto è il contrasto fra chi indaga le parole ammettendone il loro status convenzionale e storico, come strumenti per capire l'umanità e le sue azioni, e chi invece attribuisce a quelle parole un valore assoluto, di verità indiscutibile, di "idola" che fondano il potere, che in primo luogo era, a quei tempi, potere religioso. La parola, per Jorge, si scinde dalla sua storia e diventa "potente" proprio perchè scissa dalla sua storia, che invece Guglielmo, analizzandola, riduce nuovamente ad elemento di indagine della cultura umana.
Per questo "Stat Rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus".
#16
Tematiche Filosofiche / Psicoanalisi
19 Ottobre 2024, 11:05:36 AM
Nella discussione su Cartesio si è iniziato a parlare di psicoanalisi. Gli interventi però sono stati finora rivolti ad una visione molto tradizionale e "freudiana" della psicoanalisi. La psicoanalisi in realtà ha più di un secolo di vita. Freud è morto nel 1939 ed anche nella sua bibliografia emergono spunti importanti che non limitano la psicoanalisi all'impatto della sessualità nella vita psichica. A maggior ragione oggi, periodo in cui la repressione sessuale, la sessuofobia vittoriana è stata sostituita da una sessuofilia altrettanto preoccupante. In sostanza Freud non ha scritto le Leggi psichiche su tavole mosaiche. La psicoanalisi è andata avanti. È un interessante metodo di osservazione del comportamento umano ed è stata usata nei più disparati campi disciplinari. Fortunatamente è stata anche in grado di recepire altre ricerche ed altri sentieri di studi, pur in una sua legittima definizione di una scuola ortodossa, che impedisca la diluizione e frammentazione della scuola psicoanalitica stessa.
Ma il trattamento psicoanalitico non è solo l'apprendimento dei meccanismi sublimatori edipici che ci permettono di convivere con i nostri sintomi. È un dialogo, eminentemente filosofico. È una ricerca di senso che attraversa tutti gli stati affettivi arcaici dell'uomo, utilizzando al posto dell'azione il simbolo (linguaggio), la memoria (biografia) e l'accesso attraverso linguaggio e memoria all'inconscio.
#17
Mi sono casualmente imbattuto in questa frase di un letterato americano del XIX secolo, famoso soprattutto per aver tradotto per primo molte opere italiane in inglese, Henry Longfellow. La frase è questa:
"Se potessimo leggere la storia segreta dei nostri nemici, nella vita di ciascuno troveremmo dolori e sofferenze tali da neutralizzare ogni forma di ostilità".

Trovo questa affermazione molto vera e mi conferma come non esista di fatto malvagità umana originaria, ma una malvagità che si articola attraverso il trauma o la strutturazione della società. Questo principio potrebbe essere usato sia nei rapporti fra singoli che fra collettività. In casi rari, come in Sudafrica (commissione per la verità e la riconciliazione), questa affermazione è stata applicata, con risultati straordinari. Epurata dai suoi aspetti fideistici, è la stessa logica del messaggio evangelico, di molte culture orientali e di molte correnti filosofiche.
Eppure la maggioranza dei comportamenti umani tende a polarizzare la frattura amico/nemico e la relativa violenza.
Qual'è la ragione di questa distanza fra un modello apparentemente facile da raggiungere e che ci permetterebbe di vivere in pace e la desolante realtà che ci rende ognuno nemico ognuno dell'altro, qui in questo forum, nella vita quotidiana, nei rapporti fra Stati e culture? 
#18
Tematiche Filosofiche / Freud-Marx
27 Settembre 2024, 16:30:59 PM
Freud in "Avvenire di una illusione" (1927), definisce la religione "un narcotico". Un altro passo è esemplare e riconduce Freud alla tradizione tedesca kantiana "Se l'uomo distoglierà dall'aldilà le sue speranze e concentrerà sulla vita terrena tutte le forze rese così disponibili, egli riuscirà probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civiltà non più oppressiva per alcuno".

Soprattutto la definizione della religione come "narcotico", richiama la famosa definizione di Marx della religione come "oppio dei popoli".

Ma in termini più generali cosa distingue l'architettura filosofica di Marx da quella di Freud? Penso che si possano indicare alcune strade di ricerca.

La prima è la predominanza in Freud dello sguardo sull'individuo che ha bisogno di una terapia. L'uomo guarito è un uomo che è curato. Lo sguardo di Marx è invece uno sguardo sulle contraddizioni sociali, l'uomo oppresso è un uomo che ha superato con le sue forze le contraddizioni sociali.


La seconda strada riguarda lo scetticismo di fondo di Freud, la sua considerazione sulla immutabilità definitiva dell'ambivalenza umana, da un lato egoista, dall'altro consapevole di dover ridurre questo egoismo per ottenere sicurezza. La concezione di Marx invece non prevede questa ambivalenza come costante, ma rappresenta invece il mondo come uno scontro fra forze opposte, in cui una sola è quella del bene (il proletariato), rappresentandosi così come una riedizione in chiave laica del manicheismo religioso.

Un terzo ambito di ricerca potrebbe essere quello di estrarre da entrambi ciò che di buono hanno saputo trasmettere, per ottenere una teoria più realistica dei bisogni umani e di una società più adeguata e giusta. Strada che ovviamente è già stata percorsa da almeno 80 anni, ovvero dalla pubblicazione di "dialettica dell'Illuminismo" di Adorno-Horkheimer, ma che oggi può ibridarsi in nuovi modi, grazie alle scoperte di altre discipline.
#19
Tematiche Spirituali / Teologia LGBTQ+
25 Agosto 2024, 21:54:54 PM
La Chiesa cattolica è una immensa balena, che cerca di mantenere al suo interno anche le sue tendenze più eretiche. La tolleranza talvolta dipese, in passato, dalla grande forza della Chiesa. Oggi forse è sia un segno della sua debolezza ma anche l'impronta lasciata dal concilio Vaticano II. Ebbene, ho scoperto casualmente che esiste anche una teologa benedettina che teorizza un cristianesimo LGBTQ+. Non è sugli occhielli dei giornali ma esiste ed è come una specie di meraviglia in un mondo patriarcale e così tradizionalista come quello della chiesa cattolica. La teologa si chiama suor Teresa Forcades, e meravigliosamente presenta la diversità delle tendenze di genere dell'umanità come un dono, che non può in nessun modo essere in contrasto con le leggi bibliche, almeno con quella più nota, perché ovviamente andando a spulciare l'AT le condanne ai sodomiti & co. non mancano. Ha scritto un libro " siamo tutti diversi". Lo trovate con il motore di ricerca.
PS. Conosco già la risposta di Ipazia, pertanto chiedo ad Ipazia di stupirmi così come ha fatto suor Teresa Forcades, benedettina.
#20
Storia / Santa Madre Russia
24 Agosto 2024, 00:28:38 AM
Iano wrote:
CitazioneIo però ricordo che molti anni fà si discuteva se ammettere la Russia nella comunità Europea oppure no.
 

Ero indeciso se mettere la discussione in filosofia o in attualità. Alla fine ho scelto Storia. Anche per mantenere pulito l'altro topic, come da desiderio (legittimo e condiviso) di Inverno.

La domanda è: ma la Russia è Europa oppure è Asia? Se è Europa sarebbe giusto farla partecipare all'Unione Europea e sicuramente, detto per inciso, è molto più europea della Turchia.
La Russia nasce da una migrazione di popoli nordici, all'incirca nello stesso periodo della discesa dei normanni in Italia, in Francia e in Inghilterra, fra il XI e il XIII secolo (i Normanni erano vichinghi, in origine). Poi fu travolta da qualche invasione strettamente asiatica, ma riemerse in una forma statuale simile a quella europea, almeno nella sua forma assolutistica. Una sua peculiarità fu quella di prediligere un colonialismo territoriale, che potremmo definire terrestre, a differenza dei colonialismi più noti, inglese e francese, che furono dei colonialismi marittimi, perchè sparsi in tutto il mondo e necessitanti più di una marina militare che di un esercito terrestre.
Con la Russia nasce il dilemma di dove finisce l'Europa, sulla Vistola, o sugli Urali o a Vladivostock? I russi stessi sono l'espressione di questo dilemma, alternando momenti di innamoramento per l'Europa a momenti di allontanamento. E fra i paesi di cui sono più innamorati c'è proprio l'Italia, che ha molti punti in comune con il popolo russo e scarsa conflittualità geopolitica, stante la distanza sia geografica che di peso militare.
Ad ogni modo ribadisco quello che ho già scritto, ovvero che la cultura russa è una grande cultura, che ha segnato indelebilmente la stessa cultura europea e per questo motivo avrebbe diritto di far parte dell'Europa. Ma vi sono anche delle differenze, come è ragionevole che sia (anche perchè una cultura europea non esiste in realtà, date le disomogeneità presenti sul territorio europeo).
Parliamo di differenze ad un livello macro, ovviamente, e a questo livello subentra una differenza, che spiega anche (almeno parzialmente) la stessa rivoluzione sovietica, ovvero il misticismo russo, che fatica a distinguere la posizione privata del singolo soggetto e la sua posizione pubblica. Penso che questo sia il grande lascito della cultura greco-romana, ovvero la creazione dell'oikos come sfera privata che interagisce con la sfera pubblica, senza farsene sottomettere. In Russia vi è una visuale che potremmo definire "olistica", perchè il bene del tutto e più grande del bene del singolo, con tutte le aberrazioni che ciò comporta.
Lanciate queste osservazioni generali, a proposito della opportunità di considerarla europea, ritengo che vi sia una obiezione fondamentale, ovvero le dimensioni stesse della Russia. Se fosse grande come l'Ucraina si potrebbe fare, ma uno stato così esteso mette realmente paura ad una confederazione di stati, che potrebbe apparire come una sua semplice appendice. Vi è pertanto una prudenza di tipo realistico, ma nello stesso tempo occorrerebbe anche guardarla come un vicino di casa, con il quale avere buoni rapporti reciproci, ma temo che questa scelta incontri due formidabili oppositori, Stati Uniti e Cina.
A voi la parola se vorrete.