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Discussioni - doxa

#1
Riflessioni sull'Arte / Magna Mater - Cibele
17 Settembre 2025, 13:11:52 PM
Il forum langue, allora vi offro un argomento come lettura. :asd:

A Roma, fino al 5 novembre 2025, il Parco archeologico del Colosseo ospita la mostra Magna Mater tra Roma e Zama, un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale tra Italia e Tunisia.

Zama, antica località della Numidia, nell'attuale Tunisia, famosa  per la battaglia decisiva della Seconda guerra punica (202 a.C.) tra Cartagine e Roma.

La mostra è articolata  in sei sedi tra Foro romano e Palatino.

La Magna Mater (la Grande Madre) antica divinità dalle molteplici identità, venerata in Anatolia, Grecia e Roma.

L'esposizione ne ripercorre origini e trasformazioni, dal culto frigio all'adozione di quel culto a Roma nel 204 a.C., quando – secondo il responso dei Libri Sibillini – la sua immagine aniconica fu trasferita da Pessinunte (antica città  dell'Anatolia, in Turchia) a Roma, in un tempio a lei dedicato.

La mostra racconta le origini del culto, la sua diffusione nel mondo greco e romano e in tutto il Mediterraneo antico.


Resti dell'antico tempio dedicato alla Magna Mater-Cibele sul colle Palatino a Roma



statua acefala della Magna Mater, rinvenuta nel 1872 alla sommità della gradinata del tempio a lei dedicato sul colle Palatino.

Nella residuale facciata di quel che fu il tempio c'è iscrizione: M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

In questo sito la mostra accoglie la memoria dell'evento che ha segnato la romanizzazione della dea: il trasferimento della pietra nera, aniconica, da Pessinunte, nella Frigia, a Roma



L'allestimento di una parte della mostra  in quel che era il Tempio di Romolo. Sono esposti reperti di notevole interesse storico e qualitativo che testimoniano il culto della Magna Mater nel Nord Africa. Furono rinvenuti in campagne di scavi archeologici a Zama, oggi Henchir Jama (Tunisia), dove si svolse la celebre battaglia che concluse la seconda guerra punica.


La Curia Iulia amplia la prospettiva alle province dell'Impero romano: dall'Egitto alle Gallie, dalla Tracia alla Britannia, con la diffusione  dei culti di Magna Mater associati a quelli per Attis, e la successiva trasformazione del culto in epoca tardoantica.

Nel colle Palatino, alle Uccelliere Farnesiane, i visitatori possono esplorare le radici orientali della dea e la loro trasmissione nel mondo greco ed ellenistico, con un focus particolare sul carattere misterico del culto, il  mito di Attis, giovane pastore che si evirò per amore e divenne simbolo di rinascita vegetativa.
L'autoimmolazione di Attis non è sacrificio fine a sé stesso, ma rito di passaggio, la simbolizzazione mitica del ciclo vegetale, ma anche della trascendenza del principio maschile nell'unità originaria del femminile sacro.

In quel che rimane del Tempio della Magna Mater c'è sezione dedicata all'introduzione del culto a Roma durante la Seconda guerra punica, che mette in evidenza i significati politici e storici dell'evento.

Nel Ninfeo della Pioggia il culto viene considerato nella sua dimensione sonora e cinetica. I tamburi (tympana), le urla rituali, i suoni fanno  idealmente rivivere la forza performativa del rito. Qui l'archeologia si apre all'esperienza sensoriale, riconoscendo che il sacro antico non era mai solo oggetto, ma esperienza vissuta, trasformativa, corporale. Non si adorava con lo sguardo, ma anche con il corpo e con l'intera coscienza.

Infine l'ultima sezione, al Museo del Foro Romano, la mostra si chiude con una selezione di opere d'arte che illustrano la fortuna iconografica, letteraria e filosofica della dea tra Rinascimento e Seicento. La figura della Magna Mater viene riletta in chiave allegorica, talvolta demonizzata, più spesso celata dietro simboli della regalità celeste.

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#2
Riflessioni sull'Arte / Nemesis
10 Settembre 2025, 17:55:55 PM
Nell'arte  la dea Nemesi è di solito rappresentata come una donna alata, con o senza corona di alloro,  in una mano la spada nell'altra la clessidra: simboli di giustizia al di sopra delle parti.


Alfred Rethel, Nemesis alata, olio su tela, 1837, Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo

Nel dipinto, in basso sulla destra, si vede un corpo che giace a terra, l'assassino fugge, l'alata Nemesi lo insegue per vendicare il delitto. Nella mano destra ha la spada, con la mano sinistra regge la clessidra che simboleggia l'inevitabilità della punizione.

Una interessante raffigurazione della Nemesi è questa, realizzata da Albrecht Dürer,


Albrecht Dürer, Nemesis, incisione, 1502 circa,  Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe, Germania

Per questo disegno Dürer fu ispirato dal poema in lingua latina "Manto", scritto dal poeta e filologo  Agnolo (Angelo) Ambrogini, detto Poliziano, dal nome latino del paese d'origine, Mons Politianus (= Montepulciano, in provincia di Siena).

La mitologia greca narra che l'indovina tebana Manto era figlia del veggente Tiresia, il quale, secondo l'Odissea, fu consultato da Odisseo (= Ulisse) per avere come responso la strada del ritorno ad Itaca.  Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali.

Nemesi, dea della giustizia vendicatrice o distributiva: distribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto, fortuna o sfortuna. Nell'incisione di Dürer è una figura femminile possente, nuda e alata, poggia i piedi sul globo.  Sembra che sorrida. Nella mano sinistra ha le briglie, con le quali governa il destino dell'umanità, con la mano destra regge il calice, chiuso dal coperchio, simbolicamente indica la protezione.

Nemesi è  separata dalla sottostante vallata con abitazioni


particolare della zona inferiore

Nemesis incombe sul villaggio quasi deserto: c'è una figura sul ponte di sinistra, un'altra nei pressi della catasta di legno sulla destra, ed ancora un'altra sulla stradina, ma nessuno di loro sembra accorgersi della presenza della dea. O forse  gli altri  si sono accorti e si sono rifugiati in casa per timore della giustizia vendicativa.

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#3
Storia / Il trono e il potere dell'intronato
08 Settembre 2025, 19:44:23 PM
La corona e lo scettro sono simbolicamente importanti,  ma è il trono l'espressione migliore del potere dei monarchi.

Il nome "trono" ha una lunga storia: deriva dall'antico greco "thrònos", passato nella lingua latina nella forma "thronus", col significato di "ciò che sostiene": "seggio", in modo più comprensibile: seggiola", :D spesso collocata su una pedana lignea preceduta da gradini.


Napoli, Palazzo reale, Sala del trono, ornata con stucchi  dorati al soffitto.

Su questo trono sedettero re Ferdinando II  e Francesco II di Borbone, gli ultimi sovrani delle "Due Sicilie".  Fu realizzato negli anni '40 del XIX secolo. E' sovrastato da un baldacchino settecentesco di velluto rosso.



Due leoni lignei  decorano i braccioli: uno per parte. Idem nel trono della Reggia di Caserta.

Leoni lignei sono rappresentati  anche nei troni dei Savoia nei palazzi reali di Torino e Genova, ma non in quello che portarono a Roma,  nel Palazzo del Quirinale, per farne il "trono d'Italia".

Gruppi di leoni con aspetto difensivo e minaccioso circondano i bellissimi troni del re di Spagna e del re di Danimarca, realizzati nel '700.

L'antica usanza di ornare il trono con figure leonine  forse deriva  dalla descrizione biblica del trono del re Salomone: due leoni per lato e due su ogni gradino.



Il nome ebreo Salomone significa pace. Secondo l'Antico Testamento, il primo libro dei Re, Salomone regnò per 40 anni, dal 970 a. C. al 930  a. C. e fu il terzo sovrano di Israele, successore e figlio di Davide. Fu l'ultimo re del regno unificato di Giuda e Israele.

Adesso voliamo con la fantasia a molti secoli dopo, nel 1650 circa,  per la regina Cristina di Svezia fu realizzato un trono d'argento, ancor oggi usato dal re di Svezia.

In Francia, il re Luigi XIV riprese l'idea di Cristina facendone realizzare per Versailles uno ancora più ricco,  circondato con statue argentee. Durò poco. Dopo dieci anni fece fondere tutto, per pagare le armi di una delle sue guerre.

Rimango in Francia per dire che Napoleone I Bonaparte, quando divenne imperatore, decise di sedersi sul trono che, secondo la tradizione, sarebbe appartenuto al medievale re franco Dagoberto I (610 circa – 639) della dinastia dei Merovingi. Conservato per secoli a Saint Denis (vicino Parigi) nell'omonima basilica gotica,  Napoleone decise di sedersi su quel trono per concedere le prime decorazioni della "Legion d'Onore".  In tal modo egli intendeva stabilire un legame ideale fra sé e la più antica regalità francese. Ma le cose non andarono bene. Infatti si racconta che  poco dopo essersi seduto un pezzo della sedia si ruppe.

Da non dimenticare è il  trono nel simbolismo religioso.  La Madonna è di solito rappresentata assisa in trono.
#4
Cinema, Serie TV e Teatro / Fabulae
31 Agosto 2025, 07:07:35 AM
Diversi animali ricevono la dignità letteraria, ma pochi hanno la notorietà come soggetti di romanzi. E' il caso della piovra, questo nome deriva da pieuvre, forma dialettale normanna che discende dal latino pōlypus (= polpo).

Piovra  è sinonimo di polpo, invece il polipo, è un animale marino diverso dal polpo.

La piovra viene immaginata come un polpo gigante, che lo scrittore francese Victor Hugo inserisce nel romanzo "Lavoratori del mare, del 1866.

La piovra ha ispirato anche un altro scrittore francese, Jules Verne, per il suo romanzo di fantascienza "Ventimila leghe sotto i mari". L'autore  immagina i protagonisti  a bordo del sottomarino "Nautilus", comandato dal capitano Nemo. Cercano il misterioso mostro marino, la piovra di grandi dimensioni, astuta e subdola,  che affonda le navi incontrate nel suo percorso.

Un altro fantastico mostro marino fu "Moby Dick, la balena bianca", in realtà un capodoglio.
Lo scrittore statunitense Herman Melville nel 1851 pubblicò il famoso romanzo d'avventura "Moby Dick".

A raccontarci la storia è Ismaele, alter ego dello scrittore e uno dei protagonisti a bordo di una baleniera, la  "Pequod",  comandata dal capitano Achab; la nave viene utilizzata per la caccia alle balene e ai capodogli, in particolare all'enorme "balena bianca".

Achab è ossessionato dalla vendetta contro Moby Dick, perché in una precedente caccia, gli aveva strappato una gamba.

C'è l'incontro e lo scontro fatale che fa inabissare la nave con l'equipaggio.

I ricordi  di Ismaele sono intervallati da  riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, rendendo l'ultimo viaggio della nave un'allegoria e  un'epopea epica.


Bello anche  il film  "Moby Dick", del 1956, diretto dal regista John Huston e interpretato da Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab, e Orson Welles nel ruolo di Padre Mapple.


L'attore Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab





Due avvenimenti reali costituirono la genesi del racconto di Melville. Uno fu l'affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo che venne urtata da un enorme capodoglio a 3200 km dalla costa orientale del Sud America.
Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, scrisse l'avvenimento nel suo libro del 1821: "Narrazione del naufragio della baleniera Essex", di Nantucket,  che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell'Oceano Pacifico.

L'altro evento fu la presunta uccisione nel 1830  circa del capodoglio albino Mocha Dick al largo dell'isola cilena di Mocha. Si narra che Mocha Dick avesse  più di 20 ramponi nel dorso, conficcati da altri balenieri, perciò sembrava attaccare le navi con ferocia premeditata.

Una delle sue battaglie con una baleniera servì come soggetto per un articolo dell'esploratore Jeremiah N. Reynolds nel maggio del 1839 apparso sul The Knickerbocker.
#5
Riflessioni sull'Arte / Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 11:26:00 AM
Nel mondo antico si viveva circondati dai personaggi del mito: rappresentati all'interno delle case in articolate composizioni parietali o sulle gemme che impreziosivano i gioielli, o ancora sulle casse dei sarcofagi o all'interno delle tombe.

Le numerose leggende che circolavano in età romana  furono in parte raccolte nelle "Metamorphosĕon" (=Metamorfosi), poema epico-mitologico di Ovidio.

Il fenomeno della metamorfosi è interessante, nel nostro tempo lo chiamiamo anche "gender fluidity", al quale dedicherò il prossimo post.

Adesso vi propongo  questo dipinto


Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, tempera su tavola,  1480 – 1485 circa, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

"Pallade", epiteto di Atena:  l'appellativo deriverebbe dal nome di una ninfa chiamata  Pallade, una compagna di giochi della giovane Atena, che la uccise per errore mentre simulavano un combattimento. Atena prese quindi il nome di Pallade in segno di lutto per dimostrare il suo rimorso.

Ed ora un  po' d'iconografia.

Questo quadro ha come sfondo un paesaggio lacustre.

Atena, patrona di Atene (per la mitologia romana, Minerva) è  raffigurata come una giovane donna, in piedi,  con la lunga capigliatura  di colore ramato; sul capo ha una corona formata con rametti di ulivo, serti di ulivo (simbolo di pace),  sono anche sparsi  sul suo abito trasparente.  Ci sono pure  ricami che raffigurano  anelli intrecciati, ognuno con diamante  e con il motto "Deo amante" ("A dio devoto"), ma non visibile. 

La dea,  con il braccio e  la mano sinistra regge un'alabarda, con la mano destra  trattiene per i capelli un centauro arciere, con arco e faretra, metà uomo (dalla vita in su) e metà cavallo (dalle anche in giù). 

I centauri  simboleggiano la dualità umana: razionale e irrazionale, ragione e istinto, perciò questo dipinto di Botticelli è da intendersi come un'allegoria della virtù che frena l'impeto. 

La scena  complessiva potrebbe essere considerata come l'Allegoria della Ragione, di cui è simbolo la dea che vince sull'istintualità raffigurata dal centauro.

I colori tersi e contrastanti, accentuano i gesti e le torsioni delle figure.
#6
Varie / Milano, piazza Duca d'Aosta
18 Agosto 2025, 16:44:36 PM
 

Milano, piazza Duca d'Aosta, grattacielo Pirelli, foto di Uliano Lucas, 1968. Ritrae un emigrante meridionale appena arrivato a Milano. Con la mano sinistra porta la valigia (con dentro il vestiario ?), invece sulla spalla destra regge col braccio e la mano  lo scatolone di cartone. Immagino che dentro ci sia del cibo prodotto nella sua zona d'origine per consolare la sua nostalgia per il paese natio.

Sullo sfondo si vede il grattacielo (o palazzo) Pirelli, spesso detto "Pirellone", domina piazza Duca d'Aosta, nella quale prospetta anche la stazione di Milano centrale. Dal 1958 al 1966 il "Pirellone" fu l'edificio più alto dell'Unione europea. Poi il record passò alla "Tour di Midi" di Bruxelles.
 


Milano, piazza Duca d'Aosta, ingresso della stazione centrale.  di Milano.
 
Quell'uomo nella foto si chiama Antonio Antonuzzo, è originario di Bronte (località nota per la produzione del pistacchio) ed è appena uscito dalla stazione ferroviaria.

La scena fa pensare alla verticalità (il grattacielo), lo "spaesamento" dell'emigrante giunto nel capoluogo lombardo con la speranza di poter cambiare vita, il suo transito fra la condizione di un passato e quello di un futuro.

Passano i decenni, eppure Milano non ha modificato la natura genetica, continua a svolgere il ruolo di collegamento tra la fine dell'Europa settentrionale e la fine dell'Europa meridionale, città di sutura tra due modelli di esistenza.
 
#7
Riflessioni sull'Arte / Allegoria dell'Italia
14 Agosto 2025, 17:48:50 PM
 

Valentin de Boulogne, Allegoria dell'Italia, olio su tela, 1628 circa, Roma, Villa Lante, Istituto culturale finlandese, sulla collina del Gianicolo.

Questo dipinto ha una storia singolare. Fu commissionato dal cardinale Francesco Barberini al pittore francese, residente a Roma, Valentin de Boulogne, seguace della scuola caravaggesca.

Per la figura dell'Italia (o di Roma? ), la ragazza  che domina la scena, Valentin utilizzò l'immagine di Minerva-Atena, armata,  mentre nasce trionfante dalla testa di Zeus-Giove, simbolo dell'unione tra la forza militare e la filosofia, intesa come dominio e amore di ogni aspetto del sapere e del creare.

Ai piedi della donna ci sono due uomini sdraiati, nudi e barbuti, simboleggiano i fiumi Tevere e Arno.

A fianco della statua del Tevere, sulla sinistra guardando il dipinto, ci sono due infanti, i leggendari Romolo e Remo, collegati alla fondazione di Roma, sul colle Palatino.

La personificazione del fiume Arno, sulla destra del quadro, fu  invece un omaggio all'origine toscana della famiglia Barberini.

Con le dita artigliose della mano sinistra la donna regge al suo fianco lo scudo con i simboli papali, con la  mano destra regge la lancia. Intorno a lei, appena visibili, volano alcune api, emblema della famiglia Barberini, ascesa ai vertici del potere.

Il maestoso mantello che avvolge la donna è gonfiato dal vento. L'immagine non è statica. Sembra si stia muovendo. La statua del Tevere  osserva intimorita la Minerva che avanza verso di loro, camminando sopra i frutti fuoriusciti dalla cornucopia. L'altro fiume, invece, è quasi nell'ombra.

Valentin si ispirò alle statue fluviali che si possono ammirare a Roma sulla piazza del Campidoglio.


Questa fontana fu  progettata  da Michelangelo Buonarroti, addossata  al Palazzo Senatorio. Completata nel 1593, presenta Minerva, successivamente interpretata come la Dea Roma, affiancata da due statue marmoree raffiguranti il Nilo e il Tevere.

Una curiosità. Nel 1886 lo scultore francese Frédéric-Auguste Bartholdi progetto e costruì, con la collaborazione dell'ingegnere Gustave Eiffel (autore dell'omonima Torre Eiffel, a Parigi) la Statua  della Libertà, che è a New York, nella baia di Manhattan.

Si dice che per la statua Bartholdi propose il modello del connazionale Valentin, "Allegoria dell'Italia", di cui sopra.

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#8
In ambito artistico ci sono due diversi modi per studiare e interpretare le immagini e i simboli nelle opere d'arte: l'iconografia e l'iconologia.
 
L'iconografia studia e descrive le immagini e i simboli rappresentati. Identifica e cataloga ciò che è raffigurato: personaggi, oggetti, gesti, colori.
 
L'iconologia, invece, cerca di capire il significato storico e simbolico di un'opera d'arte; si chiede perché questi elementi o simboli sono presenti in quel contesto, quali erano  le intenzioni dell'artista e i messaggi reconditi.
 
Nell'ambito della retorica anziché "iconografia"  si usa la parola "ècfrasi" per descrivere un'opera d'arte, al fine di coinvolgere emotivamente l'osservatore tramite la descrizione dei particolari.
 
Il sostantivo femminile ècfrasi: deriva dal greco èkphrasis, e questa dal verbo èkphrazo, parola composta da "ek-" (= fuori) + "phràzo" (=  parlo, descrivo, indico).
 
L'ècfrasi allude  alla  descrizione di un'opera d'arte: un dipinto, una scultura, un'opera architettonica.
 
In epoca romana se una scultura originale veniva distrutta o perduta,  ma esisteva la sua descrizione, l'ekphrasis, permetteva all'artista di riprodurla.
 
In  letteratura ci sono famose poesie che sono esempi di ecfrasi, una  é: "Ode on a Grecian urn"  (= "Ode su un'urna greca"),  del poeta inglese John Keats, morto a Roma il 23 febbraio 1891.
 
Questa  poesia, in  cinque strofe,  fu pubblicata nel 1819.
 
L'autore esplora temi riguardanti la bellezza, la  verità e l'immortalità, utilizzando le immagini dipinte su un' antica urna cineraria greca.

 

L'urna di Keats, oggetto della famosa ode,  in un disegno del 1819.
 
Il poeta nella sua ode  utilizza tale urna dipinta come simbolo dell'arte e della sua capacità di immortalare momenti, contrapponendoli alla fugacità della vita.
 
L'urna cineraria, nel contesto della poesia di Keats, non è soltanto un oggetto di uso pratico, ma diventa un simbolo di eternità e bellezza.
 
Le scene raffigurate su di essa, come il giovane innamorato che insegue la ragazza o la processione verso il sacrificio, vengono interpretate dal poeta come momenti fissati nel tempo, che nel contesto dell'ode, assume un significato più ampio come simbolo dell'arte e della sua capacità di superare la morte e il tempo.
 
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#9
Stamane ho preso un libro dalla mia biblioteca ed è caduto un foglio, la fotocopia di un articolo di giornale, Il Sole 24 Ore, del 30 – 12 – 2012. Come passano veloci gli anni !

L'articolo, titolato "Je t'aime", pezzo da museo", lo scrisse Andrea Kerbaker.


Serge Gainsbourg e Jane Birkin

Questo il testo dell'articolo:

"C'era una volta il 1968 francese: Parigi in fiamme, manifestazioni di massa, Jean-Paul Sartre che incita i ragazzi, lo sciopero delle fabbriche Renault di Billancourt... E, nella generale atmosfera di eccitazione anche sessuale, ecco una coppia che pensa bene di partire per Londra, dove chiudersi per giorni  in uno studio di registrazione.

Lui si chiama Serge Gainsbourg, ha una quarantina d'anni, fa il cantante con l'aria molto vissuta, come sanno avere solo certi francesi; lei, Jane Birkin, nata in Gran Bretagna, 22 anni è un'attrice in erba (è già comparsa, tra l'altro, in 'Blow Up' di Michelangelo Antonioni).

Serge e Jane si sono conosciuti e amati sul set di un film oggi dimenticato da tutti, 'Slogan', di Pierre Grimblat. Lo scopo del loro viaggio a Londra è ricantare 'Je t'aime, moi non plus' , un brano che Gainsbourg ha composto l'anno precedente per Brigitte Bardot. L'attrice-mito di quegli anni lo ha inciso, ma in una versione rimasta praticamente inedita, per la reazione rabbiosa di suo marito, il miliardario Gunther Sachs.

In realtà, non è che la canzone sia chissà che: una stanca ripetizione di un ritornello con una musica altrettanto monotona. Ma, in quel clima libertario, alla coppia in sala di registrazione viene l'estro di imitare in diretta (o praticare, chissà: su questo le versioni divergono) un atto sessuale, con grande spreco di gemiti, respiri mozzati e gridolini.

Apriti cielo: scandalo internazionale, sguardi corrucciati di riprovazione da parte di tutti benpensanti del mondo, radio pudibonde che rifiutano di mandare in onda il brano (la Rai del direttore generale Ettore Bernabei in prima fila, ovviamente soprattutto dopo  che l'Osservatore Romano accusa la canzone di oscenità: ma anche la Bbc trasmette solo la versione senza parole; e così le emittenti di mezzo mondo). Conseguenza naturale della censura, un successo senza precedenti: ovunque file di ragazzi a comperare il 45 giri destinato a rimanere la maggiore hit della coppia".

Il testo della canzone "Je t'aime, moi non plus" descrive un rapporto sessuale.
La traduzione esatta del titolo è (lei): "Io ti amo", (lui): "nemmeno io".
E' un gioco di parole: la seconda frase presuppone la falsità della prima: infatti l'uomo crede il contrario di quanto dice la partner.
#10
Varie / Educazione affettiva
05 Agosto 2025, 09:12:58 AM
Luigina Mortari, docente di pedagogia  ed epistemologia genetica nell'università di Verona, ha pubblicato un altro suo libro, titolato: "Emozioni e virtù. Educazione affettiva, educazione etica" ( edit. Raffaello Cortina). 

L'autrice evidenzia che l'esperienza affettiva assume spesso contorni problematici e rivela il disagio di vivere con l'altro/a  e con  sé stessi.

Si sperimenta ogni giorno la crisi dell'eticità, evidente nella frequente chiusura autoreferenziale correlata alla scarsa considerazione dell'altro/a. Si fatica a riconoscere i suoi diritti e bisogni essenziali.

Inoltre, i problemi economici possono influire nel rapporto di coppia, con l'aumento di aggressività e violenza nella relazione, forse riconducibile all'incapacità di gestire le emozioni.

Senza un'educazione etica e affettiva siamo in balia di reazioni emotive, anche violente.

Nel suo saggio la professoressa Mortari spiega come risolvere l'incapacità di gestire le emozioni, con reazioni impulsive e possibili conseguenze negative.

L'autrice consiglia un metodo di ragionamento per comprendere le proprie emozioni fin dall'infanzia, nel contesto  di una educazione etica e affettiva, che si realizza  con l'offerta di esperienze che facilitino l'acquisizione di un metodo per l'autocomprensione dell'esperienza affettiva. L'obiettivo è arrivare a comprendere quello che sentiamo e come ciò influenzi e si faccia a sua volta influenzare da quello che pensiamo. Serve interpretare correttamente questo intreccio di emozione e cognizione, avendo consapevolezza, al fine anche di scongiurare il rischio di inutili reazioni impulsive, che spesso divampano da una parola sbagliata, come insegna Sofocle quando fa dire a Edipo: "Ci sono parole che scatenerebbero un'ira furibonda anche in una pietra". Tale auto-osservazione e conoscenza di sé ci aiutano a evolvere verso il meglio.

La Mortari dà anche alcuni consigli, tratti da Plutarco, su come raggiungere la tranquillità psicologica:  dedicare attenzione a ciò che è essenziale;  disattivare la tensione emotiva; saper accettare la realtà; essere capaci di gratitudine; cercare la giusta misura; l'abitudine a sottoporre ad analisi l'esperienza e il dare il giusto peso all'agire. Solo a questo punto, si potrà passare a considerare la prospettiva etica, che è "la ricerca di un orizzonte di idee alla luce del quale prendere decisioni sulle questioni rilevanti per l'esserci" e, quindi, "decidere cosa è bene cercare e cosa è bene evitare per fare della vita un tempo buono".

Non c'è un decalogo o un insieme di norme o di insegnamenti preconfezionati, ma solo un costante esercizio della facoltà cognitiva. Sono importanti i metodi di riflessioni e analisi per realizzare una buona qualità della vita.
#11
Varie / La fama e la serendipity
02 Agosto 2025, 20:05:55 PM
Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo "bolla", parola molto diffusa oggi nell'ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le "bolle di fama artificiale", che vengono tenute in vita per un po' da un soffio di moda, da un'ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla".

E' vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da "cascate informative"  che si alimentano a vicenda, però, se alla base c'è un'opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

Con "cascata informativa"  s'intende l'amplificazione di messaggi, di comunicati  da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio,  ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

Comunque, la  fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

La fama ha molto a che fare con la "serendipity": questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

La parola "serendipity" fu coniata dal nobile e scrittore inglese  Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d'amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

La natura dell'effetto rete, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.
 
La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto "cascata". Si chiama "accelerazione di fama". Non siamo consapevoli di partecipare all'amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto "cascata", cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto "cascata" e non, invece, saldi in un giudizio di valore  indipendente. Il messaggio, o l'entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.
E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull'onda dell'entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la "bolla" può scoppiare.

Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E' una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

Una ricerca italiana condotta da Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.  
Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte  di questo "effetto-popolarità", più o meno consapevolmente.

Per chi vuol saperne di più c'è  il libro di Cass R. Sunstein, titolato:  "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo" (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)
#12
Varie / Il ballo Sirtaki e Mikīs Theodōrakīs
29 Luglio 2025, 17:06:12 PM
Oggi, 29 luglio,  ricorre il centenario della nascita di Mikīs Theodōrakīs. 

Michaīl "Mikīs" Theodōrakīs,  compositore musicale e politico greco: nacque nell'Isola di Chio il 29 luglio 1925 e morì ad Atene il 2 settembre 2021.


Mikīs Theodōrakīs

Appartenne a quel gruppo di artisti che  in quel periodo fecero conoscere meglio la Grecia e, indirettamente,  le sue vicende: Maria Callas, Costas Gavras, Theo Anghelopulos, Nikos Kazantzakis,  Odisseo Elitis, Yorgos Seferis, Yannis Ritsos, Maria Faranduri, Irene Papas e Melina Mercuri.


Anthony Quinn e Alan Bates mentre ballano il sirtaki sulla spiaggia

Il sirtaki  è una danza popolare  greca, ma non tradizionale. La musica fu ideata dal compositore Mikīs Theodōrakīs,  per quel film del 1964  integrando e rielaborando due versioni musicali della danza tradizionale greca "hasapiko", conosciuta anche come "danza dei macellai":  ha una versione lenta (hasapiko bary) e una veloce (hasapiko grigoro). Il nome deriva dal termine greco "chasapis", che significa macellaio. Il hasapiko è caratterizzato da una serie di passi base e varianti eseguite in gruppo, spesso con le mani sulle spalle dei vicini.

Anche nel sirtaki il ritmo della danza, inizialmente lento, ha l'andamento crescente, accelera.

Sirtaki divenne il simbolo di una Grecia spensierata, come lo  fu  alcuni anni prima la canzone  "I ragazzi del Pireo" (in lingua greca "Ta pediá tou Pireá"),  scritta dal compositore ellenico  Manos Hatzidakis per il film "Mai di domenica", nel quale la canta l'attrice Melina Merkouri.

L'etimologia della denominazione "sirtaki" deriva dalla parola  ellenica "syrtos": danza popolare greca, caratterizzata da un ritmo vivace e coinvolgente. La musica che accompagna il syrtos è anch'essa chiamata syrtos e utilizza strumenti tradizionali  come il bouzouki, il violino, il laouto, e altri.

Il sirtaki si balla in formazione lineare o in cerchio, con le mani sulle spalle del vicino. La formazione in linea è più tradizionale.



La danza inizia con movimenti lenti e armoniosi e passi che non si distaccano molto dal suolo, che poi si trasformano gradualmente in azioni più veloci, spesso anche salti e balzi.

Segue
#13
Varie / Provincialismo e società di massa
23 Luglio 2025, 09:51:19 AM
Ormai viviamo nella società di massa. Che fine ha fatto il provincialismo ? Questo sostantivo a cosa allude ?

Nel passato dicevamo: "sono dei provinciali !", per indicare chi abitava nelle piccole città o paesi, oppure, in modo spregiativo, chi aveva la mentalità, il modo di fare, il conformismo e  gli atteggiamenti considerati tipici di chi viveva in provincia, nelle  piccole località con  reali o presunte arretratezze:  economica, sociale e culturale, causa gli scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati.

Nel nostro tempo abitare in provincia (la vita in paese o nella piccola città)  cosa significa ?

Molte persone, stanche della grande città, vorrebbero trasferirvisi. Altri, che  ci sono nati,  non vogliono andarsene. Forse perché non conoscono alternative, forse perché ci stanno bene davvero. Qualcuno non ci tornerebbe neppure sotto tortura. Altri – e sono i più numerosi – vanno via in cerca di occasioni e di tanto in tanto, quando il vento gli riporta un odore noto o una musica lontana, ne sentono la mancanza. Così aspettano le vacanze e organizzano un viaggio al paese o nella piccola città dove hanno trascorso l'infanzia o ne hanno un buon ricordo.


Treviglio

segue
#14
Varie / "Ab ovo usque ad mala"
13 Luglio 2025, 19:20:51 PM
"Ab ovo usque ad mala" (= dall'uovo fino alle mele): è un proverbio latino, allude ai pranzi degli aristocratici di epoca romana, iniziavano con le uova e terminavano con la frutta.

Il motto è citato anche da Orazio nelle "Satire" ed è stato preso in prestito per titolare la mostra: "Dall'uovo alle mele. La civiltà del cibo e i piaceri della tavola a Ercolano".

L'esposizione è a Ercolano nelle belle sale affrescate di Villa Campolieto, fino al 31 dicembre.

La rassegna invita alla scoperta delle abitudini alimentari degli antichi Ercolanesi.

L'antica Herculaneum offre testimonianze della sua vita quotidiana: pane, cereali, legumi, frutta uova, frutti di mare, ecc.. Reperti organici, seppur carbonizzati dalle ceneri vulcaniche del Vesuvio, sembrano sprigionare sapori e odori; raccontano storie di gesti domestici, di preparazioni meticolose e di momenti conviviali.

Oltre agli alimenti sono in mostra vasellame decorato, utensili da cucina, strumenti per la preparazione, la conservazione e il consumo dei cibi, altri oggetti d'uso comune e di lusso che testimoniano l'intera filiera, dalla produzione allo smaltimento.


Ercolano: Villa Campolieto
#15
Varie / Apriscatole
09 Luglio 2025, 22:10:03 PM
Apriscatole


 
Ingombrante, non ha l'interesse del cavatappi né l'allure vintage degli attrezzi casalinghi per la pasticceria.  Ma è uno strumento utile. Senza di lui la moderna alimentazione non avrebbe progredito.

Come spesso accade nella storia della tecnica, l'utensile arriva dopo l'oggetto che lo rende necessario.

Luca Cesari in un suo articolo del 29 giugno scorso, pubblicato sull'inserto domenicale  del quotidiano "Il Sole 24 Ore" informa  che i barattoli di latta furono creati alla fine del XIX secolo come risposta a un bisogno militare: rifornire gli eserciti in movimento con alimenti sicuri e conservabili.

Nel 1795 il governo francese indisse un premio per chi riusciva a prolungare la durata dei cibi.

Nicolas Appert, confettiere, inventò un metodo di sterilizzazione in vetro; meno di vent'anni dopo John Hall e Bryan Donkin adattarono il sistema ai contenitori metallici. E' iniziò la grande stagione dei prodotti conservati.

Le prime lattine erano spesse, rudimentali, per aprirle servivano martello e scalpello. Solo nel 1855 ci fu il primo brevetto per un apriscatole: a depositarlo  fu un produttore di posate, l'inglese Robert Yates, che propose un attrezzo a leva con lama da taglio fissa. Era il prototipo di una serie che si evolverà per oltre un secolo, tra sistemi a rotella, modelli a farfalla, a chiavetta, elettrici, infine incorporati direttamente nei barattoli. Strumenti apparentemente secondari, ma fondamentali nella storia dell'alimentazione industriale.

Negli anni della "guerra di Crimea" (4 ottobre 1853 – 1 febbraio 1856)  e della "guerra civile americana"  (detta anche "guerra di secessione", dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865) le conserve salvarono le vite, prevenendo malattie come lo scorbuto.

Nel 1856 Francesco Cirio avviò a Torino una delle prime fabbriche dove si lavoravano prodotti vegetali, specializzandosi poi nei pomodori pelati.

La diffusione dei barattoli con pomodori fu rapida, e il cibo in scatola  cominciò ad entrare nella vita quotidiana.

Dopo la seconda guerra mondiale ci fu la crescita dei consumi, pelati e carne lessata in gelatina diventarono protagonisti delle dispense nelle cucine, sia delle case sia delle mense.

Le conserve hanno un ruolo importante nella vita quotidiana. La lattina ormai si è  affermata come simbolo di modernità. I creativi del marketing fanno il possibile per rendere attraenti le scatolette. E pensando ai creativi come non ricordare il pittore, scultore e grafico statunitense Andy Warhol (1928 – 1987), esponente della Pop art: ritraeva  i barattoli  come fossero  nella vetrina di un negozio.

Ecco una delle 32 tele Campbell's Soup Cans"  di cm 51 x 41. Raffigurano i barattoli con  tutte le varietà della "zuppa Campbell" in quel tempo in commercio. I singoli dipinti  li realizzò con una tecnica di stampa serigrafica.


 
Dietro le quinte c'era l'apriscatole, indispensabile strumento domestico senza "prestigio", associato all'opinione di un pasto povero o di emergenza.

A differenza del cavatappi, che si esibisce tra luci e brindisi, l'apriscatole con lame e leve  lavora nell'ombra, nascosto, poco estetico, eppure indispensabile. Simboleggia un modo di cucinare pratico più che estetico.

La sua reputazione di oggetto negletto lo ha relegato al margine anche del collezionismo. Il bolognese Carlo Grandi ne ha 365,  databili dalla  metà dell'800 ai giorni nostri. Li ha donati al Museo del pomodoro, che è a Collecchio, in provincia di Parma. Sono in un'apposita sezione ed esposti al pubblico.

L'apriscatole non è solo un utensile,  testimonia il progresso tecnico. Come ogni oggetto davvero utile ha saputo trasformarsi, rimanendo fedele alla sua unica essenziale funzione.
#16
Varie / Il paesaggio della vacanza
06 Luglio 2025, 18:15:42 PM


Pablo Picasso, Due donne corrono sulla spiaggia (il dipinto è noto anche col titolo "La corsa"); pittura a "gouache" (tempera con pigmento bianco per renderlo più opaco) su compensato. Questo piccolo quadro (cm 32,5 x 41,1) fu realizzato nel 1922 ed  è conservato nel  Musée National Picasso, Palazzo Salé, Parigi.

Le due donne occupano l'intera scena. Sembra che stiano danzando. Si tengono per mano  e corrono sulla spiaggia.

A me  in questo momento evocano il paesaggio costiero, e  penso alla sua trasformazione dagli anni del cosiddetto "boom economico", quando il tempo libero e il turismo di massa cominciarono a modificare il modo di abitare e percepire le località di "villeggiatura". A questo proposito, dall'1 luglio è cominciato a Varazze,  nella costa ligure,  il festival "Abitare la vacanza. Architetture per il tempo liberato".

L'esposizione invita a riflettere sul nostro modo di abitare il tempo libero, che ruolo ha ed ha avuto l'architettura nella costruzione del paesaggio turistico e cosa significa oggi conservare o trasformare quel patrimonio edilizio.

In Liguria, in particolare, l'edilizia "selvaggia", con  insediamenti intensivi  e edifici anche di otto piani, ha devastato la costa, ma ci sono anche interessanti costruzioni realizzate su progetti di noti architetti. Capo Pino e Capo Nero  (tra Sanremo e Ospedaletti) evidenziano il tentativo di scambiare la frammentazione edilizia con l'insediamento intensivo, il cosiddetto "alveare" al posto della villa unifamiliare, per concentrare il costruito in punti isolati e ampliare il bacino di utenza.

Capo Pino, con spiaggia artificiale, piscina e servizi, è un catalogo di sperimentazioni abitative moderne, con cemento e mare  a vista, spesso additato come "ecomostro".

Torno al citato festival itinerante per dire che dall'8 al 13 luglio sarà a Ospedaletti (prov. di Imperia), poi si sposterà in varie località della Costa Azzurra. Il programma, elaborato per pubblici diversi,  prevede visite guidate, aperture straordinarie di ville e giardini, proiezioni, per supportare la comprensione e il ripensamento dell'ambiente costruito.
#17
Attualità / "Effetto san Matteo"
30 Giugno 2025, 23:34:00 PM
Dal Vangelo di Matteo: "... a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha" (25, 29).

L'effetto San Matteo, teorizzato dal sociologo Robert Merton, descrive come le persone che già godono di un vantaggio iniziale tendano ad accumulare sempre più vantaggi, mentre chi parte svantaggiato incontra difficoltà crescenti nel recuperare terreno. Questo fenomeno, chiamato anche "vantaggio cumulativo", si basa sull'idea che il successo genera altro successo,  il ricco diventa più ricco, il povero più povero, creando un divario sempre maggiore tra chi ha e chi non ha.

In sociologia l'effetto San Matteo è un processo per cui, in certe situazioni, le nuove risorse che si rendono disponibili vengono ripartite fra i partecipanti in proporzione a quanto hanno già. In inglese questo viene espresso con la frase "the rich get richer and the poor get poorer" cioè: "i ricchi si arricchiscono sempre più, i poveri si impoveriscono sempre più".

Il divario si riferisce alla disparità nella distribuzione del reddito e della ricchezza tra le persone all'interno di una società. Questo fenomeno,  evidente in ogni epoca, crea problemi per la stabilità sociale e l'uguaglianza delle opportunità.

Le cause del divario sono complesse e dipendono da molteplici fattori, tra cui la crescita economica ineguale, le politiche sociali inadeguate e gli svantaggi sociali ereditati.

La crescita economica ineguale è una delle cause più importanti del divario tra ricchi e poveri. Quando solo alcune parti della società beneficiano della crescita economica, questo può portare a un aumento delle disuguaglianze. Ad esempio, se le ricchezze sono concentrate nelle mani di pochi individui o aziende, questo può limitare le opportunità per le classi sociali più povere della società. Inoltre, può aumentare la criminalità e la tensione sociale.

Lo statunitense Cass Robert Sunstein, docente di diritto nell'Harvard Law School, nel suo libro titolato: "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo", si chiede se l'effetto San Matteo sia sufficiente per spiegare il successo di un individuo: tale teoria  funziona solo a posteriori, quando una persona è già affermata.  Ma all'inizio ? Nei casi dei pochi privilegiati cosa ha innescato la valanga che mentre scende a valle aumenta di volume ?

L'autore analizza le informazioni che raccontano il successo di artisti, letterati o studiosi. Gli inneschi sono diversi, casuali, imprevedibili.

A Venezia il recente matrimonio-spettacolo tra Jeff Bezos e Lauren Sanchez fa capire che nella vita tutto dipende da quanto si guadagna.

Tale "connubio", finto o vero che sia, quanto durerà ? Un anno, due...
#18
Riflessioni sull'Arte / "Anima gemella"
24 Giugno 2025, 17:05:12 PM

Costantin Bràncusi, Il bacio, scultura in pietra calcare, 1907 Museum of Art, Philadelphia (U.S.A.)

E' considerata la prima opera astratta del XX secolo.

L'interesse  artistico di Brâncuși era rivolto ai modelli offerti dalle sculture primitive e dalla pietra come materiale da scolpire.

L'opera si ispira alla versione del bacio realizzato dallo scultore Auguste Rodin, il quale raffigura  i due giovani amanti  uniti dall'abbraccio; i loro corpi  sono avvinghiati in un movimento a spirale. Brâncuși, invece, scolpisce le due figure l'una di fronte all'altra, e divide in due parti speculari il blocco di pietra. Le due metà della forma alludono a due figure umane, una maschile ed una femminile, unite al centro. I due amanti sono  accovacciati e abbracciati. La loro stretta unione forma un unico essere.

Le braccia che avvolgono i corpi diventano fasce orizzontali che uniscono le due metà, amplificano l'idea di un legame indissolubile. I lineamenti sono appena abbozzati, gli occhi e le labbra sembrano fondersi tra di loro.

Le forme sono ridotte all'essenziale, semplificate, fino a far diventare i due soggetti un unico blocco di pietra. Dualità nell'unità.

Per "Il bacio", Brancuși utilizzò il quadrato invece del cerchio per accentuare la dimensione statica dell'amore, fuori dalla ciclicità del tempo, diventato pietra, quindi eterno.

Realizzò alcune versioni di questa scultura, semplificando nel tempo le forme che  tendono ad una maggiore astrazione. Una sua nota versione de Il bacio decora una tomba nel cimitero di Montparnasse a Parigi.

Il  tema del bacio oltre ad Auguste Rodin evoca altri artisti, come Francesco Hayez, Gustav Klimt, Edvard Munch. Ma rimanda anche ai primi baci che abbiamo dato a chi  credevamo essere la nostra anima gemella...

Il concetto di "anima gemella" implica l'esistenza del/la partener predestinato/a per ciascuna persona. Ma è un legame indissolubile ?
#19

E' stato pubblicato l'interessante saggio titolato: "La famiglia naturale non esiste", scritto dalla sociologa della famiglia Chiara Saraceno, ex docente universitaria nell'Università di Torino.  

La Saraceno dice che la famiglia naturale è un'invenzione culturale, e spiega perché.


L'aggettivo 'naturale' è spesso utilizzato  per ostacolare le forme di unione, di amore e di filiazione che vanno al di là del dato biologico.

La famiglia è un luogo di osservazione privilegiato per raccontare i cambiamenti profondi della cultura e della società, tanto che il libro – alternando riflessioni teoriche, ricostruzione dei cambiamenti avvenuti e memoria personale di tante 'battaglie' intraprese – diventa un ritratto dell'Italia degli ultimi cinquant'anni.

La sociologa ha detto che per  famiglia naturale, o tradizionale, si intende quella formata da una coppia eterosessuale legata da matrimonio, con distinzione nei ruoli di genere e votata alla procreazione. E' un modello che non esiste, spiega l'esperta, ma che fatichiamo a "lasciar andare" perché è "come pensiamo di concepirla da sempre": una tendenza non solo italiana dovuta al fatto che "la prima dimensione che conosciamo venendo al mondo è proprio quella familiare. È al suo interno che impariamo cosa sia una relazione. Ed è per quello ci sembra 'naturale'.

Ma dire che la famiglia naturale non esiste non significa negare la legittimità di questa forma di legame umano. Significa piuttosto riconoscere che non è un modello unico né universale: la storia e l'antropologia ci mostrano infatti che le società umane hanno sempre creato una grande varietà di forme familiari, e che perfino all'interno della stessa civiltà il concetto è cambiato ripetutamente, adattandosi ai contesti e ai bisogni del momento.

Per fare un esempio, secondo Saraceno, anche l'idea che la famiglia debba basarsi sull'amore e sulla libera scelta degli individui è, in realtà, recente. Non era così fino a poco tempo fa nemmeno in Occidente, e in molte culture del mondo non lo è ancora oggi. Senza contare le profonde differenze legate al contesto sociale: la famiglia del proletariato, ad esempio, è sempre stata molto diversa da quella della nobiltà, sia nelle dinamiche che nei significati.

Dunque, dire che "la famiglia non è naturale non vuol dire che è contro natura; vuol dire che anche quella che pensiamo essere la famiglia naturale non sta nella natura, altrimenti vorrebbe dire che nella maggior parte della storia le persone si sono aggregate in famiglie contro natura".

La famiglia è un'invenzione culturale. Ma come si formano queste 'invenzioni'? "Sedimentandosi nelle pratiche, nei rapporti con le religioni e i regolamenti degli Stati, dove ci sono, e con le necessità del tempo", ha spiegato la sociologa.

Nello specifico, "ciò che definisce l'appartenenza o meno alla famiglia cambia nel tempo", sottolinea l'esperta ricordando che "per molto tempo, in modo diverso a seconda della società, ciò che ha definito i confini della famiglia è stata la filiazione: decidere di chi sono i figli, a chi appartengono. Da questa necessità in diverse società è derivata l'esigenza di controllare la fecondità femminile".

Un esempio di come sia il diritto, e dunque un dato culturale, a decidere cosa sia famiglia e cosa no, la sociologa nel suo intervento ha ricordato "un fatto che oggi sembra assurdo: in Italia fino al 1975 i figli nati fuori dal matrimonio erano illegittimi (una parola violenta: non avevano diritto a nascere)". Quindi, ha sottolineato, "non era la natura che fondava la famiglia. Si è dovuto attendere fino al 2012 per ottenere che non ci fosse più distinzione".

A dimostrare la varietà storica del concetto di famiglia, Seraceno rammenta che "l'Europa è l'unico posto al mondo in cui da molto presto è prevalsa la famiglia monogamica seriale (una sola moglie per volta). In altre parti del mondo hanno prevalso per molto tempo le famiglie poliginiche (presenti anche nella Bibbia)". Eppure "in questo spazio europeo diverse modifiche a questa norma, come la convivenza prematrimoniale o le coppie omosessuali, sono state recepite prima".

Il matrimonio sparirà?

Ma arriveremo a "sacrificare il vincolo", e dunque ad abolire il matrimonio e, in prospettiva, perfino la coppia? Per la sociologa già il termine 'sacrificio' richiama un debito che non potrà mai essere saldato, come sanno tutti coloro che si sono sentiti dire dai genitori e dai nonni che si sono sacrificati per loro. "Se qualcuno sacrifica se stesso per una relazione, la contropartita non sarà mai sufficiente. Che cosa può mai rispondere un figlio a un genitore che dice "mi sono sacrificato per te"? Dovrebbe dargli la propria vita in cambio. Anche questa è una relazione. Mi piace più l'idea che una relazione sia una responsabilità, un lavoro".

Ecco perché per Saraceno dovemmo valutare forme di relazione e legami basati sulla responsabilità, sui principi di libertà, uguaglianza e dignità personale, oltre alla cura reciproca: peraltro tutti criteri anch'essi soggetti a cambiamenti storico-sociali.

La famiglia come ambito di lavoro non remunerato.

Tra questi c'è il lavoro, perché "la famiglia c'entra, con il lavoro, moltissimo", afferma Saraceno chiarendo che non è solo una questione di come le politiche sull'occupazione impattino sulle donne e di rimando sui tassi di fecondità di un Paese, ma "innanzitutto perché la famiglia è un ambito di lavoro non remunerato" che "anche se molto spesso si concretizza sotto il velo dell'amore" non è comunque "meno lavoro".

"Di questo lavoro non solo non se ne riconosce sempre il valore, ma diventa un vincolo alla professione remunerata, soprattutto per le donne, specie in Italia, dove c'è ancora più squilibrio fra uomini e donne nel lavoro familiare (che però diminuisce se entrambi nella coppia lavorano, sebbene mai sotto la soglia del 70-30%). Non ci sono solo disuguaglianze tra uomini e donne nel mercato del lavoro, ma anche disuguaglianze tra donne quando varia il livello di istruzione o si hanno figli piccoli; disuguaglianze consistenti, di cui non si parla abbastanza".

"La famiglia è uno snodo importante. Già anni fa Massimo Paci, un sociologo economico, notava che è l'impostazione familiare a decidere chi va a lavorare e a quali condizioni. La famiglia non è solo un luogo di socializzazione, di affettività, come di violenze e di odi: è anche un'istituzione economica (e di ridistribuzione economica)", per quanto non ci faccia piacere vederla così.

Il rischio per i giovani non è l'individualismo

E il concetto di responsabilità andrebbe declinato anche sui giovani, che secondo Saraceno non sono poi così individualisti come spesso gli adulti li dipingono: "Entrano in rapporti di coppia prestissimo, sembra che non possano starne senza, e poi fanno fatica a essere autonomi al loro interno – soprattutto i maschi". Ecco allora che il rischio maggiore è legato a questa dimensione delle relazioni, che sfocia nel controllo (e in casi di femminicidio precoci), piuttosto che all'individualismo. Una ricerca di Save the Children  ricorda la sociologa, mette in luce un dato preoccupante "oltre il 30% degli adolescenti, maschi e femmine, ritiene normale geolocalizzarsi con il cellulare e controllare il telefono dell'altro. Direi che è più importante questo rischio, rispetto all'individualismo".
#20
Varie / Giacomo Casanova
06 Giugno 2025, 09:26:58 AM
A Venezia, fino al 27 luglio nel museo di Palazzo Mocenigo c'è la mostra dedicata all'immagine e all'eleganza maschile al tempo di Giacomo Casanova: scrittore, poeta, avventuriero e  diplomatico. Icona di un'epoca e di una civiltà, egli è anche chiave di lettura del Settecento europeo, delle grandi corti, delle dinastie, degli incontri con i protagonisti del mondo culturale e artistico.



La mostra di abiti del Settecento, in parte provenienti dalle  collezioni del Museo di Palazzo Mocenigo e a prestiti dal Museo Stibbert di Firenze,  consente di entrare nell'universo settecentesco di cui Casanova fu uno dei più illustri protagonisti.

La rassegna nelle sale del primo piano nobile del museo, aiuta a comprendere quanto e come l'estetica fosse un linguaggio non solo nella declinazione seduttiva, ma soprattutto nell'affermazione sociale del singolo individuo in un'epoca in cui la visibilità era l'unico mezzo per ribadire il proprio ruolo sociale ed economico.



L'esposizione evidenzia come l'abbigliamento maschile abbia subito una progressiva trasformazione: da espressione di potere a simbolo di raffinatezza, cultura e sensibilità.

La moda del tempo, che si codifica principalmente nel completo di tre pezzi (marsina, gilè e calzoni), affina e si semplifica, abbandonando le ridondanze dei secoli precedenti e anticipando l'eleganza discreta che ancora oggi caratterizza il vestire maschile.

Giacomo Casanova era un uomo colto e spregiudicato. Quando gli dicevano che il titolo nobiliare con cui si presentava (cavaliere di Seingalt) era falso, rispondeva senza vergogna: "L'alfabeto è di tutti. Ho preso otto lettere  e le ho combinate insieme. La parola che ho formato mi è piaciuta e l'ho adottata".

Il gioco d'azzardo era il vizio più diffuso nella nobiltà europea. Casanova aveva cominciato a giocare quasi adolescente: "Non avevo la forza di andarmene quando ero sfortunato". Per breve tempo pensò di trasformare quel vizio in una professione poi desistette. Non sempre barava per vincere. A volte perdeva di proposito per lusingare l'avversario.

Le sue ossessioni furono le numerose conquiste femminili. Per sedurre le "prede" usava qualsiasi mezzo, abbinava all'arte l'inganno, alla seduzione il genio per conquistare la  sfuggente voluttuosità della donna.

Per lui ogni momento della vita era un'occasione di misurarsi con la sorte: distruggeva i suoi successi, provocava i potenti, esagerava con i suoi raggiri.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Dux, in un isolato castello della Boemia, come bibliotecario di un giovane ammiratore, il conte di Waldestein. Quando tornava il conte, il castello si animava e a Giacomo sembrava di tornare ai bei tempi, ma subito i domestici provvedevano a irritarlo obbligandolo a cenare su un tavolino a parte, con la scusa che non c'era più posto. Aveva creduto di incutere soggezione alla servitù indossando la sua fastosa tenuta di gala, ma invano. Furente gridò: "Siete delle canaglie, dei giacobini, mancate di rispetto al conte e il conte mi manca di rispetto non punendovi". Poi disse a Waldestein: "Non sono un gentiluomo, ma mi sono fatto gentiluomo".

Ormai si sottraeva a un deludente presente rifugiandosi con il pensiero nello splendore del passato.

Morì a Dux (oggi Duchcov, nella Repubblica Ceca) il 4 giugno 1798.