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Discussioni - doxa

#1
Percorsi ed Esperienze / "Festival della malinconia"
02 Novembre 2025, 17:48:38 PM
Il 7 e l'8 novembre a Perugia  si svolgerà il "Festival della malinconia", nell'ambito di "Umbria green festival".

L'evento  si propone di esplorare la malinconia come esperienza interiore, un tempo sospeso, ma anche come possibile legame tra l'arte, le emozioni e il pensiero.

"La malinconia è l'aspirazione a un altrove che non abbiamo mai conosciuto": la frase è attribuita  a Charles Baudelaire. Per questo scrittore francese la malinconia non è solo tristezza, ma anche desiderio di un "altrove" irraggiungibile, è voglia di infinito e di bellezza, lontani dalla realtà, dallo "spleen"

Il sostantivo inglese"spleen" (= milza) evoca  l'antica medicina ippocratica, la quale credeva  quest'organo del corpo  la causa del nero "umore" (= bile nera), cioé della malinconia,  propria  di vari scrittori inglesi e francesi delle correnti letterarie  del Romanticismo e del Decadentismo.

Nella raccolta di poesie titolata "I fiori del male" (Les fleurs du mal) pubblicata nel 1857,  Baudelaire esplora temi come il peccato, la morte, la decadenza e la ricerca della bellezza.


autore sconosciuto: "Spleen" (malinconia), 1915
#2
Varie / "Fotografica"
01 Novembre 2025, 17:06:12 PM
A Bergamo fino al 9 novembre  si svolge il Quinto festival di fotografia, dedicato al tema: "Coraggiosi si diventa": 13 mostre dedicate, fra l'altro, alla forza d'animo, la resistenza e la dignità nelle nazioni coinvolte dalla guerra, ma anche all'emergenza climatica.

Una delle esposizioni è titolata: "Fotografica". Love you  alwais. Viaggio nell'oceano dei marinai e della fotografia".



è anonimo l'autore della foto: "Tatuaggio di Bert Grimm", Stati Uniti, 1940 circa

Laura Leonelli, curatrice del catalogo, nel suo articolo pubblicato sull'inserto domenicale del quotidiano "Il Sole 24 Ore", spiega perché ai ritratti anonimi dei naviganti si aggiunge la dimensione metaforica.

"Siamo tutti marinai, lo dicono i numeri. Siamo marinai per destino terrestre, perché il 71% del nostro pianeta è ricoperto d'acqua e nelle tenebre spaventose dello spazio risplende di un salvifico azzurro. E siamo marinai perché ormai navighiamo, felici e incoscienti, in un oceano di immagini. Le previsioni annunciano che alla fine di quest'anno avremmo prodotto quasi duemila miliardi di immagini, 94% delle quali nate da uno smartphone, e così capiamo perché la Kodak, un tempo regina del mercato delle pellicole e delle fotocamere, sia ormai sull'orlo del fallimento. Scendendo nel dettaglio, siamo marinai di questa mareggiata di follia iconografica perché ogni giorno condividiamo 14 miliardi di immagini sui social, ne produciamo 5, e per essere ancora più precisi ogni secondo partoriamo, svogliati e senza doglie, 64mila porzioni di noi, di quel che stiamo vedendo, mangiando, comprando, e raramente leggendo.

Che storia hanno i marinai nella storia della fotografia? Un rapporto simbiotico, elettivo, vitale, perché nessuno più dei marinai e di chi li ha amati, uomini e donne con eguale passione per quei corpi salmastri e sorrisi accecanti, ha confermato che fotografare, nella sua natura primordiale e profonda, è trattenere, è ricordare, è ritrovare, verbi che si nutrono di tempo, di attesa, di resistenza all'oblio. E se parliamo di resistenza, nulla ha resistito di più, coraggiosa nella sua fragilità, della fotografia anonima.

Nel saggio 'La camera chiara', di Roland Barthes, ci sono due immagini di marinai, una è il ritratto di Savorgnan de Brazza di Nadar e l'altra, titolo "Le Origini", è il ritratto familiare dello zio dell'autore, bambino in divisa marinara. Le fotografie anonime in mostra, più di un centinaio realizzate dal 1860 al 1960, tra Stati Uniti, Europa e parti dell'ex Unione Sovietica, raccontano appunto la vita doppia di una figura che ha intrecciato destini cartacei altissimi e ordinari, unendo l'Ulisse di Omero, il vecchio marinaio di Coleridge, i capitani coraggiosi di Conrad, i marinai abissali di Baudelaire, gli Achab di Melville alle vite di marinai senza nome, senza storia con la esse maiuscola, ma che, come suggeriva astutamente la Kodak in una pubblicità degli anni 40, in piena guerra mondiale, stavano scrivendo anche loro la Storia.

Come entrare nella grande "history"? Fotografando, magari con una Kodak Vest Pocket Camera, così piccola da stare nella tasca della divisa. E ognuna di queste piccole immagini, esposte alla vastità degli oceani e alla violenza dei "quaranta ruggenti", i venti che sibilano spaventosi a Capo Horn, hanno creato un immaginario vastissimo, di cinema, di moda, di danza, di fumetti, di emancipazione femminile e di liberazione sessuale oltre i generi. Per assurdo potremmo dire che la fotografia ha ricoperto le nostre vite come un manto oceanico, fino a sommergerci, anche grazie al fascino dei marinai. A cominciare dai bambini.

Il primo bambino vestito da marinaio è il principe Albert, figlio della Regina Vittoria, che nel 1846, a 5 anni, durante una crociera tra le isole della Manica a bordo del Royal Yatch, indossa la divisa bianca e azzurra della Royal Navy. L'immagine colpisce al cuore e nello stesso anno Franz Xavier Winterhalter dipinge il ritratto del piccolo marinaio.

Trent'anni dopo non c'è famiglia aristocratica e modestamente borghese che non offra ai figli maschi una divisa marinara, sperando che la maglia a righe, marinière francese o tel'njaška russa, il giubbetto blu, il solino bordato di righe bianche, il cappello sulle ventitré, trasmettano forza, onore, voglia di avventura, libertà. Per la cronaca vestiranno alla marinara bambini e futuri geni come Arturo Toscani, Marcel Proust, Ludwig Wittgenstein, Franz Kafka, Eugenio Montale, Salvador Dalí, Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Christian Dior, Federico Fellini, John Fitzgerald Kennedy, Alberto Sordi, Helmut Newton, Ingmar Bergman.

E le donne, a chi interessava la loro libertà? Solo alle donne e per questo a un certo punto le stesse donne, e in mostra sono molte, spavalde ed eleganti, cominciano a indossare la divisa marinara. Colette è la prima, seduta cavalcioni di una sedia, quindi tocca a Isabelle Eberhardt, classe 1877, scrittrice, giornalista poliglotta, arabo compreso, viaggiatrice nell'oceano di sabbia del Sahara. Scrive Isabelle: «Vestita come si conviene a una ragazza europea, non avrei mai visto nulla, non avrei avuto accesso al mondo, perché la vita esterna sembra fatta per l'uomo e non per la donna». Sul nastro di seta del berretto marinaro, che indossa la Eberhardt nel suo ritratto fotografico, si legge a lettere d'oro il nome della nave, Vengeur, il Vendicatore, identico a quello della barca su cui un giorno viaggerà Georges Querelle.

Anche Jerome Robbins e Gene Kelly avevano voluto vendicarsi di un secolo di principi e contadini russi, e ispirandosi alla camminata seducente dei marinai, sbarcati sui marciapiedi di New York, avevano creato un nuovo lessico, una nuova scioltezza vernacolare, tra energia fisica, elasticità e sprezzatura virile, che da allora ha plasmato la danza americana. Basta rivedersi Fancy Free, il primo balletto di Robbins creato nel 1944 per l'American Ballet Theatre, o una delle travolgenti sequenze del film Anchors Aweight, protagonista Gene Kelly in divisa candida da marinaio, uscito nello stesso anno.

Dieci anni prima, nel cortometraggio 'La gallinella saggia', aveva esordito Donald Duck, che essendo un'anatra, creatura acquatica, vestiva giubba e cappello marinari. Nella pruderie disneyana non sappiamo se Paperino avesse tatuato sulle piume più nascoste l'immagine di un'àncora, come Popeye sugli avambracci, o di un veliero a tre alberi come il marinaio in copertina al catalogo, capolavoro di un maestro dell'Old American School del tattoo come Bert Grimm.

Certo è che l'onda classicamente blu del tatuaggio, oggi su moltissimi corpi, nasconde una realtà più profonda. E se la pelle, superficie fotosensibile del nostro corpo, dunque naturalmente "fotografica", fosse il nostro nuovo, irrinunciabile album dei ricordi, delle date, delle promesse, delle speranze, delle amicizie, degli amori? A differenza del cellulare, sulla pelle tutto resta".
#3
Offro alla vostra lettura alcune notizie riguardanti il complesso monastico  romano dedicato ai "Santi Quattro Coronati": questo appellativo si riferisce alla corona del martirio.

I "Santi Quattro" non erano soltanto quattro. Il nome fa riferimento a due gruppi di martiri, le cui agiografie furono "arricchite" di particolari fantasiosi per fini edificanti.

Il primo gruppo  è costituito non da quattro ma da cinque martiri cristiani: Castorio, Claudio, Semproniano, Nicostrato e Simplicio, tutti scalpellini, detti anche marmorari, che lavorano in una cava di marmo nella Pannonia di epoca romana. Quando fu chiesto loro di scolpire una statua dedicata al dio Esculapio, i cinque uomini rifiutarono e vennero uccisi.

Il secondo gruppo di martiri è formato da quattro anonimi soldati romani, cristiani, che non vollero fare offerte alla statua del dio Esculapio nel tempio a lui dedicato  a Roma nelle Terme di Traiano, ubicate sul Colle Oppio.

Secoli dopo, papa Leone IV (pontificò dall'847 all'855) fece cercare i resti di quei due gruppi di uomini e li fece collocare nella cripta della basilica detta dei "Santi Quattro Coronati", così narra la leggenda, per chi vuol crederci. 

Il fortificato complesso architettonico religioso a loro  dedicato, è costituito dalla basilica e da altri spazi sacri e residenziali (cripta, cortili, monastero, ex palazzo cardinalizio).


facciata esterna del complesso religioso dedicato ai "Santi Quattro Coronati"

Dal IV secolo d. C. esso  occupa l'area dove  in precedenza  c'era una domus aristocratica di epoca tardoantica, adiacente l'antica via Tuscolana, che cominciava dalla valle del Colosseo e fiancheggiava il "Ludus Magnus".


ricostruzione ideale del ludus magnus, sullo sfondo il Colosseo

La via Tuscolana usciva dalle Mura Serviane dalla "Porta Querquetulana", ubicata  nell'attuale confluenza tra via dei Santi Quattro e via di Santo Stefano Rotondo, nell'area dell'ospedale San Giovanni.

Perché "Querquetulana" ?  Il colle Celio (uno dei cosiddetti sette colli di Roma, ma sono di più) era originariamente chiamato "Mons Querquetulanus (=  querceto o bosco di querce). Il nome "Celio", deriva dalla tradizione che lo collega  a Celio Vibenna, un condottiero etrusco che abitò e contribuì a conquistare la zona durante il regno di Tarquinio Prisco.

Torno alla via Tuscolana.

Dopo Porta Querquetulana il tracciato proseguiva verso le Mura Aureliane, fatte costruire dall'imperatore Aureliano tra il 270 e il 273 per la difesa dell'Urbe.

La strada attraversava la "Porta Asinaria".

Sebbene gli studiosi non siano d'accordo sull'epoca di trasformazione della porta da semplice apertura ad accesso monumentale, concordano invece sul fatto che l'intera area compresa tra la  Porta Metronia e l'attuale Porta Maggiore non era sufficientemente sicura per la difesa dell'Urbe, perciò furono edificate le torri cilindriche ai lati del fornice, alte circa 20 metri, ancora conservate, e si provvide al rivestimento in travertino tuttora visibile sul lato esterno e all'apertura delle finestre per le baliste.


Porta Asinaria – facciata esterna

E' la sola, tra le porte antiche di Roma, ad avere contemporaneamente torri cilindriche affiancate da precedenti torri quadrangolari e questo conferma che era in origine un'apertura di scarsa importanza, posta al centro di due delle torri a base quadrata che componevano la normale architettura delle mura difensive. Una struttura così poderosa ne faceva, di fatto, una fortezza.

Questa porta deve il suo nome all'antica via Asinaria, precedente alla stessa cinta muraria, che l'attraversava confluendo nella via Tuscolana, che proseguiva verso Tusculum  (l'attuale Tuscolo, sull'omonimo monte (670 metri s.l.m.).

In epoca repubblicana ed imperiale nell'ager Tusculanus furono costruite numerose ville suburbane, tra le quali quella di Marco Tullio Cicerone, che nel 45 a. C. circa scrisse le "Tusculanae disputationes", opera filosofica in cinque libri per divulgare  la filosofia stoica. Cicerone affermava di averle elaborate nella sua villa di Tusculum.


Antico teatro di Tusculum

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#4
Scienza e Tecnologia / "Evolutio"
21 Ottobre 2025, 11:42:11 AM
Nella lingua latina il termine evolutio deriva da evolvere: parola composta, formata da "ex" (= fuori) + "volvere": indica l'atto di srotolare un papiro contenente un testo da leggere. 

Da "evolutio" deriva "evoluzione".

"Evolutio" è anche il  titolo della mostra romana nel Museo dell'Ara Pacis, fino al 9 novembre, dedicata al ruolo delle infrastrutture nel progresso socioeconomico dell'Italia: 120 anni di strade, ponti, dighe, metropolitane ed edifici. Fino al Ponte di Messina.

Cliccare sul link

webuild.evolutio.museum

La  società Webuild deriva dall'italiana "impregilo", famosa azienda per le grandi infrastrutture in tutto il mondo. 
1960: le società Impresit, Girola e Lodigiani crearono la "Impregilo".

2014: la fusione per incorporazione di Salini S.p.A. in Impregilo S.p.A.  crea il gruppo Salini Impregilo".
2020: Il gruppo Salini Impregilo cambia nome in Webuild, per sottolineare la strategia di crescita e l'ancoraggio al verbo "costruire" ("build").

Ha all'attivo 3.700 grandi opere realizzate nel mondo dall'inizio del XX secolo, per questa ragione è considerato leader mondiale nella realizzazione di grandi infrastrutture complesse (ora è impegnato in 150 progetti in 50 Paesi del mondo con 95 mila persone al lavoro). La mole di realizzazioni ha prodotto un archivio storico multimediale di 1,5 milioni tra foto e video, la base per il racconto della mostra.

È di fatto la storia economica e sociale dell'Italia rivista accanto alla realizzazione delle grandi opere e delle infrastrutture, cioè gli strumenti e i servizi che caratterizzano la contemporaneità.

Il percorso  della mostra propone aree tematiche: energia, acqua, trasporti, edilizia urbana, tecniche costruttive. Ci si muove seguendo il filo dei decenni: lo sviluppo energetico (dal 1930, con il valore fondamentale dell'elettricità), la crescita del sistema idrico (dal 1940, con un focus sulle dighe), le metropolitane (dal 1950), lo sviluppo delle metropoli (edifici civili, culturali, sportivi e ospedali dal 1960), la rivoluzione dei trasporti tra autostrade, alta velocità e ponti (dal 1970) e il lavoro, com'era ieri e come è oggi, puntando i riflettori sui  lavoratori.

Alcuni apparati di edutainment permettono ai visitatori di immergersi in tante diverse realtà. Per esempio ci si può sedere nella cabina di comando di una escavatrice e cominciare uno scavo. Oppure si può impugnare una lampada del tempo che cancella gli antichi treni a vapore e riporta l'Alta Velocità, oppure fa sparire le lavandaie impegnate nei fiumi e lascia apparire le lavatrici di oggi. In un corridoio improvvisamente ci si ritrova a bordo di una modernissima metropolitana, in un altro ambiente il visitatore è al centro di uno dei grandi tunnel del Novecento, per esempio il Gran Sasso.

La mostra fa riemergere tappe importanti del passato e forse sconosciute alle generazioni di oggi, come il ciclopico spostamento dal 1964 al 1968 dei Templi di Abu Simbel in Egitto (di cui l'Italia fu protagonista con Impregilo) per la costruzione della diga di Assuan che assicurò elettricità a milioni di cittadini egiziani e all'industria di quel Paese. Il complesso voluto da Ramses II nel XIII secolo a. C. venne spostato di 280 metri e alzato di 65 su una collina artificiale, ogni pezzo segato artigianalmente a mano per consentire il lavoro delle più avanzate soluzioni ingegneristiche, permettendo di mantenere intatto l'asse con gli astri e il sole, quindi l'orientamento originario.
#5
Ultimo libro letto / L'importanza di non piacere
15 Ottobre 2025, 16:06:43 PM
Il titolo del topic è anche il titolo di un libro dello scrittore  e psicologo Thomas Leoncini, autore poco conosciuto.
Sottotitolo: "Liberarsi dalle aspettative altrui e trasformare la fragilità in salvezza".

Leoncini dice che molte persone per non sentirsi escluse, per  timore del giudizio degli altri su di loro cercano di  essere gradite da tutti.  Invece, secondo l'autore,  è sbagliato.  L'individuo deve essere sé stesso, deve liberarsi dalla dipendenza verso gli altri. 

Non bisogna  vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi e ci rende infelici  ma  fare ciò che si vuole, senza danneggiare nessuno.

Ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene lo troviamo soltanto in noi. E chi ci accetterà per ciò che siamo potrà camminare al nostro fianco.

Un aforisma attribuito allo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung dice che  "Chiunque cerchi di adattarsi al gruppo e nello stesso tempo seguire il suo fine individuale, diventa nevrotico. L'incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c'è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati".

Infatti nella vita tutti abbiamo incontrato persone che ci hanno intimamente lasciato una traccia indelebile, non soltanto coloro che da quell'incontro sono usciti innamorati l'uno dell'altra, ma anche come amico o nemico. Dagli incontri significativi non si esce indenni ma con una scia nell'anima.

#6
Varie / Violenza
13 Ottobre 2025, 09:56:43 AM
Dicono che il piccione sia un animale crudele. Quando "duella" con un altro piccione si avventa su di lui finché non muore.

Piccione e colombo appartengono alla stessa specie, ma hanno colorazioni, carattere e habitat differenti.
Vengono detti colombi quelli domestici, piccioni quelli selvatici o urbani.

La differenza tra i colombi e i piccioni è nel colore del loro manto.

Generalmente il piccione ha un manto colorato dai colori dalle tonalità sul grigio con macchie e striature di colori differenti. Invece i colombi hanno il manto bianco perciò fin dall'antichità la colomba è scelta come simbolo  sia di pace sia religioso, rappresenta la spiritualità.

La colomba è divenuta l'emblema della pace sulla scia del racconto biblico del diluvio. Quando le acque si ritirarono, essa tornò nell'arca di Noè, "reggendo nel becco una tenera foglia d'ulivo" (Genesi 8, 11).

Ma anche  nell'apparente mitezza della colomba c'è l'oscura pulsione aggressiva istintiva. Ogni animale rimane nella sua specie e nel suo comportamento. Invece l'umano usa il dono della libertà per travalicare il confine e  diventare  feroce.

La cronaca giornalmente ci informa che persone apparentemente "normali" diventano belve umane.  Il dominio di sé è un esercizio severo, soprattutto contro il veleno dell'odio.

La cosiddetta "guerra delle due rose" (nota in inglese come Wars of the Roses) fu una sanguinosa lotta dinastica combattuta in Inghilterra tra il 1455 e il 1485 (1487 per una parte della storiografia inglese) tra due diversi rami della casa regnante dei  Plantageneti: i Lancaster e gli York.

La guerra provocò l'estinzione delle linee maschili di entrambi i casati e si concluse con l'affermazione di una nuova dinastia, i  Tudor, di ascendenza lancasteriana, ma in cui confluivano anche gli York, tramite il matrimonio della loro ultima rappresentante, la principessa Elisabetta, con il nuovo re, Enrico VII Tudor.

William Shakespeare  nel dramma teatrale "Riccardo III" (The Life and Death of King Richard III, Vita e morte di re Riccardo III) quando al re viene rimproverata la sua crudeltà,  egli cinicamente risponde: "anche le bestie hanno pietà, ma io non sono una bestia e quindi non la provo". Il paradosso, volutamente feroce, rovescia l'argomento morale e mostra la sua disumanità.

Il dramma ha inizio col famoso elogio che Riccardo tributa al fratello maggiore, Edoardo IV,  appena divenuto re d'Inghilterra.

"Ormai l'inverno del nostro scontento /
s'è fatto estate radiosa ai raggi di questo sole di York".


In realtà dalle parole di Riccardo emerge l'invidia nei confronti di Edoardo, aitante e giusto; Riccardo descrive invece sé stesso come

"plasmato da rozzi stampi" e "deforme, monco", privo della minima attrattiva per "far lo sdilinquito bellimbusto davanti all'ancheggiar d'una ninfa".

Egli risponde all'angoscia della sua condizione affermando la sua volontà:

"Ho deciso di fare il delinquente e odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età".
#7
Percorsi ed Esperienze / Significato della vita
12 Ottobre 2025, 12:32:41 PM

Ronald Gower, Amleto, 1888. La statua in bronzo è al  William Shakespeare Memorial, Bancroft Gardens di Stratford Upon Avon, Warwickshire,  Regno Unito.
Amleto , contempla lo scheletro di un cranio e s'interroga sul significato  della vita.

Nella filosofia, psicologia, letteratura e poesia la domanda sul senso della vita è un tema ricorrente.

A proposito di questa, ho rinvenuto tra le mie carte sparse un  vecchio articolo del 9 – 8 – 2020 pubblicato sull'inserto settimanale "Domenica" del "Il Sole 24 Ore e scritto dal prof. Vittorio Pelligra, docente di politica economica e comportamentale nell'Università di Cagliari.

Pelligra si chiede "In che modo tentare di cogliere il significato della propria esistenza ?
'Dare un senso' (= significato)  vuol dire raccontare la propria storia, evidenziare  la trama della nostra vita, i suoi protagonisti principali e i comprimari, gli antefatti, le svolte, i colpi di scena.

Se qualcuno ci chiedesse di descriverci e come le esperienze che abbiamo vissuto ci hanno reso ciò che siamo o ciò che crediamo di essere.

La risposta alla domanda 'chi sono io?' non può che essere data in forma di narrazione, di un racconto capace di integrare nella sua struttura ciò che pensiamo ci definisca in maniera univoca: i nostri valori, le nostre capacità, la nostra storia passata, i nostri successi, gli sbagli, le giustificazioni, e poi il presente e ciò che ci aspettiamo e desideriamo per il futuro, nostro e delle persone a cui teniamo di più.

Una storia ben raccontata è capace di mettere ordine nella caotica confusione della vita, del nostro microcosmo.

Lo studio della personalità  è  capire che ciò che siamo dipende da ciò che ci raccontiamo di essere. Il nostro sviluppo e la nostra crescita individuale dipendono in maniera cruciale da questo continuo gioco di rimandi tra la realtà e il modo in cui rappresentiamo tale realtà, modo che, a sua volta, plasma e determina quella stessa realtà, per il semplice fatto di descriverla. Questo processo di costruzione di significato (sense-making) che raccontiamo risponde ad uno dei bisogni dell'essere umano: la comprensione del proprio io. E, per rispondere in maniera adeguata a questo bisogno, il racconto della nostra storia deve condurci a soddisfare alcuni bisogni specifici che, insieme, danno struttura e forma al racconto.

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#8
Cinema, Serie TV e Teatro / Mephisto
05 Ottobre 2025, 18:58:47 PM
Mephisto, detto anche Mephistophilus o  Mephistopheles, è un diavolo presente anche nella cultura folcloristica tedesca. 

Mephisto è  il nome con cui viene chiamato il demonio nel mito di Faust.

Il Dottor Faust o Dottor Faustus, è il protagonista di un racconto popolare tedesco.  E' un alchimista, impegnato nella ricerca di conoscenze avanzate o proibite. Egli invoca il diavolo, rappresentato da Mefistofele, che si offre di servirlo per un periodo di tempo, 24 anni. Gli consentirà la conoscenza assoluta ma  in cambio vuole la sua anima.

"Sua eccellenza" il diavolo Mephisto viene considerato dallo scrittore, regista e attore tedesco naturalizzato statunitense Ernst Lubitsch (1892 – 1947) nel film  da lui diretto "Heaven can wait" (= Il cielo può attendere) del 1943, un addetto alla reception degli Inferi, come San Pietro lo è alla porta del Paradiso.

Questo film è basato  sulla commedia teatrale "Birthday",  di Leslie Bush-Fekete. Narra, con ironia, il racconto di tutta la vita di un impenitente "dongiovanni" che si trova, dopo morto e alle soglie dell'Inferno, a sottoporre la sua vita al giudizio dell'aldilà.

Da Internet la trama: Un uomo anziano, di nome Henry Van Cleve, giunge all'ingresso dell'inferno, dove è ricevuto personalmente da Sua Eccellenza Mephistopheles.

L'uomo è convinto che quello sia il luogo destinato al suo aldilà, ma il padrone di casa, prima di farlo entrare, preferisce ascoltare direttamente da lui le ragioni di questo convincimento.

Comincia così, in flashback  il racconto di tutta la vita di Henry Van Cleve, dalla culla fino ai 70 anni. Henry nasce nel 1872 da una ricchissima famiglia di New York.  Figlio unico e un po' viziato, vive della rivalità con il cugino Albert, di poco più grande di lui e perfetto in tutto, e cresce sotto l'ala protettrice del nonno Hugo, caratterialmente molto più simile a lui di quanto non lo siano i genitori.

Sempre in cerca di avventure amorose, all'età di 26 anni sembra voler "mettere la testa a posto" quando si innamora di una ragazza conosciuta incidentalmente per strada, ma che lo ha colpito come nessuna prima, e non solo per la bellezza.
Segue la ragazza in libreria, dove si finge commesso per poterla corteggiare e le sconsiglia di acquistare il libro che lei voleva comprare: "How to make your husband happy".

Al ricevimento per il suo compleanno scopre che la ragazza sconosciuta è Martha Strable, la figlia del magnate della carne bovina statunitense, giunta lì con i genitori per presentarsi ufficialmente ai Van Cleve in vista del prossimo matrimonio con il cugino Albert.

Henry, sicuro del fatto suo, appartatosi con Martha le chiede se lei ami suo cugino o lui. Avuta la risposta che attendeva fuggono per sposarsi,  destando un enorme scandalo che determina anche la rottura definitiva dei rapporti tra gli Strables e la loro figlia.



Dieci anni più tardi la coppia ha avuto un figlio e Martha, seppure amata, è stufa degli atteggiamenti di Henry che non ha mai smesso di corteggiare altre donne, e così torna a casa dai suoi. Questi, dopo tanto tempo, la riaccolgono a braccia aperte, convinti anche di aver avuto sempre ragione sull'errore fatto dalla figlia. Questa invece, raggiunta dal marito e dal vecchio nonno che ha architettato tutto, si riconcilia con Henry e fugge una seconda volta con lui.

Quindici anni più tardi Henry si preoccupa per le continue sbandate del figlio che corre dietro a soubrette e ballerine di teatro, e Martha gli fa notare quanto questo sia inutile, e quanto in fondo il figlio non faccia nulla di diverso da quanto abbia fatto lui da giovane.

Poco dopo l'amata Martha muore ed Henry, seppure afflitto, non abbandona la sua vita da dongiovanni; il figlio però lo spinge a mettere la testa a posto. A 70 anni, a letto e malato, una notte, assistito da una bellissima infermiera, Henry muore senza ben capire se l'ultima immagine della sua vita sia stato un sogno o reale.

Ascoltato il racconto della vita di Henry Van Cleve, "sua eccellenza" Mephisto non ritiene di dover ospitarlo "giù", ma anzi lo indirizza verso i piani superiori dove forse dovrà fare un po' di anticamera in Purgatorio, e dove potranno intercedere per lui le tante persone che lì si trovano, che lui ha amato e che non l'hanno dimenticato, soprattutto le tante donne che lui ha corteggiato tutta la vita, non ultima l'amata Martha.

Nell'ultima sequenza (censurata) della versione originale, Henry, entrato in ascensore, si imbatte in una bella signora che si deve fermare in Purgatorio, e la segue (da cui il titolo originale "Heaven Can Wait", cioè "Il Paradiso può aspettare").

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#9
Riflessioni sull'Arte / Magna Mater - Cibele
17 Settembre 2025, 13:11:52 PM
Il forum langue, allora vi offro un argomento come lettura. :asd:

A Roma, fino al 5 novembre 2025, il Parco archeologico del Colosseo ospita la mostra Magna Mater tra Roma e Zama, un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale tra Italia e Tunisia.

Zama, antica località della Numidia, nell'attuale Tunisia, famosa  per la battaglia decisiva della Seconda guerra punica (202 a.C.) tra Cartagine e Roma.

La mostra è articolata  in sei sedi tra Foro romano e Palatino.

La Magna Mater (la Grande Madre) antica divinità dalle molteplici identità, venerata in Anatolia, Grecia e Roma.

L'esposizione ne ripercorre origini e trasformazioni, dal culto frigio all'adozione di quel culto a Roma nel 204 a.C., quando – secondo il responso dei Libri Sibillini – la sua immagine aniconica fu trasferita da Pessinunte (antica città  dell'Anatolia, in Turchia) a Roma, in un tempio a lei dedicato.

La mostra racconta le origini del culto, la sua diffusione nel mondo greco e romano e in tutto il Mediterraneo antico.


Resti dell'antico tempio dedicato alla Magna Mater-Cibele sul colle Palatino a Roma



statua acefala della Magna Mater, rinvenuta nel 1872 alla sommità della gradinata del tempio a lei dedicato sul colle Palatino.

Nella residuale facciata di quel che fu il tempio c'è iscrizione: M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

In questo sito la mostra accoglie la memoria dell'evento che ha segnato la romanizzazione della dea: il trasferimento della pietra nera, aniconica, da Pessinunte, nella Frigia, a Roma



L'allestimento di una parte della mostra  in quel che era il Tempio di Romolo. Sono esposti reperti di notevole interesse storico e qualitativo che testimoniano il culto della Magna Mater nel Nord Africa. Furono rinvenuti in campagne di scavi archeologici a Zama, oggi Henchir Jama (Tunisia), dove si svolse la celebre battaglia che concluse la seconda guerra punica.


La Curia Iulia amplia la prospettiva alle province dell'Impero romano: dall'Egitto alle Gallie, dalla Tracia alla Britannia, con la diffusione  dei culti di Magna Mater associati a quelli per Attis, e la successiva trasformazione del culto in epoca tardoantica.

Nel colle Palatino, alle Uccelliere Farnesiane, i visitatori possono esplorare le radici orientali della dea e la loro trasmissione nel mondo greco ed ellenistico, con un focus particolare sul carattere misterico del culto, il  mito di Attis, giovane pastore che si evirò per amore e divenne simbolo di rinascita vegetativa.
L'autoimmolazione di Attis non è sacrificio fine a sé stesso, ma rito di passaggio, la simbolizzazione mitica del ciclo vegetale, ma anche della trascendenza del principio maschile nell'unità originaria del femminile sacro.

In quel che rimane del Tempio della Magna Mater c'è sezione dedicata all'introduzione del culto a Roma durante la Seconda guerra punica, che mette in evidenza i significati politici e storici dell'evento.

Nel Ninfeo della Pioggia il culto viene considerato nella sua dimensione sonora e cinetica. I tamburi (tympana), le urla rituali, i suoni fanno  idealmente rivivere la forza performativa del rito. Qui l'archeologia si apre all'esperienza sensoriale, riconoscendo che il sacro antico non era mai solo oggetto, ma esperienza vissuta, trasformativa, corporale. Non si adorava con lo sguardo, ma anche con il corpo e con l'intera coscienza.

Infine l'ultima sezione, al Museo del Foro Romano, la mostra si chiude con una selezione di opere d'arte che illustrano la fortuna iconografica, letteraria e filosofica della dea tra Rinascimento e Seicento. La figura della Magna Mater viene riletta in chiave allegorica, talvolta demonizzata, più spesso celata dietro simboli della regalità celeste.

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#10
Riflessioni sull'Arte / Nemesis
10 Settembre 2025, 17:55:55 PM
Nell'arte  la dea Nemesi è di solito rappresentata come una donna alata, con o senza corona di alloro,  in una mano la spada nell'altra la clessidra: simboli di giustizia al di sopra delle parti.


Alfred Rethel, Nemesis alata, olio su tela, 1837, Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo

Nel dipinto, in basso sulla destra, si vede un corpo che giace a terra, l'assassino fugge, l'alata Nemesi lo insegue per vendicare il delitto. Nella mano destra ha la spada, con la mano sinistra regge la clessidra che simboleggia l'inevitabilità della punizione.

Una interessante raffigurazione della Nemesi è questa, realizzata da Albrecht Dürer,


Albrecht Dürer, Nemesis, incisione, 1502 circa,  Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe, Germania

Per questo disegno Dürer fu ispirato dal poema in lingua latina "Manto", scritto dal poeta e filologo  Agnolo (Angelo) Ambrogini, detto Poliziano, dal nome latino del paese d'origine, Mons Politianus (= Montepulciano, in provincia di Siena).

La mitologia greca narra che l'indovina tebana Manto era figlia del veggente Tiresia, il quale, secondo l'Odissea, fu consultato da Odisseo (= Ulisse) per avere come responso la strada del ritorno ad Itaca.  Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali.

Nemesi, dea della giustizia vendicatrice o distributiva: distribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto, fortuna o sfortuna. Nell'incisione di Dürer è una figura femminile possente, nuda e alata, poggia i piedi sul globo.  Sembra che sorrida. Nella mano sinistra ha le briglie, con le quali governa il destino dell'umanità, con la mano destra regge il calice, chiuso dal coperchio, simbolicamente indica la protezione.

Nemesi è  separata dalla sottostante vallata con abitazioni


particolare della zona inferiore

Nemesis incombe sul villaggio quasi deserto: c'è una figura sul ponte di sinistra, un'altra nei pressi della catasta di legno sulla destra, ed ancora un'altra sulla stradina, ma nessuno di loro sembra accorgersi della presenza della dea. O forse  gli altri  si sono accorti e si sono rifugiati in casa per timore della giustizia vendicativa.

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#11
Storia / Il trono e il potere dell'intronato
08 Settembre 2025, 19:44:23 PM
La corona e lo scettro sono simbolicamente importanti,  ma è il trono l'espressione migliore del potere dei monarchi.

Il nome "trono" ha una lunga storia: deriva dall'antico greco "thrònos", passato nella lingua latina nella forma "thronus", col significato di "ciò che sostiene": "seggio", in modo più comprensibile: seggiola", :D spesso collocata su una pedana lignea preceduta da gradini.


Napoli, Palazzo reale, Sala del trono, ornata con stucchi  dorati al soffitto.

Su questo trono sedettero re Ferdinando II  e Francesco II di Borbone, gli ultimi sovrani delle "Due Sicilie".  Fu realizzato negli anni '40 del XIX secolo. E' sovrastato da un baldacchino settecentesco di velluto rosso.



Due leoni lignei  decorano i braccioli: uno per parte. Idem nel trono della Reggia di Caserta.

Leoni lignei sono rappresentati  anche nei troni dei Savoia nei palazzi reali di Torino e Genova, ma non in quello che portarono a Roma,  nel Palazzo del Quirinale, per farne il "trono d'Italia".

Gruppi di leoni con aspetto difensivo e minaccioso circondano i bellissimi troni del re di Spagna e del re di Danimarca, realizzati nel '700.

L'antica usanza di ornare il trono con figure leonine  forse deriva  dalla descrizione biblica del trono del re Salomone: due leoni per lato e due su ogni gradino.



Il nome ebreo Salomone significa pace. Secondo l'Antico Testamento, il primo libro dei Re, Salomone regnò per 40 anni, dal 970 a. C. al 930  a. C. e fu il terzo sovrano di Israele, successore e figlio di Davide. Fu l'ultimo re del regno unificato di Giuda e Israele.

Adesso voliamo con la fantasia a molti secoli dopo, nel 1650 circa,  per la regina Cristina di Svezia fu realizzato un trono d'argento, ancor oggi usato dal re di Svezia.

In Francia, il re Luigi XIV riprese l'idea di Cristina facendone realizzare per Versailles uno ancora più ricco,  circondato con statue argentee. Durò poco. Dopo dieci anni fece fondere tutto, per pagare le armi di una delle sue guerre.

Rimango in Francia per dire che Napoleone I Bonaparte, quando divenne imperatore, decise di sedersi sul trono che, secondo la tradizione, sarebbe appartenuto al medievale re franco Dagoberto I (610 circa – 639) della dinastia dei Merovingi. Conservato per secoli a Saint Denis (vicino Parigi) nell'omonima basilica gotica,  Napoleone decise di sedersi su quel trono per concedere le prime decorazioni della "Legion d'Onore".  In tal modo egli intendeva stabilire un legame ideale fra sé e la più antica regalità francese. Ma le cose non andarono bene. Infatti si racconta che  poco dopo essersi seduto un pezzo della sedia si ruppe.

Da non dimenticare è il  trono nel simbolismo religioso.  La Madonna è di solito rappresentata assisa in trono.
#12
Cinema, Serie TV e Teatro / Fabulae
31 Agosto 2025, 07:07:35 AM
Diversi animali ricevono la dignità letteraria, ma pochi hanno la notorietà come soggetti di romanzi. E' il caso della piovra, questo nome deriva da pieuvre, forma dialettale normanna che discende dal latino pōlypus (= polpo).

Piovra  è sinonimo di polpo, invece il polipo, è un animale marino diverso dal polpo.

La piovra viene immaginata come un polpo gigante, che lo scrittore francese Victor Hugo inserisce nel romanzo "Lavoratori del mare, del 1866.

La piovra ha ispirato anche un altro scrittore francese, Jules Verne, per il suo romanzo di fantascienza "Ventimila leghe sotto i mari". L'autore  immagina i protagonisti  a bordo del sottomarino "Nautilus", comandato dal capitano Nemo. Cercano il misterioso mostro marino, la piovra di grandi dimensioni, astuta e subdola,  che affonda le navi incontrate nel suo percorso.

Un altro fantastico mostro marino fu "Moby Dick, la balena bianca", in realtà un capodoglio.
Lo scrittore statunitense Herman Melville nel 1851 pubblicò il famoso romanzo d'avventura "Moby Dick".

A raccontarci la storia è Ismaele, alter ego dello scrittore e uno dei protagonisti a bordo di una baleniera, la  "Pequod",  comandata dal capitano Achab; la nave viene utilizzata per la caccia alle balene e ai capodogli, in particolare all'enorme "balena bianca".

Achab è ossessionato dalla vendetta contro Moby Dick, perché in una precedente caccia, gli aveva strappato una gamba.

C'è l'incontro e lo scontro fatale che fa inabissare la nave con l'equipaggio.

I ricordi  di Ismaele sono intervallati da  riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, rendendo l'ultimo viaggio della nave un'allegoria e  un'epopea epica.


Bello anche  il film  "Moby Dick", del 1956, diretto dal regista John Huston e interpretato da Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab, e Orson Welles nel ruolo di Padre Mapple.


L'attore Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab





Due avvenimenti reali costituirono la genesi del racconto di Melville. Uno fu l'affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo che venne urtata da un enorme capodoglio a 3200 km dalla costa orientale del Sud America.
Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, scrisse l'avvenimento nel suo libro del 1821: "Narrazione del naufragio della baleniera Essex", di Nantucket,  che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell'Oceano Pacifico.

L'altro evento fu la presunta uccisione nel 1830  circa del capodoglio albino Mocha Dick al largo dell'isola cilena di Mocha. Si narra che Mocha Dick avesse  più di 20 ramponi nel dorso, conficcati da altri balenieri, perciò sembrava attaccare le navi con ferocia premeditata.

Una delle sue battaglie con una baleniera servì come soggetto per un articolo dell'esploratore Jeremiah N. Reynolds nel maggio del 1839 apparso sul The Knickerbocker.
#13
Riflessioni sull'Arte / Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 11:26:00 AM
Nel mondo antico si viveva circondati dai personaggi del mito: rappresentati all'interno delle case in articolate composizioni parietali o sulle gemme che impreziosivano i gioielli, o ancora sulle casse dei sarcofagi o all'interno delle tombe.

Le numerose leggende che circolavano in età romana  furono in parte raccolte nelle "Metamorphosĕon" (=Metamorfosi), poema epico-mitologico di Ovidio.

Il fenomeno della metamorfosi è interessante, nel nostro tempo lo chiamiamo anche "gender fluidity", al quale dedicherò il prossimo post.

Adesso vi propongo  questo dipinto


Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, tempera su tavola,  1480 – 1485 circa, Gallerie degli Uffizi, Firenze.

"Pallade", epiteto di Atena:  l'appellativo deriverebbe dal nome di una ninfa chiamata  Pallade, una compagna di giochi della giovane Atena, che la uccise per errore mentre simulavano un combattimento. Atena prese quindi il nome di Pallade in segno di lutto per dimostrare il suo rimorso.

Ed ora un  po' d'iconografia.

Questo quadro ha come sfondo un paesaggio lacustre.

Atena, patrona di Atene (per la mitologia romana, Minerva) è  raffigurata come una giovane donna, in piedi,  con la lunga capigliatura  di colore ramato; sul capo ha una corona formata con rametti di ulivo, serti di ulivo (simbolo di pace),  sono anche sparsi  sul suo abito trasparente.  Ci sono pure  ricami che raffigurano  anelli intrecciati, ognuno con diamante  e con il motto "Deo amante" ("A dio devoto"), ma non visibile. 

La dea,  con il braccio e  la mano sinistra regge un'alabarda, con la mano destra  trattiene per i capelli un centauro arciere, con arco e faretra, metà uomo (dalla vita in su) e metà cavallo (dalle anche in giù). 

I centauri  simboleggiano la dualità umana: razionale e irrazionale, ragione e istinto, perciò questo dipinto di Botticelli è da intendersi come un'allegoria della virtù che frena l'impeto. 

La scena  complessiva potrebbe essere considerata come l'Allegoria della Ragione, di cui è simbolo la dea che vince sull'istintualità raffigurata dal centauro.

I colori tersi e contrastanti, accentuano i gesti e le torsioni delle figure.
#14
Varie / Milano, piazza Duca d'Aosta
18 Agosto 2025, 16:44:36 PM
 

Milano, piazza Duca d'Aosta, grattacielo Pirelli, foto di Uliano Lucas, 1968. Ritrae un emigrante meridionale appena arrivato a Milano. Con la mano sinistra porta la valigia (con dentro il vestiario ?), invece sulla spalla destra regge col braccio e la mano  lo scatolone di cartone. Immagino che dentro ci sia del cibo prodotto nella sua zona d'origine per consolare la sua nostalgia per il paese natio.

Sullo sfondo si vede il grattacielo (o palazzo) Pirelli, spesso detto "Pirellone", domina piazza Duca d'Aosta, nella quale prospetta anche la stazione di Milano centrale. Dal 1958 al 1966 il "Pirellone" fu l'edificio più alto dell'Unione europea. Poi il record passò alla "Tour di Midi" di Bruxelles.
 


Milano, piazza Duca d'Aosta, ingresso della stazione centrale.  di Milano.
 
Quell'uomo nella foto si chiama Antonio Antonuzzo, è originario di Bronte (località nota per la produzione del pistacchio) ed è appena uscito dalla stazione ferroviaria.

La scena fa pensare alla verticalità (il grattacielo), lo "spaesamento" dell'emigrante giunto nel capoluogo lombardo con la speranza di poter cambiare vita, il suo transito fra la condizione di un passato e quello di un futuro.

Passano i decenni, eppure Milano non ha modificato la natura genetica, continua a svolgere il ruolo di collegamento tra la fine dell'Europa settentrionale e la fine dell'Europa meridionale, città di sutura tra due modelli di esistenza.
 
#15
Riflessioni sull'Arte / Allegoria dell'Italia
14 Agosto 2025, 17:48:50 PM
 

Valentin de Boulogne, Allegoria dell'Italia, olio su tela, 1628 circa, Roma, Villa Lante, Istituto culturale finlandese, sulla collina del Gianicolo.

Questo dipinto ha una storia singolare. Fu commissionato dal cardinale Francesco Barberini al pittore francese, residente a Roma, Valentin de Boulogne, seguace della scuola caravaggesca.

Per la figura dell'Italia (o di Roma? ), la ragazza  che domina la scena, Valentin utilizzò l'immagine di Minerva-Atena, armata,  mentre nasce trionfante dalla testa di Zeus-Giove, simbolo dell'unione tra la forza militare e la filosofia, intesa come dominio e amore di ogni aspetto del sapere e del creare.

Ai piedi della donna ci sono due uomini sdraiati, nudi e barbuti, simboleggiano i fiumi Tevere e Arno.

A fianco della statua del Tevere, sulla sinistra guardando il dipinto, ci sono due infanti, i leggendari Romolo e Remo, collegati alla fondazione di Roma, sul colle Palatino.

La personificazione del fiume Arno, sulla destra del quadro, fu  invece un omaggio all'origine toscana della famiglia Barberini.

Con le dita artigliose della mano sinistra la donna regge al suo fianco lo scudo con i simboli papali, con la  mano destra regge la lancia. Intorno a lei, appena visibili, volano alcune api, emblema della famiglia Barberini, ascesa ai vertici del potere.

Il maestoso mantello che avvolge la donna è gonfiato dal vento. L'immagine non è statica. Sembra si stia muovendo. La statua del Tevere  osserva intimorita la Minerva che avanza verso di loro, camminando sopra i frutti fuoriusciti dalla cornucopia. L'altro fiume, invece, è quasi nell'ombra.

Valentin si ispirò alle statue fluviali che si possono ammirare a Roma sulla piazza del Campidoglio.


Questa fontana fu  progettata  da Michelangelo Buonarroti, addossata  al Palazzo Senatorio. Completata nel 1593, presenta Minerva, successivamente interpretata come la Dea Roma, affiancata da due statue marmoree raffiguranti il Nilo e il Tevere.

Una curiosità. Nel 1886 lo scultore francese Frédéric-Auguste Bartholdi progetto e costruì, con la collaborazione dell'ingegnere Gustave Eiffel (autore dell'omonima Torre Eiffel, a Parigi) la Statua  della Libertà, che è a New York, nella baia di Manhattan.

Si dice che per la statua Bartholdi propose il modello del connazionale Valentin, "Allegoria dell'Italia", di cui sopra.

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#16
In ambito artistico ci sono due diversi modi per studiare e interpretare le immagini e i simboli nelle opere d'arte: l'iconografia e l'iconologia.
 
L'iconografia studia e descrive le immagini e i simboli rappresentati. Identifica e cataloga ciò che è raffigurato: personaggi, oggetti, gesti, colori.
 
L'iconologia, invece, cerca di capire il significato storico e simbolico di un'opera d'arte; si chiede perché questi elementi o simboli sono presenti in quel contesto, quali erano  le intenzioni dell'artista e i messaggi reconditi.
 
Nell'ambito della retorica anziché "iconografia"  si usa la parola "ècfrasi" per descrivere un'opera d'arte, al fine di coinvolgere emotivamente l'osservatore tramite la descrizione dei particolari.
 
Il sostantivo femminile ècfrasi: deriva dal greco èkphrasis, e questa dal verbo èkphrazo, parola composta da "ek-" (= fuori) + "phràzo" (=  parlo, descrivo, indico).
 
L'ècfrasi allude  alla  descrizione di un'opera d'arte: un dipinto, una scultura, un'opera architettonica.
 
In epoca romana se una scultura originale veniva distrutta o perduta,  ma esisteva la sua descrizione, l'ekphrasis, permetteva all'artista di riprodurla.
 
In  letteratura ci sono famose poesie che sono esempi di ecfrasi, una  é: "Ode on a Grecian urn"  (= "Ode su un'urna greca"),  del poeta inglese John Keats, morto a Roma il 23 febbraio 1891.
 
Questa  poesia, in  cinque strofe,  fu pubblicata nel 1819.
 
L'autore esplora temi riguardanti la bellezza, la  verità e l'immortalità, utilizzando le immagini dipinte su un' antica urna cineraria greca.

 

L'urna di Keats, oggetto della famosa ode,  in un disegno del 1819.
 
Il poeta nella sua ode  utilizza tale urna dipinta come simbolo dell'arte e della sua capacità di immortalare momenti, contrapponendoli alla fugacità della vita.
 
L'urna cineraria, nel contesto della poesia di Keats, non è soltanto un oggetto di uso pratico, ma diventa un simbolo di eternità e bellezza.
 
Le scene raffigurate su di essa, come il giovane innamorato che insegue la ragazza o la processione verso il sacrificio, vengono interpretate dal poeta come momenti fissati nel tempo, che nel contesto dell'ode, assume un significato più ampio come simbolo dell'arte e della sua capacità di superare la morte e il tempo.
 
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#17
Stamane ho preso un libro dalla mia biblioteca ed è caduto un foglio, la fotocopia di un articolo di giornale, Il Sole 24 Ore, del 30 – 12 – 2012. Come passano veloci gli anni !

L'articolo, titolato "Je t'aime", pezzo da museo", lo scrisse Andrea Kerbaker.


Serge Gainsbourg e Jane Birkin

Questo il testo dell'articolo:

"C'era una volta il 1968 francese: Parigi in fiamme, manifestazioni di massa, Jean-Paul Sartre che incita i ragazzi, lo sciopero delle fabbriche Renault di Billancourt... E, nella generale atmosfera di eccitazione anche sessuale, ecco una coppia che pensa bene di partire per Londra, dove chiudersi per giorni  in uno studio di registrazione.

Lui si chiama Serge Gainsbourg, ha una quarantina d'anni, fa il cantante con l'aria molto vissuta, come sanno avere solo certi francesi; lei, Jane Birkin, nata in Gran Bretagna, 22 anni è un'attrice in erba (è già comparsa, tra l'altro, in 'Blow Up' di Michelangelo Antonioni).

Serge e Jane si sono conosciuti e amati sul set di un film oggi dimenticato da tutti, 'Slogan', di Pierre Grimblat. Lo scopo del loro viaggio a Londra è ricantare 'Je t'aime, moi non plus' , un brano che Gainsbourg ha composto l'anno precedente per Brigitte Bardot. L'attrice-mito di quegli anni lo ha inciso, ma in una versione rimasta praticamente inedita, per la reazione rabbiosa di suo marito, il miliardario Gunther Sachs.

In realtà, non è che la canzone sia chissà che: una stanca ripetizione di un ritornello con una musica altrettanto monotona. Ma, in quel clima libertario, alla coppia in sala di registrazione viene l'estro di imitare in diretta (o praticare, chissà: su questo le versioni divergono) un atto sessuale, con grande spreco di gemiti, respiri mozzati e gridolini.

Apriti cielo: scandalo internazionale, sguardi corrucciati di riprovazione da parte di tutti benpensanti del mondo, radio pudibonde che rifiutano di mandare in onda il brano (la Rai del direttore generale Ettore Bernabei in prima fila, ovviamente soprattutto dopo  che l'Osservatore Romano accusa la canzone di oscenità: ma anche la Bbc trasmette solo la versione senza parole; e così le emittenti di mezzo mondo). Conseguenza naturale della censura, un successo senza precedenti: ovunque file di ragazzi a comperare il 45 giri destinato a rimanere la maggiore hit della coppia".

Il testo della canzone "Je t'aime, moi non plus" descrive un rapporto sessuale.
La traduzione esatta del titolo è (lei): "Io ti amo", (lui): "nemmeno io".
E' un gioco di parole: la seconda frase presuppone la falsità della prima: infatti l'uomo crede il contrario di quanto dice la partner.
#18
Varie / Educazione affettiva
05 Agosto 2025, 09:12:58 AM
Luigina Mortari, docente di pedagogia  ed epistemologia genetica nell'università di Verona, ha pubblicato un altro suo libro, titolato: "Emozioni e virtù. Educazione affettiva, educazione etica" ( edit. Raffaello Cortina). 

L'autrice evidenzia che l'esperienza affettiva assume spesso contorni problematici e rivela il disagio di vivere con l'altro/a  e con  sé stessi.

Si sperimenta ogni giorno la crisi dell'eticità, evidente nella frequente chiusura autoreferenziale correlata alla scarsa considerazione dell'altro/a. Si fatica a riconoscere i suoi diritti e bisogni essenziali.

Inoltre, i problemi economici possono influire nel rapporto di coppia, con l'aumento di aggressività e violenza nella relazione, forse riconducibile all'incapacità di gestire le emozioni.

Senza un'educazione etica e affettiva siamo in balia di reazioni emotive, anche violente.

Nel suo saggio la professoressa Mortari spiega come risolvere l'incapacità di gestire le emozioni, con reazioni impulsive e possibili conseguenze negative.

L'autrice consiglia un metodo di ragionamento per comprendere le proprie emozioni fin dall'infanzia, nel contesto  di una educazione etica e affettiva, che si realizza  con l'offerta di esperienze che facilitino l'acquisizione di un metodo per l'autocomprensione dell'esperienza affettiva. L'obiettivo è arrivare a comprendere quello che sentiamo e come ciò influenzi e si faccia a sua volta influenzare da quello che pensiamo. Serve interpretare correttamente questo intreccio di emozione e cognizione, avendo consapevolezza, al fine anche di scongiurare il rischio di inutili reazioni impulsive, che spesso divampano da una parola sbagliata, come insegna Sofocle quando fa dire a Edipo: "Ci sono parole che scatenerebbero un'ira furibonda anche in una pietra". Tale auto-osservazione e conoscenza di sé ci aiutano a evolvere verso il meglio.

La Mortari dà anche alcuni consigli, tratti da Plutarco, su come raggiungere la tranquillità psicologica:  dedicare attenzione a ciò che è essenziale;  disattivare la tensione emotiva; saper accettare la realtà; essere capaci di gratitudine; cercare la giusta misura; l'abitudine a sottoporre ad analisi l'esperienza e il dare il giusto peso all'agire. Solo a questo punto, si potrà passare a considerare la prospettiva etica, che è "la ricerca di un orizzonte di idee alla luce del quale prendere decisioni sulle questioni rilevanti per l'esserci" e, quindi, "decidere cosa è bene cercare e cosa è bene evitare per fare della vita un tempo buono".

Non c'è un decalogo o un insieme di norme o di insegnamenti preconfezionati, ma solo un costante esercizio della facoltà cognitiva. Sono importanti i metodi di riflessioni e analisi per realizzare una buona qualità della vita.
#19
Varie / La fama e la serendipity
02 Agosto 2025, 20:05:55 PM
Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo "bolla", parola molto diffusa oggi nell'ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le "bolle di fama artificiale", che vengono tenute in vita per un po' da un soffio di moda, da un'ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla".

E' vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da "cascate informative"  che si alimentano a vicenda, però, se alla base c'è un'opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

Con "cascata informativa"  s'intende l'amplificazione di messaggi, di comunicati  da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio,  ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

Comunque, la  fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

La fama ha molto a che fare con la "serendipity": questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

La parola "serendipity" fu coniata dal nobile e scrittore inglese  Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d'amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

La natura dell'effetto rete, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.
 
La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto "cascata". Si chiama "accelerazione di fama". Non siamo consapevoli di partecipare all'amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto "cascata", cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto "cascata" e non, invece, saldi in un giudizio di valore  indipendente. Il messaggio, o l'entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.
E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull'onda dell'entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la "bolla" può scoppiare.

Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E' una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

Una ricerca italiana condotta da Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.  
Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte  di questo "effetto-popolarità", più o meno consapevolmente.

Per chi vuol saperne di più c'è  il libro di Cass R. Sunstein, titolato:  "Come diventare famosi. La scienza segreta del successo" (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)
#20
Varie / Il ballo Sirtaki e Mikīs Theodōrakīs
29 Luglio 2025, 17:06:12 PM
Oggi, 29 luglio,  ricorre il centenario della nascita di Mikīs Theodōrakīs. 

Michaīl "Mikīs" Theodōrakīs,  compositore musicale e politico greco: nacque nell'Isola di Chio il 29 luglio 1925 e morì ad Atene il 2 settembre 2021.


Mikīs Theodōrakīs

Appartenne a quel gruppo di artisti che  in quel periodo fecero conoscere meglio la Grecia e, indirettamente,  le sue vicende: Maria Callas, Costas Gavras, Theo Anghelopulos, Nikos Kazantzakis,  Odisseo Elitis, Yorgos Seferis, Yannis Ritsos, Maria Faranduri, Irene Papas e Melina Mercuri.


Anthony Quinn e Alan Bates mentre ballano il sirtaki sulla spiaggia

Il sirtaki  è una danza popolare  greca, ma non tradizionale. La musica fu ideata dal compositore Mikīs Theodōrakīs,  per quel film del 1964  integrando e rielaborando due versioni musicali della danza tradizionale greca "hasapiko", conosciuta anche come "danza dei macellai":  ha una versione lenta (hasapiko bary) e una veloce (hasapiko grigoro). Il nome deriva dal termine greco "chasapis", che significa macellaio. Il hasapiko è caratterizzato da una serie di passi base e varianti eseguite in gruppo, spesso con le mani sulle spalle dei vicini.

Anche nel sirtaki il ritmo della danza, inizialmente lento, ha l'andamento crescente, accelera.

Sirtaki divenne il simbolo di una Grecia spensierata, come lo  fu  alcuni anni prima la canzone  "I ragazzi del Pireo" (in lingua greca "Ta pediá tou Pireá"),  scritta dal compositore ellenico  Manos Hatzidakis per il film "Mai di domenica", nel quale la canta l'attrice Melina Merkouri.

L'etimologia della denominazione "sirtaki" deriva dalla parola  ellenica "syrtos": danza popolare greca, caratterizzata da un ritmo vivace e coinvolgente. La musica che accompagna il syrtos è anch'essa chiamata syrtos e utilizza strumenti tradizionali  come il bouzouki, il violino, il laouto, e altri.

Il sirtaki si balla in formazione lineare o in cerchio, con le mani sulle spalle del vicino. La formazione in linea è più tradizionale.



La danza inizia con movimenti lenti e armoniosi e passi che non si distaccano molto dal suolo, che poi si trasformano gradualmente in azioni più veloci, spesso anche salti e balzi.

Segue