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Discussioni - maral

#1
Attualità / Africa: come aiutarli a casa loro?
21 Luglio 2017, 22:53:09 PM
Riporto sotto la lettera che Alex Zanotelli ha inviato in questi giorni ai giornalisti italiani chiedendo di non continuare  l'assordante silenzio dei mass media sulla terribile condizione che si vive in molti paesi africani devastati dalle guerre, dalla fame, dalle malattie, dal terrore, a cui si vanno ad aggiungersi gli effetti del cambiamento climatico che renderà inabitabili sempre più vaste aree del continente. Di non tacere per farci capire il motivo dell'emigrazione a rischio della vita da quel continente così martoriato, situazione di cui è strutturalmente responsabile il sistema economico finanziario vigente e che viene continuamente alimentata con la vendita delle armi e il foraggiamento interessato alle peggiori tirannie e bande di potere locali.
"Aiutiamoli a casa loro" è uno slogan che, detto da chi per secoli a casa loro li ha sempre saccheggiati e continua a farlo a beneficio della finanza e di imprese come ENI e Finmeccanica, suona di un'ipocrisia nefanda. "Aiutiamoli a casa loro" sembra voler dire "aiutiamoli a crepare a casa loro", magari sovvenzionando gente come Erdogan o peggio ad allestire gli appropriati campi di concentramento, a fare quel lavoro sporco che noi non possiamo fare direttamente.
Certamente aiutarli significa non tacere per permetterci di capire, aiutarli significa aiutare noi a non vedere la storia della conquista dei diritti sociali e civili in cui la civiltà nata dalla storia europea trova il suo riferimento ideale, affondare con i profughi nel Mediterraneo.
Ma questo potrà davvero risvegliare le nostre coscienze dal profondo intorpidimento morale preludio della nostra stessa rovina? Basterà la verità o non preferiremo invece continuare a credere alle balle degli interessati imprenditori della paura che recitano la parte dei difensori dell'etnicità?

La lettera è questa e spero vogliate leggerla e commentarla
http://www.fnsi.it/appello-di-padre-alex-zanotelli-ai-giornalisti-rompiamo-il-silenzio-sullafrica
#2
Tematiche Filosofiche / Che è l'uomo?
15 Aprile 2017, 10:49:56 AM
L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente.
Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.
Ora la domanda è: cosa implica questo viverla e come possiamo tenerne conto per una corretta conoscenza? Quale posizione estetica, etica ed epistemica è necessario assumere a fronte dell'assoluta discontinuità che la "natura" va rappresentando in ogni singola e diversa esistenza umana per come si svolge? Come possiamo trovare posto e quale scienza e filosofia si rendono necessarie?
#3
Tematiche Culturali e Sociali / I "commons"
07 Dicembre 2016, 15:03:23 PM
Nel medioevo i "commons" erano quei terreni in comune destinati a garantire la sussistenza degli abitanti di un villaggio. Erano terreni situati fuori dai recinti delle proprietà private, ai limiti del villaggio. prima delle zone selvagge delle foreste o delle brughiere. Ad essi potevano accedere tutti gli abitanti del villaggio per coltivare ciò di cui avevano bisogno per la loro sussistenza e quella delle loro famiglie, ma ciò che raccoglievano nei commons non poteva venire venduto al mercato, doveva servire solo a soddisfare i bisogni di sopravvivenza del villaggio. I commons vennero via via privatizzati con l'avvento della rivoluzione industriale e l'affermazione della visione competitiva capitalistica, incamerati in proprietà private da chi aveva più disponibilità di denaro per essere poi messi a profitto secondo i dettami di un'economia di mercato. Questo provocò tra l'altro la migrazione massiccia di molti che si trovarono così privati dei mezzi di sussistenza fondamentali un tempo condivisi, verso le città in via di industrializzazione. fornendo quella manodopera di miserabili a bassissimo costo indispensabile per la produzione industriale in condizioni di totale ricattabilità.
Quando oggi si parla di privatizzazione dei beni pubblici e delle istituzioni di pubblica assistenza in nome dell'efficientizzazione economica e della crescita di produttività mi pare si stia ripetendo lo stesso disegno, con la differenza che oggi c'è, in virtù del progresso tecnologico, assai meno bisogno di una forza produttiva umana per l'industria, quanto piuttosto di gente disposta a svolgere "lavori ombra" (ossia non formalizzati e non riconosciuti come lavori) economicamente indispensabili, tra i quali, in primo luogo quello di consumare. C'è la necessità assoluta di miserabili disposti a tutto pur di consumare indefessamente.
Mi chiedo però se nel contesto globalizzato attuale il concetto di commons non possa trovare una nuova possibilità di affermazione, intendendo per esso una zona franca, libera dagli interessi economici del mercato e del fare profitto monetizzabile, in cui poter trovare, produrre e mettere in condivisione ciò di cui più si ha bisogno, non solo per quanto riguarda le necessità fisiche di sussistenza (salute, alimentazione, abitazione), ma anche gli aspetti culturali, senza che nessuno ne rivendichi la proprietà per farci profitto sopra.
Cosa ne pensate? In che termini potrebbe esistere oggi questa possibilità nel villaggio globale che si va allestendo?       
#4
La verità filosofica, già in Platone, si presenta non solo come corrispondenza formale istituita dal logos tra ciò che si dice e la realtà, ma anche sulla coerenza che trova la parola del filosofo con la sua vita, nella misura in cui essa si presenta come vera vita. Come dice Michel Foucault nelle sue ultime lezioni, la vera vita assume un'importanza fondamentale per alcune scuole filosofiche che svilupperanno meno il loro impianto teorico ontologico per soffermarsi sugli aspetti esistenziali e morali, in particolare l'Epicureismo e lo Stoicismo, ma soprattutto i Cinici per i quali il tema della "vera vita" diventa fondamentale e portato alle più estreme e provocatorie conseguenze: la filosofia si fa con il proprio stile di vita, con i propri atti ben più che con i discorsi.
Questo principio diventerà però filosoficamente sempre meno praticato, la "vera vita" assumerà con il cristianesimo una connotazione religiosa, anche se debitrice delle idee filosofiche che l'hanno preceduta e la filosofia si indirizzerà verso un'argomentazione sempre più formalmente oggettiva, finché lascerà il campo della verità alla scienza moderna, per la quale il tema della "vera vita" non determina alcunché rispetto al valore oggettivo di verità di una teoria scientifica che si considera del tutto indipendente dai comportamenti dello scienziato - soggetto che la enuncia.
La verità, aletheia, per i Greci è ciò che si presenta non nascosto, non modificato, diritto e immutabile e la vera vita è enunciata secondo questi stessi principi: la vita vera (come il vero amore) non dissimula, non presenta ombre, non è corrotta, mantiene la sua direzione diritta senza disperdersi, è una vita retta che evita i perturbamenti senza cedere ai vizi e che mantiene immutabile la propria identità, perfettamente padrona di se stessa, libera e autonoma. E' una vita che richiede il coraggio di sostenerla, sempre posta in sfida per risultare esemplare senza nulla nascondere.
In tempi in cui le verità metafisicamente stabilite dalle teoresi mostrano la loro inesorabile decadenza, mi chiedo se questo ideale della "vera vita" (quale dovrebbe essere la vita del filosofo) possa venire a costituire un nuovo punto di riferimento che invita a fare filosofia con i propri atti e le proprie prassi ben più che con i propri discorsi e se i termini in cui gli antichi ravvisavano la vita come vera possono essere assunti ancora oggi.
#5
Studiando il meccanismo con cui alcuni batteri riescono a difendersi dai virus inglobandone parti del codice genetico e usandolo poi per costruire filamenti di RNA guida con attaccata una proteina che funziona come una specie di bisturi chirurgico sul codice genetico di un virus invasore simile, recentemente è stato scoperto il modo per tagliare e modificare con grande precisione il codice genetico di qualsiasi cellula, consentendo di indurre le modificazioni desiderate in tempi enormemente più brevi e con costi notevolmente inferiori rispetto ai vecchi sistemi. Questa tecnologia (CRISPR) offre dei vantaggi di grande efficacia ed economicità (è praticabile in un qualsiasi laboratorio): ad esempio per aumentare la resistenza dei prodotti agricoli, per estinguere definitivamente specie parassite (come le zanzare che portano la malaria), ma soprattutto potrebbero eliminare malattie genetiche specifiche e permettere di studiare molto più rapidamente e quindi risolvere malattie che coinvolgono un numero elevati di geni come la distrofia muscolare, l'HIV, il cancro ai polmoni, l'autismo, l'alzheimer, fermare o addirittura invertire il processo di invecchiamento, senza far ricorso alle tanto controverse cellule staminali degli embrioni. I cambiamenti indotti, anche in organismi già adulti, si trasmetterebbero infatti alle generazioni successive e gli esseri umani potrebbero giungere a progettare e crearsi un DNA su misura, come viene spiegato in questo filmato (si possono impostare i sottotitoli in italiano da impostazioni): https://www.youtube.com/watch?v=jAhjPd4uNFY.
Anche se non in tempi brevi non vi è dubbio che la rivoluzione delle biotecnologie sta aprendo scenari meravigliosi e inquietanti sul futuro del mondo e del genere umano a cui si accompagnano problemi etici di portata enorme (ad esempio possiamo tranquillamente sterminare una specie di zanzare introducendo una mutazione nel loro DNA che faccia sì che possano generare solo prole maschile? http://comune-info.net/2016/09/quella-specie-dannosa-va-estinta/
E se un giorno davvero sarà possibile, come in linea di principio appare sempre più alla portata, possiamo sentirci tranquilli riguardo alle possibilità di progettare una sorta di specie umana perfetta o questo determinerà situazioni sociali esplosive con tutti i rischi che una simile attività demiurgica comporterebbe? O finiremo con l'adeguarci al nuovo stato di cose, a trovarlo del tutto normale, un po' come ci siamo adattati alla comunicazione a mezzo internet, per quanto essa ci abbia cambiato?
#6
Riprendo qui una parte del discorso di Jean, in "Percorsi ed esperienze", "La nostra riserva indiana...":

CitazioneScienza..?
Noi comperiamo 1,300.000.001 (l'uno finale è il mio, però almeno quadriennale...) smartphone all'anno, usiamo il pc quotidianamente (o quasi), abbiamo sotto gli occhi le devastazioni crescenti a causa di cambiamenti climatici... e Fukushima, dove una lega di uranio e zirconio (corio) da 700 tonnellate fondendo dopo il vessel d'acciaio di 20 centimetri anche i quattro metri di calcestruzzo sottostante... è sprofondato e scende... e se incontra un deposito d'acqua... preghiamo che non accada...

Comunque scienza è anch'essa un viaggio... tra poche ore Juno se tutto andrà bene entrerà in orbita attorno a Giove... ma l'avete visto 2001 odissea nello spazio? Un gigante gassoso, un potenziale (secondo qualcuno) secondo sole... e le foto delle galassie, delle nebulose (la mia preferita, l'occhio di gatto della mia icona...), dei pianeti... e Curiosity, il rover della Nasa su Marte che si avvicinerà per documentare a mezzo fotografie la presenza dell'acqua, altro che ipotesi di vita extraterrestre...
Partendo da qui vorrei porre la seguente questione: ci rendiamo conto (e in che misura ciascuno di noi) dell'impatto enorme che hanno sul nostro modo di pensare, di concepire il significato di noi stessi e del mondo, le scoperte scientifiche e gli stessi strumenti tecnologici che utilizziamo? Oppure pensiamo che la tecnologia che usiamo è indifferente, che potremmo pensarla e comunicare (influenzandoci reciprocamente) esattamente allo stesso modo con o senza di essa, che questa strumentazione elettronica che abbiamo davanti non ha alcuna influenza sul nostro "spirito" e dunque sul nostro modo di dialogare, pensare, credere, sperare o disperare?
Lo chiedo perché ritengo che sia fondamentale capire il ruolo dello strumento tecnologico (a partire dall'età della pietra) nella percezione prima o poi inevitabile del significato delle cose, ben più che in quello di una descrizione con pretese "oggettive" (nel senso di indipendente dalla posizione dell'osservatore) della loro realtà. 
Jean, ha ragione, gli strumenti tecnologici ci mettono in viaggio, e nel viaggio il panorama di cui partecipiamo muta e muta sempre più rapidamente e, che lo vogliamo o no, in questo panorama noi finiamo sempre con il finirvi inclusi, qualsiasi intima resistenza o ragione ci illudevamo di poter porre a questa inclusione per conservare un rifugio stabile per lo spirito.   

#7
Tematiche Filosofiche / Che cos'è la verità?
24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che  si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi. Heidegger, proprio riprendendo il pensiero greco partendo dalla fenomenologia,  intenderà la verità come radura dell'essere corrispondente all'ente. L'ente come ente (corrispondente propriamente per Heidegger solo all'uomo) è lo svelarsi dell'essere, dunque aletheia, verità.

Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.

Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?
#8
In proseguimento al tema di discussione nella sezione filosofica "Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?", apro questa riflessione su come le neuroscienze affrontano la questione della coscienza e in particolare quella del sé, proponendo per iniziare questa presentazione di Antonio Damasio (neurologo di fama mondiale e autore di importanti libri di divulgazione come "L'errore di Cartesio", "Emozione e coscienza"...) a TED.
http://www.ted.com/talks/antonio_damasio_the_quest_to_understand_consciousness
Trovo molto interessante come la coscienza viene qui descritta a mezzo di meccanismi ciclici reiterativi e l'identità permanente del sé come il risultato rappresentativo dell'esigenza di un mantenimento quanto più costante possibile (e costantemente ripetuto) della biostaticità dei parametri fisiologici dell'organismo vivente.
Quali sono, a vostro parere, le possibilità, gli agganci transdisciplinari e i limiti che questo modello neurologico presenta per una migliore comprensione del sé e della coscienza di sé?
#9
Scienza e Tecnologia / Introduzione alla sezione
07 Maggio 2016, 17:13:28 PM
Viviamo in un'epoca  sempre più dominata dalla visione tecnico scientifica, ultimo grande prodotto del pensiero occidentale prima greco e poi cristiano. Non poteva quindi mancare su Logos una sezione dedicata specificatamente alle riflessioni su tematiche scientifiche e tecnologiche.
Se è vero che l'uomo si riconosce in ciò che viene via via facendo e quindi negli stessi mezzi materiali che usa con le sue mani e la sua mente, si tratta in fondo di riflettere sul significato che viene conferito oggi alle nostre esistenze dagli enormi progressi scientifici e tecnologici di cui siamo stati capaci e, proprio a partire da questi, tentare di ricomporre un quadro che non sia quello di una tecnica separata  e chiusa in una disumanizzata autoreferenzialità, celata dall'effetto facilitante che essa illude di  realizzare senza limiti, in ragione del suo saper trasformare secondo progetto.
La fisica ci  presenta ormai da tempo un mondo  ben diverso da quello che umanamente possiamo percepire e, con il suo sempre meno accessibile linguaggio matematico, ci apre orizzonti cosmologici che un tempo erano di pertinenza di una semantica filosofica, metafisica, mitica e religiosa; l'elettronica ha cambiato radicalmente il nostro modo di interagire e comunicare e dunque di sentirci in relazione; la biotecnologia mostra di poter produrre  a partire dall'unità di base del codice genetico, funzionalità che modificano radicalmente le concezioni di esistenza individuale e sociale, la nostra stessa psicologia,  il nostro modo di curare; l'economia, anche e soprattutto nelle sue forme più astratte, è ormai diventata l'unico orizzonte di riferimento politico, regolatrice, nelle pretese funzionali del pensiero che calcola, dei destini di sopravvivenza di intere popolazioni.
In questo contesto noi ci troviamo, da esso siamo espressi e l'umanità non può permettersi che tutto questo poter fare sia affidato a semplici operatori sia pure di grande competenza  che solo si preoccupano di rispettare meccanicisticamente le corrette procedure di controllo e verifica; occorre oggi più che mai recuperare, per quanto possibile, il significato e la dimensione etica di ciò che si è giunti a poter fare. Occorre poterci riflettere insieme.
Certo, il discorso tecnico scientifico, proprio per il grande rigore che ne ha determinato il successo e la potenza, pare prestarsi poco alle speculazioni interpretative di chi non lo ha appreso e a lungo praticato da specialista; in un forum aperto a tutti rischia di disperdersi nella confusione di futili polemiche, ma è un rischio che credo sia importante accettare, poiché in questo momento questo discorso ci riguarda tutti e non è il caso di demandare all'esperto le risposte, dato che non c'è nessuno così esperto da poterle fornire anche se tanti, come sempre, pretendono di avere la capacità di dettare le proprie chiare e indubitabili visioni prospettiche, dimenticando di essere essi stessi espressione di quel medesimo fluire che vogliono definire.
Dopotutto il mondo tecnologico, che in esso ci ritroviamo o meno, lo viviamo ormai da tempo nella nostra esperienza quotidiana. Il mezzo tecnologico che usiamo come una sorta di bacchetta magica, senza averne alcuna effettiva competenza o cognizione (non essendo queste determinanti per l'uso), ci condiziona nel modo di essere più di quanto sospettiamo e forse si tratta allora di partire proprio dalla nostra esperienza quotidiana per recuperare un senso in perenne mutamento, per riuscire a coesistere con questo mutamento senza sentirci da esso rigettati.
La tecnica è da sempre nell'essenza fenomenologica umana, è fatta dei mezzi che usiamo, dei lavori e delle aspettative che essi dispiegano e anche delle facilitanti prospettive di potenza con cui ci illudono. Per questo ogni tecnologia ha pretese sull'uomo e cambia l'uomo, determina la sua scienza, la sua coscienza e il suo modo di essere senza che questi nemmeno se ne accorga, forse è dal tenerne conto che si può qui cominciare la riflessione.
#10
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.