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Discussioni - Socrate78

#1
Premetto che non intendo affatto essere frainteso con questo thread e passare per sessista, ma io percepisco che sempre più nella società attuale si stia diffondendo una mentalità pericolosa che, partendo da singoli casi di cronaca nera, vuole di fatto rappresentare gli uomini come manipolatori, violenti e prevaricatori, possessivi nell'amore e potenzialmente assassini e maltrattanti, mentre le donne sono viste sempre come vittime dell'aggressività maschile che vorrebbe controllarle, in tutti i dibatti televisivi si parla sempre male degli uomini dipingendoli di fatto come potenziali mostri. Si invitano in tutti i dibattiti televisivi le donne a diffidare di fatto degli uomini, ad avere un atteggiamento guardingo in amore , ma in questo modo si demonizza il mondo maschile. Ma se ci si informa meglio, si nota benissimo come in realtà statisticamente i casi di femminicidio (uccisioni delle donne) siano in realtà diminuiti (vent'anni fa erano di più), mentre invece esiste (ed è sempre più diffusa) la violenza delle donne sugli uomini che si manifesta forse in altre forme ma che sono lo stesso molto gravi, come la diffamazione, l'esclusione sociale, la deprivazione economica, e anche se sono più rari esistono anche donne violente fisicamente contro gli uomini, solo che essi non denunciano per paura di apparire deboli, perché sono vittime dello stereotipo secondo cui un uomo che subisce violenza da una donna è solamente un debole senza attributi incapace di farsi rispettare. Siccome io penso (ed è un mio principio di vita) che bisogna sempre mantenere un atteggiamento razionale e critico di fronte alle notizie (l'emotività rende spesso manipolabili e gli operatori dei media lo sanno bene!) mi chiedo in latino: "Cui Prodest" (A chi interessa?) tutta quest'insistenza  mediatica sulla violenza contro le donne? Io credo che ci sia di fatto un progetto sociale in cui la donna, per secoli vittima del patriarcato, del dominio maschile che la schiacciava e la denigrava come persona, adesso vuole diventare forte ed emancipata, avere potere nella società, infatti ormai tutte le professioni socialmente importanti e che comportano potere e responsabilità ( politica, insegnamento, professioni sanitarie, avvocati, ecc.) sono svolte sempre più da donne, e quindi di fatto si vorrebbe pian piano sostituire il patriarcato con il matriarcato. Una parlamentare ad ottobre infatti disse questa frase: "Il potere o ce l'hanno le donne o non ce l'ha nessuno", da questa frase è emersa per la prima volta secondo me la verità profonda e senza veli delle cose. Anche nelle pubblicità se si osserva attentamente si vedono spesso gli uomini rappresentati in situazioni comiche che di fatto denigrano con ironia il maschile, la campagna del Ministero della Salute contro l'abuso degli antibiotici ne è un esempio lampante, si vede la donna rimproverare ed ironizzare l'uomo che non saprebbe curarsi (ed è rappresentato guarda caso come trasandato, con la barba incolta e malato)e la donna è rappresentata in piedi a fare ironia e a denigrare, in posizione di autorità comunicata dal linguaggio del corpo e dal tono di voce, e io ci vedo dietro questo bruttissimo messaggio :"L'uomo non è in grado di prendersi cura di se stesso ed ha bisogno di una donna da cui dipendere e che controlla la sua vita, altrimenti è solo un poveraccio!" La storia insegna che quando si sbandierano grandi ideali spesso dietro ci sono motivazioni legate al potere, perché l'essere umano, sotto sotto, vuole sempre purtroppo questo: dominare i suoi simili ed emergere e quindi anche dietro l'ideale della parità tra i generi può nascondersi un progetto di dominio sociale.
Forse quello che ho detto non piacerà, ma vorrei discuterne con voi, ritenete che ci sia un progetto sociale femminista che vuole imporre una sorta di matriarcato, come rivalsa da secoli in cui la donna è stata emarginata e bistrattata?


 

#2
Ebbene, leggendo i Vangeli in maniera obiettiva io credo che si possano notare gravi contraddizioni nel delineare la personalità autentica di Gesù, poiché vi sono passi in cui Gesù sembra essere molto duro, severo, intransigente (direi spietato nei giudizi, come se mandasse tutti all'Inferno) ed altri invece in cui prescrive un'abnegazione estrema, una bontà spinta sino al sacrifico estremo.
Ad esempio si leggono queste parole tremende: "Crediate che io sia venuto a portare la pace sulla Terra? No, vi dico, la DIVISIONE. D'ora in poi si schiereranno fratello contro fratello, madre contro figlio, e suocera contro nuora!" , "Chi ama suo padre, suo fratello, sua madre più di me non è degno di me" (sembra il Dio geloso dell'Antico Testamento) in altri passi invece si legge: "Beati i miti di cuore, poiché erediteranno la Terra", "Dai a chi ti domanda, se una persona chiede di fare con te un miglio tu fanne anche due", ma i due modi di esprimersi sono a mio avviso inconciliabili, poiché nel primo esempio si nota un Gesù che di fatto vuole la divisione e alla guerra, nell'altro invece si nota un'altra figura che esalta la mitezza e l'amore. Sembrano due persone diverse. Non solo, Gesù in molti Passi sembra prendersela proprio con coloro che nella società del tempo erano considerati appunto apprezzabili e buoni (gli scribi e i farisei) e proferisce terribili parole verso di loro affermando che si autoingannano e che tutto quello che fanno lo fanno solo per l'ammirazione altrui (diciamo pure per narcisismo usando un termine moderno) e dice chiaramente che i peccatori (pubblicani, ladri e prostitute) precederanno i farisei (cioé i GIUSTI per la società del tempo) nel regno dei Cieli, sembra quasi significare che è meglio restare nella condizione di peccato proprio per non inorgoglirsi, e quindi in questo senso avrebbero quasi ragione i protestanti ad affermare che le opere non salvano l'uomo, ma salva solo la fede in Cristo.
Ora, sinceramente io resto molto perplesso, poiché mi sembra quasi che esista una sovrapposizione tra due Gesù diversi, uno mite e l'altro invece assolutamente intransigente, spietato nei giudizi e che sia quindi molto difficile stabilire quale sia la verità.
Quindi mi chiedo: è possibile che i detti di Gesù siano stati falsificati in parte nel redarre i Vangeli (per esigenze teologiche, sociali o politiche) e che quindi per questo ci siano contraddizioni così gravi?
#3
Apro questo thread per discutere su una tematica che ho sempre trovato interessante: la percezione dell'Io individuale è presente sin dalla nascita oppure si sviluppa successivamente? Molti pensatori e anche psicologi hanno affermato che il neonato avrebbe una percezione indifferenziata del mondo, non distinguerebbe insomma l'Io dal Tu: la percezione dell'Io soggettivo si svilupperebbe quindi con le interazioni sociali con il mondo esterno. Ma resta il fatto che, almeno secondo me, si tratta sempre di supposizioni arbitriare: noi non possiamo sapere con assoluta certezza come l'uomo, alla nascita veda il mondo, perché quella percezione non viene più ricordata dalla persona e quindi non può essere recuperata.
Il filosofo Hume sosteneva che l'Io è illusione, perché sarebbe solo un fascio di percezioni che vengono attribuite, falsamente, ad un soggetto immaginario, che è la coscienza individuale.
Inoltre è possibile che le interazioni con il mondo esterno non facciano altro che portare alla consapevolezza quello che già però esiste comunque, cioé l'Io: se l'Io non ci fosse secondo me non emergerebbe mai, nonostante le relazioni del soggetto con il mondo esterno. Quindi ciò mi porta a concludere che in realtà l'Io alla nascita è già presente, solo che il soggetto ne acquisisca consapevolezza successivamente. Voi che cosa pensate a riguardo? 
#4
Noto che una costante nell'insegnamento della Chiesa cattolica è quello secondo cui Dio perdonerebbe le colpe degli uomini solo a condizione del pentimento. Senza di esso il peccato sarebbe mortale, determinerebbe sostanzialmente una separazione tra l'anima e il mondo del divino, la morte in questo stato porterebbe alla dannazione dell'anima. Questo è di fatto l'insegnamento ancora oggi della Chiesa. Ma il punto è che, essendo Dio onnipotente, dire che può rimettere i peccati solo a condizione del pentimento, significa secondo me limitare l'onnipotenza divina: a mio avviso Dio se esiste potrebbe, a suo insindacabile giudizio, perdonare anche ad una persona per nulla pentita (magari perché per disturbi psicologici non può provare vero senso di colpa), mentre potrebbe benissimo non perdonare anche chi nutre forti sensi di colpa, perché vuole portarlo ad un livello di espiazione maggiore. Non trovate quindi che il criterio del pentimento sia sostanzialmente un grave azzardo, una pretesa di sindacare le decisioni di una realtà trascendente a noi?
#5
Apro questo thread per discutere sulla compatibilità o meno della teoria evoluzionistica (darwiniana o di derivazione darwiniana) della specie con la fede religiosa (cattolica in particolare). Ora, per l'evoluzionismo le specie tendono lentamente a mutare nel tempo secondo la necessità di adattarsi all'ambiente e la selezione naturale premia i soggetti che meglio riescono appunto ad adattarsi alle mutevoli condizioni dell'ambiente, che trasmetteranno le loro mutazioni ai discendenti. Ora, siccome molti evoluzionisti sono atei o agnostici, essi dicono che le mutazioni genetiche che fanno evolvere sono casuali, come frutto del caso sarebbero anche i mutamenti dell'ambiente. Apparentemente sembra quindi che l'evoluzionismo sia incompatibile con la fede religiosa. Perché dico apparentemente? Lo dico perché in fondo per chi crede e per i filosofi credenti Dio stesso è appunto INTELLIGENZA che guida la vita stessa e l'intelligenza è appunto secondo me la capacità di acquisire un efficace CONTROLLO delle informazioni dell'ambiente. Tanto più è alto il livello di controllo delle informazioni ambientali tanto più è alta l'intelligenza stessa. Se la realtà è una manifestazione di una Coscienza intelligente, è secondo me ben possibile che quest'intelligenza guidi le specie ad acquisire un controllo sempre maggiore sull'ambiente e si sviluppi nel corso dell'evoluzione della vita, con forme sempre più intelligenti nel corso del tempo, sarebbe in fondo Dio stesso che si oggettiva e si sviluppa nella vita. L'evoluzione in quest'ottica non è casuale, ma è il metodo con cui Dio guiderebbe le specie ad un sempre maggiore controllo dell'ambiente. La casualità sarebbe solo apparente e dire che l'evoluzione è casuale è solo un giudizio di valore, che va OLTRE la scienza stessa, che se è pura non dovrebbe giudicare, ma solo descrivere. La Chiesa stessa sta affermando che evoluzionismo e fede non sono incompatibili, anche se molti scienziati lo affermano. Forse in questo forum, visto che sono molti i non credenti, ritenete già che ci sia incompatibilità tra le due posizioni, tuttavia in generale avete mai riflettuto sul fatto che forse l'incompatibilità possa essere solo apparente?
#6
Spesso nel linguaggio delle persone si confondono a mio avviso due realtà molto diverse: l'amore e l'attaccamento affettivo. Infatti le persone dicono normalmente: "Amo molto quella persona", e "Sono molto affezionato a lei" come se le due cose fossero sinonimi. Invece a ben guardare non lo sono affatto. Infatti l'amore vero consiste nel dare qualcosa senza aspettarsi niente in cambio (nemmeno la gratitudine), mentre l'affezionarsi consiste in un processo per cui la mente umana ha bisogno (in misura maggiore o minore) dell'altro per la propria felicità e il proprio benessere. L'amore è un processo altruistico in cui pian piano si esce dal proprio egocentrismo, mentre l'affezionarsi al contrario ha proprio l'Ego e le sue gratificazioni come punto di riferimento. Di conseguenza io credo che nessuno soffra veramente "per amore", ma soffre perché è attaccato affettivamente a quella persona e quindi vorrebbe (per se stesso) ricevere sempre gratificazioni.
Dall'affezionarsi deriva la possessività e la gelosia, perché la persona ha paura di perdere  e vuole solo per se stessa le gioie che riceve e quindi vorrebbe l'altro sempre con sé, anche quando questo va contro il vero bene della persona stessa, mentre l'amore vero per sua natura non mina mai la libertà dell'altro, è solo l'attaccamento a fare questo perché è un processo appunto egoistico. Dio, che io credo fortemente esista, è un Essere che ama incondizionatamente senza però affezionarsi alle sue creature, proprio perché non ha affatto bisogno di esse per la sua felicità: quindi anche il nostro amore dovrebbe tendere a quel modello, liberarsi dalla dipendenza affettiva e andare verso un donare gratuito, che non si aspetta di ricevere qualcosa in cambio e che rispetta la libertà altrui, anche quella di separarsi da noi se ciò risponde al bene dell'altro. Secondo me ci si affeziona agli altri perché la nostra anima vuole un bene e una felicità per sua natura INFINITI, ma gli altri possono rispondere a questa nostra esigenza solo con un bene FINITO, che finisce e finirà: da qui deriva il fatto che non siamo mai soddisfatti di ciò che riceviamo, c'è sempre un vuoto che ci porta a volere altra felicità e quindi l'attaccamento porta con sé inevitabilmente il dolore, che si palesa nella solitudine, nella perdita, in varie situazioni della vita. Questa cosa era stata compresa, prima del Cristianesimo, anche e ancor di più dalla filosofia e dalla religione buddista, che individua appunto nell'attaccamento a persone e cose la causa dell'infelicità. Ovviamente io stesso non posso dire di essere libero dall'attaccamento, ma ne colgo la differenza rispetto all'amore vero.
Anche voi cogliete questa differenza tra amore e attaccamento oppure vi sembrano la stessa cosa?


#7
Il tema del thread è di carattere pedagogico piuttosto che strettamente filosofico, tuttavia la pedagogia, visto che si occupa di educazione dell'essere umano al bene e alla virtù, è di fatto una branca della filosofia. Il quesito che propongo alla discussione è il seguente: le punizioni servono davvero nell'educazione del fanciullo e dell'adolescente oppure sono controproducenti? Confesso che anche per me rispondere non è affatto facile, dal momento che la mia visione sul tema è cambiata nel corso del tempo, un tempo ritenevo (come in molti ancora) che le punizioni servissero davvero, adesso invece ho dei dubbi molto seri. Secondo me la cosa che dobbiamo chiederci è questa: con le punizioni il bambino che cosa apprende veramente? Apprende i valori che gli si vuole insegnare, cioè il rispetto, la lealtà, l'onestà, oppure apprende qualcosa di diverso? Io ritengo sostanzialmente che le punizioni fanno in modo che il soggetto eviti il comportamento deprorevole solo per la PAURA del dolore e della privazione, ma non per reale convinzione. Il suo comportarsi bene dopo la punizione sarà quindi soltanto una forma di "ruffianeria" nei confronti degli adulti, ma non appena potrà continuerà a comportarsi nel modo non voluto sapendo che sarà impunito e inizierà anche a mentire per evitare il castigo, quindi queste punizioni avranno avuto solo il risultato di insegnare la falsità all'individuo. Inoltre nel momento in cui (ed avviene nell'adolescenza) la paura verso le figure adulte diminuirà ecco che l'adulto non avrà più il potere di controllare il comportamento e quindi le condotte non volute aumenteranno a meno che non siano seguite da un'interiorizzazione delle condotte virtuose. Altro aspetto critico delle punizioni sta nel fatto che il genitore severo che punisce accompagna spesso il castigo a sentimenti di ira, risentimento, dice frasi anche molto cattive e aggressive (se non giunge alla punizione corporale), e quindi questo alimenta la sensazione nel bambino di essere amato non per quello che è, ma solo per quello che fa e quindi anche da grande potrà diventare un adulto manipolatore, perché ha imparato che per ottenere gratificazioni dagli altri bisogna lavorarseli e blandirli, usarli,  ma questo è contrario allo sviluppo di una morale autentica. L'ideale sarebbe quindi sostituire il castigo al dialogo e limitare la punizione solo nei primi anni di vita, ma diminuirle di molto se non annullarle man mano che il fanciullo cresce, in caso di errore si deve far riflettere con calma sulle conseguenze negative dell'atto compiuto.  Infatti attualmente sono sempre di più i pedagogisti e gli psicoterapeuti che contestano il valore educativo del punire, uno tra tutti è il pedagogista Daniele Novara, che insegna a gestire con il dialogo praticamente tutti i comportamenti problema e i conflitti tra coetanei.
Qual è la vostra posizione sul valore pedagogico della punizione? Ritenete che essa vada mantenuta oppure vada di molto limitata come appunto ho sopra affermato?

#8
Normalmente un principio molto affermato, in campo morale e spirituale, è quello secondo cui è giusto dare amore e affetto, rispetto, attenzioni, solo a chi le MERITA, ma se analizziamo bene si scopre che in realtà questo principio ci allontana dall'esprimere amore autentico, ma riduce le relazioni ad un baratto, ad un usarsi a vicenda. Infatti "meritare" il rispetto e l'affetto che cosa significa in pratica? Significa mettere in atto tutta una serie di comportamenti (gentilezza, modi cortesi, educazione, ecc.) che noi desideriamo e che ci gratificano (ma possono essere, come spesso sono, solo ipocrisia formale!) e che quindi ci spingono a nostra volta a compiere azioni simili, ma per interesse, non per vero amore.
Infatti l'uomo, fin dalla tenerissima età, impara benissimo che se mette in atto determinate azioni otterrà gratificazioni dagli altri e rispetto, mentre se agisce in maniera diversa riceverà qualcosa che lo farà soffrire anche molto. Amare e rispettare chi merita quindi significa, dal mio punto di vista, semplicemente attendersi (consapevolmente o istintivamente) di ricevere una risposta che ci darà piacere e gratificazioni, infatti che cosa facciamo quando una persona per cui abbiamo fatto anche sacrifici inizia a comportarsi male con noi? Normalmente si dice: "Caspita, dopo tutto quello che ho fatto per lui questo è il "ringraziamento"? Non MERITA più nulla!". Ecco, da questa cosa si rivela che tutto era un inganno sin dall'inizio, perché sin dal principio si era stati gentili e corretti solo per ottenere qualcosa in cambio, e quindi non si è mai trattato di vero amore, al massimo di benevolenza interessata. Se invece ci si sforza di dare amore anche a chi secondo noi (o in base al giudizio generale) non lo merita, ad esempio perché è antipatico, egoista, ecc., allora stiamo davvero crescendo nella capacità di amare.
Che cosa ne pensate di queste mie riflessioni?
#9
Secondo voi è giusto oppure no accettare determinate idee in nome del principio della libertà democratica di pensiero? Ad esempio esistono idee che la società di fatto (pur proclamando apparentemente la libertà di pensiero) di fatto non accetta e ritiene essere quasi un reato come le opinioni omofobe, il razzismo verso determinati gruppi etnici e religiosi, il sessismo, l'apologia di fascismo e di nazismo. Ma siccome il pensiero dovrebbe essere libero in una società veramente democratica, non accettare queste idee non significa di fatto voler imporre il pensiero unico? Se si parte dal principio che non esiste una verità assoluta, allora anche il razzista o l'omofobo più convinto dovrebbe essere libero di pubblicizzare le sue opinioni, se esse sono motivate da teorie di carattere genetico, storico o antropologico ed anzi l'espressione di tali idee in una società veramente democratica favorirebbe il dialogo e il confronto, invece se si proibisce e si censura il dialogo è spento in partenza e tanto ognuno dentro di sé coltiverà le proprie idee senza la possibilità anche di poter rivederle in caso di errore. Secondo me il censurare e il proibire l'espressione del pensiero non è mai positivo, non favorisce la crescita di nessuno ed è di fatto una forma sociale dittatoriale, per cui si deve pensare solo in una determinata direzione. Voi ritenete che la libertà di pensiero vada limitata oppure sia giusto darla per qualsiasi opinione a patto che sia motivata?
#10
Com'è abbastanza noto, la sindrome della crocerossina (o anche sindrome di Wendy presa dalla favola di Peter Pan) è quell'attitudine per cui una persona inizia una relazione sentimentale non perché è davvero innamorata del partner, ma per sostanziale commiserazione e narcisismo, con l'intento di cambiare la persona perché di fatto si sente superiore, migliore ed investita della missione di trasformare il partner secondo i suoi modelli ed ideali. Spesso riguarda le donne ma anche alcuni uomini, questi instaurano un rapporto con il partner vedendo tutte le sue gravi magagne (immaturità, violenza, persino disturbi mentali gravi, oppure tossicodipendenza ecc.) e però intendono cambiarlo, è come se dicessero: "Poveraccio, come sei conciato, ma io ti salverò, la tua salvezza dipenderà da me".  Il presupposto su cui sia basa tutto è l'assunto "Ti amerò solo se cambierai o sarai come dico io !". Tuttavia in questo modo si crea una relazione tossica in cui tutti e due i soggetti sono destinati a soffrire e non arriveranno mai all'accettazione reciproca e all'amore vero: La crocerossina (o l'uomo crocerossino) potrà anche fare del bene ma si sentirà delusa, frustrata perché vedrà che i suoi sforzi non raggiungono il fine ed allora finirà per provare risentimento e rabbia verso l'altro e il partner che viene "aiutato" si ribellerà perché prima o poi percepirà che l'amore non è autentico, non è basato sull'accettazione ma sulla volontà narcisistica di cambiarlo, sostanzialmente sulla manipolazione.
Per quale motivo quindi questi soggetti non capiscono che iniziare una relazione su queste basi non è amore, ma è di fatto solo una forma di volontà di potenza sull'altro?
#11
Secondo voi, qual è l'origine profonda dell'infelicità umana? Qual è il modo per raggiungere la serenità interiore? Secondo me l'origine profonda dell'infelicità consiste nel desiderio umano di ricevere amore, affetto e rispetto dagli altri esseri umani. Infatti tanto più è forte il desiderio di ricevere attenzioni, rispetto ed amore dagli altri, tanto più si soffre interiormente se gli altri si comportano con te con cinismo, indifferenza, prepotenza o peggio se ti ingannano per usarti fingendo sentimenti che non provano; quindi per raggiungere la serenità (imperturbabilità) interiore bisogna aumentare molto la propria autostima, essere convinti di valere indipendentemente dal giudizio altrui ed abbattere le aspettative (che poi sono in fondo pretese della psiche) di ricevere il bene dagli altri, così anche se nessuno ti considera tu sei convinto comunque di valere e di avere della qualità e rimani indifferente all'atteggiamento negativo altrui, anzi pensi: "Peggio per loro, non mi meritano, sono loro ad essere meschini e nel torto". Se si riesce a raggiungere questo stato allora anche se qualcuno ti insulta non ti lasci prendere dall'ira e dalla sofferenza, ma pensi: "Peggio per lui, è lui ad essere meschino e a contaminare la sua anima, non rispettandomi io non mi lascio corrompere!" e al limite rispondi con calma olimpica, ma senza provare e reprimere ira e sofferenza. Lo stesso vale anche per i complimenti che gli altri possono farti, non bisogna essere dipendenti interiormente nemmeno da quelli, perché chi sa veramente di valere non ha bisogno di conferme dagli altri, quindi anche qui è opportuna l'indifferenza interiore,  anche perché il mondo è pieno di adulatori.
Quindi secondo me la ricetta per la serenità consisterebbe nel non fare derivare in nessun modo la propria felicità dagli atteggiamenti altrui, nell'instaurare nella psichiche un'indifferenza di tipo stoico. Che cosa ne pensate?
#12
Come mai la scelta di rimanere single e di non vivere in un rapporto di coppia è considerata in maniera generalmente negativa, come espressione di asocialità e immaturità, di egoismo, di incapacità di amare davvero? In realtà una persona potrebbe scegliere di rimanere single non perché è asociale, ma perché ritiene che in questo modo sia più libera e veramente padrona della sua vita  e meno soggetta a possibili conflitti (che possono anche essere gravi) rispetto ad un rapporto di coppia: infatti se sei da solo puoi realizzare i tuoi desideri senza scontentare nessuno, sei padrone delle tue scelte senza nessuno che possa influenzarti in modo errato,  senza che ci sia un partner che ti fa richieste oggettivamente discutibili o addirittura palesemente irragionevoli, non sei soggetto ai dinieghi di nessuno che poi ti portano (spesso per quieto vivere) a rinunciare a desideri assolutamente legittimi, quindi se la condizione di single porta a tutti questi vantaggi come mai chi la sceglie (proprio come me che ho fatto questi ragionamenti) viene considerato un perdente asociale, un inadeguato "sfigato" che non riesce ad instaurare relazioni? Sembra quasi che la società abbia stabilito dei riti obbligati di passaggio (come il farsi una famiglia, avere dei figli) senza i quali la persona è ritenuta immatura e inadeguata, non avete anche voi la stessa impressione?
#13
Io credo che i sogni siano un mistero, nel senso che è difficile riconoscerne il significato che essi hanno, se sono desideri espressi dalla mente in forma simbolica, avvertimenti di qualcosa che ci sta per accadere o che riguarda la strada che stiamo percorrendo oppure semplici pensieri espressi in forma immaginativa e creativa. Tuttavia mi è spesso capitata una cosa strana: quasi ogni volta che ho sognato di mangiare dolci (pasticcini, biscotti, cioccolata, ecc.) il giorno dopo ho avuto delle contrarietà, magari piccole ma le ho avute, ho avuto ad esempio conflitti con gli altri, litigi, malintesi oppure impedimenti nelle cose che intendevo svolgere. Ciò mi sembra quasi supportare la credenza popolare secondo cui sognare di mangiare dolci indica che arriveranno amarezze nella tua vita, insomma, se c'è una credenza popolare evidentemente è perché anche ad altre persone sarà capitata la stessa cosa, o no? Ho quasi il sospetto che quando sogniamo è come se stessimo in contatto con un'energia che non comprendiamo, e che tuttavia cerca, con un linguaggio che non è per niente razionale, di avvertirci di qualcosa che sta per accadere oppure che la direzione che abbiamo preso nella nostra vita è corretta o meno. Voi quale rapporto avete con i vostri sogni? Vi è mai capitato di avere sogni premonitori, ricorrenti oppure che in qualche modo vi sembrava avessero un evidente significato simbolico? Parliamone.
#14
Non trovate che la psicologia e la psichiatria tendano a trovare praticamente ogni sorta di giustificazione per il male e la cattiveria che le persone compiono nella vita? Gli psicologi hanno "inventato" (secondo me si tratta di INVENZIONI) i disturbi di personalità per cui praticamente ogni atto malvagio che un paziente compie può essere ricondotto a quel disturbo e viene di fatto negato il libero arbitrio: se compi crimini è perché hai un disturbo antisociale di personalità (e che razza di disturbo sarebbe? Dove starebbe l'origine, è genetica o ambientale? Non è chiaro), se manipoli gli altri come pedine, li usi e li fai  volontariamente e sadicamente soffrire è perché hai un disturbo narcisistico, in pratica ogni nefandezza può essere ricondotta al disturbo e la responsabilità della persona è annullata, anche se ha agito il male in maniera volontaria. Ora mi domando seriamente:  Un disturbo di personalità è falsificabile? La mia risposta è NO, poiché gli psicologi non hanno mai indicato i geni precisi che determinano il disturbo e soprattutto i fattori ambientali in cui una persona è vissuta non annullano il libero arbitrio e la capacità di scegliere come comportarsi, ci sono persone che sono vissute in un ambiente di odio eppure non diventano affatto malvage a loro volta, ma anzi sono splendide persone.  Non trovate quindi che la psicologia sia molto pericolosa perché di fatto, introducendo la categoria secondo me molto fumosa e poco scientifica c
#15
L'innamoramento e l'amore sono la stessa cosa? Nel linguaggio comune sono intercambiabili, ma in realtà non mi sembra che sia così. Perché ci innamoriamo? Ci innamoriamo perché l'altra persona CI PIACE, ci dà sensazioni positive, non ci innamoreremmo mai di una persona che non ci piace, per cui proviamo repulsione, che ci sembra brutta esteticamente, oppure di cui non amiamo il modo di parlare, di camminare, ecc. Oppure ci innamoriamo di persone che hanno i nostri stessi ideali e condividono i nostri valori, il nostro modo di pensare, i nostri interessi e pensiamo che quindi il partner potrà darci felicità e benessere. Nell'innamoramento siamo come Narciso che si innamorò della sua immagine riflessa,  ma in realtà  non ci interessa l'altro, non ci interessa conoscerlo nella sua verità, ma ci interessa soltanto il nostro benessere e la nostra felicità: ci innamoriamo non della persona autentica , ma dell'IMMAGINE che ci siamo fatti di quella persona nella nostra testa ed è per questo che nell'amore si idealizza il partner, perché proiettiamo nell'altro il nostro stesso desiderio di perfezione. In questo contesto noi vogliamo che l'altra persona sia sempre per quanto possibile con noi, temiamo di perderla e diventiamo gelosi (a volte troppo), vogliamo che dedichi il suo tempo a noi e che ogni cosa venga condivisa perché così possiamo sentire sensazioni positive.  Ne consegue che nella fase dell'innamoramento la nostra ragione è offuscata (non si vedono i difetti altrui) e noi non agiamo perché vogliamo veramente il bene dell'altro, ma semplicemente senza accorgercene USIAMO L'ALTRO per ottenere sensazioni positive, anche quando sembra che siamo disposti a tutto per il partner. Quando finisce tutto questo? Finisce quando l'immagine che ci eravamo fatti del partner si scontra con la realtà oggettiva, e quindi vediamo l'altro nella sua verità: a questo punto ci sono due strade A) Rifiutare l'altro e troncare la relazione perché pensiamo che non ci dia benessere; B) Accettare l'altro per quello che è, con le sue fragilità e difetti e sforzarsi di volere il suo bene. 
Ma a me sembra che moltissime coppie scelgono sempre di più la strada del rifiuto dopo la fase dell'innamoramento e quindi ritengo che quasi tutti riescono a innamorarsi, ma pochi riescano ad AMARE, cioè a volere veramente il bene del partner indipendentemente dalle sensazioni positive che riceverebbero dal loro agire. Non trovate che sia così?
#16
L'amore sincero verso una persona può anche sussistere se non si ha fiducia in essa? Normalmente si dice che amore e fiducia sono strettamente correlati, tuttavia un genitore può benissimo non fidarsi di un figlio perché si mostra molto irresponsabile, gravemente immaturo o con forte tendenza a mentire eppure anche se non ha fiducia vuole il suo bene e cerca di indirizzarlo per quanto può verso scelte giuste evidenziando il male e gli errori presenti nelle sue azioni e nella sua volontà. Anzi in questo caso se si fiderebbe non farebbe il suo bene, perché lo esporrebbe a pericoli molti gravi in conseguenza di scelte irresponsabili. In questo razionalmente anche se non hai fiducia la volontà è comunque orientata al bene dell'altro. Amare infatti significa volere il bene dell'altro, e quindi io credo che si possa volere il bene anche di persone per cui dal punto di vista razionale si ritiene sia giusto non accordare molta fiducia. Oppure non funziona così?
#17
Qual è il legame che può esistere secondo voi tra il sentimento religioso e il narcisismo, l'orgoglio dell'uomo? Il narcisismo è quel sentimento che porta l'uomo a volersi sentire superiore a tutti gli altri esseri del creato, e ad avere anche quella che Nietzsche definiva la volontà di potenza, volontà che lo porta ad assoggettare tutta la natura ai suoi desideri. In tutte le religioni istituzionalizzate esistono sempre e comunque a mio avviso elementi che fanno riferimento al sentimento narcisistico ma che nel tempo stesso vogliono anche paradossalmente limitarlo o addirittura annientarlo. Nella Bibbia non a caso si dice che Dio diede ad Adamo (che rappresenta l'umanità) il DOMININIO su tutti gli esseri viventi del creato e lo pose al centro del mondo stesso, una visione sicuramente piena di orgoglio. Nell'ebraismo gli ebrei si ritengono il popolo eletto da Dio, quindi  l'ebraismo può essere considerata come una religione molto narcisista, poiché presuppone che ci sia un popolo intero in condizione di superiorità rispetto a tutti gli altri (i Gentili), ma nello stesso tempo l'ebreo osservante deve SOTTOMETTERSI alla rigida Torah voluta da Jahwè considerato nell'AT come un Dio geloso che punisce fino alla settima generazione (sic!), quindi se da un lato il narcisismo è esaltato dall'altro viene in qualche modo annientato dalla sottomissione a rituali molto rigidi e ad un Dio Padrone. Nel Cristianesimo viene esaltata la virtù dell'umiltà e della sottomissione a Dio, ma l'elemento narcisistico è presente lo stesso quando si dice che chi seguirà la volontà di Cristo farà parte del Regno di Dio, quindi ad agire in un certo modo ci si sente come a far parte di una comunità di eletti, di privilegiati: il narcisismo è altissimo poi nella prospettiva calvinistica, in cui appunto si dichiara che chi ha successo già sulla Terra nella vita, nella carriera, negli affari, è segno che è predestinato da Dio alla Salvezza e quindi il credente può gloriarsi con se stesso di ciò che ha realizzato nella vita.
Il filosofo Feuerbach diceva che l'uomo è spinto a creare l'immagine di Dio come onnipotente, eterno ed onniscente perché nella sua volontà di onnipotenza vorrebbe essere proprio con queste caratteristiche, ma non potendo realizzarle le proietta nell'immagine del sacro, del divino. Ora, anche non condividendo del tutto l'idea di Feuerbach (che non era credente), comunque io ritengo che le religioni siano in misura maggiore o minore influenzata dal narcisismo della psiche umana. Condivide le mie osservazioni sulla realtà delle religioni?
#18
Da dove nasce secondo voi il male morale? Dalla parte emotiva/irrazionale dell'uomo oppure da quella razionale? Io credo che nasca sostanzialmente dalla parte emotiva, cioè da quello che definiamo "CUORE", anche nel Vangelo Gesù disse infatti in un suo discorso ai farisei che: "E' dal cuore dell'uomo che nasce tutto ciò che è impuro, tutte le perversioni, le nefandezze, le impurità, gli omicidi, gli adulteri, i tradimenti". Si parla di cuore, non appunto di mente razionale. Si può obiettare che se io decido di compiere il male ad una persona per ottenere un vantaggio obiettivo, io sto usando la razionalità, ma è la ragione la causa vera del male? A mio avviso no. Infatti ciò che in questo caso determina il male nell'agire è un eccesso di amor proprio (egoismo), e l'eccesso di amor proprio o egoismo che dir si voglia è una PASSIONE, nasce sostanzialmente dagli impulsi emotivi dell'uomo collegati all'istinto di conservazione. Se si analizzano tutte le motivazioni per cui si compie il male e si compiono azioni malvage, si scopre che dietro ad ognuna non vi è mai un ragionamento puro, ma vi sono solo PASSIONI: ci si comporta male per invidia/gelosia, voglia di primeggiare, desiderio di potere e narcisismo, senso di appartenenza ad un gruppo dedito al male, desiderio sessuale sregolato, disprezzo e avversione per gli altri o per una persona, malintesa volontà di libertà, misantropia, razzismo, ecc. Si tratta quindi di impulsi emotivi collegati assai spesso ad una distorsione del primario istinto di conservazione. La ragione invece, se rettamente utilizzata e scevra da passioni, porterebbe a compiere azioni che produrrebbero un vantaggio per entrambi i soggetti (massimizzare il bene) e quindi è dalla retta ragione che potrebbe scaturire un mondo migliore, non dal mondo dei sentimenti che è per natura soggettivo, instabile, mutevole, soggetto ad errori. Infatti per Kant l'imperativo categorico della coscienza morale nasceva proprio dal comprendere cognitivamente ciò che è bene per un determinato soggetto e la comprensione della ragione pura per Kant porta la volontà a perseguire il bene morale. Ciò che soffoca la coscienza morale sono appunto le passioni ed anche i condizionamenti religiosi, culturali, sociali di appartenenza. Secondo voi il male morale deriva dalla razionalità oppure dal mondo emotivo dell'uomo?
#19
Per chi crede in Dio, secondo voi una persona che manca di carità e di solidarietà verso il prossimo, che è molto egoista, sostanzialmente incapace di amare veramente gli altri, può nonostante questa grave carenza umana entrare lo stesso in sintonia con Dio ad esempio nella preghiera, nel rivolgersi sinceramente a Lui? Oppure la mancanza di amore verso le creature preclude anche l'amicizia vera con il Creatore?
#20
Secondo voi, siamo tutti a livello diverso dei manipolatori degli altri, o meglio nella comunicazione la manipolazione è inevitabile? Iniziamo da un presupposto fondamentale: secondo me nessuno comunica in maniera fine a se stessa, ma sempre per uno scopo preciso, che può essere informare, persuadere, far provare compassione o viceversa avversione per qualcosa, esprimere un desiderio, produrre un cambiamento nell'altro, comandare, giudicare, ecc. Ma tutti questi scopi di comunicazione si riducono sostanzialmente ad una cosa sola: far pensare o far agire l'altra persona in una determinata maniera. Ora, non è questa appunto manipolazione dell'Io altrui? Anche chi apparentemente vuole informare in maniera assolutamente oggettiva, in realtà intende produrre nella persona determinate azioni che derivano dalla sua volontà, e quindi inevitabilmente con le sue parole la influenza, ne manipola le scelte. Prova ne è il fatto che nessuno informa mai in maniera veramente oggettiva, ma se lo fa è sempre per un doppio scopo, per far comprare un prodotto, per farlo usare perché ritiene giusto che l'altro lo faccia, oppure l'insegnante che trasmette il suo sapere vuole che i suoi studenti in quel momento si interessino a quell'argomento e non magari ad altro (forse più importante), quindi vuole appunto manipolare le reazioni altrui. Allo stesso modo avviene nell'ambito affettivo: tante volte si sentono dire le frasi "Se mi vuoi bene, allora dovresti rinunciare ad agire in questo modo", oppure "Se ti dò questi consigli lo faccio per il tuo bene", sono tutte forme di manipolazione affettiva in cui si gioca sul senso di colpa altrui.
Quindi mi chiedo: nella comunicazione la manipolazione è inevitabile? Possono esistere forme di comunicazione pura in cui si rispetta totalmente la libertà dell'altro e non si cerca quindi di influenzarlo?