Mi capita di assistere a dispute fra scientisti che ritengono quella propria delle scienze naturali l' unica possibile conoscenza razionalmente fondata e ragionevolmente (se non anche assolutamente) certa di tutto ciò che é umanamente indagabile da una parte, e credenti che alla scienza affiancano la religione come fonte di verità che esulano dalla conoscenza dei modi del divenire naturale - materiale proprio delle scienze naturali stesse.
Gli scientisti (in sostanza quelli che una volta, con un termine un po' più "vetero" -ma come mi piace, da comunista, affibbiare ad altri questa pretesa contumelia che sento continuamente rivolgere contro me stesso!- si dicevano "positivisti") denunciano l' irrazionalismo e le frequenti sopraffazioni subite dalla scienza ad opera delle religioni (per la verità bisognerebbe dire delle chiese, che é cosa un po' diceversa) e tendono ad identificare con credenti in Dio e nel "soprannaturale" tutti coloro che criticano razionalmente la scienza e ne analizzano i limiti.
Dall' altra parte i credenti tendono ad arrogare a sé (o nei casi meno peggiori a sé e a credenti in altre religioni) l' unicità di una più critica comprensione dei limiti della conoscenza scientifica e della necessità di accedere a verità più "profonde" (come dicono di solito loro), o comunque più generali sulla realtà complessivamente intesa (verità ontologiche), oltre che relative ad ambiti diversi da quello materiale - maturale intersoggettivamente constatabile che é oggetto delle scienze naturali (verità circa i fenomeni mentali).
Una terza posizione frequentemente osservabile é quella di coloro che ritengono che conoscenza scientifica e fede religiosa si integrano complementarmente l' un' l' altra.
E' questa per esempio la tesi sostenuta, con mia grave delusione, da uno scienziato grandissimo (per me comunque uno dei due o tre maggiori ricercatori del XX° secolo!) e uomo coltissimo (anche in campo "umanistico"), che ammiro comunque moltissimo, Stephen Jay Gould nell' ultimo libro scritto poco prima di morire, I pilastri del tempo.
Anche qui nel forum la questione si affaccia di tanto in tanto in questi termini.
A me sembra doveroso precisare che in realtà la religione (anzi, le diverse religioni) costituiscono risposte a problemi non scientifici ma filosofici; ma non affatto le uniche risposte possibili e di fatto tentate.
In realtà quelle religiose sono solo un sottoinsieme della ben più ampia classe delle filosofie.
E la scienza può essere criticata razionalmente e integrata o "affiancata" con considerazioni ontologiche generalissime e con conoscenze dell' ambito non materiale - naturale della realtà e dei suoi rapporti con quello materiale - naturale, anche attraverso teorie critiche razionali ben diverse dagli irrazionalismi (più o meno integralmente tali: non faccio di tutte le erbe un fascio) religiosi.
Gli scientisti (in sostanza quelli che una volta, con un termine un po' più "vetero" -ma come mi piace, da comunista, affibbiare ad altri questa pretesa contumelia che sento continuamente rivolgere contro me stesso!- si dicevano "positivisti") denunciano l' irrazionalismo e le frequenti sopraffazioni subite dalla scienza ad opera delle religioni (per la verità bisognerebbe dire delle chiese, che é cosa un po' diceversa) e tendono ad identificare con credenti in Dio e nel "soprannaturale" tutti coloro che criticano razionalmente la scienza e ne analizzano i limiti.
Dall' altra parte i credenti tendono ad arrogare a sé (o nei casi meno peggiori a sé e a credenti in altre religioni) l' unicità di una più critica comprensione dei limiti della conoscenza scientifica e della necessità di accedere a verità più "profonde" (come dicono di solito loro), o comunque più generali sulla realtà complessivamente intesa (verità ontologiche), oltre che relative ad ambiti diversi da quello materiale - maturale intersoggettivamente constatabile che é oggetto delle scienze naturali (verità circa i fenomeni mentali).
Una terza posizione frequentemente osservabile é quella di coloro che ritengono che conoscenza scientifica e fede religiosa si integrano complementarmente l' un' l' altra.
E' questa per esempio la tesi sostenuta, con mia grave delusione, da uno scienziato grandissimo (per me comunque uno dei due o tre maggiori ricercatori del XX° secolo!) e uomo coltissimo (anche in campo "umanistico"), che ammiro comunque moltissimo, Stephen Jay Gould nell' ultimo libro scritto poco prima di morire, I pilastri del tempo.
Anche qui nel forum la questione si affaccia di tanto in tanto in questi termini.
A me sembra doveroso precisare che in realtà la religione (anzi, le diverse religioni) costituiscono risposte a problemi non scientifici ma filosofici; ma non affatto le uniche risposte possibili e di fatto tentate.
In realtà quelle religiose sono solo un sottoinsieme della ben più ampia classe delle filosofie.
E la scienza può essere criticata razionalmente e integrata o "affiancata" con considerazioni ontologiche generalissime e con conoscenze dell' ambito non materiale - naturale della realtà e dei suoi rapporti con quello materiale - naturale, anche attraverso teorie critiche razionali ben diverse dagli irrazionalismi (più o meno integralmente tali: non faccio di tutte le erbe un fascio) religiosi.