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Discussioni - Apeiron

#1
Introduzione

Volevo proporre una critica alla concezione per la quale la coscienza è interamente spiegabile in termini fisici.
Recentemente, la questione è stata dibattuta nella discussione 'L'Io e l'Altro'.
Personalmente, ritengo che tale concezione - nelle sue varie forme - è erronea. E ritengo che sia inoltre possibile dare argomentazioni 'razionali' contro di essa.  

Si possono classificare due forme di concezioni 'fisicaliste' della coscienza. La prima è l'eliminativismo, per il quale la coscienza è puramente illusoria, non esiste. La seconda è l'emergentismo che, invece, sostiene che la coscienza è una proprietà emergente da processi fisici. Per fissare le idee, le fasi della materia sono proprietà emergenti: una singola molecola d'acqua non può essere considerata liquida, solida o gassosa ma un insieme di molte molecole d'acqua può essere trovato in tali fasi. Chiaramente, una proprietà emergente di questo tipo può essere completamente spiegata in termini delle proprietà dei componenti materiali.

Argomentazione contro l'eliminativismo

L'eliminativismo sostiene che la coscienza è illusoria o non-esiste. Ammetto che non mi è chiaro cosa tale posizione vuole affermare. Tuttavia, assumiamo ora che sia ben definita.

All'affermazione 'la coscienza è illusoria', si può contro-argomentare in questo modo. Anzitutto, non è ben chiaro in che modo si potrebbe verificare che 'la coscienza è reale'. Si sta negando che si è consapevoli, che si provano sensazioni (ad es: sensazioni dolorose, piacevoli ecc) ecc? Siccome è impossibile negare tali esperienze, è chiaro che la coscienza non è illusoria.

Argomentazione contro l'emergentismo

La posizione emergentista risulta al sottoscritto ben più sensata. In fin dei conti, è innegabile che ci sia una fortissima correlazione tra i fenomeni neurologici e le esperienze coscienti (determinare tale correlazione viene definito, in filosofia della mente, 'problema facile della coscienza'). Quindi, pare altrettanto sensato dire che la coscienza emerge quando si presenta una determinata configurazione materiale.

Tuttavia, c'è un problema anche nell'emergentismo. Infatti, vi è il ben noto problema 'delle altre menti'. Io ho esperienza diretta solo delle mie esperienze coscienti. Non di quelle altrui. Un'analisi empirica - ad esempio scientifica - non è sufficiente a 'provare' che altri esseri umani, ad esempio, abbiano esperienza cosciente ('provino qualcosa'). Ma anche se si accetta l'esperienza cosciente degli altri esseri umani rimane lo stesso problema per gli animali. Riesce la conoscenza scientifica a determinare la presenza di coscienza negli animali? A mio giudizio, no. Non da sola. Serve un'inferenza aggiuntiva non-scientifica.

Il precedente argomento può sembrare banale ma, in realtà, non lo è. Non è possibile, infatti, avere una prova inconfutabile che gli altri hanno esperienza. E, inoltre, se si accetta anche l'assunzione per la quale i processi fisici hanno una spiegazione fisica - ciò esclude che la coscienza possa influenzare la materia - abbiamo che - a differenza di qualsiasi altra proprietà emergente - non è possibile trovare nei fenomeni fisici una traccia di una conseguenza della presenza della coscienza. Questo renderebbe la coscienza qualcosa di bizzarro: una proprietà emergente che non è né direttamente osservabile né indirettamente osservabile (nel senso che non sono osservabili conseguenze di essa) ma che siamo costretti ad ammettere perché non possiamo negare la nostra esperienza vissuta e, allo stesso tempo (è interessante notare che una critica a tale posizione viene - leggevo anche tempo fa - da argomentazioni prese dalla teoria dell'evoluzione: non si capisce 'a che pro' la coscienza insorgerebbe dalla materia se non ha alcuna utilità, ad esempio se non serve all'adattamento ecc).

Come ulteriore argomento è possibile spiegare le proprietà dei fenomeni emergenti in termini delle proprietà di fenomeni fisici più semplici. Tuttavia, nel caso della coscienza questo comporta un grosso problema. Riporto quanto scrive il filosofo Michel Bitbol, nel suo articolo 'Beyond Panpsychism: The radicality of Phenomenology'
(fonte: www.academia.edu):

Citazione
CitazioneLet's come now to the no-emergence argument... It has gained some credit from Galen Strawson's stringentdescription of what emergence of unexpected macroscopicfeatures out of the interaction of known microscopic featureswould require. According to him, "There must be somethingabout X and X alonein virtue of whichY emerges, and which issufficient for Y" (Strawson 2006). The emergence of (say)liquidity from an interaction of water molecules is relatively easyto account for by way of their Van der Waals interactions; but itlooks like there is nothing in the physico-chemical description ofatoms and molecules "in virtue of which" phenomenalconsciousness should arise. This obstacle was nilly-willyconfirmed by a chief proponent of the emergentist thesis:Jaegwon Kim. In his book entitledPhysicalism or somethingnear enough,the expression "near enough" is meant to challengea standard emergentist view of phenomenal consciousness.
Indeed, after a lenghy reflection in which Kim documents severalaccepted cases of emergent features and categorizes them as"weaklyemergent" (their emergent status being onlyapparent,due to limitations of our conceptual or perceptive abilities), heconcludes that phenomenal consciousness is a unique case of strong emergence, since it is truly, absolutely, and necessarilyunpredictable given the microscopic properties of physicalelements (Kim 2005, 2006).

Strong emergence, here, can be read as a combination of postulated emergenceplusirreducibleignorance about the "in virtue of which" this should take place. Ifone is not dogmatic about the postulate, ignorance is what is left.

TRADUZIONE MIA:

Passiamo ora all'argomento contro l'emergenza... Ha ottenuto abbastanza credito dalla descrizione di Galen Strawson di cosa richiederebbe l'emergenza di proprietà macroscopiche dall'interazione inattese da proprietà microscopiche conosciute. Secondo lui, "Ci dev'essere qualcosa riguardante X e solo X in virtù di cui Y emerge, ed è sufficiente per Y" (Strawson 2006). L'emergenza (ad esempio) della liquidità dall'interazione delle molecole d'acqua è relativamente facile da spiegare attraverso le interazioni di Van der Vaals; ma sembra che non ci sia niente nella descrizione fisico-chimica di atomi e molecole 'in virtù di cui' la coscienza fenomenica dovrebbe insorgere. Questo ostacolo è stato confusamente confermato da uno dei principali proponenti della tesi emergentista: Jaegwon Kim. Nel suo libro intitolato Physicalism or something near enough [trad: "Fisicalismo o qualcosa di sufficientemente vicino ad esso"], l'espressione 'sufficientemente' è intesa come una sfida alla posizione standard emergentista della coscienza fenomenica.
Certamente, dopo una lunga riflessione nella quale Kim documenta diversi casi di emergenza di proprietà e li categorizza come 'debolmente emergenti' (il loro status di [essere] emergenti è dovuto alla sola limitazione delle nostre capacità concettuali o percettive), conclude che la coscienza fenomenica è un unico caso di forte emergenza, perché è veramente, assolutamente e necessariamente imprevedibile date le proprietà microscopiche degli elementi fisici (Kim 2005, 2006).
La forte emergenza, qui, può essere letta come una combinazione della postulata emergenza più un'ignoranza irriducibile riguardo a 'ciò in virtù di cui' questa [emergenza] dovrebbe avvenire. Se uno non è dogmatico riguardo al postulato, ciò che rimane è l'ignoranza.

Bitbol poi critica una possibile soluzione a questo problema: le varie posizioni panpsichiste (più o meno forti), per le quali (in qualche misura) l'esperienza cosciente è una proprietà irriducibile presente in tutti i fenomeni fisici.


Conclusione

Tramite argomentazioni filosofiche, si è giunti alla conclusione che le spiegazioni eliminativiste ed emergentiste sono assai problematiche. Contro l'eliminativismo si può asserire che dire che 'la coscienza è una illusione' non è per niente chiaro - inoltre non è chiaro come tale illusione possa insorgere. L'emergentismo invece è problematico per un'altra ragione: non pare possibile, infatti, trovare delle proprietà degli 'oggetti' fisici (materia, radiazione, spazio-tempo...) in virtù di cui è possibile spiegare la coscienza.

Spero, quindi, di aver mostrato come si può essere allo stesso tempo non-dogmatici e non essere 'materialisti' (espressione assai infelice - oggi è preferibile 'fisicalisti').


Supplemento

Aggiungo, inoltre, una ulteriore argomentazione che parte però dall'accettazione del 'libero arbitrio' (non riguarda perciò chi non lo accetta). Se si accetta (come faccio io) il libero arbitrio diventa, secondo me, impossibile giustificare l'emergentismo. Sappiamo infatti al giorno d'oggi che i processi fisici sono o deterministici o probabilistici. Con determinismo intendo la posizione per cui fissate le condizioni iniziali, l'evoluzione temporale dei processi fisici è completamente determinata. Con probabilismo, invece, intendo la posizione per cui l'evoluzione sia (almeno parzialmente) descrivibile in modo probabilistico.
Il libero arbitrio, chiaramente, è incompatibile col determinismo. Infatti, richiede che le scelte non siano qualcosa di determinato, inevitabile. Tuttavia, nemmeno il probabilismo è compatibile con il libero arbitrio - le scelte, infatti, non sono meramente casuali. Chiaramente, nessuna combinazione di probabilismo e determinismo può giustificare il libero arbitrio.

(perdonate la modifica: ho scambiato l'ordine di 'Supplemento' e 'Conclusione'. In questo modo la presentazione della critica diventa più comprensibile, secondo me)

N.B.: questa è una critica, non una proposta di una tesi alternativa (ovviamente non è incompatibile con una tale proposta...).
#2
Tematiche Filosofiche / Il valore
10 Novembre 2017, 23:03:22 PM
Con "valore" in genere si intende ciò che rende importante qualcosa. Un esempio molto banale e molto evidente di "valore" è il valore economico ed è rappresentato grosso modo dal prezzo. Per esempio qualcosa che si trova raramente costa molto, così come costa in genere di più un'opera fatta artigianalmente da una fatta nell'industria. Tuttavia anche se il valore è "ciò che rende una cosa importante" è anche vero che tale "valore" deve essere importante per "qualcuno". Per me ad esempio è importante seguire la meteorologia, per altri invece non lo è. Se un giorno sarò costretto a non seguire più il meteo sentirò la mancanza di qualcosa di importante. Tuttavia la nostra mente cambia in continuazione e non è detto che ciò che è per me oggi importante lo sia anche fra qualche anno - ergo la rinuncia alla meteo forse fra qualche anno non avrà alcun effetto. Il "valore" quindi è ciò che muove ciascuno di noi: ognuno di noi persegue ciò che ritiene importante. Alcuni ritengono che il valore massimo della vita sia per esempio il piacere dei sensi. Altri la filosofia e così via. Per questo motivo è facile capire che il "valore" è un argomento che dovrebbe essere molto presente nella filosofia.

Chi ritiene ad esempio che non vi è nulla di meglio dei piaceri dei sensi si comporteranno di conseguenza, ossia saranno nella continua ricerca del piacere - questo se vogliamo è l'edonismo. Chi ritiene ad esempio che il massimo valore sia la filosofia probabilmente dedicherà la sua vita ad essa. Altri potrebbero scegliere il sacerdozio. E così via. L'etica - quella seria, non l'insieme bigotto di regolette - nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante, quali comportamenti sono giusti e così via - quindi in un certo senso l'etica è lo studio di ciò che ha valore. E volendo lo è anche la spiritualità se la si intende come la ricerca del "Bene", ossia di ciò che ha più valore per lo "spirito". In genere sia le religioni che le religioni hanno cercato di raggiungere ciò che il "massimo valore" e lo hanno reso coincidente con l'Assoluto. In alcuni casi il Bene è una Persona, il Dio Personale. In altri casi è un assoluto non personale. Nel caso del buddhismo è l'Estinzione della Sofferenza (il Nirvana). Per Nietzsche era l'affermazione di sé. Per un nichilista non esiste e così via.

In genere il "valore" di qualcosa sembra crescere a seconda della sua "unicità", della sua "rarità", e del fatto che sia importante per più soggetti. Ergo si dice che il "Bene" più grande è unversale, è ciò che è più importante di tutti. Il fatto che è universale lo rende una sorta di "verità eterna", valida per ogni tempo. Curiosamente Kant si accorse che la nostra mente sembra, per così dire, "puntare" all'esistenza del "massimo bene", ossia sembra che il concetto del massimo bene sia intrinseco alla nostra mente (motivo per cui nella Critica alla Ragion Pratica postulò l'esistenza di Dio in modo da evitare il "paradosso" per cui la nostra mente è regolata da un'idea che riguarda qualcosa di completamente irreale).

Volevo chiedere agli amici dell'Hotel Logos:
1) cos'è per voi il valore?
2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?

P.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
#3
Tematiche Filosofiche / Le tre parti della filosofia
08 Ottobre 2017, 16:27:27 PM
Riuscire a definire cosa si intende per "filosofia" è in genere molto complesso. Un giorno anni fa mi è stato chiesto "cosa è la filosofia?" e lì per lì ho semplicemente detto "ragionamento critico". Tale mia risposta pur essendo corretta è evidentemente incompleta per ragioni che dico adesso. Anzitutto nella filosofia è importante lo studio: grazie ad esso infatti impariamo i termini con cui dialogare, le dottrine dei filosofi precedenti e così via. Senza studio inoltre non riusciamo nemmeno a iniziare a filosofare per un motivo alquanto semplice: non abbiamo la minima idea di cosa voglia dire. Quindi lo studio è una delle parti della filosofia tanto importante quanto il "ragionamento critico". Ma a questo punto potremo dire che la filosofia è una attività di studio e di ragionamento. Questo però è insoddisfacente: manca la terza parte, che probabilmente è la più importante, ossia la parte "creativa" in cui si producono teorie, dottrine e così via. Grazie d'altronde a questa parte produttiva è possibile lo studio, che rende possibile la parte "critica" (o "distruttiva") che rende possibile a sua volta la parte creativa (d'altronde se confutiamo una posizione ne cerchiamo un'altra). La terza parte è possibile per vari motivi: o per astuti collegamenti tra varie zone del sapere oppure per "ispirazioni"/intuizioni di varia natura e così via.

Riassumendo a mio giudizio la filosofia può essere riassunta in queste tre parti (non si deve considerare l'ordine come temporale ovviamente  ;) ):
1) la parte dello studio di dottrine, teorie, modi di ragionamento... ossia, usando un'immagine suggestiva, questa è la parte in cui si scava cercando il minerale prezioso ma anche si cerca di studiare sia come tale minerale si può riconoscere e purificare (ossia si studia il "metodo") ;
2) la parte "creativa" o "produttiva": tramite una intuizione, una ispirazione, un collegamento creativo ecc si arriva a proporre una nuova teoria; Per certi versi non è la critica ma la produzione l'obbiettivo della filosofia ,a meno che non si creda già di aver a disposizione la "dottrina vera" che può essere perfezionata proprio utilizzando la critica. Questa parte della filosofia è quella in cui - per usare l'immagine del punto (1)- si raccoglie (oppure si vede che si ha già in mano  ;D *) qualcosa che si ritiene essere prezioso;
3) la parte distruttiva o "critica" (a cui in genere i "razionalisti" danno a mio giudizio troppa importanza dimenticandosi della terza parte). Questa parte è quella "dialogica" (ma la si può fare anche da soli  ;) ), ossia la dottrina (propria o altrui) in questione viene, per usare un'analogia kantiana, messa costantemente in accusa e bisogna trovarne i punti di forza e i punti di debolezza. In questo modo si fa per così dire un processo di "katarsis"/purificazione rimuovendone le imperfezioni e i difetti oppure la si confuta completamente. La "critica" è tanto più efficace quanto più è per così dire "profonda" in quanto solo utilizzando una così forte critica si riesce a toglierne le imperfezioni (si badi bene che anche colui che crede ad una determinata dottrina può utilizzare questo procedimento. Ad esempio uno che crede nell'esistenza della vita dopo la morte può esaminare le conseguenze della sua credenza e di quella opposta in modo da meglio valutarne i pregi e i difetti...). Questo procedimento, utilizzando sempre la stessa immagine, è simile a quello di chi cerca di stabilire se un minerale raccolto è l'oro e/o di levare via tutte le impurità da tale minerale.

Ovviamente qua si può distinguere anche tra filsofia in senso stretto e spiritualità in senso stretto: nel primo caso infatti i minerali sono le verità (o la Verità per chi crede ancora nella presenza di una Verità Assoluta - di qualsiasi tipo  ;) / si può anche stabilire per esempio che alcune verità non possono essere "capite" o "trovate" - ossia quando ad esempio la miniera è inacessibile) nel secondo caso invece le cose cercate (i "minerali" preziosi) sono i "beni dello spirito (per coloro a cui va bene questa combinazione di parole, il senso credo che sia chiaro - ognuno può chiamarli come vuole)" (valgono le stesse considerazioni di "assolutismo" per il Bene se si ritiene che "esista" qualcosa di simile).

Vale ovviamente secondo me questa massima: Coloro che cercano l'oro scavano molta terra e ne trovano poco. (fr. 22 Eraclito)

*Se ad esempio Platone ha ragione con la sua dottrina dell'anamnesi ovviamente tale "intuizione" in realtà è una reminiscenza.
#4
Riflessioni sull'Arte / Cos'è per voi l'arte?
31 Luglio 2017, 00:15:38 AM
Oggi stavo meditando su cosa sia l'arte, finchè ho avuto un'intuizione. Dopo che io e L. abbiamo fatto "partire" l'inno alla Gioia di Beethoven, l'Halleluyah di Messiah e "Thus Spake Zarathustra" di Strauss mi è balzata in mente quest'idea: l'arte per essere tale non deve avere particolari contenuti o forme. Mesi fa avevo provocatoriamente citato lo Zhuangzi secondo il quale il Tao (l'Assoluto) si trova anche negli... escrementi (capitolo 22). Vedete qual è il problema: forme e contenuti sono in realtà solo il mezzo di cui si serve l'arte. No... l'arte non è di un tipo o di un altro tipo: non possiamo dire che l'arte classica è la vera arte o l'arte indù è la vera arte. NO... l'arte è ciò che crea in noi ispirazione. Ecco cos'è l'arte: ispirazione. E l'opera d'arte è ciò che ispira l'osservatore. Il genio artistico è colui che è propenso all'ispirazione quando vede le opere altrui e colui che sa ispirare con le proprie opere (il critico d'arte per essere tale deve essere solo ispirato). Quindi ecco che con questa definizione l'arte si trova nella pittura, nella scultura, nella musica, nella scrittura, nella filosofia, nella matematica, nella scienza... ma anche nella vita di tutti i giorni, nelle piccole cose quotidiane (lo Zhaung-zi d'altronde ci dice che il Tao lo possiamo trovare anche nella...  ;D ). Anche questa idea la reputo alquanto folle, eppure NESSUNA definizione di arte finora letta mi ha mai soddisfatto e questa devo dire che è la prima che mi soddisfa.

Ma cos'è l'ispirazione? Ne vedo di vari tipi, per esempio: 1) l'ispirazione del senso del bello ( l'io per un istante diventa per un istante un soggetto contemplativo - dimenticandosi del resto - e ammiriamo l'oggetto in questione), 2) l'ispirazione del senso del sublime (confrontiamo noi stessi per contemplare qualcosa molto "più grande/potente" di noi... da notare che a differenza del bello può essere un'esperienza non proprio piacevole), 3) l'ispirazione del senso del "mono no ware" (termine giapponese che indica un senso di ammirazione della bellezza di una cosa transiente, unita ad una forte consapevolezza della transienza di tale bellezza - contiene la nostra sensazione del "nostalgico") 4) l'ispirazione che induce in noi una sorta di ossessione o che ci fa produrre idee (cosa che può essere dovuta alla visione di un'opera d'arte ma può venire dal nulla) 5) l'ispirazione di un senso di estrema paura (tipo il samvega buddista che è stato definito lo "shock estetico" che abbiamo quando con la visione cosmica vediamo e comprendiamo la realtà del dolore, della morte ecc) 6) l'ispirazione di un senso di pace (in questo caso è come se la nostra mente si fermi e raggiunge la pace perdendo ogni preoccupazione individuale - se questo fosse uno stato incondizionato potrebbe somigliare al nirvana) 7) di libertà ecc   

Cos'è per voi l'arte?
#5
In questa discussione https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/qual-e-il-vostro-scopo-di-torri-d'avorio-e-strade-da-percorrere/ io e l'utente epicurus abbiamo avuto una discussione che reputo molto interessante sul rapporto filosofia e vita. Nel tentativo di spiegare perchè secondo me filosofia (seria) e nevrosi sono quasi inscindibili ho megalomanicalmente messo l'esempio di quanto succede a me (e ancora più megalomanicalmente ho assocciato il mio nome con quello di gente varia tipo Platone, Plotino, Nietzsche, Budda, Wittgenstein e vari altri), Ovviamente la mia è l'esperienza personale ma secondo me c'è davvero uno stretto legame tra la nevrosi e lo spirito filosofico. Possiamo anzi dire che la nevrosi è l'effetto indisiderato della filosofia e la filosofia spesso nasce dalla nevrosi.

Per capire un po' meglio di cosa si tratta riporto ancora il mio esempio. Anzitutto: come la filosofia causa la nevrosi (non necessariamente la cosa è da prendersi negativamente). Facile (OCD= disturbo ossessivo compulsivo nel quale vengono in continuazione proposti pensieri intrusivi che creano ansia):
Dare importanza all'etica, ai principi morali: si finisce per sviluppare una forte conscienziosità, un forte senso di colpa, una umiltà quasi patologica nel confronto con "l'uomo ideale", ci si sente peccatori, si finisce per avere l'OCD di responsabilità o morale (continuare a chiedersi SE si è buone persone o no, chedersi ossessivamente se le proprie azioni possono essere un danno per se o per gli altri o no, mirare all'impossibile traguardo dell'infallibilità etica).
Dare importanza alla ricerca della verità: OCD esistenziale-filosofico nel quale ci si chiede in continuazione se il mondo esiste, se l'io esiste, se Dio esiste, qual è la verità. Poi si arriva a continuare a leggere e ri-leggere libri per scoprire teorie nuove, per testare le nostre concezioni sul mondo, per continuare a confrontarsi. Rischio: da una parte la depressione perchè il compito è impossibile e isolante, dall'altro si rischia di auto-esaltarsi per intuizioni più o meno fondate.
Dare importanza alla filosofia della religione-spiritualità: nuovamente OCD religioso e/o scrupolosità (pensare ossessivamente al senso della vita, chiedersi ossessivamente ad esempio se Dio ci manderà all'inferno o no, chiedersi se si rischia di reincarnarsi in qualche reame basso, continuare a pensare alla morte e spaventarsi dinanzi all'Oblio ecc), OCD esistenziale (come sopra, qui aggiungo col continuare a soffermarsi sulla quantità di sofferenza che esiste nel mondo, continuare a essere terrorizzati dalla condizionalità dell'esistenza ecc), dissociazione nella quale visto che si è più o meno gli unici a essere colpiti da queste ossessioni alla fine ci si "distacca" dalla realtà, stati di grande euforia (sentirsi uniti col Tutto, sentirsi liberi e leggeri come l'aria in modo da non riuscire nemmeno a fare le mansioni quotidiane per un sacco di tempo, sentirsi estremamente creativi e essere contenti delle proprie intuzioni più o meno fondate). Non io ma ho letto che molte persone con deliri di grandezza o paranoia o forte depressione sono anche molto predisposti ad essere interessati alla spiritualità.
In generale essere più consapevoli delle cose, quindi fare caso a problemi che altri non vedono. Avere pensieri a mille, essere dei sognatori ad occhi aperti, vedere che le cose possono essere meglio e avere forte tendenze idealistiche. Sicuramente altre cose che non mi vengono in mente

CONTINUA
#6
Ho notato che spesso molte incomprensioni nascono dal fatto che il nostro background culturale è differente e per questo motivo, per esempio, parole identiche (ad esempio "ente") le intendiamo in modo diverso. Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi. Primo: ci conosciamo meglio. Secondo: evitiamo di perderci in incomprensioni semantiche. Inizio io con filosofi e idee che mi hanno colpito (ma con cui non sono necessariamente d'accordo, quindi non tutto quello che scrivo qua sotto rispecchia le mie attuali opinioni) ecc:

1) Filosofia occidentale: Anassimandro (Apeiron  ;D, l'inguista lotta tra gli opposti, apeiron al di là di essi... ), Eraclito (Logos, unità-tensione opposti, divenire, "la vita è guerra"...), Parmenide & Zenone (il paradosso del divenire), Socrate (l'importanza della domanda nella filosofia), Platone (l'iper-uranio specie nella matematica, la Forma del Bene), Aristotele (logica classica, nomenclatura dei concetti filosofici...), Plotino, Agostino, Tommaso (se non ricordo male diceva che la creazione continuava ogni istante, ossia che Dio anche ora crea... se è falso ditemelo  ;) ), Occam, Niccolò Cusano (coincidentia oppositorum, Onnipresenza=essere da nessuna parte), Meister Eckhart (solo qualche idea, non l'ho studiato seriamente), Galileo (l'universo è un libro, qualità primarie e secondarie, scienza ed etica separate...), Spinoza (Natura Naturans, Natura Naturata, sub specie aeternitatis, necessitarianismo) Berkeley (c'è davvero qualcosa oltre quello che la mente può percepire?), Hume (il problema della causalità, il problema essere-dover essere, il problema dell'io), Kant (ahimé conosco poco, fenomeno-noumeno, condizionato-incondizionato, ragion pura-pratica, forme a priori), idealismo tedesco post-Kant (filosofia della "sola mente"), Schopenhauer (il primo filosofo ad aver parlato senza pregiudizi della sofferenza, dell'assurdità di un mondo senza Dio dominato dall'irrazionalità, velo di Maya, estetica, negazione della volontà - inoltre è stato grazie a lui che ho esteso la mia ricerca all'oriente), Marx ("dobbiamo trasformare il mondo", praxis), Nietzsche (filosofia come espressione libera dell'individuo, solitudine del filosofo, l'incoerenza della morale "imposta", l'attacco all'ipocrisia, eterno ritorno, nichilismo, divenire, volontà di potenza come "volontà creatrice", super-uomo=artista...), Wittgenstein (prima di fare la domanda guarda se ha senso, la scala del Tractatus, filosofia come terapia...), Popper, Kuhn, Simone Weil (bellezza del creato come "indicazione" di un reame superiore, decreazione,...), Pirsig (filosofia presente in ogni aspetto della vita, la Qualità...).

2) Filosofia Orientale: buddismo Canone Pali (esistenza condizionata, impermanenza, "dukkha", "non-sé", Nirvana come "completamente altro" rispetto all'esistenza ordinaria o Samsara, riflessioni sulla validità di alcune domande prima di porle, catuskoti, il problema del desiderio...), buddismo Mahayana (Prajnaparamita, Nirvana=samsara, Cittamatra - Solo Mente, mente luminosa, Natura di Buddha...), filosofia Vedanta (specie Advaita, Nirguna Brahman, Tam Tvam Asi, Maya...), filosofia taoista (Laozi e Zhuangzi, connessione opposti, limiti del linguaggio, Tao, il non-essere taoista come potenzialità e non come assenza, svuotarsi dei pregiudizi mentali, dei gusti personali ecc... parecchio interessante, peccato che poi è risultata una futile ricerca dell'immortalità in questa vita, il che fa ridere visto che Laozi dice di "essere senza desideri").
#7
Percorsi ed Esperienze / Il Dubbio (e la filosofia)
08 Maggio 2017, 21:42:43 PM
"Secondo la Bhagavadgita, è perduto, per questo mondo e per l'altro, colui che è «preda del dubbio», quello stesso dubbio che il buddismo da parte sua cita fra i cinque ostacoli alla salvezza. Perché il dubbio non è approfondimento, bensì ristagno, vertigine del ristagno..."

E io sono il "campione del dubbio", totalmente "impossessato" da esso. Mi servono evidenze, mi servono prove, la curiosità mi spinge continuamente a farmi domande e il dubbio mi ridesta dalle (false?) convinzioni che inevitabilmente mi faccio. Se la Verità è l'obbiettivo (irragiungibile) della ricerca filosofica (e umana in generale...), il dubbio è quello che ci permette di non ancorarci a mete temporanee. Per esempio Buddha cominciò a dubitare della propria "salvezza" quando ebbe quello che io definisco il primo risveglio: l'emozione del samvega (non spiego il significato perchè a volte penso di non esserne all'altezza, in italiano si può tradurre con "trasalimento"). Ma il dubbio è insidioso e maligno perchè distoglie da ogni percorso umano. Se si dubita di riuscire a trovare lavoro è quasi certo che non si riuscirà a trovarlo, se si dubita di sé stessi non si riuscirà a "fiorire", se si dubita di un cammino spirituale ci si blocca, se si dubita della propria capaicità artistica non si fanno più opere. Il dubbio è il nemico di ogni azione, buona o cattiva che sia. Sempre lì insidioso ad ogni pensiero, parola o azione il Dubbio è pronto a travolgerti. E più uno è attivo, più uno è vitale e più uno si impegna nel cammino, più il dubbio cerca di schiacciarlo e bloccarlo.

Come tutte le cose il Dubbio può portare buoni e cattivi frutti. Il Dubbio è l'unoco strumento per smascherare la falsità o per riorganizzare la propria prospettiva (ad esempio grazie al dubbio uno può avere un rapporto più autentico con una qualsiasi religione). MA il dubbio è anche sempre lì, meschino, pronto a ingannare. Si prende gioco di noi e ci fa continuamente pensare cose che non vogliamo. Ci vuole fare fare arrendere, bloccarci la strada.    

In sostanza la filosofia è in un certo senso "dubitare, testare, mettere in discussione". Si può davvero "mettere in discussione" in continuazione? La filosofia dunque può passare dall'essere uno slancio per il miglioramento all'essere il ristagno assoluto, la catena che non si riesce più a spezzare perchè ormai la si ama troppo, quasi fosse una sorta di "Sindrome di Stoccolma"? Ebbene sì, il dubbio diventa un problema perchè in fin dei conti lo amiamo troppo, ma tale amore nasconde un artiglio. Il ristagno.

Come vivete voi l'esperienza del Dubbio?
#8
Tematiche Filosofiche / Il rifiuto del riduzionismo
29 Marzo 2017, 19:24:27 PM
Il riduzionismo in poche parole è la posizione secondo la quale i fenomeni macroscopici sono in tutto e per tutto riconducibili ai fenomeni microscopici. Per esempio un riduzionista dice che la pressione del gas su una parete è data dall'effetto medio degli urti delle particelle del gas sula parete stessa. In modo simile la coscienza viene ricondotta a fenomeni neuronali ecc. Chiaramente in un certo senso tutto ciò che dice il riduzionismo è vero, tuttavia tale verità è solamente parziale perchè è solo un modo di vedere le cose.

Ma vediamo le cose da un altro punto di vista: Bob manda ad Alice un diamante per farle un regalo. Trattando microscopicamente la situazione dovremo dire che "fenomeni microscopici" hanno fatto in modo che le particelle che costituiscono Bob, Alice e il diamante siano passati da uno stato all'altro. In questo modo l'intenzionalità di Bob, la gioia di Alice e il valore del diamante e del dono sono "spiegati" come "fenomeni emergenti", proprio come la pressione del gas. Utili artifizi che usiamo per comprendere il mondo.

Tuttavia il rifiuto che do al riduzionismo è il seguente: esso non è una spiegazione ma una semplice descrizione. Da una eccellente spiegazione del Come ma non spiega né il Perchè e nemmeno il Che Cosa. I neurotrasmettitori di Alice di certo sono "responsabili" della sua gioia, magari un giorno sarà possibile associare alla perfezione la configurazione neuronale con uno stato emotivo. Tuttavia Alice non può dire che la sua gioia è tale configurazione neuronale. Allo stesso modo il senso del bello che si ha ad ammirare quel diamante certamente ha un suo risvolto neurologico, ma questo non è il bello. Il bello, il concetto di regalo, la gioia... sono tutti concetti che descrivono reali esperienze che non ha senso trattare in modo riduzionista in quanto sono concetti che nascono in un contesto diverso da quello "fondamentale". Una persona che mi descrive il senso del bello tramite l'analisi a livello molecolare non conosce davvero il senso del bello. Allo stesso modo: tavoli, sedie ecc non sono "assemblaggi di particelle" ma hanno una loro esistenza ben definita.

Per questo motivo il riduzionismo è erroneo: la realtà è fatta a più livelli e i concetti di ogni livello non sono riducibili - in generale - ad un altro. E il limite del ragionamento analitico è tutto qui: pretende che la comprensione dei livelli più "macroscopici" nasca dall'andare a livello "microscopico" dimenticandosi il carattere olisitico della realtà - alcuni concetti sono sensati solo in determinati livelli, ad esempio ci sono concetti che valgono solo per il Tutto e non per la Parte. Non ha senso parlare di moralità in contesto delle interazioni fondamentali, ma non ha senso nemmeno parlare di moralità sostenendo che "deriva" dalle interazioni fondamentali. La realtà quindi è fatta da livelli che tra di loro hanno una certa indipendenza.
#9
Percorsi ed Esperienze / La (mia) fuga
24 Marzo 2017, 11:09:32 AM
Infine ho deciso: ritorno a scrivere sul forum (a volte "tanto tempo" può essere un giorno). E "inauguro" questa nuova fase raccontando la mia storia, o più precisamente il mio rapporto con la mia malattia dell'anima, la fuga.

A 6 anni circa (anche se il mio ricordo è del tutto sfumato) so benissimo di aver imposto a me e a mio fratello maggiore (che si può dire essere il mio miglior amico...) di non fare amicizie durante le vacanze al mare perchè duravano poco (una settimana al massimo) e quindi il successivo abbandono ci avrebbe ferito (il Buddha in un certo senso mi è sempre stato vicino...). Per un lunghissimo periodo ogni volta che un mio famigliare andava via per più di qualche ora, andavo a salutarlo quasi a mo' di addio per la mia paura della separazione. Fin da bambino poi i miei interessi non coincidevano con quelli dei miei coetanei, di modo che anzichè entrare nel gruppo degli altri bambini finivo sempre per rimanere solo. La solitudine mi ha regalato un sacco di gioie e mi ha certamente aiutato a vedere le cose in modo forse "più originale e oggettivo" di molti ma allo stesso tempo mi dava la sicurezza. Nel mio mondo ero "riparato", potevo agire secondo le mie regole e potermi esprimere per quello che sono senza dover essere respinto e giudicato da nessuno. Così divenni l'archetipo del solitario, anzi del solitario malaticcio. Perchè fin dalla più tenera età continuo a ammalarmi di "piccole cose": raffreddori, sinusiti, influenze, disturbi digestivi, insonnia e mal di testa. Tutti disturbi normali o "funzionali", ossia derivati dalla mia disarmonia con la realtà. Eppure in me sento una forte volontà di affermarmi ma anche qui sono sempre combattuto: vorrei che fosse un donarmi agli altri e non un impormi. Quindi quando esercito questa mia forte volontà - specialmente in ambito intellettuale e conoscitivo - finisco per avere una delusione ancorra più grande: pochi, anzi pochissimi, veramente apprezzano questo mio lato e ancora di meno capiscono cosa voglio realmente dire - non faccio che far passare un "significato approssimato" alle mie parole. Sì perchè l'impermanenza riguarda anche il "mio mondo" dove sono al sicuro: fin da piccolo so che cesserà. Quindi per farlo sopravvivere a me, devo lasciare un'eredità e "donarlo" a tutti coloro che vorranno prendere qualcosina da esso.

Ma tutti questi buoni propositi e la sensibilità che mi caratterizzano mi creano afflizione, una forma sublime di sofferenza che caratterizza i solitari che hanno capito cosa significa esserlo. Da piccolo ero gioioso, a mio modo pieno di energie e in armonia con la realtà. Oggi invece guardo spesso la realtà con disprezzo e la mia inclinazione alla fuga è sempre presente. Anzi: mai come gli anni universitari ho avuto la tentazione di abbandonare tutto e vivere da completo eremita oppure semplicemente di "abbandonare tutto" o di perdere la lucidità. Tuttavia NO! Perchè no? perchè sento in cuor mio di avere qualcosa da dire al mondo e alle altre persone, sento che dopotutto ho un legame ch evorrei estendere a tutti gli uomini. Ma mentirei se sapessi "cosa ho da dire"! Sono una creatura che vorrebbe qualcosa ma non può nulla perchè non sa nemmeno quello che vuole. In questo senso sono una creatura misera: vorrei avere una disposizione dell'animo migliore, vorrei l'armonia ma con le mie azioni non creo altro che conflitto in me e nelle altre persone. Dunque devo fare niente? No perchè sarebbe un'altra fuga.

Così mi arrovello nei meriti universitari. Ma ho infine capito dopo l'ultimo fallimento (l'altro ieri) che i fallimenti anche qui sono inevitabili. E che ogni aspettativa in realtà nasconde un artiglio. D'altronde Hawking disse:  Le mie aspettative sono state ridotte a zero quando avevo 21 anni. Tutto da allora è stato un bonus.

Allo stesso modo il voler essere moralmente migliore, ossia l'essere obbediente alla Legge mi tradisce: causa il narcisismo, il credersi superiore. La sapienza cristiana, tra le altre cose, ha detto questa verità: è abbassandosi che ci si alza (kenosis): quando si capisce che non si è né speciali né migliori degli altri è il momento in cui si può davvero migliorare. Ma ahimé la kenosis è un processo pieno di ostacoli: l'ego è sempre pronto a infuriare, perchè finisce per vantarsi della stessa "kenosis" e di rinfacciare ciò agli altri - a volte inconsciamente.

Quindi cosa faccio? sogno! Ma il sogno è l'essenza stessa della fuga. La fuga è una cosa da bambino. Nell'adulto la fuga è patologica eppure la fantasia (specie quando non si hanno le doti da scrittore o artista...) è segno di un disadattamento, è il segno dell'adulto che non riesce a crescere completamente che rimane incagliato nell'adolescenza, una fase mai veramente superata (a ventitré anni su molte cose mi comporto come un ragazzo di tredici-quattordici anni, non ci posso fare nulla). Ma a differenza di moltio adulti-bambini io so di essere tale e la cosa mi crea a sua volta sofferenza, non a caso "chi accresce il sapere accresce il dolore" e con tutta la mia curiosità non ho fatto altro che spingermi nell'aumento del dolore.  

Perchè sono contrario alle dottrine? Semplice: perchè la dottrina senza esperienza non mi fa essere nulla. L'ho capito. Anzi a volte crea solo polemiche (come il povero Duc ha sperimentato l'altro ieri...), anche se in cuor mio la polemica la disprezzo. Quello che conta non sono nemmeno le regolette, l'unica cosa che può farmi uscire da questo empasse è un cambiamento della diposizione d'animo, ossia l'acquisizione dell'agape o almeno qualcosa che lo approssimi, visto che per i grandi obbiettivi io ho l'anelito ma non sono capace di realizzarli.


Sono un animo paradossale. Ho navigato nell'abisso di me stesso e ho trovato paradosso, conflitto, contraddizione, debolezza ecc. Quello che devo fare adesso è comprendere tutto ciò. Mi sto avvicinando in sostanza all'essere religioso (ma quale religione davvero è quella che fa per me?) perchè: un uomo religioso sa di essere sventurato (Wittgenstein).

N.B. Pur parlando di me credo di aver toccato temi universali. Non sono qui a chiedere consigli o pacche sulle spalle ma per capire la vostra opinione sul tema della "fuga". Non vuole nemmeno essere uno scritto psicoterapuetico o religioso. I riferimenti alle religioni sono semplicemente esperienziali e hanno come unico scopo quello di capire meglio questo tema. In sostanza la mia domanda è: come vi approcciate alla fuga nella vostra vita?
#10
Se a qualcuno interessa comunico che, almeno per un po' di tempo, interrompo la mia attività sul forum.

Vi sarete accorto che ultimamente la mia attività è diminuita e in un certo senso anche la qualità dei miei post. Ritengo dunque che sia saggio sospendere l'attività per un periodo di tempo.  Ciò è dovuto a problemi personali e cause di forza maggiore.

Ringrazio comunque gli utenti di questo forum: ho davvero avuto interessanti discussioni. Queste discussioni mi hanno aiutato a cercare di vedere le cose in modo diverso. Per questo motivo ringrazio anche chi mi ha più o meno fortemente criticato perchè a volte la critica serve.
Spero che inoltre il mio contributo sia stato altrettanto utile per altri (Wittgenstein:"un filosofo dice: guarda le cose in questo modo". Il filosofo, credo, comunica prima di tutto il suo modo di vedere le cose.). Vi lascio sperando che questo mio allontanamento sia solo temporaneo e non definitivo (ma non credo che scriverò col ritmo di un tempo...). 

Concludo il post con una citazione di Nietzsche (filosofo con cui non concordo più come un tempo, ma sono d'accordissimo con questa citazione):

Sulla montagna della verità non ti arrampichi mai invano.

Buon proseguimento a tutti!
#11
Tematiche Filosofiche / Dadi e probabilità
20 Febbraio 2017, 15:45:35 PM
Proposizione: la probabilità che il lancio di un dado non truccato a sei facce dia come risultato "sei" è 1/6. Domanda: è corretta?
Risposta breve: sì.

Risposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile" e per certi versi "insensata"! Infatti è indimostrabile: per provare che davvero sia così dovremo provare un'infinità di volte il lancio del dado oppure dovremmo conoscere totalmente l'universo. Siccome ciò non è possibile allora la proposizione è indimostrabile.
Infalsificabile: se anche mi venissero 1000000000000 cinque, 10000 tre, 5 quattro, 100000000000000 due, dodici uno e mai una volta un sei in realtà non ho falsificato la proposizione. Infatti pur essendo un "caso rarissimo" se si assume che il dado sia truccato in realtà non ho falsificato un bel niente.
Insensata: la probabilità è un concetto matematico e forse lo è anche il dado (figuriamoci il "dado non truccato"). Per cui se la proposizione ritiene parla di qualcosa di reale allora non è né vera e nemmeno falsa ma insensata perchè appunto vuole dare alla realtà proprietà che esistono solo nella nostra testa.

Qui dunque si vede come lo spirito distruttivo della critica - se si agisce con la coerenza assoluta del filosofo - ci mostra che anche una proposizione così innocente e così "plausibile" in realtà è problematica. Motivo? Il motivo è che parla di una regolarità intrinseca dei fenomeni. Tale regolarità però non la si può ricavare dall'esperienza ("Hume") e nemmeno da un ragionamento aprioristico ("Wittgenstein"). In realtà la proposizione "ci sono regolarità" non è né scientifica e nemmeno razionale ma è una sorta di "misticismo", un'intuizione che logicamente non potremo avere dalla nostra esperienza e dal nostro razionicinio.

Quindi lo scopo del thread è un'opinione su queste domande
1)secondo voi la domanda iniziale è problematica e perché?
2)qual è la ragione per cui diciamo che la "realtà è regolare"? Come è possibile che noi abbiamo un tale concetto se non possiamo derivarlo da nulla?
#12
Finalmente mi son deciso ad aprire questo "topic infuocato". Per prima cosa definisco i termini.
Nirvana (Buddismo): realizzazione dell'Anatman (Non-Sé) portata alle sue più radicali conseguenze. Visto che il mondo è vuoto di sé indipendenti (eterni o no) allora ci si libera dall'ignoranza togliendo la tendenza di identificarci e pensare in termini di "io, mio...".
Moksha (Advaita): realizzazione che c'è un unico Sé e che questo non è né una cosa del mondo né il mondo intero ma semplicemente l'ente astrattissimo "Brahman senza attributi".
Karma: sistema causale delle azioni volitive. Ben che ci vada seguendo la via del "karma" ossia accumulando karma positivo finiamo nel mondo dei devas, che tuttavia rimane impermanente e quindi dukkha.


Ora l'essere umano non-risvegliato alla morte rinasce in uno dei 31 piani dell'esistenza del samsara, ossia rimane "ingabbiato" nella trappola di Mara cioè rimane nel "regno della morte". La descrizione che il buddismo (e certe sette induista) da del mondo in sostanza è il perpretarsi di un continuo errore in cui gli esseri continuano a voler vivere per voler vivere. La vita mondana perciò è un errore, qualcosa che non va e con vita mondana si intende tutta la vita dei non-risvegliati, devas compresi. Dopo il risveglio non si rinasce più e si esce dal regno di Mara e si entra nella "dimensione" dell'amrita ossia la dimensione del "senza-morte". Fatto ciò il risvegliato deve ancora "scontare" il debito karmico residuo e otterrà la Completa Liberazione (Nirvana o Moksha) solo dopo la morte fisica. A questo punto sappiamo che il risvegliato ha vinto contro Mara perchè ha rotto la catena della prigione del karma e quindi non rinascerà più. Notate che in modo alla fine qui l'obbiettivo è salvarsi dalla schiavitù data dal "karma", ossia dalla schiavitù data dalla stessa nostra volontà di conservare il nostro essere. In sostanza la volontà di vivere come in Schopenhauer è per così dire il "peccato originale" di tutti gli esseri che non fa altro che far persistere l'errore.

Ora supponiamo che tutti gli esseri dei 31 piani dell'esistenza (dal più basso gradino dell' "inferno" fino al più alto gradino del "paradiso") ottengano la Liberazione? Non sarebbe una sorta di "eutanasia" completa, ossia una dolce "cessazione" o morte, non sarebbe il trionfo del Nulla, della Morte? In sostanza perchè se l'obbiettivo è "l'estinzione" il Buddismo e l'Advaita non sono in fin dei conti eutanasie mascherate?
Dunque ottenuta la completa liberazione cosa succede?

P.S. La tradizione non-duale taoista invece "direbbe" che ottenuta la Liberazione la Storia continuerebbe perchè in fin dei conti loro hanno una visione positiva della vita.
#13
Tematiche Filosofiche / Tempo ed eternità
09 Gennaio 2017, 14:23:37 PM
Forse l'impulso "basico" che ci spinge più di ogni altro a ricercare le risposte esistenziali è quello di fuggire dalla morte. Non c'è davvero nessuna filosofia o religione "seria" che guarda positivamente alla morte e al cambiamento. Perchè? Semplice: tutti gli esseri viventi mirano alla conservazione del proprio essere e purtroppo ben sappiamo che questo nostro desiderio non potrà venire soddisfatto. Il problema è che mentre per gli animali tutto ciò avviene nella loro inconsapevolezza (o almeno credo...) nell'uomo che è dotato di auto-coscienza la cosa è molto più penosa. Ognuno di noi è infatti una sorta di "microcosmo", tuttavia è un microcosmo transiente. Prima o poi quello che avverrà è che si disgregherà. Ma a ben guardare la disgregazione e la morte sono ben connaturate al tempo, o meglio al suo cosiddetto "scorrere". Ogni momento che passa in sostanza non è altro che: una morte del passato e una nascita effimera di un nuovo istante il quale soccomberà a sua volta. Capito ciò ci rendiamo conto per cosa nasce questo nostro anelito alla ricerca del permanente e dell'eterno. Questa incostanza della vita è dunque la natura del tempo, è la natura di questo nostro mondo. E per la nostra conformazione quello che facciamo è cercare un attaccamento: ma questo attaccamento lo dirigiamo continuamente alle "cose incostanti di questo mondo". E dunque continuiamo ad etichettare con termini "mio", "me stesso" e così via cose che sono destinate a "disgregarsi". Nelle forme più estreme si arriva a schiavizzare l'altro essere umano a noi e da qui notiamo come ogni religione seria ci consiglia di "lasciar andare".

Dunque se la morte, la disgregazione ci spaventano lo fanno per la loro irreversibilità. Eppure se questo mondo fosse ciclico e quindi noi fossimo "eterni" il tutto ci apparirebbe come una prigione. Allo stesso modo ci appare problematica vita di durata infinita come quella che svolgiamo qua una prigione perchè sicuramente ad un certo punto ci sentiremmo intrappolati. Tutto questo "preambolo" per dire che a mio giudizio noi non abbiamo idea di cosa questa "eternità" che aneliamo dovrebbe essere. Atemporalità? Ma allora saremmo come dire "congelati". Durata infinita della vita? SI rivela essere una prigione! Eterno ciclo? Altra prigione. D'altro canto la nostra vita finita è "dukkha": il tempo, il suo continuo scorrere è una tragedia proprio perchè come ho già detto "flusso del tempo=continua morte". Dunque secondo voi cos'è l'eternità? E la desiderate?

Una qualsiasi vita eterna secondo me deve essere una vita in cui non c'è passaggio nel tempo ma a differenza dell'atemporalità in qualche modo quel "congelamento" deve essere qualcosa di piacevole. Secondo me il tempo è il segno dell'imperfezione della nostra esistenza, della sua non completa realtà, il tempo è una sorta di "caduta". Per questo motivo la natura temporale è di per sé insoddisfacente. Secondo voi c'è qualcuno che davvero non desidera l'eternità? Ma questa eternità noi non possiamo comprenderla e per questo motivo ogni nostra concezione di eternità ci spaventa e questa paura per così dire è una "tentazione" di questa nostra esistenza, un ostacolo alla ricerca della perfezione.
#14
Tematiche Filosofiche / Teoria della mente bicamerale
19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_crollo_della_mente_bicamerale_e_l'origine_della_coscienza

Premessa: la teoria che espongo non mi convince del tutto, la espongo solo perchè la ritengo interessante e credo che abbia dei meriti.

Secondo lo psicologo Julian Jaynes nell'antichità gli esseri umani non erano coscienti. La loro mente era "bicamerale" perchè in sostanza era costituita da due parti. Una era la parte "che dava ordini" mentre la seconda era la parte "che riceveva". Secondo Jaynes nell'antichità la "voce della coscienza" veniva sentita esattamente come una voce esterna e quindi l'uomo antico pensava di "ricevere comandi da un'entità esterna a lui". Il residuo di questa epoca si ritroverebbe oggi nei pazienti affetti da allucinazioni uditive (guarda a caso una delle allucinazioni uditive frequenti sarebbe quella di "comando" in cui il paziente dice di aver ricevuto l'ordine di una entità superiore per agire...). La sua conclusione era che quando si legge negli scritti antichi della "voce degli dei" quello che gli antichi sentivano era una voce. Da qui Jaynes che era ateo finì per dire che le religioni e gli dei erano frutto di "allucinazioni". Ora questa era la sua conclusione. Un credente può semplicemente dire che Dio comunicava con gli uomini antichi in quel modo e oggi in un altro (tant'è che oggi pochi credenti dicono che Dio si manifesta con una vera e propria voce...).

In sostanza il suo argomento è che noi oggi siamo coscienti per il fatto che sappiamo di pensare i nostri pensieri mentre allora la gente interpretava i propri pensieri come voci esterne. Dal 1000a.c. in poi tale mente sarebbe stata "sostituita" da quella odierna. A mio giudizio questa teoria ha un merito: quella di spiegare la superstizione degli spiriti e dei demoni (ad esempio oggi uno schizofrenico lo si cura con la medicina, una volta lo si pensava "posseduto" ecc). D'altronde se una persona sente voci quello che pensa è che in qualche modo tale voce sia "esterna" e non "interna". La cosa interessante è che spiega benissimo il fatto che più si va avanti nella storia meno si crede che:
1) il linguaggio divino e umano siano identici;
2) spiriti e demoni siano reali (ma semplicemente siano "proprietà della nostra mente");
3) l'eventuale elemento "sovrannaturale" (o meglio "sovrumano") sia "comprensibile" dall'uomo.
Tant'è che nell'antichità si credeva letteralmente nell'animismo ossia che tutto avesse un'anima identica a quella umana (perfino i sassi, le montagne ecc). Con questo però a differenza di Jaynes non voglio dire che "tutto ciò che dicevano gli antichi era allucinazione" ma che la loro percezione del mondo e del sé era diversa e quindi certi concetti che a noi sembrano assurdi in realtà lo sembrano solo perchè qualcosa in noi è cambiato.

N.B.: Ad oggi NON è accettata come teoria scientifica (è una "speculazione" scientifica al massimo) e a mio giudizio NON inficia la validità delle religioni. Solamente spiega come alcuni "dettagli" di minore importanza delle religioni oggi siano considerati superstizione e non fede! Riporto l'idea solo perchè l'ho scoperta di recente e l'ho trovata affascinante.
#15
Kierkegaard writes: If Christianity were so easy and cozy, why should God in his Scriptures have set Heaven and Earth in motion and threatened eternal punishments? — Question: But then in that case why is this Scriptures so unclear? (Wittgenstein)

Credo dunque che a volte l'ignoranza sia davvero una cosa positiva, ti faccia davvero vivere meglio. Tuttavia allo stesso tempo il solo pensiero di "accettare l'ignoranza" mi disgusta. Idem vivere in modo superficiale accontentandomi dei piaceri "banali" della vita. E così mi ritrovo ogni giorno a pensare del senso (se c'è) delle cose, dell'etica, di come bisognerebbe comportarsi, dell'esistenza o meno dell'anima, di Dio ecc. A volte questi pensieri mi travolgono come un fiume in piena e non posso far altro che "osservare" la tensione in me stesso.

In questo periodo sto avendo un rapporto molto conflittuale con il cristianesimo. Prima di vedere il "lato negativo" parlo di ciò che mi piace. Lista incompleta:
1) La morale della compassione, della non-violenza, del perdono, del resistere alle tentazioni ecc;
2) L'idea della rinascita "spirituale" nella quale si ragggiunge una beatitudine che constente di vivere eticamente;
3) L'idea di avere lo Spirito Santo in "ognuno di noi" (il "regno dei cieli è in noi") che è portatore dell'etica;
4) L'idea di "perdonarli perchè non sanno quello che fanno" quasi che il peccato sia dopotutto dovuto all'ignoranza;
5) La completa eliminazione di pensieri di avversione anche nelle situazioni più estreme (ama il tuo nemico...)
6) La vita esemplare di molti santi;

Ma purtroppo devo notare anche dei lati negativi della religione. E qui a volte mi crea ansia avere uno spirito critico che mi fa chiedere della plausibilità di ciò che sta scritto nella Bibbia. Con tutta onestà elenco i "difetti":
1) La fin troppa rilevanza della fede per la salvezza, fede che non si capisce se è cieca o no. Voglio dire: per credere nella Parola di Dio devo credere che il mondo è stato creato in sette giorni (cosa in conflitto con la cosmologia), che deriviamo da una coppia (cosa in conflitto con la teoria dell'evoluzione), che il Dio della misericordia "distrugga" le città di Sodoma e Gomorra senza lasciare scampo a nessuno, che Dio "invii" le piaghe dell'Egitto, che Dio scelga per ragioni MAI spiegate un'etnia rispetto a tutte le altre di questo mondo (perchè no i greci, gli egizi, gli indiani, i nativi americani, gli aborigeni?), Non nego tuttavia la presenza di elementi di grande saggezza nell'Antico Testamento (es: alcuni passi del Qoelet, dei proverbi, dei Salmi..) ma non posso nemmeno negare di essere sconcertato da violenze assurde di quei libri (non ultimo il Diluvio Universale il quale tra l'altro è diciamo poco plausibile). Sorvolando poi la presenza di "entità" superiori che oggi non si mostrano mai, mi chiedo come faccia un credente a ritenere queste ed altre storie nell'AT così diverse da ad esempio l'Iliade, l'Epopea di Gilgamesh, i miti dei Veda ecc.
Passando al Nuovo Testamento non riesco a "mandare giù" il fatto che anche qui si faccia troppo riferimento ai miracoli che guarda a caso spariscono nell'epoca moderna invece che sull'etica (nel buddismo il Buddha fa tanti miracoli, tuttavia dice espressamente che quello non è la parte importante del suo insegnamento anche perchè menti scettiche non verrebbero convinte).
2) La dottrina della dannazione eterna. E qui in realtà la questione si sdoppia:
a) cosa davvero vogliono dire espressioni come "avere fede", "nascere una seconda volta" e molte altre espressioni "poco chiare" come dice Wittgenstein?
b) non credo che un Padre Infinito lascerebbe nella sofferenza eterna nessuno dei suoi figli, nemmeno quelli più "ribelli". Voglio dire: immagino che il Padre ami le sue creature e "voglio pensare" che se davvero c'è una sorta di inferno questo in realtà non sia un puro luogo di pena ma di riabilitazione. Altrimenti davvero che scopo ha far "bruciare" in eterno dei peccatori?
3) La mancanza di "fede" in possibili altre vie di "salvezza": voglio dire...http://www.canonepali.net/ud/ud6-4.htm Qui il Buddha dice che è più importante la ricerca della fine della sofferenza e non dice di attaccarsi alla "propria visione". Perchè non posso pensare che la salvezza sia raggiunta in altri metodi? (altrimenti devo pensare che TUTTI coloro che hanno avuto crisi di fede irrisolte siano all'inferno (per lo meno dopo la resurrezione di Gesù): e tuttavia in questo caso l'uomo tende all'ignoranza e al peccato, quindi d'altronde è possibile che anche il miglior fedele possa un giorno avere problemi).
4) La mancanza di "novità" nella Bibbia. Perchè è ormai da 2000 anni lo stesso testo?  Perchè ad esempio devo ritenere la Bibbia il testo sacro e ad esempio i testi dei santi non sacri?
5) La differenza a mio giudizio troppo grande tra l'animale e l'uomo. Voglio dire se l'uomo ha un'anima (o è un'anima...) perchè gli animali che tanto ci assomigliano sono "senza anima"?

Detto questo la mia visione della Bibbia è che essa è stata scritta da uomini che nella loro imperfezione hanno tentato di conoscere i segreti ultimi della realtà, commettendo errori ed imprecisioni. Pertanto a mio giudizio la Bibbia è un libro da cui si può imparare molto ma bisogna anche non averne una fede cieca (così come il Canone Palli buddhista, i testi taoisti ecc. In sostanza a mio giudizio tutte le religioni si possono migliorare).

Perdonate dunque lo sfogo, ma lo faccio anche perchè sono in una confusione molto intensa. Detto questo devo anche dire che a volte io stesso ho momenti in cui sento la presenza del "valore etico" in me e posso quindi capire come siano nate le espressioni "lo Spirito sia in te", tuttavia non concordo sull'interpretazione di tali espressioni/esperienze ecc.
#16
Recentemente mi è capitato di pensare ad uno scenario futuristico di questo tipo: immaginiamo dunque di riuscire a "trasferire" la nostra coscienza dal nostro corpo ad un altro "hardware" (sto pensando al mind uploading). Fin qui niente di nuovo, anzi si avrebbe la semplice continuazione della nostra coscienza e quindi della nostra identità. Tuttavia se supponiamo di "collegare" questi supporti in modo da far comunicare le nostre coscienze la cosa si fa più interessante. Per semplicità supponiamo che "Tizio" e "Caio" fossero i primi che collegano le loro coscienze. Possiamo pensare a due risultati: 1) Tizio e Caio in qualche modo mantengono la loro identità, il loro "io" ma condividerebbero tutto di se stessi con l'altro. 2) Tizio e Caio non esisterebbero più come "entità singole" e si avrebbe perciò un altro essere che non è più né "Tizio" né "Caio" ma qualcosa di nuovo. Ovviamente sto pensando di "estendere" la cosa a tutti gli individui umani (e forse anche agli animali, ammesso che siano coscienti...). La domanda che volevo porvi è: acconsentireste a uno dei due scenari e perchè?

Personalmente sono abbastanza "scisso" tra il preferire la "mia" esistenza individuale e lo scenario (2). L'(1) infatti mi sembrerebbe auto-contraddittorio in quanto in sostanze conserverebbe la tendenza ad avere una prospettiva individuale con la totale sottomissione alla collettività: in sostanza sarebbe una sorta di dittatura dove il "dittatore" non è più una persona ma la "società stessa". Nel caso (2) invece si avrebbe chiaramente una "rivoluzione" che in un certo senso è già stata pensata da varie personalità di varie religioni: la "morte" o la "ridefinizione" dell'io. Mentre il caso (1) conducerebbe a mio giudizio al conflitto o alla schiavitù il caso (2) conducerebbe alla fine di ogni ragionamento individuale: non ci sarebbe nessun "io" e nessun "mio", nessuna distinzione, nessuna divisione e perciò nessun conflitto e nessuna schiavitù. Quello che però non mi convince nemmeno di questo caso è che in effetti più l'evoluzione è andata avanti più ha generato esseri con una individualità più complessa tant'è che solo noi esseri umani ad esempio abbiamo una "responsabilità morale": in sostanza il problema è che questo scenario (2) sarebbe una sorta di "fuga" dalla nostra individualità. Certamente però non proveremmo più vergogna, invidia, conflitto, odio e nemmeno amicizia, gioia, amore ma forse succederebbe che si creerebbe una "beatitudine" senza confini, proprio come molti pensatori hanno pensato.
#17
Tematiche Filosofiche / Realtà e rappresentazione
18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM
"Il mondo è una mia rappresentazione" (Schopenhauer).



Una delle più grandi questioni dell'epistemologia è la seguente: distinguere cosa è oggettivo da cosa invece è soggettivo nelle'esperienza. Nessuno di noi (o quasi, a parte certi realisti "naive") ha difficoltà ad accettare che colori, suoni, sensazioni tattili, odori e gusti esistano solo come "rappresentazione" che la nostra mente produce della realtà. Ben diverso il discorso è quando si discute dell'oggettività delle regolarità della natura e dell'esistenza della materia (perfino Schopenhauer diceva che il cervello produceva la rappresentazione). Eppure la cosa a me è sempre suonata un po' sospetta. Cosa è dunque che ci fa veramente distinguere ciò che è soggettivo da ciò che invece è oggettivo?


Un'ipotesi di comodo è che ad esempio la matematica e la logica descrivano sia il funzionamento della nostra mente che quello della materia e quindi la descrizione matematica della natura è in linea di principio esatta. Tuttavia questa è un'assunzione forte e sinceramente vedo una forte contingenza sul particolare linguaggio usato in matematica, tanto da rendere alcune cose di essa arbitrarie (tipo il come noi sciriviamo le leggi della fisica...). Ma anche se accettiamo che la "materia" è oggettiva e segue leggi matematiche, l'unico modo per stabilirlo è l'esperienza. Tuttavia l'esperienza ci da informazioni sulla rappresentazione e non sulla realtà. D'altronde noi ad esempio diciamo che il Sole è (quasi) sferico utilizzando ciò che sappiamo dall'esperienza.



L'unica alternativa sarebbe quella di non passare per l'esperienza e di indagare il "rappresentante" MA questo metodo è chiaramente soggettivo. Detto questo: secondo voi esiste un metodo che ci permetta di dare una comprensione oggettiva della realtà?
#18
Percorsi ed Esperienze / Crisi esistenziale
12 Ottobre 2016, 19:16:46 PM
Come da titolo volevo condividere con voi la mia situazione esistenziale. Sono sempre stato una persona timida, introversa e completamente inetta nella vita quotidiana. Sono abbastanza inetto nel comprendere le relazioni interpersonali e le banalità della vita quotidiana a volte mi pesano un macigno. Questo è il background ed è forse la causa del fatto che mi sono spinto alla filosofia e alla scienza. Detto ciò questa è la mia situazione.

(1) Sono terrorizzato dalla intrinseca contingenza della vita. Sono consapevole che mi può capitare di tutto, che i miei sogni si possono infrangere, che posso morire da un momento all'altro ecc;
(2) Vorrei che la mia propensione filosofica fosse utile anche per le altre persone, però la mia totale incapacità nella vita quotidiana non aiuta. Non so come in sostanza fare in modo che il mio talento sia utile;
(3) Sono continuamente in dubbio se appunto la ricerca interiore sia in realtà utile o sia una semplice "perdita di tempo". Vedo persone molto più intelligenti e molto più funzionali nella società di me che trascurano completamente questa dimensione;
(4) Sono poi cosciente del rischio (economico, mentale...) che mi pone la scelta di vita "da filosofo" sia per me che per i miei cari. Quello che mi chiedo è "sono pazzo a pensare che ne valga la pena"? E inoltre ho una spinta a pensare che non riesco in ogni modo a fermare. Inoltre in prospettiva sarebbe l'unica vita che mi renderebbe felice. Il problema è che vedo "ostacoli" ovunque, oltre che un generale disinteresse per questi argomenti.
(5) Cerco di trovare una risposta alle domande etiche ed epistemologiche più profonde ma in caso queste non ci siano allora l'intera mia vita sarebbe per così dire "sprecata";
(6) Il mio essere imbranato nella vita quotidiana mi rende inutile "materialmente" per le altre persone;

Immagino che anche a voi saranno capitati pensieri simili, come li gestite?

In sostanza mi sento piccolo, debole e tremolante. Non vorrei anche essere in tutto questo "pazzo". Mi sento un estraneo rispetto a questo mondo e a quest'epoca. Però non pensate che sia un completo eremita o un asociale, non lo sono.

L'unica consolazione che riesco a trovare sono parole come quelle di Pascal:
"L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale".
#19
Presentazione nuovi iscritti / Presentazione
07 Ottobre 2016, 22:46:39 PM
Ciao a tutti,

Sono un ragazzo di 22 anni, studio fisica all'università e ho una forte passione per la filosofia. I miei interessi filosofici riguardano oltre che ovviamente la filosofia della scienza, anche la metafisica, l'epistemologia, la filosofia delle religioni e l'esistenzialismo (inteso anche come critica sociale). Sono invece molto a digiuno a riguardo di filosofia in ambito economico-politico.

Scrivo spesso le mie riflessioni su vari argomenti e non mi dispiacerebbe un giorno pubblicare libri su argomenti filosofici, quindi credo che le discussioni che posso fare in questo forum mi possano essere utili anche per questo motivo. Però non scriverò spessissimo, perchè sono in un periodo molto incasinato, farò il possibile  :)