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Discussioni - Vittorio Sechi

#1
Per suoi limiti congeniti, quasi mai le parole, siano esse espresse in dizione o in grafia, sono adeguate a tradurre le emozioni in maniera compiuta. Ciò in barba al fatto che esse siano il veicolo principe della comunicazione fra umani.
Quando utilizziamo le parole per trasmettere emozioni, difficilmente ci rendiamo conto che eccitiamo due diverse sfere del nostro essere. Due universi paralleli, che scorrono su livelli diversi. L'uno, attivato dalla parola, è quello del raziocinio, del sistema linguistico/semantico, che, in quanto deputato a svolgere il ruolo di connettore fra umani, staziona ad un livello più esterno; l'altro universo, indefinito ed indefinibile anche per la scienza della psiche, è quello del profondo, delle emozioni e dei sentimenti... In definitiva, la nostra essenza più intima e pura, quella che non indossa maschere.
La parola, declinata in significatività semantica, non è normalmente adatta a rappresentare e rendere conto del magmatico universo dell'anima. Per il semplice motivo che, attivando il medesimo cosmo razionale sia in chi la proferisce che in quanti la ricevono, ben difficilmente riesce a penetrare in quel substrato ribollente ove fermentano le emozioni.
Eppure noi umani siamo in gran parte esseri emozionali. Quindi uno sfogo comunicativo quel magma deve pur trovarlo.
L'arte, che si esprime con un metalinguaggio simbolico, che costitutivamente rinuncia alla coerenza e disdegna il principio fermissimo di non contraddizione, è, in effetti, lo strumento più adatto a trasmettere gli stati d'animo, i flash emotivi e i sentimenti... Non per nulla gli innamorati parlano in poesia.
Fra le arti, forse, quelle figurative, come la pittura, e la musica sono le più immediate. Un quadro esalta, commuove, eccita i sensi. Un brano musicale crea un'atmosfera entro cui si naufraga dolcemente. In quei momenti è lo stato d'animo del pittore o del musicista che comunica con l'anima di chi osserva o ascolta.
Fra le arti letterarie senza dubbio è la poesia a svolgere meglio di qualsiasi altra il compito di connettere emotivamente poeta e lettore. I versi sono, in effetti, il racimolo grafico del sentimento, anche momentaneo, del poeta, e lo trascinano fino all'anima del lettore.
Perché scrivo tutto questo?
Mi son chiesto tante volte perché l'arte attragga in misura così prepotente l'attenzione della gente. Non credo si tratti solo di un fatto estetico... Non solo per la bellezza, dunque.
Credo più che altro che sia per questa sua particolarissima caratteristica: parla direttamente all'anima e mette in comunicazione emotivamente persone distanti nel tempo e nello spazio. Persone sconosciute, tra l'altro.
L'arte è a-spaziale e a-temporale.
In tal senso, nessun altro manufatto umano ha questo incredibile potere. Non è un caso, infatti, che nell'antichità classica la si considerasse direttamente ispirata dalla divinità (e non è detto che non sia così): la divina follia.

Questa poesia, bellissima, che conoscevo già, compie con delicatezza questa magica azione: comunica il sentimento dell'autrice al sentimento del lettore. Immagini stupende, delicatissime che trasudano vita, impregnate di vita. Non c'è, in queste strofe, un solo termine eccessivo.

Terra che fiorisci nel mio cuore (di Anna Cristina Serra)
L'autrice mi perdonerà. Spero di non farne scempio.
Emerge con estremo nitore l'immagine della terra che si rinnova, rifiorendo al tepore della primavera. Il suo ridestarsi accompagna il rifiorire del cuore, facendogli da contorno. Anima e terra si stringono in un abbraccio notturno; in simbiosi rinascono..
Terra che stringo tra le mani
e che fiorisci nel mio cuore
come preludio di primavere,
dormi anche stanotte accanto a me.

L'erompere della vita, il suo intrufolarsi in ogni spazio e il suo manifestarsi nell'ansito della Natura che si rinnova, sono affidati al leggero e delicato battito delle farfalle.
Ti racconterò
la favola delle farfalle
che con un battito d'ali
volgono il tempo al buono.

Questo verso, lo confesso, è problematico, di difficilissima comprensione.
Sono evocati la notte e il sonno. Forse perché solo in uno stato di sonno ed incoscienza è consentito all'anima di vagare in spazi aperti, privi di muri ed ostacoli frapposti fra uomo e uomo per impedirne l'incontro. È uno spazio libero quello di cui si è alla ricerca. Uno spazio libero dove rifulga la luce di Dio (il Padrone della luce, con l'iniziale maiuscola).
Dormi, perché da sveglia non conosco
la strada
per la Terra dei muri caduti,
né è in mio potere conoscere
il Padrone della luce.

Simbolica la forma letteraria, simbolica anche l'area entro cui si spazia. Solo in una dimensione onirica è consentito a noi umani, travolti dalle urgenze dello stato di veglia, realizzare la compiutezza della libertà, che è poi l'essenza della brezza. Qui siamo in Sardegna, ed è proprio il vento ciò che più liberamente percorre le valli, i monti e i mari della nostra magnifica terra.
Solo una poesia può descrivere l'isola, la nostra isola, con tanta dolcezza. Le farfalle siamo noi, isolani e nuovi ospiti. Invitati perché nessuno è padrone del vento e della terra. Abbiamo tutto ricevuto in prestito e tutto dobbiamo consegnare ai prossimi invitati. La Sardegna è la nostra casa. L'abbiamo ricevuta in comodato d'uso gratuito dai nostri padri, invitati anch'essi, e dobbiamo riconsegnarla ai prossimi invitati nelle migliori condizioni possibili.
Dormi, perché nel sonno
una brezza libera ci dirà
quante farfalle invitare
a vivere nella nostra casa.

È questa corsa del vento, che liberamente si dispiega dalle coste verso l'interno, che rinnova la Natura, e trasporta con sé i suoni dei paesi, e con essi anche i canti delle genti e i racconti mitici degli anziani. Sardegna, terra di miti e leggende. Terra sempre bambina, come una brezza che sorvola muri oramai caduti, che non si ergono più a separare uomini da altri uomini. Vento che dall'alto osserva e tien conto delle anime raccolte intorno ai focolari accesi, perché mai si spenga il fuoco vivo della vita che anima questa terra che saprà rinnovare se stessa e mai dovrà divenire un deserto di anime spente.
E anch'io sarò
una favola
un battito
una brezza
di muri caduti,
o una bimba
che conta quante braci
rimangono accese nel camino
perché il fuoco
non si spenga
nella notte.

Non ho idea se l'autrice con i suoi versi volesse dire ciò che ci ho letto io. Ma tant'è, io questo ci ho letto, e questo ho scritto.
Ribadisco, stupendo componimento. Un applauso.
#2
 
L'antifascismo è davvero un residuato ideologico che, per consentire che si possano affrontare con profitto ed intelligenza le sfide che ci propongono la mutevolezza dei tempi e la nuova epoca del mondo virtuale, deve essere accantonato, denegato, ricusato e relegato fra le polveri della soffitta del nostro essere interiore? A questa domanda, con enfasi e convinzione, risponde con una affermazione recisa, netta, che non lascia scampo il montante mainstream della clickmania compulsiva. Destra e sinistra sono solo due concezioni della mente, il locus amoenus entro cui rifugiarsi quando gli eventi e gli stravolgimenti della vita reale travalicano le capacità di comprensione, lasciando mente ed anima disabitate. Materiale di risulta, dunque.

Non credo che la risposta sia così scontata come vorrebbe farci credere la nuova religione dell'indifferenziato. Penso, invece, che considerare l'antifascismo una mera concettualizzazione del mondo oramai desueta sia eccessivamente riduttivo. Non si tratta di una posizione politica avversa ad un'altra, che, in quanto tale, nella contrapposizione esaurisca l'energia propulsiva. Nasce da un insieme di spinte interiori che si oppongono ideologicamente ed intimamente a tutto ciò che il fascismo e la sua concezione dell'uomo rappresentano: il culto della forza, dell'uomo della provvidenza, della personalità, del pensiero monocorde che nega spazio alle differenze, il concetto stesso di cultura egemone. È un coacervo di pulsioni, più che d'idee, e vanno a costituire un unico corpo, spesso anche confuso, che intride di sé interamente l'animo di chi si oppone intimamente e senza indulgenza all'imposizione nerboruta di un'unica visione del mondo. È ciò che in definitiva, apre al confronto, al dialogo e rifugge dalla tentazione di fornire un'eccessiva semplificazione della realtà. Per cui la vita stessa si traduce in dubbio, in ricerca, in scoperta e meraviglia, praticamente in un inesausto cammino.

Trattandosi di viaggio, non è mai una stasi. È, invece, un vagare fra mete provvisorie, il cui percorso è punteggiato da pietre miliari, che son poi tutto quel che induce a rifiutare l'esaltazione dell'Io e delle tetragone certezze che mai si flettono neppure al cospetto della sconfitta decretata dalla storia, e mai si piegano all'evidenza di una verità fasulla, imposta con violenza, chiusa al confronto ed alla possibilità di un clamoroso abbaglio. Ed i compagni di viaggio sono anch'essi eternamente provvisori.

È il ritratto del viandante. Un nomade che, dall'inquietudine che l'informa interamente, trae le ragioni per condurre una ricerca continua. È la filosofia dell'utopia che esalta il viaggio e non la meta, poiché sa che non può darsi al suo peregrinare un porto definitivo che lo accolga.

Ciò che intride ed innerva l'animo non è un pensiero, ma una passione, ovverosia quella che un teologo, peraltro ai margini dell'ortodossia cattolica, chiama 'principio passione', e che spinge a prestare aiuto, a sacrificio spesso della propria vita, ad un perfetto sconosciuto incrociato per caso lungo il cammino. È anche la parabola del 'buon samaritano'.

È dall'impossibilità di trovare certezze e mete definitive che scaturisce anche il rifiuto di tutto quello che impregna il fascismo e lo stalinismo. Due lati della stessa medaglia, e, per ragioni un po' diverse, ma comunque assai pregnanti, anche il cattolicesimo e le religioni istituzionalizzate, in genere, che sono anch'esse configurazioni dell'anima che si esprime in maniera eccessivamente assertiva attraverso dogmi e verità indissolubili.

In pratica non si tratta di una precondizione ideologizzata e sclerotizzata, che andrebbe ad istituire ciò che io con arbitrio chiamo ideologismo, ma un sentimento che definisce l'intima sostanza di un'ideologia che è istituita da una passione che osserva il mondo con lo sguardo teso alla scoperta.
#3
Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l'odore. Grosse come mosconi, all'inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all'altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare. Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano... Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c'è vita anche nella morte... Stavamo respirando morte, inalando la putredine dei cadaveri ormai gonfi che ci circondavano... L'odore traumatizzante della morte era dappertutto (cit. dal Web)

L'uomo folle, in un rigurgito di vita, piombò in mezzo alla piazza gremita e, piangente, urlò: "Dio è morto!".

In un sol corpo, dal freddo pungente della disperazione, Birkenau, Auschwitz e Dachau s'ersero e gli fecero eco: "Dio è morto!".

La notizia si propagò in un baleno e, percuotendo la terra, ridestò Sabra e Chatila dalla turpe visione del proprio obbrobrio. Anch'esse si unirono alla lugubre sinfonia: "Dio è morto!".

Come ubbidendo ad un ordine, il grumo di Vermicino si sciolse e il sangue non più rappreso, tornò a fluire per nutrire l'assetata terra: "Dio è morto!".

L'uomo folle, restato solo al centro dell'immensa piazza, cantò il suo destino: "non più un dio a cui affidare il nostro domani. L'uomo è solo e si carica sulle spalle la responsabilità di essere libero per costruire se stesso".
#4
Io questa sua battaglia non la capivo proprio. Ne avevamo condotte tante, insieme, nel corso di una pluridecennale frequentazione. Ma questa volta sentivo che la stavo perdendo. Strenuamente impegnata in un qualcosa che la stava alienando da tutti, dalle sue amicizie e dal mondo. Sembrava indifferente ad ogni altro interesse e, soprattutto, poco incline a cercare di comprendere le ragioni altrui e di aver rispetto dei sentimenti di chi le stava vicino. Appariva come un'anima in pena, anche se il suo contegno, serafico e sempre tendente al buon umore, non lasciava trasparire l'inquietudine che fermentava dentro il suo cuore. La conoscevo troppo bene per lasciarmi ingannare. Le chiesi cosa le stesse accadendo e le ragioni che la rendevano così intransigente.
Mi osservò stupita per qualche secondo, poi sorrise. 

«Ho imparato, in questi anni, a percorrere i sentieri altrui indossando i loro calzari, non puoi dirmi che non cerco di comprendere le ragioni di chi mi sta vicino. Non è vero che sono intransigente, almeno non di solito, ma su questo argomento, mi spiace, ci troviamo su due fronti contrapposti. È come se fossimo su due rive poste l'una di fronte all'altra ed in mezzo scorresse un fiume. Io sto su una, tu sull'altra, e da questi due contrafforti opposti ognuno osserva l'altro con sospetto e diffidenza. Io sul tuo versante ho stazionato per qualche tempo; so quale sia l'aria che tira; tu, invece, mai hai respirato l'aria densa e satura di miseria che asfissia quest'altra parte del fiume. Non credere di poter vedere troppi ponti che consentano l'attraversamento per passare agevolmente da un argine all'altro. Nel senso, caro mio, che su questo tema non c'è possibilità d'incontro o di mediazione. Perché il transito può avvenire soltanto dopo che si sia guadato il fiume, immergendosi personalmente nelle sue acque tumultuose e solo dopo aver condotto una lotta senza quartiere contro la corrente che rischia di portarti a valle, per rigurgitarti nel mare magnum dell'indifferenziato, dove tutto è uguale e tutti hanno un unico pensiero. Ciò di cui ti parlo, è un attraversamento fra acque profonde che intridono le rive di un limo culturale che, se e quando dovesse appiccicarsi alla tua pelle, ti rende diverso da quello che eri prima, e non è possibile venire da questa parte senza aver guadato il fiume e affrontato i pericoli che in esso son celati. Potrai approdare su questo versante del fiume e finalmente ritrovarci solo se e quando avrai affrontato e sconfitto le fiere che lo abitano, celate fra i mulinelli e i vortici che la corrente crea quando incontra i balzi che ne increspano le acque. Perché, mio caro, fintanto che anche tu non avrai subito il lavacro e ti sarai mondato di tanti gravami e ciarpami ideologici, qui non potrai stare».

«Io ho cercato di fare il tuo percorso, ma un po' perché non ho capito fino in fondo, un po' perché mi son trovato solo, ho riabbracciato la mia originaria convinzione che dovremo impedire questa invasione e cercare, per quanto possibile, di aiutarli a casa loro».

«Che s'incontrino ostacoli difficili da superare l'ho sempre saputo, perché non si tratta d'impedimenti che vagando incroci per strada, per cui scartando di lato potresti anche evitarli o aggirarli. Quelli ti si parano di fronte ostruendo il passaggio. Si può continuare a nasconderli, ad ignorarli, ma un giorno ci devi pur sempre fare i conti, perché questi intralci, come lacci che ti vincolano al suolo, te li porti dentro, cuciti sulla pelle e infitti dentro l' anima.
... Non strabuzzare gli occhi!
Queste fiere hanno nomi noti, si chiamano razzismo, egoismo e paura. Tu te le porti dentro, e sei in ben nutrita compagnia. Ti rodono dall'interno e t'impediscono di vedere che noi non siamo al mondo solo per godere la vita fra apericene e spritz, odio quel tipo di cultura. Potessi scegliere, quando posso, fra uno spritz con un'amica o un amico e la compagnia di uno di questi ragazzi di colore disperati, ma che sanno, nonostante tutto,  anche sorridere, non avrei dubbi. Invece di trascorrere del tempo fra amenità e chiacchiericci stupidi, ascolterei con le lacrime agli occhi i loro racconti, il viaggio intrapreso da ciascuno di loro per approdare su una terra che li odia, che non li vuole solo perché ha troppa paura delle diversità.
La diversità è ricchezza, non è da temere, perché arricchisce un panorama reso troppo monotono dal pensiero dominante. Le biodiversità sono preservate in tutti gli ecosistemi, solo nel contesto umano sono aborrite.
I loro sono racconti bellissimi, perché non sono narrazioni romanzate, ma è come se ogni volta ne leggessi uno e compissi il viaggio insieme a loro, per soffrire nella carne e nell'anima ciò che hanno patito loro. E le mie sono lacrime vere, che mai ho avuto timore di mostrare, perché quando colano lungo il viso e, mischiandosi con il trucco, impiastricciano il volto, sento qualcosa di bello dentro di me, qualcosa di umano, di caldo e di dolce. E nel loro sorriso, mentre raccontano di parenti o figli o padri affogati o bruciati dal sole e dal sale misto al carburante di quelle carrette che li trascinano via dai loro affetti, scorgo tutta la nostalgia, il dolore, la malinconia che un essere umano può provare. Avverto quella punta di dolcezza e quella mezza misura di dolore che li accompagna sulle nostre spiagge per vendere due cianfrusaglie, che per noi son stracci, per loro vita. Resto incantata, sconvolta e assettata delle loro storie. È buonismo o sono una radical chic?  Non lo so, non m'interessa, non so neppure cosa significhino questi due epiteti, faccio solo quello che sento. Lottando contro me stessa, caro amico, ho fatto i conti con le mie paure, il mio egoismo e il razzismo latente che sempre un pochino abita l'anima di ciascuno di noi, e me ne sono liberata. Un giorno, come in un'alba, ne ho sentito tutto l'inutile peso, e liberarmi di questi mostri ha significato librarmi per aria, anche se poi ha comportato lordarmi mani e braccia nel fango che li accoglie, qui sulle nostre coste. Tu non hai mai provato a sorridere loro quando cercano di venderti la loro mercanzia fatta di miseri stracci, rispondono sempre con un sorriso. A loro non serve tanto per vivere, quel che cercano è comprensione e forse un pochino di attenzione, non l'ostilità che incontrano ogni giorno. Io non voglio più villaggi vacanza, neppure hotel super lusso, voglio bidonville, andare da loro, ascoltarli, mostrar loro che in noi alberga ancora un briciolo di umanità, far sentire loro che non stanno rubando nulla se cercano di dar corpo alla speranza di una vita migliore. Noi avremmo fatto lo stesso, noi abbiamo fatto lo stesso!»

Parlava con calma, serena, era commossa e due lacrime le rigarono il volto. Sentivo di amarla e di non poter accedere al suo mondo, troppo lontano dal mio, dalle preoccupazioni per l'auto incidentata, per le fatture da pagare e per l'impegno per il prossimo week end. Quanto era bella, trasfigurata da una fede che io non potevo avere; ricca di niente e bisognosa di nulla. Toccai nel profondo tutta la mia aridità e la comparai alla sua ricchezza. Ne rimasi profondamente colpito.

«A me, vedi, non interessa la quantità delle persone che mi accompagnano in questo duro viaggio. Non mi curo di osservare chi o quanti stanno alle mie spalle o al mio fianco per darmi forza e per infondere quel coraggio che serve per affrontare tutti i giorni una vita dura e difficile, mi basto da sola in questo percorso. Non ho bisogno dell'assenso altrui per continuare a fare e pensare ciò di cui sono intimamente innamorata. Tutti, proprio tutti potrebbero passare dall'altra parte, io non ho bisogno di persone che non sappiano lottare, che non siano convinte. Potrei rimanere qui, su questo versante, sola a guardare la moltitudine di uguali che si accalca dall'altra parte, ma so che non mi sentirei mai sola, o non me ne fregherebbe poi troppo. Qui ho davvero tanta compagnia, quella di me stessa, e quando sono triste e abbattuta, amico mio, non penso a viaggi esotici, penso che insieme a me ci sono i miei eroi: Lampedusa, Nicolini e Boldrini e tanto mi basta, anche se non posso parlarci. Poi sola non credo di esserlo completamente. Questo esecrato ed esecrando Governo, che ha commesso mille e più errori, per i quali non merita neppure un pensiero, immaginati il mio voto, ha un merito, forse l'unico. Io sono fiera di essere italiana e mi sento tale fin dentro l'anima, pensando che, senza curarsi dell'immobilismo dell'Europa intera, da solo, senza curarsi di chi lo seguiva o meno, ha ordinato ai militi della sua marina, cioè soldati addestrati per fare la guerra ed uccidere altri uomini, di mettere in acqua le navi da guerra per andare a prenderli in mare, per salvare loro la vita. Bene, credo che anche uno solo di quei salvataggi ai miei occhi riscatti i tantissimi errori compiuti. Un giorno, credo, la Storia, quella che leggi sui libri, renderà merito all'Italia, la mia Italia, di questa scelta che mi riempie di orgoglio».
#5
Tematiche Spirituali / Cristianesimo, religione atea
31 Ottobre 2016, 22:02:31 PM
il cristianesimo ha sostituito la figura di Dio con quella di Cristo. È, dunque, una religione senza un Dio... Atea.