Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Discussioni - 0xdeadbeef

#1
L'esempio forse più eclatante è quello dell'economia ("lo studio dei mezzi più efficaci per
raggiungere un fine prestabilito" - L.Robbins); ma un pò dappertutto lo scientismo dilagante
attribuisce alla scienza compiti che non solo non le sono propri, ma che le sono spesso
addirittura antitetici.
E', questo dell'indistinzione fra mezzo e fine, uno dei tratti più peculiari della contemporaneità.
Già M.Weber, ne: "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", edita mi pare nel 1904,
intuiva come il capitalismo fosse entrato in una "gabbia d'acciaio", ovvero in una forma-mentis
nella quale i soldi servivano solo a fare altri soldi (concetto ormai macroscopicamente evidente
nella speculazione finanziaria).
Il concetto è ribadito in una ormai vasta saggistica, fra cui particolarmente interessante mi
sembra quella di E.Severino ("Intorno al senso del nulla"), il quale afferma che scopo della volontà di
potenza è di accrescere se stessa; e ciò vuol dire che non vi è uno scopo, un fine, perchè ormai il mezzo
ne ha preso il posto rendendo anacronistica la loro distinzione.
Mi sono spesso chiesto quali processi e quali dinamiche abbiano potuto determinare tutto questo,
e sono arrivato alla "conclusione" (si fa per dire...) che tutto questo è accaduto perchè nell'
uomo moderno, che è essenzialmente individuo, si è obliato il tempo.
Si sono obliati sia il passato che il futuro, e l'uomo moderno vive ormai in un "eterno presente"
che non è più "nel" mondo, come intendeva Heidegger, ma nel luogo "del" mondo ove l'individuo si
trova in quel momento presente.
Che senso ha "progettare" qualcosa in vista di un certo fine quando si vive solo ed esclusivamente
nel presente?
saluti
#2
Tematiche Spirituali / Religione e ragione
19 Maggio 2019, 16:30:50 PM
Che rapporto c'è, se c'è, fra la religione e la ragione?
Io credo che un rapporto vi sia; e che questo consista essenzialmente nella "speranza" dell'esistenza
reale della divinità.
E' forse frutto della ragione il non sperarlo? Come possiamo non sperare di rivedere un giorno i nostri
cari che non ci sono più? O come possiamo non sperare che i giusti siano, alla fine, distinti dagli
ingiusti?
Magari qualcuno dirà: "ma questa speranza è irrazionale". Sì d'accordo, ma irrazionale è semmai l'"oggetto"
della speranza, non LA speranza...
Ecco, io trovo che LA speranza sia perfettamente conciliabile con la ragione (mentre non lo è l'oggetto
della speranza - cioè non lo è la divinità). Diciamo anzi che trovo profondamente irrazionali coloro
che non nutrono almeno un piccolo barlume di questa speranza...
In fondo, cosa sarebbe la nostra vita senza questa speranza? Non sarebbe forse stato meglio essere
come degli animali "inferiori"; che nascono, vivono e muoiono nell'inconsapevolezza?
saluti
#3
Tematiche Filosofiche / La "struttura originaria"
28 Aprile 2019, 15:17:42 PM
"Se devo dirti l'estrema ratio a cui sono pervenuto è che la struttura originaria è la coscienza
- la filosofia e la coscienza sono intimamente connesse -" (Paul11).
Mi ha incurisito tantissimo questa affermazione dell'amico Paul11. Sulle prima sarei fortemente
tentato di dire che la condivido nella maniera più totale, ma...
Già: ma cos'è, pensandoci bene, la "stuttura originaria"? E cos'è la "coscienza"?
Sembra quasi che Paul intenda dire che ciò che contraddistingue più di ogni altra cosa l'essere
umano sia la coscienza. La coscienza, dunque, come "essenza" o "sostanza" (aristotelicamente
intese) dell'essere umano; dunque come suo "Essere" (perchè a me sembra che a questo possa essere
ricondotta la "sostanza" aristotelica).
Ora, la "struttura originaria", per Severino, non è esattamente coincidente con l'Essere (anche se
ne è, chiaramente, intimamente connessa). E quindi non lo è con la "sostanza", o "essenza".
Se, seguendo Severino, la stuttura originaria "consiste" (e certo c'è da discuterne...) nell'identità
del particolare e del totale, allora la singola coscienza esaurisce, riducendolo a sè, l'intero universo?
Mi sembra, francamente, una posizione troppo "hegeliana" per poter essere condivisa da un "kantiano"
come me...
saluti
#4
Tematiche Filosofiche / L'Io e l'Altro
11 Marzo 2019, 20:43:56 PM
A mio modo di vedere la filosofia ebraica, e in particolare quella di E.Levinas, è l'unica "risposta"
credibile al dilagante nichilismo del periodo post nietzschiano.
L'"accusa" di Levinas all'intera filosofia occidentale così come venuta a costituirsi è precisa:
l'intero "sguardo sul mondo" della filosofia occidentale è null'altro che una "ontologia dell'io".
L'"io", ovvero, ha nel suo percorso di emersione fagogitato ogni cosa. La "sintesi" idealistica, che
vede nell'"io" il proprio termine finale, è secondo Levinas cominciata già con Parmenide, verso il
quale c'è stato un "parricidio" soltanto apparente, visto che con Platone il molteplice è, sì, affermato,
ma in maniera subordinata all'uno.
Scrive Levinas: "a partire da Platone, l'ideale verrà sempre cercato nella fusione".
La radice filosofica con cui Levinas intende opporsi all'intero pensiero occidentale è esplicata nel
concetto di "altro". Ma cosa intende Levinas con "altro"?
L'"altro" è tutto ciò che è irriducibilmente "altro-dall'io", e che all'"io" non è riducibile.
L'"altro" sono "gli altri" e qualunque oggetto; l'"altro" è lo stesso "io" come sarà nel tempo ("altro"
è soprattutto il tempo, dice Levinas).
L'"io", in questo "universo-altro", è solo una briciola, non il signore indiscusso come nello "sguardo"
occidentale...
saluti
#5
"Se Dio non esiste, allora tutto è lecito" dice Ivan nell'immortale capolavoro di Dostoevskij (naturalmente
parlo de: "I Fratelli Karamazov".
Vorrei spiegare perchè a parer mio Ivan ha ragione...
Ha ragione essenzialmente perchè non può esistere una morale "laica" e relativa: la morale o è "sacra" ed
assoluta o, semplicemente, non è (come la legge giuridica, che da essa trae ispirazione, che è "uguale per
tutti", cioè assoluta, o non è - una legge giuridica relativa è un controsenso).
Affermazione "forte", certo, me ne rendo conto. Non saranno d'accordo in molti; ma quel che Ivan afferma
non è l'esistenza o l'inesistenza di Dio, bensì un imperativo ipotetico (in definitiva una funzione "se-allora").
Nell'universo descritto da Nietzsche infatti (un universo nel quale Dio è "morto") l'unico discrimine è la
volontà di potenza, che non contempla alcuna morale come suo fondamento (ma anzi del valore morale è,
essa, fondamento).
E infatti magari si dirà: anche colui che disse: "Dio esiste", era animato da volontà di potenza (e magari in nome
di Dio ha commesso crudeltà inenarrabili). Vero, ma se così fosse, daccapo, Dio non esisterebbe (e quindi tutto
sarebbe lecito).
saluti
#6
Tematiche Culturali e Sociali / Cos'è il "populismo"?
13 Gennaio 2019, 12:57:30 PM
Al termine "populismo" sono stati attribuiti diversi significati.
Per me la definizione più semplice e diretta è quella del lingusta Noam Chomsky: "populismo significa
appellarsi alla popolazione. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga tenuta lontana
dalla gestione degli affari pubblici". Una buona definizione, ma per me ancora insufficiente.
Con questa accezione infatti il termine "populismo" è indistinguibile dalla specifica forma politica
della democrazia, per cui ritengo occorra un altro "passaggio" esplicativo.
Questo passaggio ulteriore è per me ravvisabile proprio a partire dal termine "popolazione", che in teoria altro
non significa che: "insieme delle persone viventi in un dato territorio" (Treccani). E che è molto
diverso dal significato del termine "popolo", che invece significa (o dovrebbe significare): "collettività
culturalmente omogenea".
Ecco, quindi per me "populismo" significa propriamente: "appellarsi al popolo (chi detiene il potere vuole
invece che il popolo venga tenuto lontano dalla gestione degli affari pubblici)".
Ma perchè questa distinzione, a mio avviso dirimente, fra "popolazione" e "popolo"?
Per un motivo che non ha nulla a che vedere con rigurgiti nazionalistici o xenofobi che, comunque, sempre
sono possibili e che sempre il "populista" dovrà temere come estremizzazione della sua idea originaria
(su questo punto occorre essere onesti e riconoscere la possibilità di questa deriva).
Il motivo fondamentale è che un "diritto", come complesso di norme giuridiche, può sorgere solo e soltanto
all'interno di una collettività culturalmente omogenea, cioè di un "popolo".
Non può sorgere all'interno di una "popolazione", cioè di un insieme di residenti, perchè quello che nella
"popolazione" sorge non è il "diritto", ma è semmai la "libertà" così come intesa dalla filosofia anglosassone.
Perchè succede questo? Essenzialmente perchè all'interno di un insieme di residenti non viene condivisa
nessuna etica comune. Non vi è. ovvero, un "sostrato" culturale comune che permette il sorgere di regole etiche
comuni (vi è solo e soltanto il perseguimento dell'interesse, che porta appunto alla "libertà anglosassone").
Il fallimento delle società "multiculturali" (questo termine sarebbe da specificare) è lì a dimostrarlo.
Questo non significa necessariamente che il "populismo" debba prendere posizioni politiche "escludenti" (non
significa cioè che si debbano necessariamente innalzare muri).
Significa però che il "residente", se vuol diventare parte del "popolo", deve necessariamente e tassativamente
condividerne gli aspetti etico/morali più importanti.
saluti
#7
"Alle origini della disuguaglianza aggiungerei il caso, contro il quale non c'è politica o ideologia
che tenga.
Sebbene condivida molte analisi e proposte di Stiglitz, la candida ingenuità dei tardo keynesiani sulla
possibilità di controllo di un sistema economico, di stabilizzarlo e di ridurre le disuguaglianze è
veramente stupefacente.
Infatti credono che i grandi capitalisti o le classi dirigenti abbiano questo potere, per cui basta un
cambio di politica per risolvere i problemi".

Vorrei, prendendo spunto da questo intervento dell'amico Baylam in: "L'origine della diseguaglianza",
dire qualcosa sul cosiddetto "sistema", e spiegare un attimo perchè, a parer mio, Baylam ha ragione.
La diseguaglianza non è, come molti credono, una scelta politica. O meglio, lo è "anche", ma non
principalmente.
La diseguaglianza è nei fatti; è "naturale"; non naturale è semmai che divenga, poi, diseguaglianza sociale.
L'intera storia dell'occidente è la storia di un progressivo e sempre più prepotente emergere dell'individuo.
Vi sono, invero, importanti fasi un cui la "comunità" ri-prende il sopravvento; non saprei francamente dire
se l'emergere dell'individuo sia da condiderarsi ormai definitivo o meno; una specie di "filo rosso" mi
sembrerebbe però ben individuabile (nel senso di un progressivo emergere).
Insomma, secondo la mia tesi non vi è più eguaglianza sociale essenzialmente perchè non vi è più una sfera
del "sociale".
Il punto di vista della filosofia anglosassone (che, ricordo, nasce con G.d'Ockham proprio come negazione
degli "universali" - cos'altro è il celebre "rasoio" se non l'affermazione più radicale della particolarità?)
è ormai diventato il punto di vista non solo dell'intero occidente, ma di buona parte dell'intero pianeta.
E' all'interno di quel punto di vista (di quella che con termine ultraaccademico chiameremmo "weltanschauung")
che nasce la teologia dell'individuo (il Protestantesimo), seguita poi dall'economia dell'individuo...
Nel pensiero di Adam Smith, che è ancora oggi uno dei pilastri della moderna economia di mercato, il
perseguimento dell'utile individuale diventa, attraverso la mediazione di una "mano invisibile", perseguimento
dell'utile collettivo (concetto ancora ben visibile oggi, nella sua intrinseca assurdità, nei programmi
di insegnamento di molte delle più celebri facoltà universitarie di economia - sotto la denominazione di
"teoria dell'equilibrio perfetto dei mercati").
Queste radici concettuali arrivano fino al 900 all'interno di quello che viene comunemente definito "capitalismo".
Nel "capitalismo" comunemente inteso, però, il potere dello "stato", quindi il potere della comunità, è ancora
ben presente (basti guardare, ad esempio, al pensiero di J.Stuart Mill). E' esso, il potere dello stato, che
ancora impone all'economia le sue "regole".
Il capitalismo, cioè, non è ancora diventato "sistema"; lo diventerà durante il 900 per opera del cosiddetto
"Marginalismo", e soprattutto di F.A. Von Hayek.
La base filosofica (quella "tecnica" è in un concetto del valore economico come valore di scambio fra gli
individui) di Von Hayek è che ogni cosa che riguarda la "politica"; gli stati; il Diritto; nasce dal continuo
interscambio fra privati individui. Nulla vi è di "costruito" (Von Hayek infatti parla della filosofia europea
tradizionale come di una filosofia "costruttivista"), cioè di imposto dall'alto da un potere sovrano.
Dunque tutto nasce in maniera "spontanea", dal perseguimento privato di un preciso interesse (si noti come
sia evidente, in Von Hayek, il concetto basilare di Adam Smith).
Il potere politico, lo stato, diventa allora non quel potere che può risolvere i problemi, ma quel potere che
alla risoluzione dei problemi è d'impaccio (come nel celebre: "lo stato non è la soluzione del problema, lo
stato è il problema" di R.Reagan).
Ecco allora che il "capitalismo", cioè quel sistema nel quale lo stato ancora imponeva le sue regole, diventa
"mercatismo", cioè diventa quel sistema in cui è il mercato, è l'economia, a dettare le regole allo stato.
Ora, riprendendo un attimo la tesi di Baylam, come lui osservo che non basta certamente un cambio di politica
"spiccia" per mutare un quadro culturale venuto a formarsi così, in questo modo, nei secoli.
E come lui aggiungo che non vi è nessuna classe dirigente che ha questo potere (alla classe dirigente sta
semmai molto bene questo stato di cose - essendo già classe dirigente che interesse avrebbe a cambiarlo?).
Perchè questo è il "sistema", ed il "sistema" siamo noi stessi.
saluti ed auguri di Buon Anno
#8
Con il termine "spesa pubblica" si intende la somma complessiva di denaro che lo stato spende in beni e servizi pubblici
aumentata della somma derivante dagli interessi pregressi sul "debito pubblico", ovvero sulla cifra complessiva del
debito accumulato nel corso degli anni (quando è accumulato, naturalmente).
Con il termine "saldo primario" si intende la somma complessiva di denaro che lo stato spende in beni e servizi pubblici
esclusa la somma derivante dagli interessi pregressi sul debito pubblico.
Insomma, la differenza fra la "spesa pubblica" e il "saldo primario" è che la prima comprende gli interessi sul debito,
mentre il secondo non li comprende.
Adesso mettiamo a confronto queste cifre, e vediamo se ne esce qualcosa di interessante...
Questo è l'andamento del debito pubblico dall'unità d'Italia ad oggi ("https://www.blia.it/debitopubblico/").
E questo è l'andamento del saldo primario ("https://scenarieconomici.it/evoluzione-del-saldo-primario-italiano/").
La prima cosa che salta all'occhio è che il nostro paese è in attivo sul saldo primario ("avanzo primario") dal 1992,
ed è sempre stato in "avanzo" tranne che nel 2009 (-0,9%) e nel 2010 (pareggio).
Visto che nel 2017 (il grafico non lo riporta) l'avanzo è stato dell'1,7% e che si presume per il 2018 sarà di oltre
il 2%, ciò vuol dire che il nostro paese è di fatto "virtuoso" da 25 anni.
Senonchè c'è la cifra degli interessi sul debito a renderci non-virtuosi, ma qui occorre dire due paroline...
Nel 2007 (quindi non al tempo delle guerre puniche) il rapporto debito/PIL era al 99,3% con un avanzo primario del 3,2%.
L'anno successivo (2008), il debito era salito al 101,9% del PIL a fronte di un avanzo primario del 2,2%. L'anno
ancora successivo (2009) il debito era salito al 112% del PIl a fronte dell'unico anno in cui siamo stati in "disavanzo"
(-0,9%, come dicevo prima).
In parole povere la storia del nostro paese è la storia di un paese virtuoso (e senza virgolette, visto che siamo
abbondantemente i primi d'Europa nella classifica del saldo primario) che si vede costantemente aumentare il debito...
Ma, dico, vogliamo farci qualche domanda o vogliamo dar ragione a chi continua a dirci che: "abbiamo vissuto al di
sopra delle nostre possibilità"?
Perchè questi pesanti aumenti del debito nel momento in cui, ci dicono, l'euro ha calmierato le cifre legate agli
interessi grazie ai tassi particolarmente bassi?
Tempo fa, in un dibattito televisivo, ho sentito (in un rarissimo momento in cui ci si è accostati a queste tematiche
"tabù") un "genio" affermare che l'aumento sproporzionato del debito dal 2007 (99,3%) al 2014 (131,8) era dovuto alla:
"perdita di 10 punti di PIL". Nessuno ha replicato...
Eppure la replica era elementare: "perchè, caro signore, la perdita di 10 punti di PIL non ha avuto alcuna ripercussione
sul saldo primario, che ha continuato imperterrito a far segnare punti in positivo (12,1%, se ben so far di conto)?"
saluti
#9
Sulla base del mio percorso personale, vorrei provare ad inquadrare la filosofia sotto una luce un pò insolita (anche
per dare una risposta a coloro che "non si sentono all'altezza" di intervenire nelle discussioni; perchè magari le trovano
troppo "difficili", come emerso recentemente in un altro post).
Il mio percorso personale di avvicinamento alla filosofia parte dal mondo dell'informatica (anche se fin da ragazzino
sempre stato appassionato di storia), e in particolare da quello specifico campo chiamato in gergo "hacking".
Insomma, non ero propriamente un "hacker" (termine che, almeno allora, aveva un ben preciso significato), ma ero uno
che, diciamo, bazzicava in quel mondo...
Il mio primo maestro di filosofia hacker (perchè di vera e propria filosofia si trattava) è stato Richard Stallmann, il
padre del cosiddetto "software libero". Da Stallmann io imparai quel concetto di "curiosità per come le cose funzionano"
che mi è stato di fondamentale importanza per "comprendere" la filosofia (per il più o meno che io l'abbia compresa...).
Il passaggio dal mondo dell'informatica a quello della filosofia vera e propria è stato per me naturalissimo.
Sì, perchè naturalissimo è stato il voler capire "come le cose funzionino" (basta un pò di curiosità...) in generale;
nelle, chiamiamole, "strutture nascoste del mondo e della mente umana".
Ma quel mondo informatico (cui fra l'altro anche il mio "strano" nomignolo è riconducibile...) mi ha insegnato anche
un'altra cosa, che adesso voglio sottoporre alla vostra attenzione.
Stallmann era uso ripetere spesso questo concetto: "se noi due abbiamo ognuno una mela e ce le scambiamo restiamo con
una mela a testa; ma se ci scambiamo la nostra conoscenza essa sarà per ciascuno di noi molto aumentata".
Siamo con ciò giunti ad un concetto in quel mondo fondamentale, che ha dato senso e significato allo stesso "appartenere"
a quel mondo: la condivisione gratuita del sapere, della conoscenza.
Ecco quindi, l'"hacker" era (o ancora è, non so...) colui che non solo possedeva una conoscenza "tecnica" profondissima,
ma che metteva a disposizione di tutti i "curiosi" quella conoscenza.
Vorrei quindi un pò portare questa mentalità all'interno del mondo della filosofia, rivolgendomi appunto a coloro che pensano
di "non essere all'altezza" esortandoli ad essere curiosi, a chiedere a chi, almeno presumibilmente, sa senza alcuna remora
o timore di apparire ignoranti ("nessuno nasce professore", dice un saggio adagio popolare).
Il "filosofo", se autentico, vi risponderà con pazienza e senza alcuna ombra di saccenza (direi anzi che vi risponderà con vero
piacere...).
saluti
#10
Tematiche Filosofiche / Polis e Oikos (sul "potere")
19 Ottobre 2018, 11:07:40 AM
Vediamo tutti come, oggi, sia l'economia a dettare le regole alla politica (chi non lo vede, beh, ha bisogno di un
buon paio di occhiali...).
Vediamo un attimo il perchè questo sia assurdo, contradditorio; ma non solo: foriero di pericolose derive
antidemocratiche.
Agli albori della nostra civiltà vi era una netta distinzione fra "polis", città, ed "oikos", famiglia (con il
termine "oikonomia" - appunto "economia" - che deriva etimologicamente da quest'ultimo).
Secondo Aristotele l'"oikonomia" non è solo il "governo della famiglia" come viene solitamente inteso, cioè
come amministrazione dei beni familiari, ma riguarda anche i rapporti che intercorrono all'interno della
famiglia (che è da intendere in senso greco, cioè in senso "largo", più come "clan" che come noi la intendiamo).
Quindi, con "oikonomia" era da intendere anche un vero e proprio rapporto, diremmo, "di potere"; che è quello
fra marito e moglie, fra questi e i figli, gli schiavi etc.
La distinzione con la "polis", dicevo, era nettissima: perchè?
Semplicemente perchè all'interno della "polis" i rapporti di potere non erano definiti così, a priori, come
nell'"oikos" (nell'"oikos" il comando era, per radicata tradizione, del "patriarca"). Nella "polis", ovvero,
doveva sorgere quella raffinata arte chiamata "politica" (da "polis" e "techné") che era preposta a supplire
alla mancanza di rapporti di potere definiti sulla base di una forte e radicata tradizione.
Abbiamo quindi già tutti gli elementi per capire come il termine "tecnocrazia" (il potere della "techné") sia
un ossimoro; perchè non vi può essere "kratos", potere, della "techné" senza che vi siano o si instaurino
ex-novo rapporti di potere chiari e definiti.
E qui casca l'asino...
Perchè quello che ci dicono è appunto NON che si deve governare la "polis" con lo strumento della "techné" (come
è nel precipuo significato di "politica"); ma che si deve governare la "polis" con lo strumento del potere della
"technè", cioè con la tecnocrazia (quindi non con la "technè" ma con il "kratos" della "techné").
Il quadro è allora chiarissimo (almeno spero...): se, come avviene, è l'economia a dettare le regole alla politica
questo vuol dire che sarà l'economia a trasportare sul piano politico i suoi rapporti di potere (rapporti che,
chiaramente, non essendo radicati nella tradizione si stabiliscono ex-novo, sulla "naturale" base di chi possiede
più ricchezze).
Dunque comanda chi ha più soldi (persino banale dirlo...). Sì, banale, ma importante è, ritengo, capire che questo
potere non deriva dalla "technè", come ci darebbero ad intendere raccontando la favoletta della "razionalità
economica", ma dalla trasposizione alla "polis" delle strutture necessarie dell'"oikos".
Il potere, ovvero, non è mai economico, ma solo e sempre politico.
saluti
#11
Avrete senz'altro sentito di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace prima ammirato per aver creato in quel paese
un modello di integrazione, poi arrestato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Lucano, ed è questo quel che personalmente più mi interessa, si è auto-definito "fuorilegge", intendendo
con questo termine la preferenza da lui accordata all'imperativo della morale sulla norma giuridica.
E' nota anche la difesa che lo scrittore Roberto Saviano ha fatto di Lucano: "questo arresto è segno
dell'aria che tira", ha detto Saviano, che ha poi aggiunto: "Questo governo, attraverso questa inchiesta
giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione
definitiva dell'Italia da democrazia a stato autoritario".
Questione, questa, antica, anzi antichissima. Che richiama alla mente l'ordine stoico da cui prende le mosse
il cosidetto "giusnaturalismo", il diritto "di natura", così evidente da renderlo: "valido anche se, cosa
empia, Dio non esistesse" (U.Grozio). Un diritto, dunque, "superiore" a qualsiasi diritto che l'uomo può
"porre" (cioè che una volontà sovrana im-pone).
Quello di Lucano e di Saviano è dunque un discorso antico, di cui troviamo traccia anche nel Vangelo e un pò
in tutta la storia del Cristianesimo (o delle religioni in genere, che affermano la superiorità delle norme
religiose su quelle "civili"); un discorso che si fonda su una assolutezza della morale che non
può essere né discussa nè contraddetta dalla relatività delle norme giuridiche "positive".
Ma, ed è questo il punto (un punto sottolineato specialmente da Kant), può la morale assolutamente intesa
contrapporsi frontalmente al diritto giuridico?
saluti
#12
Attualità / Coraggio o temerarietà?
29 Settembre 2018, 13:40:35 PM
Da elettore (parzialmente) soddisfatto dell'operato di questo governo mi chiedo se l'ormai celeberrimo Documento di Economia
e Finanza (DeF) sia coraggioso o temerario...
Conosciamo bene la situazione. A parte il condono fiscale (perchè questo è...), le altre cosucce che esso contiene sono, anzi
sarebbero, condivisibili. MA...
Appunto: ma. I mercati come stanno reagendo e come reagiranno? Perchè con essi, bene o male, ci tocca ci toccherà fare i
conti, ci piaccia o meno.
In sostanza, se io fossi un menbro del governo ci andrei cauto. Magari farei la riforma della "Fornero", che trova la
condivisione di ambedue le parti di governo e di una vastissima parte dell'opinione pubblica (anzi: del "popolo"...),
ma sugli altri punti ci andrei, come dire, di "fioretto" (attendendo semmai le reazioni del "paziente" prima di
procedere oltre con la "cura").
Che ne pensate?
saluti
#13
Tematiche Filosofiche / Scienza e scientismo
04 Settembre 2018, 20:21:23 PM
In relazione alle ultime discussioni, vorrei soffermarmi un attimo sul rapporto che
intercorre fra la scienza e la sua, chiamiamola, "estensione" (una estensione che è
in ultima analisi filosofica): lo "scientismo".
La miglior definizione di "scienza" è, a mio parere, quella del Dizionario Filosofico
di N.Abbagnano che già citavo in un altro post: "una conoscenza che includa, in modo o
misura qualsiasi, una garanzia della propria validità".
Bah, di definizioni se ne possono trovare tante, ma questa ritengo sia, davvero, la più
generica ed "esatta" nella sua genericità onnicomprensiva (quindi la più adatta ad una
riflessione di tipo filosofico).
Altrettanto direi della definizione di "scientismo", che nell'Abbagnano così recita: "l'
atteggiamento di chi dà importanza preponderante alla scienza dei confronti delle altre
attività umane, o ritiene che non ci siano limiti alla validità e all'estensione della
conoscenza scientifica. In questo senso il termine equivale a "positivismo".
(preciso che questa definizione di "scientismo" è la seconda; quella prevalente nella
cultura non-anglosassone).
Bah, sulla base di quanto appena accennavo sul post "La psicologia e la psichiatria
hanno valore di scienze?" mi sembra di poter rilevare che oggigiorno si è andati ben
oltre la scienza, sconfinando in un vero e proprio feticismo scientista.
E' ritenuta scienza, dicevo, persino la politica (l'ottimo Jacopus vi ha opportunamente
aggiunto l'economia, il diritto, la sociologia e la storia), figuriamoci.
Ora, chiedevo, perchè, come e da dove nasce questo "bisogno di scienza"?
Per rispondere a questa domanda credo interessante andare a vedere meglio cosa dice il
Dizionario di Abbagnano: "la limitazione espressa con le parole: "in modo o misura
qualsiasi" (vedi definizione di "scienza") è qui inclusa per rendere la definizione
applicabile alla scienza moderna, che non ha pretese di assolutezza. Ma il concetto
tradizionale della scienza è quello per il quale la scienza include una garanzia
assoluta di validità".
E allora, io dico, ecco svelato l'arcano...
Quello che va per la maggiore è il concetto tradizionale di scienza. Perchè l'uomo ha
bisogno di certezze, e la divinità "morta" di Nietzsche ci rientra dalla finestra nelle
sembianze di un apparato tecno-scientifico che l'uomo assume come rimedio contro
l'angoscia suscitata dal divenire delle cose (come in Severino).
Ma vi è ben di più che non la sola ripresa del concetto tradizionale di scienza.
"O la cosa è scienza o non è nulla", dicevo.
Un uomo atterrito dal nichilismo e dal relativismo non può accontentarsi di un sapere
dubbio o tutt'al più probabile. Ecco allora che tutto diviene "scienza" (tradizionalmente
intesa, ovviamente), perchè solo la scienza dà certezze...
Un uomo odierno, si diceva, certamente molto meno libero che non quello degli ultimi otto-
nove secoli (che "conosceva" Dio e sapeva anche relegarlo in un ruolo...)
Per certi versi l'attuale situazione mi ricorda infatti quella dell'alto medioevo, allorquando
le uniche "cause" possibili degli effetti e del divenire delle cose erano Dio o il demonio...
Finchè l'uomo, per così dire, "non imparerà a riconoscere questo nuovo dio" non saprà né
assegnargli un ruolo né, all'occorrenza, ignorarlo.
saluti
#14
http://www.neldeliriononeromaisola.it/2018/08/236853/

Lo dico brutalmente: a me sembra la solita aria fritta e rifritta.
Tante, ma neanche poi tante, parole senza davvero dire qualcosa di significativo. Un bla-bla pieno zeppo di
luoghi comuni sottoscritti da personalità che non in pochi hanno, tristemente, definito "intellettuali" (poi
ci si meraviglia del distacco con il "popolo" - ma questo comincia già con queste definizioni).
Si salva in minima parte solo la risposta di Cuperlo, il quale perlomeno cerca di dire qualcosa di meno
generico.
Cacciari parla di "pensiero unico intriso di rancore e risentimento". Bah, rancore e risentimento forse sì;
ma pensiero unico no, davvero.
Pensiero unico, semmai, quello dei partiti liberali ancor oggi egemoni (chiaramente Popolari e Socialisti
tali sono), ma di questo Cacciari finge o fa finta di non accorgersi...
"Ossessione per il problema dei migranti" non direi. Semmai ossessione per un problema nel quale l'Italia
non può essere lasciata sola.
Quanto a Visegrad perchè non si sanzionano quei paesi? O magari perchè non li si espelle dall'UE?
Mica sarà perchè il "popolare" (inteso come PPE) Orban e i suoi amichetti tornano comodi in materia di
delocalizzazioni o roba simile? Mah, farò peccato a pensar così male?
Quanto al "più vasto schieramento di destra dalla fine della Seconda guerra mondiale" ho moltissimi
dubbi (sul fatto che questo schieramento sia catalogabile come destra).
Fino a prova contraria, miei cari "intellettuali", a farci lavorare con contratti a termine da fame e a farci andare
in pensione solo dopo aver conseguito il certificato di decesso ci ha pensato l'altro schieramento,
quello dei liberali: il vostro.
saluti
#15
Vorrei collegare un attimo il crollo del ponte di Genova con ciò che si diceva a proposito del sovranismo.
Mi pare chiaro che questo abbandono all'ideologia mercatistica abbia prodotto non solo la privatizzazione
dei servizi "in sè" (in loro...), ma anche quella sui controlli circa la qualità di questi servizi.
Insomma, se addirittura il bilancio degli stati è sotto il controllo di organizzazioni di tipo privato (le
agenzie di rating, che hanno padroni con un nome e cognome), figuriamoci il resto...
A mio parere è fuori luogo dire: "abbiamo sbagliato lì, in quel preciso punto" (in questo caso a non
mantenere una autorità pubblica sui controlli), perchè è la natura stessa del mercatismo (termine che io
preferisco al desueto e fuorviante "capitalismo") a non ammettere nessun limite, nessuna "frontiera",
quindi a non ammettere nessuna autorità ad esso, per così dire, superiore.
Perchè il problema, in radice, risiede appunto non tanto nell'aver privatizzato ampi e importanti settori
dell'economia,ma nell'esserci totalmente abbandonati ad una ideologia (credendola scienza).
E mi pare proprio che ancora oggi, pur se il, chiamiamolo, "sentore" comincia ad affiorare, si sia ancora
ben lontani da una, non dico piena consapevolezza, ma nemmeno ad una parvenza di essa.
Del resto, personalmente, mi accontento del "sentore", visto che solo fino a poco tempo fa ritenevo
impossibile persino quello...
Noto però una cosa molto singolare (ma poi lo sarà davvero?): mentre la gente comune, i "semplici" (come
vengono spesso orrendamente chiamati in filosofia quelli che non dispongono di strumenti culturali
adeguati), hanno appunto "sentore", gli eruditi, o almeno i presunti tali, non sembrano averne affatto.
O forse stanno solo difendendo interessi particolari, alla stregua insomma di un Guicciardini (che però
almeno aveva il buon gusto e l'onestà di ammetterlo)...
Mi chiedo, probabilmente in modo ingenuo, come sia possibile che ancora oggi godano di credito "economisti"
come, ad esempio, quelli che scrivono sul "Corriere della Sera", o che godano ancora di un certo credito
scuole come la Bocconi...
Mah, non sono "complottista" e ritengo il complottismo una lettura eccessivamente semplificata della realtà,
ma c'è davvero da chiedersi quanto e in che misura certi ambienti di potere decidano consapevolmente di
difendere il proprio potere (consapevoli che di quello si tratta)...
Perchè non si spiega, proprio non si spiega, come mai persone, oso sperare, non totalmente idiote non
abbiano almeno un "sentore"...
saluti
#16
Tematiche Spirituali / Che cos'è la Fede^
29 Luglio 2018, 14:07:16 PM
Da molto tempo mi chiedo se il desiderio di Dio possa equivalere alla Fede...
Se posso portare la mia esperienza personale, io mi sento come quel personaggio di Dostoevskij che afferma: "se
anche Dio non fosse verità, starei con Dio, non con la verità".
Il desiderio di Dio è in me fortissimo, ma altrettanto forte è il timore che non ci sia nulla di vero; che dal
nulla proveniamo ed al nulla torneremo.
Potrei dunque mai dire di "credere"? Io non credo (...), laddove penso che "credere" voglia dire aver se non la
certezza perlomeno una qualche speranza.
Anni fa, nel vecchio forum, a seguito di queste esternazioni qualcuno (non ricordo il nome) mi consigliò di
andare a Medjugorje: non sono ancora andato e sono ancora fermo in quel medesimo "punto"...
Qualcuno di voi mi sa dire in cosa consiste la Fede?
saluti
#17
Vorrei provare a ragionare e far ragionare sulla "volontà di potenza", di cui molto si è scritto e molto spesso
nei soliti termini (forza, sopraffazione etc.), vista da una prospettiva diversa.
E' vero che Nietzsche spesso la descrive egli stesso in quei termini, ma è altrettanto vero che egli la intende
essenzialmente come il, diciamo, "motore primo" di ogni agire umano.
Da questo punto di vista dicevo provocatoriamente che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano animati da
volontà di potenza. Perchè appunto il loro "motore primo" era la volontà che le loro idee e i loro principi
morali avvessero a "primeggiare", ad "imporsi", su quelli che essi ritenevano "dis-valori" (dal punto di vista
religioso Dio "vince" il demonio).
Sappiamo bene che per la filosofia anglosassone, fin almeno da Hobbes, il "Bene" è ciò che viene desiderato e che
piace all'individuo.
Dunque per gli Anglosassoni l'utile individuale, che è "motore primo" dell'agire umano (l'uomo agisce sulla base
di ciò che gli procura piacere o dolore) è anche ritenuto sommo "Bene" (in quanto, nel sostrato metafisico alla
base di questa visione, vi è un "grande orologiaio" che fa sì che l'utile dell'individuo corrisponda all'utile
della collettività, cioè che si configuri come "Bene" in assoluto).
Io trovo che nella volontà di potenza Nietzsche recuperi in qualche modo la concezione anglosassone, ma per così
dire la "depuri" dal grossolano elemento metafisico in essa presente (ed ancora presentissimo in certe sfumature
della contemporaneità, basti guardare alle teorie economiche neoclassiche).
L'uomo agisce sulla base di ciò che gli procura piacere o dolore, chiaramente perseguendo il primo termine e
cercando di evitare il secondo. E visto che piacevole è senz'altro il primeggiare (delle proprie idee e principi
ma anche di se stessi), ecco allora che vero ed autentico Motore Primo diventa una volontà di potenza che va
ad obliare e a succedere al Motore Primo aristotelicamente (poi religiosamente) inteso.
Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio
nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o
infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà.
saluti
#18
"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che
facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non
possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo.
Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare.
Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di
bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..."
Giacono Leopardi - Operette morali

Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi.
Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo,
"certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione.
Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che
questa sia una invettiva CONTRO la filosofia.
Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...
 
#19
Tematiche Culturali e Sociali / Sul "sovranismo"
23 Giugno 2018, 16:42:28 PM
Negli ultimi tempi il mondo della politica e non solo fa un gran parlare di "sovranismo"; di "populismo"; di
"elitarismo" e via discorrendo. Ma, ritengo, parlandone ne fa un gran calderone pieno zeppo di luoghi comuni
e di errori (e orrori...) circa l'autentico significato di questi termini.
Tanto per cominciare, i detrattori danno dei "sovranisti" ai sostenitori del potere politico nazionale, come
se il "sistema" che essi sostengono fosse invece il regno della libertà non sottoposta a nessun tipo di potere.
A me sembra piuttosto che si fronteggino due diverse ma speculari forme di potere (dunque di sovranità).
Gli uni sono per un potere più propriamente "politico"; gli altri per un potere "tecnico": a me sempre potere
sembrerebbe...
Ma dirò di più. Mi pare che gli uni, i "sovranisti", siano per un potere politico "ancora" (...) democratico.
Mentre gli altri, chiamiamoli gli "anti-sovranisti", siano per la tecnocrazia più gretta, ovvero per un
sistema in cui è l'economia a dettare le regole di fondo.
Ma se è l'economia a dettare le regole di fondo, allora ciò vuol dire che il suo (dell'economia) potere
è un potere sovrano a tutti gli effetti. Cioè ancora, che il suo è un potere "politico".
Dunque, se la mia posizione fosse in un certo qual modo plausibile, è di due poteri politici che stiamo
parlando, cioè di due poteri la cui volontà ambisce alla sovranità, cioè alla potenza.
saluti
#20
Scusate ma, anche in riferimento alle ultime discussioni, mi piacerebbe riproporre un vecchio argomento che postai cinque
anni fa sul vecchio forum. Spero di fare cosa gradita.

Qualche tempo fa, in occasione dell'uscita del suo romanzo "Il Cimitero di Praga", ad Umberto Eco fu chiesto se fosse
vero che gli Ebrei mangiavano i bambini (come nel romanzo era presunto, insomma).
La risposta di Eco è stata, a mio parere, di una coerenza filosofica sovrumana: "la verità è ciò che si dice", disse Eco,
facendo con ciò intendere che se a quell'epoca questo era ciò che veniva detto, allora era senz'altro vero (così come
oggi, che viene detto il contrario, è vero che gli Ebrei NON mangiavano bambini).
Se, come disse Nietzsche nei "Frammenti postumi", la modernità possiede una convinzione che non fu propria di nessuna
epoca, ossia che non c'è una verità, allora questa di Eco è la posizione più coerente che sia possibile immaginare.
un saluto