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Discussioni - PhyroSphera

#1
Quale destino per un mondo che non riflette adeguatamente su ciò che rende la scienza concretamente tale e le tecniche realmente affidabili? Quando un test è basato sulla scienza? Quando un test basato sulla scienza è sensato? Quando è effettuabile? A che condizioni?
Qui di sèguito una pagina del sito Wikipedia, dove si presenta una 'esclusione di possibilità', in nome di presunte prove irrefutabili, riguardo all'identità di una donna che si era dichiarata la figlia dell'ultimo Zar Nicola II (dalla cui testimonianza nasceva anche un'opera cinematografica):
https://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Anderson

Ecco domande necessarie, ma evitate dagli autori della pagina di Wikipedia:
Chi ci assicura che il DNA non attribuibile a parente dello Zar fosse proprio quello della donna che assicurava di esserlo - riconosciuta, a quanto pare, anche dai parenti meno stretti della famiglia Romanov? Forse negli obitori non possono accadere scambi di materiali, od anche nei laboratori di scienza?
Per quale motivo non si ipotizza che la donna polacca, presentata come la vera identità della presunta Anastasija Romanov che girava sotto nome di "Anna Andererson", fosse la stessa persona anche se sotto altra menzione anagrafica diversa? Perché non si fa altra ipotesi, che vi sia stata una doppia confusione di materiale genetico?
Perché si fa riferimento a una plausibilità come fosse più che tale, senza neppure pensare direttamente alla eventualità di test biologici sbagliati o gravemente falsati? Perché non ritenere che un caso come quello di una discendente dell'ultimo Zar potrebbe esser circondato di intrighi, da parte di nemici, intrusi? Questo senza passare ad ulteriore vaglio, riguardo al valore che un codice genetico ha per definire e riconoscere un individuo, una persona; infatti: davvero è impossibile che esistano condizioni del tutto ignote alla comunità scientifiche, per le quali un codice biologico genetico in una stessa persona non possa mai variare? I rapporti tra ambienti e genetica non sono mai in tutto ponderabili. Gli ambienti recano sempre incognite potenzialmente determinanti.

Vi sono gravi interessi contro le affermazioni di incertezze dimostrabili sui test genetici. Uno è l'apologia degli odierni metodi giudiziari e processuali, che sono creduti infallibili o pressoché; e annullare tante sentenze non è una prospettiva agevole. Molti si fanno guidare dagli agi per pensare oltre che dalle semplici plausibilità, che pure sono soltanto quel che sono.
Quale destino per un mondo così superficiale e distratto, subculturalmente e antipoliticamente tanto, troppo condizionante?


MAURO PASTORE
#2
Il nostro tempo è segnato dalle letture creative del pensiero postmoderno e dalle invenzioni sui testi del postmodernismo.

"Non ci sono fatti, solo interpretazioni" è il celebre sofisma di W. F. Nietzsche, che segna l'aldilà dell'ermeneutica propriamente detta prima del suo rigoroso avvio con Gadamer: la realtà ingabbiata negli schemi assoluti sfugge alla verità e conta solo decidersi. La vita stessa non è garantita in questa regione dell'intelletto dominata dalla retorica e dall'arbitrio mentale più sfrenato. Cartesio lasciò alla filosofia il dubbio iperbolico, cui seguiva la certezza più originaria della nostra mente: "penso, dunque sono". Nietzsche legava la sua retorica alla volontà di potenza: il mondo assomiglia ai nostri occhi quando vi esercitiamo il potere del nostro desiderio. A ciò seguiva però l'eterno ritorno dell'uguale.

I dubbi iperbolici della modernità, le invenzioni assolute dell'età postmoderna; ma pure altro che ne vive parzialmente e che sostituisce all'arbitrio le necessità degli altri, quelli rimasti fuori dalla storia. Così nel pensiero post ed ex marxista si intendono i dati della tradizione a modo proprio fino a fraintenderli volontariamente.
Accanto a questo fenomeno eclatante di protesta rabbiosa non più rivolta per realizzare un'ideale, quelli che fanno di testa propria perché non sono interessati all'originalità e originarietà ma ad imporre il proprio punto di vista come per scherzo, vitalisticamente e in un rapporto privilegiato di scambio. Il marxismo ebbe fortuna ad Est, questo vitalismo che riduce la cultura a mercato trovava fortuna ad Ovest, senza un nome certo di riferimento. Esso si cristallizzava come idea positivista oltre che per economicismo. Tra le sue vittime eccellenti, il Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein. Quale trattato (la lingua antica latina e l'italiana permettono questo scambio diretto dei termini) annoiava tutti quelli che dalla filosofia volevano grandi risultati nella vita pratica degli Stati, delle economie, soprattutto delle scienze e delle tecniche. Anziché somigliare per loro a un distillato, gli pareva simile a un brodo ristretto, roba da noia. Il brodo diventa a seconda delle cose che ci metti e non tutto ne resta.

"Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere."
Non era certo fatta questa frase per una tuttologia né aveva afflato cosmico; era parte di una riflessione sulla mondanità, quale insieme dei fatti. Questi però spesso non piacendo ai fanatici della scienza, che non trovavano presto realizzate le applicazioni tecniche giuste per loro, li si annichiliva, li si faceva evaporare; oppure li si rendeva una stretta prigione per l'intelletto del credente. Come Stalin rendeva funzionante lo schema borghesia/proletariato per superarlo anche scientificamente - una teoria della costruzione violenta di un mito sbagliato - così tali positivisti coadiuvati dai sofismi del postmodernismo rendevano vani i pensieri ed imprese.

Oggi si dice di evaporazione del cristianesimo e questo è vero nella misura in cui i vecchi schemi di sinistra interagiscono e scatenano i vecchi pregiudizi della destra, allora si finge che la fede in Cristo non esista e poi la si dismette o la si rende sottile con le polemiche umilianti: una freudiana illusione. Altrimenti, a detta degli araldi della positività del dato della pura esperienza, non ci sarebbe veramente Dio per il credente, ma un assoluto mistico che è o lui stesso o una barriera insuperabile per ogni tentativo di dare un senso al mistero. L'uomo religioso sarebbe ciarliero; proprio un uomo perché esulante col pensiero dalla realtà, altrimenti risulterebbe troppo sciocco per essere umano. La fede in Dio produrrebbe solo giochi di parole, la suprema illuminazione sarebbe restare zitti - ignorando i messaggi che ci giungono dai confini mistici del mondo! Mentre gli eventi inspiegabili sarebbero fatti per essere rimossi, per esempio con l'aiuto di uno psicoanalista ateo innamorato di alterità intercambiabili o meglio ancora seguendo la falsariga delle 'neuroscienze', che fanno capitare tutto uguale ma al sollievo dal disagio sostituiscono l'annientamento del disagiato in quanto tale assieme al suo problema...

La immensa illazione positivista che ho descritto e duramente criticato, la costruiscono rovesciando i risultati faticosamente e problematicamente conseguiti dall'iter filosofico di R. Carnap e la fanno valere restando esternamente all'autentica vicenda della filosofia. E' una illazione che si avvale di un tradimento esegetico: il contenuto del Tractatus di Wittgenstein era sottratto al titolo dal cattivo lettore, che ne estrapolava la logica a prescindere dall'orizzonte filosofico rendendola uno scheletro razionale inservibile, un lungo ragionamento capzioso, secondo cui il detto biblico Dio nessuno l'ha visto mai dovrebbe significare che nessuna Rivelazione potrebbe mai aversi, perché la verità discenderebbe dalle apparenze del mondo.
Proprio la tragedia dello stalinismo-comunismo, chiese chiuse o distrutte, dissidenti o semplici credenti impegnati che furono trascinati a morire di stenti e fatiche... proprio l'inganno che l'ateismo di Stato e il materialismo creassero un paradiso in terra, smascherato dal precipitare degli eventi in URSS e nel Blocco Est della Guerra Fredda, dovrebbe far riflettere sul valore di fedi e religioni.
La filosofia del Secolo XX° lo ha fatto anche solo col pragmatismo e il neopragmatismo. Non semplice utilità per vivere, ma impresa che dischiude la verità originaria o originale - senza le quali non si vive: questa la vita di fede, attorno a cui ruotano i culti e riti religiosi.

Il teologo non fa le sue affermazioni su base logico-filosofica, non è giusto zittirlo, che il luogo sia una università, un parlamento, una piazza o una casa, altro.


Saluti (mentre sto scrivendo, i rumori sinistri dei mezzi aerei antincendio...).
MAURO PASTORE
#3
Se un fine è autenticamente politico ed è quello giusto, nessun mezzo per raggiungerlo può essere immorale o empio.

La polemica della Chiesa contro il genio rinascimentale di Niccolò Machiavelli fu e resta ingiusta e andrebbe invece rivolta a coloro che veri politici non sono e le cui teorie sono un modo per intromettersi nella politica.

La frase "il fine giustifica i mezzi" non fu mai scritta da Machiavelli ma rispecchia il suo pensiero, che con essa venne e continua ad essere giustamente sintetizzato. Estrapolata dal suo contesto però passa ad indicare altro, l'uomo di potere senza scrupoli che abusa della ragion di Stato trattando i cittadini come oggetti adatti a realizzare le sue ambizioni. A questo riguardo vale la massima kantiana: 'considerare ogni uomo fine e non mezzo'.

Il contesto proprio del pensiero di N. Machiavelli è il principato. Quale definitore dell'indipendenza dell'àmbito politico e originalità del pensiero politico egli si avvalse di un esempio universale ma particolare che oggi non è da tutti inteso. Chi è il principe? Per quanto assurdo possa apparire, ad introdurlo sono adatte le favole. Bisogna procedere secondo una intuizione culturale e spirituale. Il termine "principe " è collegato con l'altro "principio", questo usatissimo in filosofia e scienze. Principe è colui da cui dipendono gli inizi, la cui presenza stessa può costituire un inizio o una iniziazione.
La figura del principe machiavellico è antropoteriomorfa, riunisce in sé l'astuzia della volpe e la forza del leone (il Centauro Chirone era l'elemento mitico posto in gioco dall'Autore): un'estetica che possono intendere quelli che hanno un'etica appropriata.

Si può dire che la realizzazione contraria al principato sia stata l'impresa di distruzione di A. Hitler, il cui pessimismo violento si avvalse per i propri scopi di una società dominata dai torti: innanzitutto il razzismo biologico, quindi il tecnicismo, la volontà di omologazione e l'assenza di valori. Gli strumenti della distruzione erano violenti, pur ponendo in campo la violenza reciproca degli altri, fino a consegnare le vittime proprio ai crimini nemici. La gioventù tedesca alle disumane reazioni armate dell'esercito di Stalin, le comunità semite agli stessi sgherri nazisti, le popolazioni del Sud ai rimedi sbagliati di falsi competenti[1]. Per quanto gli esecutori e gli strumenti fossero esterni, erano le pedine del suo gioco alla dama, non propriamente politico. Lo stesso Hitler rimproverava le folle di accettarlo come guida, accusandole di avercelo costretto. Non c'è dubbio che il mondo da lui funestato era immerso nei torti già da sé. La maggioranza delle moltitudini semite in Germania non evitavano di ostacolare la realizzazione delle necessità etniche del Paese, tantissimi tedeschi si davano al razzismo invece di provvedere a un'autodifesa, mentre dal mondo coloniale veniva anche tutto il contrario del dovuto: richieste di aiuti ma tanto più aiuti tanto più cattive disposizioni, sicché tutto veniva fatto funzionare al rovescio[2], anche per la Germania e l'Occidente. C'era pure chi esente, accusato però di voler essere succube di chi in torto; e il "Führer" lamentava che nessuno si presentava a sostituirlo dal suo triste ufficio di morte, additando un deliberato dispetto dalle potenze nemiche all'Asse (Roma-Tokyio-Berlino). La mostruosità dell'evento, la presenza pubblica del suo autore che poneva in scena vere e proprie alienate e alienanti bestialità, non simbolizzazioni teriomorfiche, sono proprio il contrario di quanto descritto da Machiavelli. Le incomprensioni su di lui ancora in vita erano già il segno della confusione e violenza contemporanee.


[1]Quest'ultimo fatto è poco venuto alla luce, fu comunque osservato che la tattica nazistoide verso le moltitudini delle Colonie occidentali nel Meridione ed anche verso tutti quelli che vivevano ugualmente o similmente in Europa e Occidente era di non correggere gli errori e di far sbagliare tutti. Le stesse abitudini degli europei meridionali erano sottoposte a questa avversione, come ricorda anche tanta gente in Italia. Questo il fatto più eclatante venuto alla luce, notizia non smentita ma non da tutti interpretata: i medici di Hitler erano già a conoscenza dei gravi problemi immunitari oggi connessi col retrovirus la cui individuazione è legata a una diagnosi di sindrome (siglata aids) ma non avevano voluto dare allarme, imputando anzi i sintomi a costituzioni insane e offrendo tutto il contrario del rimedio.

[2]A onor del vero esistevano ai tempi del nazional socialismo vari e reciproci razzismi. In Mein Kampf Hitler non si concentrava solo contro ebrei e giudei. I suoi strali erano anche contro i cosiddetti negri e - non se ne dice quasi mai - contro gli stessi ariani. A questi si imputava una storia plurisecolare di distrazione da sé ed insania, mentre ebrei e giudei erano ritenuti usurai ed aguzzini estranei all'Europa e fuori posto un po' ovunque; i negri erano accusati di voler condizioni subumane di vita. E' stato giustamente notato che l'impianto accusatorio escludeva una vera ideologia della razza, distinguendosi dalla fredda avversione nazista proprio perché si condannava una volontà. Nella triplice accusa hitleriana io lessi un contrappunto al racconto veterotestamentario dal valore etnologico dei tre figli di Noè: Sem, Cam, Iafet, rappresentativi di culture ed etnie rispettivamente orientali, meridionali, occidentali. Manca il Settentrione ma le genealogie dei nomi biblici non sono tutta la storia, neanche quella biblica. I settentrionali sono i restanti. Io pensavo e penso che una serena valutazione del quadro biblico potesse e può essere la base per evitare di assecondare semplicemente gli scontri per evitare di restarne vittime. Proprio un assecondamento aveva fatto Adolf Hitler, anzi aveva trasformato odi etnici e razziali - già degeneranti in un immenso reciproco litigio razzista - in un evento di distruzione, dal quale non erano del tutto esentati neppure i restanti (quelli del Settentrione del mondo, dicevo), rimproverati di disinteresse. Come dichiarato dal dissidente D. Bonhoeffer, proposito di Hitler era la sconfitta della Germania. Punire la componente ariana ovvero 'iafetita', non solo la estromissione della componente 'semita' e il rifiuto di quella 'camita', erano suoi obiettivi.


MAURO PASTORE
#4
A Napoli durante la Guerra Fredda (tutti i link presentano video non ufficiali la cui resa è varia e la eventuale pubblicità commerciale aggiunta non è mia scelta)...
https://www.youtube.com/watch?v=S0SzyunRNZ8


Le opere cinematografiche neorealiste contengono sempre alcunché di ideale o idealistico, oppure non sono un realismo diretto. Non così la successiva corrente del realismo, che pur essendo priva di tanta e univoca risonanza nondimeno ha fatto epoca anch'essa.
Per esempio la scena del bagno della fontana ne La dolce vita non era una invenzione ma una citazione poetica, perciò accanto alla realtà c'era l'idea. Non così le inquadrature del suicidio in Morte di un matematico napoletano. Certo non un campione di realismo, come pure il cinema di Fellini era neorealista solo per un verso; e una regia diversa, ignorante ma nel senso di farsi capace di accogliere l'alterità nella mente visionaria. Difatti il film di Martone è anche un collage di testimonianze. Ciò che non fu reso immagine per lo Schermo corrispondeva alla misteriosità dei fatti, di un uomo che, quanto a personaggio sociale, era una "creazione della città di Napoli", ma la cui vita era molto e altro di più. Nipote di Bakunin e comunista sui generis, matematico insigne del Secolo XX°, tra pretese sempre più grandi del mondo della tecnica e neoinquisizioni non solo cattoliche i suoi Teoremi avviavano di fatto una comprensione diversa dei simboli matematici, inclusi così nello stesso oggetto di ricerca e acquisizione scientifica. Questo io notavo da studente del Politecnico di Napoli, all'Università dove tanti anni prima Renato Caccioppoli era stato professore e dove sarebbe stato schedato suicida. Mentre studiavo per ingegneria edile mi dedicavo anche ad altre attenzioni; anche alla Fisica dei Quanti oltre che ad approfondimenti personali della Analisi Matematica. Proprio alla stessa Università Federico II mi si venne a dire un giorno: "il Professor Renato Caccioppoli, la pensava proprio come lei", in merito alla mia amara sorpresa a fronte dei pregiudizi contro la nuova analisi matematica.
Fisica e mtematica sono distinte ma non fino al punto che le formule della fisica non abbiano un valore matematico; non intrinseco ma pur sempre esistente e quanto a questo valutabile scientificamente solo dal matematico.
E=mc2 ha un significato fisico ma quale espressione reca anche un senso matematico coincidente ma non identico. Quella E non si volatilizza nel campo matematico, neppure le altre due lettere, ma il risultato non è equiparabile al significato fisico. Il volerne dimenticare, nella supposizione che il campo multidimensionale non sia oggetto concreto degli studi scientifici matematici e che si fosse arrivati all'ultimo atto della scienza occidentale, questo era pregiudizio dello stesso Albert Einstein. I rapporti tra le due scienze sarebbero rimasti sterili, se non si fosse scoperto che quella E non era semplicemente traducibile con una x nella teoria matematica ma con una a...; cioè la E corrisponde matematicamente a una realtà!
Come è possibile questo, ci si domanda, se ciò che è oltre lo spaziotempo non è oggetto di scienza? La risposta pare impossibile ma c'è: quella a indica concretamente ciò che attraverso il confine dello spaziotempo è entrato quale effetto. Per fare un paragone non ideale (dato che esiste la analogia psicofisica), dico che anche per la Psicologia transpersonale accadono queste 'registrazioni', di effetti da estremità di confini. La E della Equazione della Relatività è matematicamente una non incognita che è assegnabile a un confine e indica una provenienza oscura... che solo un filosofo potrebbe decifrare.
Tutto ciò quindi non conferma il pregiudizio che la Relatività sia l'atto finale della scienza occidentale e ci permette di contemplare lo sviluppo successivo della Fisica dei Quanti, perché bisogna ammettere che la comprensione matematica della Relatività fisica è di un ordine diverso, non metafisico ma di limiti solo unilaterali del campo scientificamente studiabile...

Al tempo che io frequentavo l'università Federico II lo stato delle ricerche fisiche si era spostato oltre, con lo studio della fisica delle particelle, mentre c'era negli ambienti scientifici internazionali chi sognava di costruire una scienza unica direttamente cosmologica della fisica. C'era chi restava ad Einstein e alla pretesa che la Relatività fosse sistematizzabile come base di tutto il resto scoperto, chi affidava la speranza di unità ai calcoli di Newton, chi credeva a una pseudoheisenberghiana quantizzazione generale... chi tentava invece di affidarsi ad Aristotele ed Archimede (appoggiato dai neoinquisitori). La mia indagine intellettuale - mentre nella mia immaginazione a volte apparivano le memorie e immagini delle Rune che avevo visto nelle Lande del Nord e si affollavano pensieri sulla filosofia dei greci antichi - si fermò su questo punto: l'idea che tutto si risolvesse in uno schema di funzionamento di particelle incontrava sospetti e negazioni, dato che queste nel loro funzionamento, che si supponeva di poter un giorno dimostrare, riassumevano tutto,... e come fare allora a trovare una formula matematica significativa per il fisico, dato che il risultato sarebbe stato una entità simbolica, una espressione in quanto tale?
Questo appunto la Scuola napoletana con Caccioppoli, io notavo, si era portata a poter spiegare. Tutto, anche il simbolo, descrive concretamente la realtà cui i numeri fanno riferimento. Questa è, in riferimento all'attuale stato delle altre scienze, conseguenza di quanto cominciava a spiegare alla Facoltà di matematica di Napoli.

Al proposito iniziale di dedicarmi specificamente allo studio delle scienze matematiche seguì l'incontro da parte mia col mistero dei numeri del verso poetico. Per tale ragione, dopo aver fatto da mediatore culturale tra fisici e matematici in qualità di studente ma pure studioso diverso, passai inosservato agli inquisitori. Certo, dato che non la teologia biblica ma la demonologia degli scritti dei poeti simbolisti francesi era il mio oggetto dell'intervenuto altro interesse, c'era da stare ancor meno tranquilli per parte mia. Difatti ricevetti minacce di fanatici, visto che i dottoroni diversi che curiosavano nello stesso Politecnico erano finiti fuori gioco. Non mancò neanche un prete che presentandosi nella casa in cui vivevo in fitto voleva farmi capire, con la chimera di guai da evitare, che io stavo oramai 'esagerando per sempre'; e tanta l'assurdità suscitata nel quartiere dal suo ed altri interventi, che mi venne spontaneo rappresentarla con gli occhi sbarrati a un grosso cane che faceva il randagio nei paraggi. A uno strano discorso per citofono, di chi diceva idiotamente che dovevo andare in ospedale, lui stava proprio lì accanto a ringhiare protettivamente; così la notte seguente si presentò, probabilmente suonando lui stesso al mio citofono perché aveva visto quale bottone i persecutori usavano per entrare in contatto con me. Ritrovatomelo di fronte alla porta dell'appartamento, lasciavo la bestia, il cane da guardia, vagare per le scale, fino al mattino seguente...
Le mie riflessioni sulla nuova matematica io le organizzavo sulle Enneadi e le enadi e in Facoltà non sapevano cosa rimediarci.
Anni dopo, un critico sedicente scienziato in tivù gridava quasi: cosa ce ne facciamo di un simbolo? L'aver reperito e descritto il particolare bosone il cui studio adatto a far ruotare i dati delle grandi teorie fisiche moderne attorno al comportamento delle particelle era uno sorta di shock per i positivisti che sognavano di sostituire la cosmologia filosofica con un'altra a loro detta scientifica. Il filosofo sa che è impossibile ma i positivisti si lambiccavano il cervello appresso ai modelli integrati. Risultava dopo gli studi sul cosiddetto bosone di Higgs (espressione che mi pareva equivalente, nelle ricerche umane, a Oceano di Ross) invece solo uno schema unitario generale, nessun sistema, e allora i critici si appuntavano su un particolare, un "dannato simbolo" che sarebbe stato, nella sua presunta insignificanza, la prova che era "tutta una sciocchezza". Era questo fantasma che tratteneva i neoinquisitori, comunque il coordinamento ottenuto trovando riscontro alle ipotesi di Higgs sulle particelle fisiche non genera rischi su rischi ma segna la riduzione dei rischi delle applicazioni scientifiche. Plotino, Ipazia, anche i neoplatonici cristiani, cercavano questa sinergia!

La morte del matematico napoletano pareva soltanto, non era veramente il segno di una scienza andata troppo oltre; era solo la maschera sociale che così terminava, e mentre dalla Città di Napoli veniva questa macabra apparenza - denuncia di intromissioni intollerabili - la scienza proseguiva il suo corso, dalla Russia con amore...
In tutto ciò io cominciavo a constatare che la filosofia stava per rimanere senza forza sociale e culturale e notavo che sarebbe stata la Sofiologia a ripresentarla come ospite inquietante (mentre si era costretti a parlarne nei termini storici della tradizione giudaica dell'Antico Testamento, troppo cara ai neoinquisitori). Questo salto forse il Professor Caccioppoli non aveva potuto intravederlo e lo scenario opposto lo aveva spinto all'inedia? A parte questo, la sua era tattica sociale diversa da quella di Albert Einstein, che per farsi lasciare in pace dai falsi fisiologi li compiacque con disposizioni testamentarie di grottesco reliquiario. Il nipote di Bakunin non voleva lasciare una salma comprensibile né studiabile, forse era l'ultimo spasimo per far coincidere una morte già sopravveniente con una sopraggiungente - questo pensavo, anche quando mi ritrovavo ad esser rimproverato di aver parlato con sua stessa inflessione. Il campo simbolico ha un senso anche così, uno stato cadaverico non è un altro, un gesto di protesta può stare assieme a una morte naturale... ictus e colpo da arma da fuoco tutto insieme per avere un po' di riservatezza.


https://www.youtube.com/watch?v=2BvCBVyPVTo
https://www.youtube.com/watch?v=JIVJyqHUMuQ
https://www.youtube.com/watch?v=ySqEP7zCFgs



MAURO PASTORE
#5
In Timore e tremore (1843) il filosofo e teologo danese S. Kierkegaard, scrivendo con lo pseudonimo di Johannes de Silentio, poneva in crisi l'uso totalitario della dialettica hegeliana basata sul superamento-conciliazione di due elementi con un terzo. La vita di fede infatti non ne è contenuta perché è inoltrata da una alternativa radicale. Questa è esprimibile in danese con l'espressione enten-eller, che significa: o questo, o quello! (e nient'altro), corrispondente a quella latina aut aut e titolo di omonima opera dello stesso Autore.
Timore e tremore sono dell'individuo in rapporto assoluto con l'Assoluto, dell'uomo rimasto fatalmente privo di proprie risorse che deve fare il salto nel buio tramite la fede, verso la Grazia, incomprensibile anche alla ragione, di Dio.
In termini pragmatici: bisogna per continuare a vivere disporsi interiormente interrompendo il percorso logico della propria esistenza e trasgredendo i dettami della ragione, cioè dopo essersi abbandonati al mistero più grande della realtà, solo poi potendo costruire una razionalità sufficiente e assumendo una logica veramente superiore.
Nonostante appaia in primo piano la figura scandalosa di un uomo che a causa del proprio credere inizia e non termina un omicidio contro il suo figlio, in nome di un sacrificio voluto dallo stesso Dio che quella prole aveva benedetto, il discorso svela che non un solo esempio esiste di virtù della fede, non un solo Abramo! Suo protagonista però è il padre della nota tradizione biblica, tutt'altro che virtuoso e propenso a intendere il sacrificio per atto cruento, ciononostante fermato dal Dio in cui crede. Virtù del dono della fede, non del ricevente - ma pur sempre merito di chi essa accoglie!
Non che l'Autore voglia opporre questo esempio criminologico alle altezze delle riflessioni hegeliane sullo Spirito Assoluto... semmai egli vuol far notare che queste sono dimentiche dei problemi più gravi della vita. Se società, politica, civiltà, cultura sono catalizzate dalla poderosa dialettica di Hegel, non c'è più spazio per evitare il prevalere del crimine!
Non mancò a Kierkegaard neppure una polemica, per così dire di ritorno: in che senso l'ottimismo, il male come semplice privazione, la passione per un destino se non si riesce a capire tutto il potenziale distruttivo di evenienze già in atto? Il riferimento è alla Danimarca e al mondo ma anche e prima alla Germania e all'Europa.
Filosoficamente e storicamente c'è una grande sorpresa: riappare il fantasma buono di Eraclito, quello che pensava tutto in lotta, lo stesso Dio o Assoluto e tutto l'universo, secondo il Principio del Fuoco, energia divina e mondana che mantiene tutto in sorta di separazione. Dio combattuto in sé stesso come il peccatore, il mondo in una opposizione continua... Certo questa visione non è tollerabile se ci si innamora della criminologia sino a farne la chiave di volta della storia e delle storie, anche personali.


Confidenza con questo filosofico fantasma se ne vede poca tra i cristiani; tutt'altro, c'è una distanza abissale perlopiù.
Io provavo con un sistema non nuovo, ma svolto con precisione e serenità che mi pare nuova, a descrivere qualcuna delle opposizioni ultime contenute nella Bibbia:

perdonare fino a settanta volte sette, cioè indefinitamente fino ad assoluzione completa / i peccati contro lo Spirito non
saranno perdonati, cioè non ci sarà soluzione ma oltrepassamento;

donare ai poveri, ai bisognosi veri / togliere a chi meno ha, a chi genera rovina con le cose che ha;

amare il prossimo, non tutti, ma chi fa parte del nostro evento / l'abbandono alle liti familiari più divisive, quando non rimane nient'altro da fare le contrarietà avvicinano a Dio.

Tutto ciò è del Vangelo di Cristo, ma anche di più:

pace senza limitazioni / non senza la spada,

ovvero, opposizioni fondamentali dove i due elementi non sono parti di una totalità ma compresenza di una unità!

E' terrificante per molti indottrinati, ingenui o supponenti, imbattersi in un modulo filosofico che sta assieme al verbo biblico senza contraddirne; così i teologi neoplatonici cristiani antichi sono in molti ambienti circondati da cattiva fama; e che dire se questo accade con Eraclito, come voleva far succedere Kierkegaard per evitare che la mancanza di virtù divenisse un idolo? Questo senso è affidato dallo Scrittore al silenzio, un silenzio latino ma sovrastato dal nome greco del filosofo che pensava la realtà come un totale scorrere... anche perfettamente uguale a sé stesso, di Dio, come la cristiana metafora di Dante del cerchio perfetto ma dinamico di acqua.
Il tono dell'opera Timore e tremore è ironico e dimesso; la supponente e distratta concezione mondana dell'hegelismo riceve smentita da un esempio in un certo senso intellettualmente vile, secondo bassezza criminologica (non criminale, si badi), ma i due casi assieme non fanno bella impressione. Questa rimane dello pseudonimo. Indubitabile per l'occasione il fascino del silenzio, mentre io sarei propenso a vedere nel nome di Giovanni un riferimento all'Inno al Verbo e un'indicazione al Logos, nell'Apocalisse (sempre di un autore Giovanni) alpha e omega, primo e ultimo.

Filosoficamente si potrebbe arguire: siamo tanto sicuri che non esista un Abramo biblico che faceva il gesto solo per gioco, che non aveva mai smentito il vero sacrificio, incruento cioè senza il morto da uccidere? Paolo di Tarso ai Romani diede il profilo criminologico, ma nella epistola agli Efesini la fede in Cristo è sotto il segno dell'ira, un'ira che non deve tramontare mai, ad immagine di quella di Dio, e che deposta resta ugualmente sullo sfondo, ancora più grande perché immobilizzante, impossibile a realizzarsi in gesti di troppo, in ogni caso incapace a tradursi in confusioni vita-morte, sacro-violenza, presenza-perdita.
Le tragedie greche erano della perdita dell'identità, storicamente degli ex o dei mancati; tanto che Eraclito l'oscuro si rivolgeva ai suoi concittadini anzi paesani ponendo ad essi il loro nome comune per specchio.



MAURO PASTORE
#6
Niente può eliminare la nostra facoltà psicologica di base di affermare la realtà che ci circonda in ordine all'orientarsi in essa della nostra vita.

Neurologia e biologia e fisiologia confermano, nel senso che la nostra mente, quanto a neuroni e direzione biologica, è anche un sistema fisico di autocontrollo, che non viene mai meno se non con la morte — ad esempio a causa di un morbo. Esiste cioè la cosiddetta trasduzione a livello primario fisiologico, della organizzazione delle cellule, al livello biologico delle cellule, sul livello neurologico delle cellule del sistema nervoso[1]. In tal senso anziché dire impropriamente che siamo dotati di una naturale bussola, si deve dire che siamo anche una bussola. Psicologicamente ciò corrisponde alla affermazione scientifica psicologica della funzione intrinseca autoriequilibrante del Sé (C. G. Jung)[2].

I maestri degli incubi non possono usare criminosamente la loro capacità a fronte di queste informazioni sullo stato delle scienze. In altro senso, non della base neuronale fisiologica della nostra vita, possiamo dire che possediamo una bussola cui dobbiamo porre attenzione per non perderla; ma ciò riguarda le relazioni esterne non i rapporti interni del cervello e della mente. Dunque, in tal caso, l'opinione purtroppo assai diffusa popolarmente ed intrusa subculturalmente di dover trovare un medico per mantenere il controllo del prossimo in difficoltà va sostituita con l'idea di proporre e garantire il semplice assistente sociale, esperto di relazioni.
Proprio così con chi affetto da psicosi oppure schizofrenia e incapace di controllare la sua situazione: nessun intervento neurologico o peggio fisiologico ma sociologico e proprio su base scientifica, dato che esiste anche la sociologia quale scienza, per aiutare a controllare la propria situazione mentre in stato psicotico oppure crisi schizofrenica, non solo per le relazioni sociali umane, difatti i bisogni primari con le cose non sono realmente coinvolti nelle psicosi e schizofrenie.

La filosofia può interessarsi diversamente alla realtà di détti incubi, per ciò che riguarda la sfera etica dell'esistenza. Chi si fa maestro della fantasia dell'uomo fuori controllo è in una decisione che nessuna scienza può inquadrare come campo di ricerche e scoperte. La stessa idea di fingere che tali maestrie siano in realtà dimostrazioni di realtà dell'incubo è frutto di una decisione, è costruzione deliberata in quanto dagli incubi di per sé non derivano idee.
Questa decisione e la relativa base ideologica sono indagabili dal filosofo che, dati i propositi o fatti eventuali, si fa così anche criminologo. Quindi i destinatari delle indagini ne sono i politici che operano nei veri Stati, di quel che ancora ne rimane.
La suddetta fantasia rappresenta una inesistente condizione o situazione di non-arbitrio. La naturalità è in sé stessa priva di arbitrarietà; ma finché ciascun essere umano esiste egli è naturalmente controllore di sé stesso; e il venir meno del controllo è il venir meno della vita; e la vita finché resta è in quel poco che resta naturalmente autocontrollata.
Agli eventuali falsi agenti, magistrati e giudici, falsi sanitari, infermieri e medici, questa nozione potrebbe pure non piacere ma non è questione di mancanza di autocontrollo: si tratta di voluttuose intenzioni di spargere paure immotivate per esercitare controlli sociali di troppo, intenzioni che possono diventare azioni realizzative, quindi delitti compiuti.
Riguardo a queste trasgressioni e violenze la filosofia può ricordare che tra non-arbitrio naturale ed arbitrio relazionale non c'è conflitto naturale ma distinzione ed eventuale conflitto artificiale.

I limiti della arbitrarietà sono segnati dai rapporti assoluti dell'Assoluto verso il relativo e dal rapportarsi con la massima negatività del mondo. Nel primo caso, che religione e fede indicano essere teologico, non possiamo fare nulla a causa di una forza ed energia misteriose che ci giungono ineluttabilmente; nel secondo caso, che il teologo e in parte il mitologo definiscono demonologico, ci ritroviamo a fronte di un ignoto troppo grande e preponderante per poter agire arbitrariamente, dovendo usare prudenza e senso di necessità - connessi con un non diniego verso dette energia e forza, per il credente nel mito divine, per chi credente nella assoluta Alterità: Dio.
Con questi riferimenti ultimi la filosofia incontra il proprio limite, ma per asseverare meglio che quel non-arbitrio naturale non ha la forma o l'esito possibile del non controllo e della possessione. Il filosofo ci arriva epistemologicamente ragionando sulle essenze ma fenomenologicamente ed ermeneuticamente può far emergere - diversamente - gli stessi dati scientifici che ne contengono il riferimento concreto. In ciò il filosofo fornisce una interpretazione rigorosa dei dati presentati dallo scienziato, interpretazione altrimenti impossibile. Gnoseologicamente la filosofia può notare che positività del divino e di Dio e negatività dell'ignoto del mondo sono in un equilibrio, in cui resta pur sempre una arbitrarietà nella gestione della duplicità estrema (non dico opposizione estrema). Teologia e demonologia possono quindi smascherare rispettivamente i fraintendimenti e le superstizioni e agire a favore del còmpito della filosofia, superando eventuali difficoltà di divergenze religiose e di fede, autonomamente col dialogo interreligioso e l'ecumenismo.


[1] Nell'anno 2000 fu conferito premio Nobel per la scienza a tre studiosi, Arvid Carlsson un farmacologo, Paul Greengard un esperto di sistema nervoso, Eric R. Kandel un esperto di psicoanalisi e biologia, con questa motivazione: «for their discoveries concerning signal transduction in the nervous system», "per le loro scoperte concernenti il segnale di trasduzione nel sistema nervoso". Quel che emerge è una materiale fisiologia che costituisce il fondamentale autocontrollo biologico, a partire dai movimenti stessi — è un pregiudizio che possa capitare un disturbo che ci fa muovere dal disturbante — e a finire ai contatti neuronali e solo quest'ultimi possono ricevere interruzione parziale o totale ma con la morte, non la perdita dell'autocontrollo. Chi tenta di fare della neurologia la scienza dei principi della mente — una assurdità cui dediti molti neurologi fino a farsi ex– o pseudoscienziati, non può intendere che il risultato scientifico principale di tali ricerche è interno all'àmbito fisiologico, col risultato di escludere l'intervento fisiologico per i problemi di orientamento mentale e di limitare quello neurologico alla cura di ciò che consuma il nostro sistema di controllo nervoso di base senza poterlo inibire o annullare (perché è materialmente fisiologico!), mentre i problemi di orientamento che risultano dipendenti (si va anche per sola esclusione degli àmbiti e campi) dai fattori esclusivamente mentali non coinvolgono mai la vita psichica stessa, perché il nostro bios fa parte di detto materiale autocontrollo, esistente finché esiste il nostro corpo (physis).
Nel quadro di una seria e onesta distinzione dei ruoli dell'infermiere e del medico, le ragioni che portarono al Premio Nobel nel 2000 "in Fisiologia o Medicina" [notizia al seguente link: https://www.nobelprize.org/prizes/medicine/2000/summary/] — da notare la disgiunzione nella espressione, che già anticipa l'essenziale a livello pratico — risultano più facilmente e opportunamente comprensibili. Il fatto che i nostri rapporti fisiologici interni siano costituiti in un intrinseco ordine e controllo, cioè siamo una bussola (oltre a doverne conservare e non perderne un'altra per le relazioni), è teologicamente riflesso del rapporto stabile, unilaterale, che Dio ha col mondo, per cui il cosmo è un sistema controllato ad immagine della stabilità di Dio, in Sé e fuori di Sé.
[2] Se ne trova menzione anche nell'opera Introduzione alla psicologia analitica, dello stesso C. G. Jung.



MAURO PASTORE
#7
Sono famigerate le diagnosi di "mania di persecuzione". Innanzitutto l'espressione indicherebbe meglio chi ha mania di perseguitare ed infatti chi fa queste diagnosi spesso si pone come autorità giudiziaria ed esecutiva, perché a detta sua senza "guarire" si finirebbe spesso persecutori. Ovviamente, con tutta la confusione che in ambienti sanitari e pseudoscientifici si fa tra genie ed etnie, psicologia e neurologia, fisica e fisiologia... c'è chi viene dichiarato incurabile, "malato per nascita", disadattato cronico... Il disturbo sarebbe in tali casi la persona stessa, un disturbo per gli altri, da sedare solo in base a una ricerca genetica.
In realtà anche le vere diagnosi scientifiche non sono dati scientifici ma comprensioni su base scientifica e sul fondamento di manifestazioni, dichiarazioni dei pazienti realmente tali. La medicina accade in un rapporto consensuale o non accade; non si tratta solo di voler essere pazienti, alla base c'è il volere per via di un bisogno; tutte le costrizioni sono sempre inadeguate e inutili: a chi ha veramente bisogno basta spiegare. In quanto comprensioni, le diagnosi, anche quelle scientifiche cioè su base scientifica, possono essere sbagliate e non esistono sistemi aggiunti che rimedino. La parola diagnosi indica conoscenza difficile e non spiegabile in termini di certezze ordinarie ed infatti ogni diagnosi senza conferma del destinatario è nulla. Il rapporto medico-paziente è fatto della voglia di far vivere e vivere, senza alcuna possibile scientificità in questo.
Dunque dire a uno "lei è un maniaco della persecuzione", o "lei ha una mania di persecuzione", oltre ad essere uno sproposito espressivo, non è mai per un medico o terapeuta affermazione da dare con certezza, neppure a terzi (agenti dell'ordine, magistrati, sindaci, familiari, amici...).

In secondo luogo - ma non senza pari importanza - va detto che la scienza non è un sistema per ricostruire i fatti, ancor meno quelli particolari. La medicina scientifica fa uso di scienze senza consisterne - difatti essa è rimedio!, appartiene all'àmbito tecnico - e tal uso non pone in condizioni di stabilire se un soggetto è realmente perseguitato o meno. Se lo scienziato psicologo ha la propria teoria sulle manie, nulla da ridire, se ci si riferisce a una generalità; se si riscontra una mania in un soggetto, non si sta escludendo che ad essa possa corrispondere anche una stessa cosa, nei rapporti tra lui e il mondo. Uno che è affetto "da mania di persecuzione" può essere anche un perseguitato ed anche allo stesso modo della sua mania (ha la mania di pensare ai ladri?, qualcuno potrebbe realmente stare a derubarlo a sua insaputa).
Lo psicoanalista si trova ad analizzare una mania - e questo non è diagnosi - e non può sapere se a un sentirsi o volersi sentire corrisponde anche una altra effettività esterna. Esempio: uno ha la mania di elucubrare su ladri ed assassini; nessun psicoanalista potrebbe dedurne che allora questi, fuori dallo studio di analisi, non esistano. La psicoanalisi non è fatta per verificare se un vissuto è reale o meno. Nessun metodo scientifico infatti e neanche le scienze stesse possono stabilire fatti.

Inoltre il medico studia vuoti, condizioni, stati di un soggetto; i malati non sono le malattie, come dimostra il fatto che esistono terapie geniche se una condizione affligge finanche una struttura genetica. Certo la vera medicina scientifica sa che non sono afflizioni dirette. Una mania patologicamente negativa ed espressione di uno stato di malattia, riguardando la mente che funziona con limiti non vincoli (è la natura della nostra psiche), non potrebbe mai avere una base genetica; inoltre se il malato la tratta da estranea, non sarebbe vero psicoanalista quello che lo vorrebbe reintegrare col suo stato... perché malattia non è il malato. Non mancano assurdi con tanto di laurea in medicina e abilitazione professionale che si mettono a fingere alienazioni. Dunque (a me è sciaguratamente capitato e capita) diagnosi sbagliate e fantasie di alienazione possono unirsi in interventi del tutto sbagliati (quelli dentro lo Stato non hanno da esentarsi dagli eventuali dubbi, neppure chi fuori Stato) e il malcapitato dovrebbe ammettersi come vuoto - invece lo stato di malattia non è una presenza estranea, e veleni e invadenze psicologiche sono altra cosa - e ammettere di essere il suo presunto problema; nella fattispecie dovrebbe dire di non essere perseguitato, di non dover avere manie (Agatha Christie come avrebbe fatto senza una mania a scrivere i suoi romanzi, e come fare a trovare massima prudenza in società decadute o degenerate senza mania di pensare a ladri e assassini?), di essere uguale a un fantasma... E poliziotti e sindaci e quant'altri dovrebbero garantire il trattamento, altrimenti il maniaco si farebbe ladro o assassino.
Di questa disumana impresa ci sono vittime: per collasso, per infarto (anche a distanza di anni)... e sedati ovviamente si vive meno (in tal senso, i narcos rispetto alla neuro sono esempi di consapevolezza, e in aggiunta va detto: la neuro non ha smesso di favorire sistemi fisicamente violenti, oltre che drogaggi). Non mancano le tragediografie, con vasti sostegni popolari o di insospettabili, che fingono emergenze a tutto spiano per evitare i giusti provvedimenti delle vere autorità; e ci sono anche i ricatti a lunga scadenza, a volte coinvolgendo o tentando di coinvolgere operatori e professionisti onesti altre volte no. Esempio: per non avere alle costole vigili urbani che fingono di avere a che fare con una fionda troppo tesa e sindaci credenti nel raptus, nei casi meno sfortunati si finisce a sborsare un mezzo stipendio al mese a uno psicoterapeuta, a volte non complice (ma a volte anche senza complicità, ugualmente criminale).

A quanto ho già spiegato va fatta ancora una fondamentale aggiunta: la follia è una passione dell'animo, non un disastro; se ha a che vedere con malattia, è solo un vissuto esterno (come detto). Con le passioni ci vuole a volte tanta saggezza, ma di questo se ne occupano direttamente i filosofi e - riguardo a certe premesse - i teologi, non tecnici o scienziati empirici, tantomeno medici.
La pubblicazione Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, cristiano preriformato per un verso e per altro cattolico progressista ma pure filosofo oltre che geniale filologo ed umanista, sta ad indicare una saggezza... in relazione ad un fattaccio che sta durando da secoli e con sempre maggiori torti: finanche la genetica viene abusata per mortificare la vita, fino a estinguerla non solo limitarla, e i folli sono criminalizzati. Ciò non aiuta a difendersi da quelli che usano la follia per fare torto e negli ambienti pseudopolitici e pseudosanitari questo concetto: 'usare la propria o altrui follia per fare torto', non viene proprio "digerito", anche perché fa pensare anche all'altro: 'non usare la propria o altrui follia per fare torto'. I torti possono essere anche disastri ma la mente umana è sempre libera rispetto alla follia e alle altre cose limitate del mondo.
I neurologi fanno il verso alla diatriba teologica su libero o servo arbitrio e si fanno seguire da fisiologi più fatalisti di loro... ma dire dei limiti della arbitrarietà implica l'assumere prospettive estreme in ogni caso ignote alle scienze. Le discipline di pensiero adatte sono quelle che studiano i contenuti di alterità ed ulteriorità superiori ed inferiori, positive e negative: teologia e demonologia. Uno psicoanalista lacaniano specializzato in alterità - a parte che non avrebbe da capire di quale alterità sta dicendo - non ha alcuna possibilità di entrare nei contenuti... Ugualmente a psicologi e loro metodi, sociologi, antropologi, glottologi e loro metodi... e neurologi e fisiologi non "fanno proprio testo", non ne sono competenti.
Semmai le scienze possono attestare - e di fatto molte lo hanno fatto già - l'utilità delle relazioni, rapporti con codeste alterità, ulteriorità. Si sia teisti o non-teisti (il non teismo è altra cosa dal non-theos (non-teo)), si dica Dio o Assoluto o Mistero, questa è la cultura possibile per definire i limiti dell'arbitrarietà, mentre le pretese di fisici, fisiologi, neurologi e di altri non diversi sono false. Scienza psicologica per il positivo e scienza statistica per il negativo, rispettivamente Psicologia transpersonale e Statistica non ordinaria, sono i riferimenti scientifici più prossimi... ma se non si capisce che le diagnosi sono sempre solo tali e che la medicina è sempre solo tale, nulla da fare per evitare la catastrofe.
Quest'ultima fu già annunciata in evo antico da altra pubblicazione, l'Elogio della calvizie di Cirene. Non c'è dubbio che l'abuso neurologico si trascina dietro l'abuso fisiologico. Chi vessato da circostanze ma capace di restare solo con meno o senza capelli o chi non bisognoso di tanta protezione dei capelli viene variamente reso contenuto di incubi e ipotesi pseudoscientifiche ed antifilosofiche; e sono anche in troppi quelli che dai pensieri vogliono e passano a tristissimi fatti. Esisteva e perdura anche una violenta assurdità riferibile solo all'àmbito fisiologico, nella strenua volontà di fingere di essere al posto d'altri, come se la relatività di spazi e tempi fosse insignificante - la scienza fisica dice di significanza, non solo per le velocità ordinarie raffrontate a quelle della luce, ma proprio per gli tutti gli oggetti inseriti nel campo gravitazionale spaziotemporale.
Energumeni che fingono i viventi uguali ai sassi, non fanno pensieri e non hanno trovate decenti sui calvi né su quelli che hanno a che vedersela rispetto alla calvizie: Nel caso di Cirene si tratta di considerare un esempio per tanti altri - certo senza dimenticare quelli di maggior assurdità (però l'esempio della calvizie non è fortunoso). Ovviamente non si sta invitando a perder capelli: il mio auspicio e che ciascuno possa esser come gli sta meglio, in ogni caso.


MAURO PASTORE
#8
Il mio testo più sotto, dal titolo: BREVIARIO DELLA FUGA PSEUDOCRISTIANA DALL'ALLEGORIA, mi è stato considerato fuori tema su un Forum di storia e politica. Ciò è indicativo. Alcuni potenti pensano di trovare la storia delle religioni negli oggetti fisici in uso presso di esse, certe volte non identificandole proprio o non più. Si tratta di ignoranza. Difatti per capire una vicenda religiosa bisogna accedere alla sua interiorità.
Ecco il detto testo:

I sessuologi che cercano disperatamente di concettualizzare e localizzare il cosiddetto punto g dell'atto sessuale, gli storici che sono tristemente convinti di aver trovato il punto 0 di tutta la storia nella vita di Gesù di Nazareth ovvero Yeshua.
I sessuofobici che scambiano l'ispirazione religiosa cristiana per volontà di astinenza sessuale, i sessuomani che pensano sia necessario abbandonare la fede in Cristo per fare tanto sesso.
I necrofili che scambiano il dir altro del crocifisso per il voler la morte. I suicidologi che propongono al cristiano un modo a loro detta onesto per uccidersi.

Dov'è l'umana intelligenza? La somiglianza e l'esser immagine di Dio, smarrite fino a questo punto? Recitazioni di chi non vuole la pienezza, di chi vive per scanso ma senza avvedersi che sta facendo come il moscerino che si scontra con la lampada credendola il sole.


MAURO PASTORE



MAURO PASTORE
#9
"L'errore filosofico di Martin Heidegger" (Genova, il nuovo melangolo s.r.l., 2001) è uno studio a carattere filologico e soprattutto dimostrativo dove l'autore Carlo Angelino espone una tesi assai comune, secondo cui l'heideggeriana immersione nella storia e discesa nel divenire sarebbe stata la premessa per i crimini nazisti ed in particolare per la violenza antisemita.

Dall'abbandono del parmenideo essere in quanto tale alla introduzione dell'essere che è, fino alla contemplazione dell'essere–per–la–morte e all'assolutizzazione della morte stessa, con la conseguente spietata lotta reciproca dei mortali nella quale tutto ciò che è indenne finisce sotto assalto dalle parti restanti: un quadro tragico, cui Heidegger opponeva intellettualmente la scoperta della differenza ontologica tra essere ed enti e il ritrovamento del vero senso dell'essere, ma che per Angelino sarebbe confinamento nel cerchio della Terra per via di negazione della Trascendenza, quest'ultima invece indicata dal pensiero ebraico e giudaico (lui citava M. Buber). Il rimedio sarebbe un'altra assunzione dell'essere che è, ciò che è indicato nel pensiero di Parmenide e che andrebbe inteso non quale eventualità ma eternità, senza necessari riferimenti all'Assoluto, come definito dal prof. E. Severino.

Dietro la spiegazione offerta da C. Angelino ci sono le osservazioni di N. Abbagnano e M. Cacciari, rispettivamente circa fatalismo e negativismo del pensiero tedesco contemporaneo, cui seguirebbe dunque un riduttivismo. Si può confermare a patto di notare che si tratta, nell'ordine, di ragioni evenemenziale, relativa, soggettiva. Heidegger infatti concentrava lo sguardo intellettuale sulla negatività del suo tempo e del suo ambiente procurando anche gli strumenti per uscirne e solo alcuni accadimenti particolari rendevano la ricezione del suo pensiero prima problematica poi disastrosa. Difatti una volta risolta la tensione umana di esistere in qualità di ente e al contempo essere, cioè cosa dell'universo e vivente che partecipa di ciò che è oltre l'universo, la coscienza di essere–per–la–morte si rivela orizzonte limitato non chiuso e altro si schiude innanzi.
A fronte di altri bisogni il pensiero di Heidegger era insufficiente e dietro le polemiche dei filosofi c'erano quelle dei sacerdoti, tra monoteismo e politeismo e soprattutto fra ebraismo orientale e paganesimo nordico. Nella politica l'internazionalismo giudaico al motto di 'ascolta Israele' (Shemà Israel) si fronteggiava col nazionalsocialismo del sangue e della terra (Blut und boden). Si sa che quest'ultimo aveva assunto il controllo della Germania ma sotto l'egida di Hitler e del nazismo e l'altro continuava ad agire esternamente al Paese contro la dittatura ma senza assenso alla volontà popolare. Mentre si organizzava una chiesa evangelica tedesca, questa passava sotto il controllo del Führer e le espressioni etniche venivano invase dalle contraddizioni del razzismo. La violenza si faceva del tutto insensata e il ricorso di Heidegger al pensiero tragico greco serviva a ricordare un rapporto degno col destino e le sue insidie. Certo ciò era giudicabile politicamente insufficiente; ma non ha senso togliere il poco se non c'è nient'altro da fare e semmai ci sarebbe da chiedersi come mai dalle altri parti (cattolicesimo non escluso) non venisse quasi mai niente di sufficiente.

La critica possibile verte intorno alle ambizioni di totalità. Evidentemente il paganesimo etnico, pur essendo necessario per tantissimi tedeschi (ci sono studi seri non solo psicologici a riguardo), non poteva essere risolutivo; ma altrettanto si potrebbe dire della cultura e fede semite e semitiche che, poste in contrasto con le esigenze nazionali e sociali, non davano che poco, estraneo e non bastante. Filosoficamente si dirà che Dio altro dall'essere, cioè la via della mistica ebraica verso il lato indicibile di Dio, non assicuravano niente; ma che la via dell'Essere non poteva costituire tutto per tutti, troppo esoterica o troppo superficiale.

Dunque non è ravvisabile propriamente un "errore filosofico". Angelino sapeva che non si tratterebbe di sbaglio logico o dialettico ma non s'avvide di stare trasferendo delle stime soggettive in àmbiti non propri. In ordine a certi scopi quei limiti risultano errore ma non lo sono in sé. Sarebbe perciò errore politico, ma non nella parte scelta  l'idea nazionalsocialista non era nazismo e non tutti i nazisti erano criminali quanto negli obiettivi fuori misura.


MAURO PASTORE
#10
Non ho potuto evitare durezza nel comporre la seguente recensione al libro (indicato nel titolo - pubblicato da Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 2022 e 2023) di Massimo Recalcati, che non fa solo un buco nell'acqua ma avalla anche una brutta evenienza per la cultura cristiana e non solo per questa.

L'autore M. Recalcati pur analizzando la Bibbia non ne considera il Testamento (l'Antico) ma la "Torah" e non come Insegnamento ma quale Légge, secondo prospettiva ebraica non conciliante con le realtà pagane che pure in sé essa contiene. Ma proprio queste la psicoanalisi del linguaggio dell'inconscio può avvicinare direttamente, in tal caso trovandole separate dallo stesso oggetto considerato. Oltretutto lo schema applicato - il superamento del mero godimento per la liberazione di un desiderio non più assoluto, il volgersi dallo "Stesso" a ciò che è Altro ponendo fine alla prepotenza dell'Ego - non può essere rapportato direttamente a un oggetto religioso, dato che tale Altro può essere, linguisticamente e psichicamente, qualsiasi cosa e invece le religioni e in specie le loro fedi si rivolgono ad assoluta trascendenza. Questa l'autore nomina ma gettando solo scompiglio. Inoltre il dolore e la sofferenza non sono interpretate e accampa pressoché assurdamente una Nostalgia personificata che indica l'esistere nella sua negatività, la cui accettazione sarebbe la soluzione. Ma, appunto, questa manca.
Con la sua incursione Recalcati non solo ripudia l'orientamento ermeneutico del maestro Lacan ma accoglie pure la pretesa di S. Freud di aver mostrato che il processo storico inizia dalla violenza. Fallisce nel porre in campo il concetto di individuazione del Sé della psicologia analitica, giacché il suo negativismo non gli consente di accedere ad alcuna vera immagine di sé. Forza il testo biblico entro un logos che gli è estrinseco, volgendo con l'analisi del Libro di Giobbe dalle risposte alle domande fino al termine della teologia e a sorta di anti-teologia, doppiando il messaggio biblico con un altro opposto. Non si trovano, alla fine di tutto questo non neutrale percorso, le radici bibliche promesse col titolo. 


MAURO PASTORE
#11
Riguardo al Velo di Maya e al pensiero occidentale.
Questa espressione è assai conosciuta per via della risonanza — ma pure ridefinizione e riformulazione — datale da Arthur Schopenhauer nella sua opera filosofica. Essa indica ciò che si frappone tra il contemplatore della realtà e la verità. La persuasione che l'ingenuità e la spontaneità popolare siano superiori alla visione intellettuale di idee misteriose e di quanto di ulteriore esse indicano, ha creato e crea non poca avversione e la virtù contemplativa è accusata di essere una sfavorevole stasi anche quando è proprio essa l'attività necessaria.
Il gioco dell'incappucciato che fa il misterioso è cosa assai diversa dalla filosofia che indica la via oltre le illusioni della realtà. Troppo spesso si vorrebbe confondere le due cose avviando dialoghi per orbi senza orbi (vivendo c'è sempre possibilità di minima sufficiente saggezza).
Se col riferirsi a tale cappuccio si vuole sostenere che anche il velo di Maya può essere idoleggiato e diventare motivo di inganni, questo è vero, ma non nel senso che è un riferimento sbagliato. Ci sono insensati che a fronte delle illusioni delle apparenze si incantano e vogliono dimenticarsi della verità. Tuttavia l'hinduismo non presenta le stesse difficoltà delle religioni semplicemente politeiste. E' un sistema misto nel quale gli elementi molteplici non fanno da diaframmi e gli idoli possono essere oggetto di libero gioco.
Bisogna distinguere tra buone e cattive polemiche. Vi erano e ancora vi sono comunisti marxisti che accusano i borghesi di inventare falsi misteri, ma anche fondamentalisti cristiani che accusano la saggezza orientale di essere una frode. In entrambi i casi si pensa a una giostra che sottrae la verità e la restituisce poi con gli interessi, economici e/o culturali. Finanche Nietzsche aveva insinuato questo su Schopenhauer, però non contraddicendone la filosofia ma sostenendone un disvalore. La autentica filosofia nicciana non nega il significato della Noluntas schopenhaueriana ma le oppone l'Amor Fati quale alternativa che afferma il valore della esuberanza vitale. Nietzsche aveva insinuato che l'autore de Il mondo come volontà e rappresentazione aggiungesse qualche scherzo davvero di troppo.
Kierkegaard nel suo Diario, tra afasie ed illusioni psicologiche, aveva giustamente criticato l'impostazione atea mediante cui si indicava l'estinzione del desiderio fine a sé stesso, dicendo che una materia così deve esser trattata con santità e senza metter da parte la realtà di Dio. Con ciò, si indicava il valore delle dottrine religiose orientali del disinganno.
Per capire il pensiero dominante indicato da Schopenhauer è necessario tener fermo il suo oggetto di indagine, la negatività del mondo isolato dall'ordine cosmico cui opporre un passaggio (nirvana) dalla falsità alla verità, dall'insoddisfazione alla gioia. Per capire l'assurda identificazione — ma non reale attestazione di identità — tra cristianesimo e sofferenza fatta da Kierkegaard è necessario riferirsi più radicalmente a ciò che domina il mondo attraverso l'imprevisto e al corrispettivo rimedio, simboleggiati dal Crocifisso: un avvenimento negativo di morte cui si oppone la fede nel Dio che è presente nella morte stessa, che viene rimandata senza esser più sciagura. Ciò nel racconto del martirio di Gesù è solo significato non specchiato. Quindi in ultima analisi l'esempio tragico del Crocifisso è di per sé ipotetico anche se la sofferenza fa parte della esistenza; e ciò si simboleggia con la semplice Croce, che è il segno simbolico principale.
Ho detto questo perché Schopenhauer considera buddhismo e cristianesimo quali religioni realiste, che includono il pensiero e la realtà del negativo (in tal senso pessimiste, ma non oltre), e nel far ciò comprende meglio il Buddha che il Cristo. Non c'è dubbio che egli difendeva anche la cristianità da chi vedeva in detto realismo un'autoafflizione o peggio un'autopunizione violenta. Ma quest'ultimo incubo, riguardante specificamente il mondo cristiano, non è del tutto fugato dalla illustrazione della Noluntas e i sottoposti all'incubo non sono del tutto smentiti e sono molto prepotenti. Per questo è giusto specificare. Inoltre senza coscienza di tale distinzione è facile anche per un grande filosofo fraintendere la vita cristiana (cosa che avvenne e che avviene tuttora).

Ho scritto motivato da senso di necessità, visto che c'è una drammatica condizione di sottocultura.
Per chi ne avesse bisogno e non fosse superbo, lo rimando a scuola. Nel link in basso una lezione corretta e non difficoltosa — ammesso però che si voglia esser precisi con le parole, senza voglia di travisarle per trasferire pensieri alieni a mo' di armi (si sa che tra i banchi di scuola bisogna tenere condotta sufficiente per imparare). Ad esempio: scienza e conoscenza non sono lo stesso e quanto a conoscenza pura la scienza è soggettiva ma — aggiungo io — non su altro piano... Non penso che si possa trovare sul Web lezione migliore di questa (dire della filosofia di Schopenhauer può essere arduo):
https://www.studenti.it/schopenhauer-il-velo-di-maya.html] (Mi risulta che il contenuto del link indicato è stabile (in esso è riportata data del 5 luglio 2023); nell'incertezza, invito a farne riferimento solo se in possibilità di autocertificarsene.)
Sulla filosofia e teologia di S. Kierkegaard, rappresentativa del pensiero occidentale corrispondente, basti quel che ho illustrato io.
[26 [28, 30] maggio 2025]


MAURO PASTORE
#12
Il grande filosofo Nicola Abbagnano, iniziatore dell'esistenzialismo positivo, diceva nel suo insegnamento che l'esistenza è contraddizione.
Questo significa che ciascun esistere filosofico, di opere, operati, lavori, semplici iniziative, discorsi o solo dichiarazioni, che sia compiutamente un intero esistere presenta linguisticamente degli scarti semantici, pragmaticamente delle affermazioni in opposizione; insomma la sua comunicazione intesa nel suo complesso risulta in alcunché contraddittoria.
Ma cos'è una contraddizione? Il noto (aristotelico) "Principio di non contraddizione" è per sua stessa definizione una regola che riguarda il nomos. Ciò significa che l'esistenza umana resta logicamente (ovvero quanto a logos) sensata.

Vi sono molte apparenze che ingannano.
Può accadere che dati della scienza siano, quanto ad espressioni, in contraddizione reciproca senza essere scorretti. Non è impossibile che due differenti realizzazioni tecniche servano a identico scopo tecnologico con metodi contrari. Lo stesso mondo religioso è coinvolto, partecipe delle contraddizioni dell'esistenza. Faccio un esempio:
"Extra ecclesiam nulla salus" è proposizione notissima ma che ha dato luogo a non poche illusioni. A confliggervi apparentemente è la realtà definita da P. Tillich principio protestante. Nel primo caso sorta di abbraccio materno da cui far discendere tutto ciò che di positivo, universale cioè cattolico, e comune può essere affermato; nel secondo caso una testimonianza evangelica, direttamente a favore di Dio e di coloro che lo accolgono ma con affermazioni non conformi, a volte difformi, che appunto attestano l'alterità di Dio e l'irrompere di essa nella storia. Per quanto detta proposizione sia variamente interpretabile, nel senso di: non bisogna restare senza fare chiesa, non bisogna cercare la salvezza fuori dalla chiesa o senza la chiesa, e per quanto ciò sia relativizzabile non essendo il cristianesimo riducibile a quello ecclesiastico... resta che magistero cattolico e ministero evangelico configurano una opposizione irriducibile. A prescindere dalle contingenze della storia, cioè una Riforma nata da una impresa drammatica e controversa (quella segnata dall'attività di Lutero, Zwingli, Calvino...), tale irriducibilità non è segno di un destino cristiano illogico. I litigi tra Lutero, i luterani e i Papi sarebbero potuti anche non accadere e nondimeno la Riforma concretizzarsi, il contrasto fra la cittadinanza di Zurigo ed il Papato neanche era fatale, come pure i conflitti tra calvinisti e popolo cattolico. Si sa del Processo contro Lutero (costretto finanche a un nascondiglio di fortuna), della Strage degli Ugonotti e dello scoppio della Guerra dei Trent'anni; ma tutto questo è contingenza storica che non definisce la peculiarità dell'evento cristiano. Questo presenta delle differenze ma non è in sé diviso. Il cristianesimo ha rappresentato effettivamente qualcosa di positivo e favorevole, per cui il verbo biblico:

"Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina, e casa crolla su casa." (Lc 11, 17)

non ne dimostra inconsistenza. Dalla cristianità è venuto un progresso non una rovina (non bisogna confondere la crisi dei paganesimi antichi e le difficoltà medioevali con ciò che ne attraversava; bisogna distinguere le superstizioni dalle credenze religiose). A taluni parrebbe che la religione, non possedendo proprie ragioni, funzioni solo per un caso e che le sue contraddizioni siano anche conflitti interni; ma sopra ogni religione c'è una spiritualità, con un intero patrimonio non privo di razionalità oltre che pieno di libertà emotiva.


MAURO PASTORE
#13
Quest'oggi ho studiato Il mondo esterno, di Maurizio Ferraris. Leggevo in presenza di una collaboratrice domestica cui non impedivo visione del titolo assieme a mia fronte corrucciata.

Darei al lavoro di Ferraris sottotitolo ironico: piccolo mondo antico, anche se non appare il vero mondo greco, quello che con Talete e gli altri dopo di lui pensava gli elementi cosmici. Acqua, aria, terra, fuoco, lo imbarazzano al solo pensare uno sporco sotto un'unghia, ed anche solo per questo reputa la teodicea insostenibile.
Il punto di partenza dunque è un orizzonte che non accetta tutto il negativo del reale, evidentemente in un ambiente ben difeso che non lascia intravedere altro da un destino tanto civile quanto ignorante delle proprie precarietà e ignoranza.
L'autore nondimeno riesce a smascherare una illusione positivistica, la pretesa che gli schemi razionali della scienza siano direttamente applicabili ed esaustivi: un asino tira dritto senza Euclide! Sinceramente plaudo a tali risultati del filosofo, che mostrano il lato imprevedibile, inaspettato direi, del suo e non solo del suo mondo mostrando una inflazione epistemologica cui opporre opportuna deflazione con l'ontologia. Questa però la assume nella sua forma logica chiusa, metafisica, ed invece ne esiste apertura, logica anch'essa, alla fisica. Certo, l'ente è astratto; ma si può assumerlo nella concretezza di cosa (senza arrivare all'assurdità del prof. Severino che dava idea che le cose sono eterne, accademicamente la tesi di costui è l'eternità dell'essente cioè il suo non nientificarsi, niente di più).
Intesa metafisicamente, ignorando i risultati completi degli operati e studi di Husserl e Heidegger, si resta con la solita mezza confusione tra essere ed esistere, cercando di compensare il conseguente precipitare nel puro esistere con una spiritualizzazione. Fenomenico ed ontico si sovrappongono, allora per non morire di apparenze ci si rifugia nell'essere dello spirito. È il protrarsi di un'interpretazione medioevale–scolastica del pensiero di Elea... due scuole spesso in rotta di collisione. Kant scoprì una prova ontologica trasportata a livello empirico. La stessa - aggiungo io - che faceva o fa ritenere un prete adatto a fare il papa solo perché in una felice successione cosmica, in tanta energetica vicinanza alla Scaturigine, requisito per un sacerdote di Giove. Il contraltare di questo errore era già anticamente ad Alessandria, quando i carcerati erano sottoposti ad esperimenti fisici per raddrizzarne il destino e uniformarli alla virtù della Causa Prima. Giustamente i cristiani protestavano (la neoplatonica Ipazia fu ritenuta anch'essa colpevole, ma come avrebbe potuto se neoplatonicamente non si dà possibilità dell'errore fisicalista?) ma nell'Europa cristiana alla uniformazione causalista seguì quella causalistica, più penosa perché stravagante, fino a sfociare nella moderna e contemporanea omologazione a una falsa Causa Prima. In una scena del film Arancia Meccanica si vede la rieducazione del teppista assassino dare i suoi frutti: lui ama piamente il martirio di Gesù, ma è a favore dei suoi nemici. Ugualmente la gerarchia cattolica che vorrebbe frenare l'esuberanza naturale e necessaria della sessualità avvalendosi di ragionamenti su virtù decadute da universali a mondane e buone solo a creare confusioni ai credenti... Insomma Kant aveva la sua ragione nel criticare e molti nel cattolicesimo e altrove sono ingiusti col rifiutarne. Una delle tattiche degli oppressori è il mettere da parte la Critica della ragion pratica e usare quella del Giudizio per chiudere la Ragion pura in sé stessa. Esiste anche la ragion pura pratica, ma vale maggiormente la distinzione critica, possibile però se non si tagliano i ponti. M. Ferraris nel dire del mondo esterno nega che tra gli schemi della scienza e il mondo oggetto d'essa vi è un ordinamento della realtà e con ciò divide indebitamente la pratica dalla teoria. È vero che gli asini non hanno bisogno di conoscere la geometria euclidea per giungere a destinazione e neppure gli umani ingenui, tuttavia il Teorema di Euclide e tutte le altre conclusioni scientifiche non derivano da una intuizione semplice come quella di un poeta ma sono mediate, lo si sappia o no, da una cosmologia. Per restare entro (ma anche oltre) un altro esempio di Ferraris, l'immedesimazione in una ciabatta, dirò: lo scienziato non deve presumere che quell'oggetto prodotto dalla tecnica inventata con la scienza sia comodo come i suoi schemi teorici parrebbero suggerire; ma perderebbe l'occasione di saggiarne tutta la confortevolezza se non si accorgesse che v'è una conformità. L'epistemologia non deve sostituire il semplice approccio empirico ma è necessario allargarla fino alla realtà cosmica, in vicinanza alla gnoseologia. Altrimenti il rapporto col mondo esterno diventa rischioso per il nostro esistere. Pericoloso per il prosieguo della filosofia pare lo stesso autore, che avendo caritatevolmente stabilito dell'indipendenza degli asini da Euclide vorrebbe sostenere la dipendenza di Kant da Gauss, Taurinus, Schweikart, insomma dai fautori della geometria non euclidea. Ma l'indipendenza del filosofo dagli scienziati, dove la mettiamo? E il fatto che geometria euclidea / non euclidea sia dicotomia affermatasi dopo Kant?
Ma c'è anche altro da obiettare.

Autonomia, antinomia dell'estetica, autonomia del mondo... Non solo va integrata la logica gnoseologica, scoprendo che è tutto solo relativo, che ad altro livello non c'è nessuna estetica e mondo indipendenti... Non solo va detto che la scienza senza cosmologia filosofica è un arrischio... Va pure notato che la ontologia metafisica non consente di cogliere l'evento dell'Essere, tra cui v'è l'evento-Cristo. L'autore pensa di confinare i risultati della critica kantiana nella natura, non avvedendosi che bisogna rivalutare la pratica della ragione e al contempo saperne i limiti. Restando alla pura ragione tutto si chiude nel cerchio della natura e tante affermazioni paiono da refutare; ma dal punto di vista pratico esse suonano diverse, corrette. Le tre Critiche kantiane non vanno isolate e neanche confuse e l'assumerne la prima sottoponendola alla terza è stato il passatempo dei distruttori dell'Occidente: giudizio e purità di ragionamenti... E' giusto fare il percorso a ritroso, dal Giudizio alla Ragion pratica alla Ragion pura, ma per notare che a fronte del Sublime e dell'Infinito l'azione del giudicare è impotente, che solo con l'agire che non esclude l'Alterità e che non dà sentenze si può dirne qualcosa e che in ciò la semplice ragione è insufficiente. Si scopre un Kant incauto col mondo religioso, che polemizzava prima di aver definito l'impotenza dei propri giudizi, ma al contempo resta confermato il suo studio sui limiti dell'esperienza cui può ovviare solo la pratica della ragione, non costruita sull'esperire: metafisica come non quale scienza. Per tali motivi, per il fatto che esiste una conoscenza pratica dell'universo ma che ha pur essa i suoi limiti, esiste anche il problema dell'evento imprevisto, che può essere anche estremo. A ciò fanno fronte le fedi religiose ed in ultimo quella cristiana; e ciò che la ragion pratica attesta è una possibilità e opportunità di agire secondo l'Assoluto, regolare i nostri strumenti sul Fine Ultimo, come uniche possibilità e opportunità a fronte della radicalità del male. Questo significa che non basta notare che il mondo è dominato dall'inaspettato e che sfugge alla pura calcolabilità scientifico-tecnica. Se si dimentica l'ordine cosmico e soprattutto i rischi e pericoli causati dal nostro stare su una soglia senza poterla varcare ovvero davanti a una porta aperta all'ignoto, non c'è rimedio. Difatti pensare all'ordine sotteso alla realtà fenomenica può indurre o induce a un restante ottimismo di troppo, ma non la contemplazione del massimo imprevisto.

Il libro di Ferraris termina con la citazione di frase anonima scritta su un gabinetto del Philosophisches Seminar della Università di Heidelberg: "Oh, do not ask, 'What is it?' Let us go and make our visit".Pare liberatorio 'fare una visita senza domandarsi che', un sollievo per uno che non comprende che anche la sporcizia ha la sua funzione nel mondo. Immaginare un grande scolo e niente più sporco sotto le unghie per una civiltà o (peggio) una civilizzazione asettiche, protese verso la riuscita perché se il mondo è infinito lo è anche la scienza (onnipotente, la dicono i socialisti atei): questo è delirante (non sto invocando interventi sanitari)! Senza cosmologia filosofica non si può avere una scienza stabile e senza una giusta forma di fede può accadere il peggio nonostante la scienza. Sicché: 'facciamo la nostra visita' è affermazione da contestualizzare e la mancanza di un interrogativo di fondo è un'imprudenza di troppo.
Culturalmente Kant muoveva da premesse religiose pietiste, sia pure lasciate fuori dalla propria impresa; il pietismo viene dalla Riforma protestante, anzi ne è interno. Per dimostrare il proprio assunto del servo arbitrio, Lutero ricorse all'esempio di un asino cavalcato o da Dio o da Satana. La visita accade in uno spazio dove non c'è altra scelta: o infinità di Dio o sublimità del mondo; sicurezza o trionfo del Negativo se varchiamo la soglia evitando di ancorarci in Dio, filosoficamente diremmo nell'Assoluto.
Il problema dunque è capire che lo sporco sotto l'unghia può avere una funzione ma a patto di toglierne l'eventuale veleno, senza irridere il pensiero antico greco sugli elementi di cui è fatto l'universo.
La critica a Kant va rovesciata: le teodicee vanno bene se mosse da dottrine di fede, la critica dei limiti dell'esperienza va bene da sola e non ha bisogno di essere compromessa dall'ontologia. Il punto di partenza di Kant, l'empirismo di Hume, era assai poca cosa; proprio per questo bisognerebbe declinare l'epistemologia senza chiuderla nell'empiria per un residuo metafisico di troppo. La metafisica non è finita ma prosegue diversamente nelle attuali istituzioni culturali.

La mia fronte corrucciata col libro in mano e con queste conclusioni già tirate, provocava alla collaboratrice domestica una strana paura, ma se ne aveva antipatia sentiva un principio di terrore pervaderla.



MAURO PASTORE
#14
Ho dato fuggevoli ma significative occhiate al celebre libro di D. Morris La scimmia nuda (1967). Soprattutto ho letto la nuova prefazione dell'autore (2017). Il resto lo avevo già passato al vaglio tanti anni fa', pervenendo a una semplice conclusione: starsene a dire di zoologia e altre scienze senza precisarne statuti e limiti è assurdo. Ancora oggi vale questa critica, a maggior ragione perché l'editore non ha preso atto della ultima dichiarazione dello stesso Morris: lui non chiede scusa solo perché diceva come lui vedeva l'uomo, la "specie umana". Il titolo dunque non è una vera descrizione scientifica ma solo una versione soggettiva di quanto si potrebbe arguire dai dati della zoologia. Cosa implicitamente si comunica con quel 'solo perché...'? Si suggerisce che è stato un disastro.
Riporto mie minime note registrate in libreria sul mio telefonino, dove leggevo l'altro giorno la prefazione e qualche frammento del resto strategicamente recuperato per capire se dovessi riacquistare il libro (per studiarlo e criticarlo meglio):

|[l'autore] afferma necessità di controllo delle nascite dopo quello [altro controllo] accaduto delle morti
e [afferma] esigenze comportamentali biologiche di base da soddisfare accettando nostra "eredità evolutiva" _ vede noi umani "come razza" \ pensa che esperimenti di laboratorio dimostrino che il sovrannumero genera incontrollata aggressività []
senza lo scimmione numero uno ci si dovette inventare dio la figura divina [] quando gli 'assistenti' religiosi professionali hanno presunto di prendere parte del potere degli dèi, per formalismo, ha avuto luogo sofferenza e miseria|

Si nota (non dai miei appunti qui su) che diverse scienze sono coinvolte e sottoposte alla scienza zoologica dall'imprudente avventura intellettuale dell'autore del libro. Innanzitutto la biologia, ma zoon e bios non coincidono in tutto e sono fenomeni diversi della vita: il primo è oggetto che comprende gli ambienti vitali e si limita alla esteriorità della vita, viceversa il secondo. La dimensione psicologica dello zoon è superficiale e lo zoologo non ne ha scienza; quindi senza tenerne conto ne vien fuori una illazione dove uguaglianze comportamentali vengono trattate da identità. Stessa confusione con l'àmbito morfologico: secondo osservazione della statura eretta c'è una successione tra primati non umani e umani, ma si tratta solo di un punto di vista tra tanti, il quale però viene elevato a chiave privilegiata di falsa interpretazione... di non comprensione e confusione, nascendo l'immagine inventata della naked ape, la "scimmia nuda". Tale simulacro fa da lente deformante attraverso la quale tutto il fenomeno umano è travisato. L'antropologia quale scienza è negata, senza badare che anthropos non è animale tra tanti ma soprattutto essere razionale, con una emotività e istintività diversa, anche con animo differente.
Etologia e sociologia sono confuse l'una con l'altra e incluse indebitamente nelle descrizioni zoologiche; il mondo religioso è coinvolto dalla immensa e multiforme indistinzione, come si vede da parte delle mie note, dove è registrato il fattaccio: l'autore - solo dopo un cinquantennio ravveduto e senza dirla o poterla dire tutta - non aveva capito la sciagurata confusione fatta presumendo di essere ermeneuta coi suoi dati e non solo elucubratore, quindi si era fatto un'idea sbagliata sull'umanità. Ne trattava i bisogni come fossero rapporti di forza gravitazionali o pressioni eccessive di liquidi cui contrapporre l'estinzione di parte di essi - qui faceva capolino la confusione con la fisica, a sua volta elevata falsamente a fisiologia prima di essere fagocitata nella zoologia (ovviamente, con detrimento per tutte). A sua detta si aveva controllato la morte... Ma come, se lo stesso "pensatore" voleva controllare le nascite con l'impedimento? La sua menzione diventa un riferimento ai campi di concentramento e sterminio nazisti legati alla volontà distruttiva di Hitler e a quelli di lavoro e sterminio del cosiddetto "socialismo reale" di Stalin e stalinisti. Altrimenti? Forse la medicina è fatta per controllare la morte? Intendeva l'autore nuovi sistemi di raccolta, chiusura, trasporto salme? Evidentemente no.
Quali sarebbero poi gli esperimenti di laboratorio di cui si dice efficacia a dimostrare la falsa tesi che gli esseri umani se in troppi diventano troppo violenti? Scimmie degli zoo provocate fino a procurarne possibilità - ed effettività? - di reazioni violente? Umani in carceri sovraffollati, offesi e provocati fino a dimenticare gli altri contenziosi già in essere? Popolazioni sotto controlli totalitari? La violenza intellettuale e poi fisica non conduce a comprensioni, tantomeno scientifiche. La biologia scientifica afferma imprevedibilità determinante della vita (la scienza non si basa sulle previsioni, ma su osservazioni di oggetti che dimostrano qualcosa di sé), la psicologia scientifica dimostra l'esistenza di una arbitrarietà nella nostra mente.
Con l'àmbito religioso Morris fa involontario ritratto di semplici idolatri, gli stessi del suo mondo, scimmiottando L. Feuerbach (meritevole di più degna critica di lui). La vicenda da lui tratteggiata e richiamata nei miei appunti è evocata da una leggenda del Sud del mondo, 'di quando una moltitudine umana era stata raggirata, captata, adottata, raggirata di nuovo e resa ignorante da alcune intraprendenti e astiose scimmie'. Un frammento della storia dell'umanità, uno tra tanti, in cui incapparono anche molti paleontologi decine di anni orsono.
Leggere la nota editoriale del libro, nota in cui accampa un errore madornale, un'immensa bugia, la dice lunga su distrazioni e confusioni criminali ancor oggi tanto diffuse. Inutile celarle dietro il paradigma biologico evolutivo, che è parallelo e non concorde a quello genetico, cioè un nulla di fatto per i veri interpreti della scienza.


MAURO PASTORE
#15
La filosofia contro la filosofia? La filosofia contro la teologia o viceversa?

La fine della ontoteologia... ma per chi, in cosa? Non è sbagliato dire di Dio quale ente metafisico e di Dio quale essere, non è un errore porre in lotta le due affermazioni se si tratta di un evento capace di accoglierne solo una. Dio individuato col pensiero si presenta davvero in qualità di Ente (ente assoluto); Dio identificato con l'intuizione si manifesta soltanto quale Essere trascendente; in un percorso di ricerca razionale vale il primo teorema, nella via alla scoperta mistica vale il secondo; entrambi sono variamente utilizzati da monoteismo e politeismo e diversamente valutati da teisti e non-teisti, differentemente approcciati dagli atei.

La fine della filosofia... Secondo la scienziata psicologa S. Montefoschi accadrebbe a sèguito dello sviluppo di una consapevolezza ontologica psicologica (in specie, avviata da lei stessa)... ma di quale filosofia si starebbe parlando? Di quella che vive in concorrenza col dato scientifico perché non sa il limite del proprio ricercare... cioè solo un filosofare, propriamente. Ma durante la Guerra Fredda era l'imposizione del regime stalinista per l'Occidente, che doveva abbandonare le proprie certezze anche d'ordine filosofico. Anche Lacan, limitatamente a psicoanalisi e linguaggio dell'inconscio, era schierato su medesimo fronte: gli irrigidimenti di una coscienza filosofica tutta concentrata sulle proprie ragioni sono destinati ad essere travolti (ho usato un mio modo di esprimere il fatto).
D'altronde che fine fa la scienza senza filosofia? E. Husserl ci aveva visto giusto nel fornire una metodologia filosofica e scientifica assieme. Egli la chiamava, secondo retaggio medioevale e prekantiano, scienza. Heidegger giustamente ne precisava l'àmbito linguistico, sicché le pretese descrittive le guidava verso una rigorosa ontologia: una disciplina delle pure affermazioni, ottenuta per derivazione-differenziazione proprio dalla fenomenologia husserliana... che resta però necessario trait d'union tra il mondo di Sofia e l'universo del dato esperienziale (scienze logiche) e sperimentale (scienze dirette). Anche perché a pretendere troppo a volte è l'ontologo: interessi scientifici a parte, gli studi ontologici sono umanisti e non scientifici (altra cosa l'antropologia quale scienza).

La fine della politica? Col marxismo l'Occidente resta senza politica ma pure senza filosofia, con la specifica Cancel Culture gli va peggio. Dove finirebbe, finisce la politica? dove no? Certo non muore con la sopravvivenza della filosofia continentale che non è stata incentrata solo sulle analisi, queste in ultima istanza le descrizioni dei cadaveri degli Stati.

La fine della religione? Il prof. Galimberti - a sua detta quando era vitalizzato e rivitalizzato dalla sua musa carnale (tutto il contrario di un socrate) - ne diceva sociologicamente e storicamente... poi anche socialmente facendo di una osservazione una emarginazione delle fedi in Dio o l'Assoluto. Passato da un lavoro per le dizioni di psicologia dove faceva albergare il falso mito del raptus violento a una provvidenziale sconfessione pubblica televisiva di codesta intera faccenda (quella del funesto inesistente rapimento mentale), cosa ne è del pregiudizio contro l'elogio della follia espresso da Erasmo, cosa della prevenzione contro il salto nel buio che il teologo e filosofo danese indicava e descriveva nelle sue opere filosofiche e nella sua breve ma intensa missione ecclesiastica? cosa resta della ignoranza del valore terapeutico - nonostante il movimento della psicoanalisi fosse spesso realizzato in antagonismo! - delle religioni, del loro rapporto diretto con quella sorta di fiducia nella ulteriorità e alterità assolute che è necessaria vivendo (lo afferma il pragmatismo)?
E che fine fa il cristianesimo senza sviluppare la propria potenzialità filosofica, il buddhismo obliando la propria dimensione filosofica, e tutto il resto in mezzo senza un buon filosofare o filosofema? Resta qualcosa del còmpito dei filosofi, a furia di dimenticare le proprie premesse che restano sempre situate nella sfera del religioso?

E insomma che senso ha filosofia contro filosofia, se non c'è definizione di un contenzioso limitato? Nessun senso - risposta retorica ma necessaria in tempi ardui.


Lo scienziato antropologo ed etnologo Ernesto De Martino studiò le apocalissi culturali. Nonostante l'interruzione del lavoro questo era di per sé indeterminato, cioè una osservazione di uno scambio ai confini, sempre rinnovato ma lo stesso. Lo scambio che travolge, per il quale l'ethnos diventa incerto o estremo, l'anthropos precario o in rivoluzione.
La filosofia, che è anche cultura, sta vivendo questo evento, anche in sé stessa ma non solo, evento che la religione ha assai più ampiamente inquadrato già da circa duemila anni con l'ultimo libro incluso nel cànone biblico, l'Apocalisse (di Giovanni).



MAURO PASTORE
#16
Tra ieri e oggi scrivevo questo:


|Un Venerdì di Pasqua uguale e diverso.
In strada nella Processione i seduttori che promuovevano vicinanza e licenza, seguiti dai punitori che minacciavano 'la strada è nostra'. Ieri incontravo uno che — evidentemente — consumava la droga del momento, detta "degli zombie", il fentanyl; gli effetti sul suo corpo e le sole impressioni dei miei sensi corrispondevano all'identikit televisivo. Stasera c'era il gioco con le sostanze sacre, nel punitore parevano combinate con gli effetti analgesici degli ospedali pubblici.
In tivù su Rai Uno invece una celebrazione laica delle Dodici Stazioni del Messia, tutta interiore, senza invischiarsi nei meandri della storia... ma a insidiare c'era una mimesi profana del volto di Maria madre del Nazareno, di una 'grossa bimba' che ancor di più insinuava una cronaca africana nella rappresentazione giustamente slegata dai semplici fatti. Del resto in quest'ultima la voce di una donna era insistentemente sensuale e non era giusto né bello.
Secondo lo studioso e teologo R. Bultmann la resurrezione di Gesù di Nazareth, del Gesù storico, era un fatto privato solamente, giuntoci attraverso testimoni pubblici ma senza testimonianza pubblica. Il fatto storico cioè, per quanto incluso, non era né è importante. Bultmann arrivava a dire che non ha importanza se il Nazareno esistette o meno, ma in più aggiungeva che della resurrezione non abbiamo neppure elementi per domandare di tale esistenza. A importare è il Cristo dell'Annuncio.
Successivamente si trovava una corrispondenza, nonostante tutto, tra materia storica e di fede (lo studioso più rappresentativo E. Käsemann); ma non senza una sorpresa: l'uomo storico in questione era fuori dal cristianesimo, un ebreo coinvolto nelle proprie faccende (G. Vermes). Cosa erano queste faccende? Sicuramente il passo successivo è stato quello di notare che l'impresa del maestro ebreo e giudeo (rabbi) Yeshua alias Gesù di Nazareth era in non inconsapevole relazione col futuro della fede cristiana. Tuttavia non lui in persona, ma ciò che rappresentava (D. Stuhlmacher). D'altronde non potrebbe che essere così, dato che il suo carisma personale rimaneva tutto interno ad ebraismo e giudaismo. Di tutto questo iter intellettuale, una nobile ricerca scientifica consumatasi nella Germania dopo Lutero e dipendente da un assunto di fede esprimibile filosoficamente, io avevo già da piccolo, poi di nuovo da giovane prima di scoprire tutto questo nel mio percorso di studi universitari, versione casereccia. Nella tradizione del Presepe lo stesso Nazareno era, è annoverato attore; e storicità o non storicità sono questione di soli atteggiamenti. Del percorso con la croce ci è stata tramandata una pantomima.
Sempre stasera sulla Rai, più tardi, il Dossier sulla morte di Gesù non ne teneva proprio in conto. Certo non si aveva coscienza, dalla produzione e dal lavoro di regia televisiva, che ci si stava lanciando in una storia del teatro. Si elencavano ritenute prove di avvenimento storicamente reale. Ardito l'interrogativo: possono i tre crocifissi discorrere tra loro, in quelle condizioni? La patologia attuale risponde di sì. Ma la vera domanda sarebbe: come trovò Yeshua modo per continuare la sua sacra rappresentazione? È tutt'altro che ironia. Il rabbi infatti, nonostante caduto in disgrazia, arrestato e consegnato ai nemici in una gran perniciosa confusione, abbandonato dai suoi — Pietro lo rinnegava, Giuda lo tradiva — continuava imperterrito il proprio ufficio sacro, alla fine... resuscitando. Difatti alla spirituale resurrezione corrispondeva morte apparente con ripresa della vita. Una storia diversa vissuta dal Nazareno secondo l'ideologia sionista: 'in Sion tutti i popoli sono benedetti'.
Gesù mezzo, nel senso proprio di 'essere decisivamente tra', spesso trattato da pagano tramite (nel senso di essere, non rappresentare la via); e spesso il tramite e il mezzo confusi, fino all'illusione che tutto stia a stabilire e capire un fatto storico. Il sacerdote e psicoanalista E. Drewermann denunciava caduta finanche maggiore, di quelli che pensano semplicemente che 'accaduto il fatto' si ha tutto.
Durante i miei studi io vagliavo una cronaca missionaria dal Canada (ad opera di A. Peelman), in cui si dava spazio a testimoni con l'inclusione di un'altra memoria, un altro "apparire di Cristo", dalla remota Polinesia, luogo di una migrazione verso il Continente Americano e fino al suo Settentrione. In verità ne avevo già ricevuto dei resoconti, potendo ricostruire vicenda immersa nella natura che solo il mondo dei pastori potrebbe contenere in un racconto ufficiale, sfuggente alla civiltà di stampo giudaico e non decisivo per l'altra, greca. Nessun martirio violento, ma un dramma passeggero di incomunicabilità. Ma anche in tal caso: concentrarsi sulla sua persona condurrebbe a un niente, peraltro non evocabile con una scrittura. La società selvaggia amerinda difatti pratica esclusivamente cultura orale.
Il segno, la traccia, è per il monoteismo garanzia proprio perché quasi niente, ma non come la differenza radicale tra persona umana e persona di Dio. Nel frattempo che ho scritto tutto questo, è scoccata la mezzanotte, è sabato prima di Pasqua in Occidente dove falsità e verità si succedono senza apparente senso.
[18-19 aprile 2025]
MAURO PASTORE|



MAURO PASTORE
#17
Un Venerdì di Pasqua uguale e diverso.
In strada nella Processione i seduttori che promuovevano vicinanza e licenza, seguiti dai punitori che minacciavano 'la strada è nostra'. Ieri incontravo uno che — evidentemente — consumava la droga del momento, detta "degli zombie", il fentanyl; gli effetti sul suo corpo e le sole impressioni dei miei sensi corrispondevano all'identikit televisivo. Stasera c'era il gioco con le sostanze sacre, nel punitore parevano combinate con gli effetti analgesici degli ospedali pubblici.
In tivù su Rai Uno invece una celebrazione laica delle Dodici Stazioni del Messia, tutta interiore, senza invischiarsi nei meandri della storia... ma a insidiare c'era una mimesi profana del volto di Maria madre del Nazareno, di una 'grossa bimba' che ancor di più insinuava una cronaca africana nella rappresentazione giustamente slegata dai semplici fatti. Del resto in quest'ultima la voce di una donna era insistentemente sensuale e non era giusto né bello.
Secondo lo studioso e teologo R. Bultmann la resurrezione di Gesù di Nazareth, del Gesù storico, era un fatto privato solamente, giuntoci attraverso testimoni pubblici ma senza testimonianza pubblica. Il fatto storico cioè, per quanto incluso, non era ne è importante. Bultmann arrivava a dire che non ha importanza se il Nazareno esistette o meno, ma in più aggiungeva che della resurrezione non abbiamo neppure elementi per domandare di tale esistenza. A importare è il Cristo dell'Annuncio.
Successivamente si trovava una corrispondenza, nonostante tutto, tra materia storica e di fede (lo studioso più rappresentativo E. Käsemann); ma non senza una sorpresa: l'uomo storico in questione era fuori dal cristianesimo, un ebreo coinvolto nelle proprie faccende (G. Vermes). Cosa erano queste faccende? Sicuramente il passo successivo è stato quello di notare che l'impresa del maestro ebreo e giudeo (rabbi) Yeshua alias Gesù di Nazareth era in non inconsapevole relazione col futuro della fede cristiana. Tuttavia non lui in persona, ma ciò che rappresentava (P. Stuhlmacher). D'altronde non potrebbe che essere così, dato che il suo carisma personale rimaneva tutto interno ad ebraismo e giudaismo. Di tutto questo iter intellettuale, una nobile ricerca scientifica consumatasi nella Germania dopo Lutero e dipendente da un assunto di fede esprimibile filosoficamente, io avevo già da piccolo, poi di nuovo da giovane prima di scoprire tutto questo nel mio percorso di studi universitari, versione casereccia. Nella tradizione del Presepe lo stesso Nazareno era, è annoverato attore; e storicità o non storicità sono questione di soli atteggiamenti. Del percorso con la croce ci è stata tramandata una pantomima.
Sempre stasera sulla Rai, più tardi, il Dossier sulla morte di Gesù non ne teneva proprio in conto. Certo non si aveva coscienza, dalla produzione e dal lavoro di regia televisiva, che ci si stava lanciando in una storia del teatro. Si elencavano ritenute prove di avvenimento storicamente reale. Ardito l'interrogativo: possono i tre crocifissi discorrere tra loro, in quelle condizioni? La patologia attuale risponde di sì. Ma la vera domanda sarebbe: come trovò Yeshua modo per continuare la sua sacra rappresentazione? È tutt'altro che ironia. Il rabbi infatti, nonostante caduto in disgrazia, arrestato e consegnato ai nemici in una gran perniciosa confusione, abbandonato dai suoi — Pietro lo rinnegava, Giuda lo tradiva — continuava imperterrito il proprio ufficio sacro, alla fine... resuscitando. Difatti alla spirituale resurrezione corrispondeva morte apparente con ripresa della vita. Una storia diversa vissuta dal Nazareno secondo l'ideologia sionista: 'in Sion tutti i popoli sono benedetti'.
Gesù mezzo, nel senso proprio di 'essere decisivamente tra', spesso trattato da pagano tramite (nel senso di essere, non rappresentare la via); e spesso il tramite e il mezzo confusi, fino all'illusione che tutto stia a stabilire e capire un fatto storico. Il sacerdote e psicoanalista E. Drewermann denunciava caduta finanche maggiore, di quelli che pensano semplicemente che 'accaduto il fatto' si ha tutto.
Durante i miei studi io vagliavo una cronaca missionaria dal Canada (ad opera di A. Peelman), in cui si dava spazio a testimoni con l'inclusione di un'altra memoria, un altro "apparire di Cristo", dalla remota Polinesia, luogo di una migrazione verso il Continente Americano e fino al suo Settentrione. In verità ne avevo già ricevuto dei resoconti, potendo ricostruire vicenda immersa nella natura che solo il mondo dei pastori potrebbe contenere in un racconto ufficiale, sfuggente alla civiltà di stampo giudaico e non decisivo per l'altra, greca. Nessun martirio violento, ma un dramma passeggero di incomunicabilità. Ma anche in tal caso: concentrarsi sulla sua persona condurrebbe a un niente, peraltro non evocabile con una scrittura. La società selvaggia amerinda difatti pratica esclusivamente cultura orale.
Il segno, la traccia, è per il monoteismo garanzia proprio perché quasi niente, ma non come la differenza radicale tra persona umana e persona di Dio. Nel frattempo che ho scritto tutto questo, è scoccata la mezzanotte, è sabato prima di Pasqua in Occidente dove falsità e verità si succedono senza apparente senso.
[18-19 aprile 2025]

MAURO PASTORE
#18
Tanto tempo fa' riflettei parecchio sulla differenza dei concetti di angoscia in S. Freud e M Heidegger.
Dipendente dalla fatale gettatezza dell'ente nell'essere dall'essere, misura della nostra finitezza, di essere per la morte ma anche disparente con tale consapevolezza; segno di problemi inerenti la nostra mente, sintomo di malessere psichico: l'angoscia ha bisogno di essere pensata in entrambi i modi. Proprio per questo l'assolutezza freudiana nel trattare i sintomi - fino allo smarrimento del vero pensiero medico -, quindi la sua (freudiana) pretesa di oggettività dimenticando che la psicologia anche quando è scienza è soggettiva e al neurologo la psiche è oggetto che sfugge proprio - ricevono una smentita e un correttivo dalla filosofia di Heidegger. Privata del nemico, l'insistenza heideggeriana sull'essere invece si connoterebbe come sopravvalutazione del sapere su di esso, sapere ontologico, anche solo ontico.
Da una parte lo scientismo di un mero precursore della vera e propria psicoanalisi, Sigmund Freud; dall'altra una critica a tale scientismo, quella di Heidegger o, prescindendo dalla critica, un filosofema che degenera in sofisma, un pensiero che pretenderebbe di squadrare il mare dell'essere nel ciò che è, istituendo un collegamento troppo immediato con le cose; il che tramuterebbe la critica stessa in premessa allo scientismo.
Ma Heidegger aveva criticato il Freud, e se in altra occasione andò oltre col suo pensiero dell'essere, questo è altro conto, non un solo accadere e non bisogna fare indistinzione.
Non l'aveva pensata così Graziella Berto, che (nel suo libro Freud Heidegger Lo spaesamento) istituiva un paragone tra i due paritariamente. Con tanto di tedesco a spaventare ma pure a garantire, la filosofa descriveva, scortata da citazioni da J. Derrida, un gioco di costruzione eccessiva e inautentica di identità, sconfinamento con inclusione di estraneità, rappresentata da Marx e i suoi spettri. Come dire l'identità, se la nostra casa (oikos) accoglie un estraneo, se i suoi perimetri sono stati allargati troppo, come dire della nostra dimora della mente, in cui siamo? La difficoltà di una presenza da definire ma che ci sfugge, psicoanaliticamente, ontologicamente, dipende dall'esserci dell'estraneo e dal non farci i conti.
L'alterità in noi, nell'inconscio; fuori di noi, nell'essere: il voler stabilire troppo separa dalla vera identità, espone alla intrusione, quindi non se ne viene a capo. Lo spettro è creato dalla distrazione: l'invadenza intellettuale accoglie stranieri senza volerci pensare; si reitera la proposizione di una identità inautentica.
La Berto però non coglie la differenza tra chi attirato suo malgrado fuori dal proprio cortile (Heidegger) e chi invece realmente prepotente con chi passava solo accanto al suo (Freud); e così resta non capito il ruolo di Marx e il marxismo: estranei nel senso di intrusi, nei confronti della cultura, civiltà, politica e società caratteristiche della Germania; nel senso di capitati per caso altrove, ma in un mondo non veramente diverso dal proprio, quello dei rivoluzionari antioccidentali, prepotenti anch'essi. Da una parte cioè l'identità di una espropriazione; dall'altra quella di un gemellaggio, celebrato col connubio del freudo-marxismo.

P. A. Rovatti nella Premessa al testo della Berti pone in causa Lacan: ne va del soggetto che noi siamo, del capire come liberarsi dalle catene per agire; ma - dico io - è vera liberazione concludere con l'affermazione: 'il proprio non è il proprio'? Senza individuare il ruolo di intruso di Marx nella dimora occidentale? Imputando ai suoi spettri una cattiva coscienza europea inesistente, credendo che i nostri fantasmi ricorrenti siano cadaveri nell'armadio dell'assassino, che verrebbe ingiustamente identificato con la cultura non solo occidentale ad europea, anche italiana?
Non è libertà ma coscienza di chi ingannato e senza la premessa di Rovatti il testo di G. Berto era ancora più ingannevole. Un testo del 1999 di cui ho analizzato solo la composizione e qualche punto determinante, ma quanto basta per non accettare né evitare di dirne. Dirne in un periodo, quello odierno, segnato dall'alleanza volontaria o involontaria tra cancel culture e marxismo residuo, postmarxismo, ex-marxismo e col bisogno di conoscere la nostra innocenza - così come la conosco io anche gli altri.


MAURO PASTORE
#19
La filosofia nasce col dire che l'essere è quando è, con Platone cioè; o era nata già con Parmenide dicendo de l'essere che è, il non essere che non è?
Se assumiamo il primo riferimento (che ho scritto) per interpretare il secondo, l'altro ci appare designificato; ugualmente avvalorando e premettendo tale designificazione a quel 'quando', questo appare dimostrato senza esserlo. 

E' quello che accade col quadro storico delineato dal defunto professore E. Severino. Sguardo che non va abbastanza a ritroso quindi errore? O non disposizione, non contatto diretto ai fatti? Entrambe le cose ma con l'intervenire di una coscienza: non Parmenide, ma il Parmenide di una tradizione, quella occidentale di cui il professore descrive la radicale follia di confondere essere e nulla.

Esiste solo questo Occidente, solo il modo razionalista di approcciarsi alla filosofia dei Greci, sicché i pensieri sulla natura dei primi filosofi detti fisici e non i cosiddetti magi (sapienti) sarebbero la preistoria e solo con Socrate si attuerebbe l'inizio?

Che rapporti ci sono tra l'immanentismo della concezione di Severino, il suo rifiuto ad ammettere la teologia nella propria speculazione intellettuale e lo sguardo storico ridotto agli inizi metafisici della filosofia?
Principiare dal parmenideo essere in quanto tale reca una vertigine della conoscenza e abisso del non conoscere. Difatti prima ci troviamo un tale Senofane, vero ispiratore della scuola di Elea, del quale si sa che principiava le sue riflessioni con menzione esoterica di un Dio.
Tutto ciò è precluso all'ateismo, anche al solo rinunciare alla prospettiva teista.


MAURO PASTORE
#20
Il titolo di un fortunato libro di Karl Popper Cattiva maestra televisione si addice a introdurre la questione.

Un delitto familiare assolutamente macabro e inquietante, il colpevole che dice di aver ucciso per liberare dai dèmoni.
Il caso finisce alla Rai alla rubrica Protestantesimo (si veda al link alla fine del testo), evidentemente altra cosa dalla omonima rivista, dato che nel programma tivù si finisce con l'accusare le sètte mentre la dottrina evangelica le riabilita.
Un quadro psicologico definisce il protagonismo di troppo dei 'pastori autoproclamati', un quadro psicoanalitico attribuisce al disagio il delitto illudendosi che basti portare le vittime di quelle autoproclamazioni dentro una sfera clinica. Parallelamente un esercizio di avvocatura crede d'individuare l'antidoto nella configurazione democratica delle chiese della Riforma. Nel mezzo un'intervistato dal mondo pentecostale dava esempio di moderazione insinuando un dubbio: non tutti quelli che si autoproclamano sono da rifiutare. Altro intervistato offriva però un esempio di integralismo sociale inconsapevole della molteplicità dei contenuti della Rivelazione, sostenendo: i carismi solitari sono per servire gli altri. Questo altro quadro è sociologico ma il suo espositore non faceva compiuta sociologia. Secondo tale piano tutto è interrelazione paritaria... Nondimeno la prospettiva psicologica si rifaceva viva: non è la singolarità il problema ma le scelte a fronte delle capacità singolari. Questa analisi però era, come detto, assieme a uno sviamento che attribuiva alla patologia l'accadere della violenza. Sbagliatissimo! Le circostanze delle violenze non sono mai nel pathos stesso e non sono gli studi sulla psiche a poter e dover discettare di tali circostanze.
Oltre la relatività sociale, in aggiunta alla individuazione psicologica, sarebbe stato opportuno uno studio interreligioso a completare i quadri!

La presenza del dèmone informa sul lato oscuro e distruttivo della natura, cui far fronte dando credito alle divinità, per trovare il proprio destino. Un cammino di virtù in cui consiste un fondamentale vissuto del paganesimo. La vicenda però è di tutti. Il cristiano vive la necessità di accogliere la destinazione offerta da Dio per far fronte ad imprevisti oltre nostre forze; e a volte è necessario questo altrimenti il confronto col dèmone non potrebbe mai riuscire. Episodicamente si potrebbe risolvere tutto ateisticamente con un esorcismo, mancando tante insidie. L'autore dell'omicidio rifiutava di considerare adeguatamente la natura; invece di accettare la prova e di darsi alla virtù, identificava il dèmone con un male irresistibile; invece di notare che un esorcismo non sarebbe mai bastato e porsi solo di fronte a Dio, pensava di fare da solo e non gli bastava scongiurare. Non mettendosi in condizioni di capire come trovare un destino familiare in una circostanza oltre le normali intuizioni, trovava soluzione nel portare via dal mondo sua moglie e due suoi figli.

Lo psicoanalista lacaniano, esperto di alterità che potrebbero esser tutto, dio o dèmone (come saggiamente avvertì Jung), non restava umile, instradato dalla psicologa fiduciosa che il proprio discorso avrebbe dischiuso tutto il necessario si illudeva sul potere terapeutico, nel pregiudizio troppo grave che vi sia un nesso tra follia e violenza criminale o criminosa... Ma fare i conti con proprie impotenze e poteri negativi sovrastanti non è da iniziarsi arbitrariamente e neanche - avvertendo il peggio - con la cura clinica del disagio. Si tratta di non distogliere lo sguardo dall'aut aut che ci si pone innanzi, trovando la ragione poi ma non quella scientifica, saltando assurdamente nel buio che si rivela la luce superiore di Dio.
Una testimonianza, anch'essa nel mezzo, raccontava: nessun esorcismo nelle nostre chiese, in tali casi si chiama chi aiuta effettivamente - per esempio un medico! Eppure neanche così funziona. L'autore del delitto vedeva nel dèmone il male stesso; chiamare un medico significa vedere nel disagio una malattia e anche questo è odio verso la natura!

In questi labirinti una notazione può essere di aiuto. Alla fine del suo Tractatus logico-philosophicus L. Wittgenstein additava la necessità del tacere a fronte dell'inesprimibile e al cospetto de il Mistico. Il positivismo sostituiva questo con una Incognita trasformando le affermazioni del trattato in espressioni razionaliste. Di questo passo: dire Dio non significa nulla, è solo come un gioco che aiuterebbe a vivere; le indicazioni di assoluta ulteriorità non avrebbero senso; l'alterità è una qualunque, sempre, non una qualsiasi, non quella del credente in Dio.
La psicoanalisi che studia il linguaggio vive di espressioni e non si cura del valore delle affermazioni. Si deve riflettere e meditare sul superamento delle suggestioni con semplici scongiuri, sulla via del proprio destino tra le vuote oscurità e la luminosità divina, sulla destinazione data da Dio stesso.
Il non-teista tradurrà il tutto secondo termini di coincidenze, assoluti e Assoluto, ma la sostanza non cambia.
il problema in questione non si risolve mettendo i disagiati in una grande clinica né attribuendo la colpa del fattaccio al settarismo.

Quel che dava senso al programma: alcune espressioni terrorizzate della presentatrice-intervistatrice.

Link:
https://www.raiplay.it/video/2025/03/Protestantesimo---Il-lato-oscuro-della-Fede---30032025-8ccbb680-97ff-45fd-86c9-0c1e94a0bb40.html


MAURO PASTORE