Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - fdisa

#1
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
06 Marzo 2018, 14:32:14 PM
Odiare sia la vita che la morte è lecito, ma incoerente e poco sostenibile. Perché se della vita si odia che si muoia, significa che si dà valore a quel che viene prima della vita. Se invece della vita si odia il vivere, la morte è una buona notizia. Questi pessimisti che descrivi insomma più che pessimisti mi sembrano confusi Non mi pare che siano incoerenti.   [size=1][/size]
Supponiamo che io odi il fatto di morire e che odi pure la schiavitù. Non ho desideri incoerenti, perché un mondo senza morte e senza schiavitù è un mondo logicamente possibile.   


In questo caso no. Ma odiare la schiavitù e la libertà lo sarebbe ;)


[quote author=fdisa date=1520006097 link=topic=935.msg18791#msg18791][size=1][size=1]Secondo me è un modo di esprimersi forviante. Dire che il bene vale più del male, mi pare che sia come dire che il bene vale qualitativamente di più del male. Non trovi?[/size]

Forse mi sono espresso male: intendo dire che una qualunque quantità e qualità di bene giustifica qualunque quantità e qualità di male. È il discorso di un fiore che vale 10.000 guerre.[/size][/quote]
[size=2]Ecco, in questo caso direi che qualitativamente il bene vale così tanto rispetto al male, che una singola carezza vale più di 10.000 guerre. Tutto ciò che non è quantità (1 vs. 10.000) io lo chiamerei qualità in questo caso.[/size]


Hai ragione, mi sono espresso male. Ho anche avuto modo di correggere nell'articolo originale, grazie mille!

Be, diciamo che di cose ne abbiamo dette in abbondanza qui. Ovvio, non ci siamo spinti ad un secco e incondizionato "sì" o "no". Ma abbiamo rimosso un po' di confusioni linguistiche, un po' di incoerenze e abbiamo delineato delle possibili risposte in base a diversi casi individuali. E, soprattutto, abbiamo confutato il pessimismo che afferma "la vita di tutti fa schifo". Abbiamo fatto anche troppo.  

Vero :) Grazie mille per il contributo!
#2
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
02 Marzo 2018, 16:54:57 PM
CitazioneTu però qui consideri la cosa in modo binario: o è X o è non-X. Invece il pessimista potrebbe (uso il condizionale perché, come dicevo, ci sono molti modi diversi di essere pessimista), per esempio, odiare l'idea di morire e così cessare di esistere e odiare pure questo modo di esistere. Quindi potrebbe voler evitare la morte ma voler un'esistenza diversa. Ma, ovviamente, potrebbe esserci qualcuno che è solo negativo sull'esistenza e allora la morte potrebbe essere una buona soluzione.

Da qui, quanto dicevo più sopra: "La questione forse è che esistono tanti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette."
Odiare sia la vita che la morte è lecito, ma incoerente e poco sostenibile. Perché se della vita si odia che si muoia, significa che si dà valore a quel che viene prima della vita. Se invece della vita si odia il vivere, la morte è una buona notizia. Questi pessimisti che descrivi insomma più che pessimisti mi sembrano confusi :D

CitazioneSpiego meglio il primo caso. Ci sono pessimisti che seguono questo ragionamento: "Ok, la vita in sé non è tanto malvagia, ma il problema è la morte. La morte toglie completamente il senso alla vita, perché la vita è solo un avvicinamento alla morte". Questo genere di pessimista è imprigionato perché non solo non può trovare salvezza nella morte, ma la morte è proprio il nemico che si vorrebbe (ma non si può) combattere.
Sì lui è fregato. Ma non è il pessimista di cui parlavo, perchè, di fatto, ama la vita. Di questi pessimisti non parlo nel testo, pensavo fosse chiaro ma evidentemente non lo era, ora capisco il tuo appunto e lo condivido. L'articolo partiva dall'uso comune del termine pessimista/ottimista, e in genere una persona che ama la vita viene chiamata ottimista... concordo con te invece, nel notare che è il vero pessimista!

Citazione di: fdisa il 27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.
Secondo me è un modo di esprimersi forviante. Dire che il bene vale più del male, mi pare che sia come dire che il bene vale qualitativamente di più del male. Non trovi?

Forse mi sono espresso male: intendo dire che una qualunque quantità e qualità di bene giustifica qualunque quantità e qualità di male. È il discorso di un fiore che vale 10.000 guerre.

Citazione
Potresti chiarirmi meglio questo punto, non sono sicuro di aver compreso appieno. Propongo un esempio che magari puoi includere nella spiegazione: "Io accetto il dolore dato dalla perdita dei miei genitori se ho altre persone con cui ho degli affetti" (in questo caso il senso della vita che mi fa superare il dolore è l'amicizia e/o la famiglia). Facendo riferimento a quanto scritto nell'altro topic, questo è il senso della vita che io chiamo "umano". 
Quello che fai è un calcolo di utile di bene/male: ok, mi è successo un lutto ma rimangono cose belle. Se il proprio bilancio bene/male sulla vita si giudica positivo, allora si può ben dire che la vita è un bene. Il pessimista di cui parlo sostiene però che questo calcolo sia quasi sempre in passivo (ma è un giudizio soggettivo) e che venga nullificato dall'assenza di senso della vita (perché bene e male non hanno senso). Non è la mia opinione, ma fin qua parlavamo del pessimista.


CitazioneParlavi di buddismo, paradossi, vacuità, così ho creduto che quando parlavi di "insensatezza dell'insensatezza della vita" volessi intendere qualcosa di più mistico/metafisico. Ma se come me intendi dire che è linguisticamente insensato parlare di insensatezza o sensatezza metafisica della vita, allora sì, siamo sulla stessa lunghezza d'onda.  

Direi che è ontologicamente senza senso parlarne, non solo linguisticamente. Poi sì, il fatto mistico è senza dubbio in ballo, ma riguarda il come si reagisce a questa "scoperta", e trovo che non si possano apportare prove a riguardo. Infatti sul tema scrivo che dove tutto diventa un'opinione è inutile dire la mia.

Grazie e buon fine settimana!
#3
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
02 Marzo 2018, 16:35:12 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 01:07:56 AM
In base al discorso che ho fatto, Epicuro fa parte della storia recente, quella che nell'Antico Testamento corrisponde ai testi più tardivi. Ma l'esprimersi, lo scrivere, sono nati ben prima di Epicuro. Il fatto è che pìu andiamo indietro, più raro diventa l'interrogativo generalista sul senso della vita e non certo perché si tratti di epoche più primitive, più rozze, meno elaborate culturalmente; si tratta piuttosto di epoche che testimoniano la possibilità di affrontare la questione del senso della vita in maniere diverse rispetto a quelle a cui ci ha fatto abituare il modo di pensare astratto e universalista nato con la filosofia greca.
Sin dalle prime fonti scritte esistenti l'uomo si pone questi interrogativi, ogni religione ne è intrisa, anche le più antiche. È un problema presente persino nei Veda. Insomma, non mi pare proprio una questione "recente" :)
#4
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
27 Febbraio 2018, 22:42:09 PM
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)

Ho letto il testo che mi hai linkato (interessante, grazie) e preciso a seguito della lettura.

Come scrivi (e con te Ligotti) le cose hanno un senso solo all'interno della vita. Di conseguenza trovare un senso per l'interezza della vita è una questione mal formulata. 

Ci ho pensato e mi sembra che diciamo la stessa cosa, come posso non convincerti? :P Scherzi a parte, questo concetto mi sembra davvero analogo, al massimo se ne trae conclusioni diverse.
#5
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
27 Febbraio 2018, 22:19:59 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 09:52:58 AM
Tutta la questione, posta in questo modo, manca di consapevolezza storica.

Il pessimismo nei confronti della vita o la ricerca di senso generale per l'esistenza sono fenomeni nati in determinati contesti storico-culturali. In particolare, ad esempio, nell'Antico Testamento è possibile notare che i testi più antichi non si pongono questo tipo di problemi esistenziali; invece nei testi più tardivi dell'Antico Testamento iniziano ad apparire le riflessioni generaliste sull'esistenza, le riflessioni sul problema del male e sul senso di ogni cosa.
Il giudizio sulla vita subisce grandissime variazioni nell'arco della storia e in base a contesti fideistici differenti, sono d'accordo. Ma dubito che l'interrogarsi sul suo valore sia storia recente: è dalla più remota antichità* che l'uomo si domanda se e perché la vita valga la pena di essere vissuta, a cambiare sono più che altro le risposte e il modo di porre la domanda.

*Basti pensare a Epicuro.
#6
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
27 Febbraio 2018, 22:14:18 PM
Ciao e grazie per la lettura!
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.

Se io dicessi "La squadra di calcio X fa schifo" sto dando più valore alla squadra X? Non penso proprio. Quindi, da un certo punto di vista se uno dice "la vita fa schifo" sta dando poco valore alla vita, cioè la vita avrebbe un grado qualitativo basso.

Ma concordo che vi è un altro modo di intendere "valore" in questo contesto. Consideriamo una persona indifferente alla vita, un individuo completamente disinteressato. Allora qui potremmo dire che per tale persona non ha valore, mentre per chi ama la vita e chi odia la vita essa ha un valore malgrado tutto. 

La questione forse è che esistono danti modi diversi di essere pessimisti, e tanti modi diversi di intendere "valore", e quindi parlare in modo così contratto porta a inferenze scorrette (come, io credo, la tua).

Non mi torna il tuo parallelo. Il ragionamento non è che se "la cosa X fa schifo" allora dò valore alla cosa X.
Semplicemente che se dico che "una cosa X fa schifo" non è un danno perderla, e viceversa.


Citazione
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Dipende. Se mi considero pessimista proprio perché non posso vivere illimitatamente? E se credo ad un infinito ciclo di rinascite nel dolore? 

La prima affermazione non la capisco: la frase che citi è relativa a chi crede che la vita faccia schifo, caso in cui non si può esser tristi che non duri in eterno.

Nel secondo caso, invece, hai ragione: chi crede a un infinito ciclo di dolorose rinascite dopo la morte (o a qualunque cosa peggiore della vita dopo la morte) non può che essere un "vero" pessimista.


Citazione
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
[...] Thomas Ligotti [...]: sì, la vita fa schifo, dovremmo smettere di procreare e se il suicidio è un'opzione difficile è perché siamo schiavi delle dinamiche dell'esistenza. 
[...]
A difesa del valore della sua tesi, Ligotti propone uno degli argomenti preferiti dei pessimisti (che, ripeto, sono ottimisti), ovvero la giusta osservazione che se una conclusione è spiacevole non vuol dire che sia sbagliata. Come chiunque appartenga alla squadra del "dobbiamo prendere in seria considerazione la questione", mi unisco al coro e mi domando anch'io se la vita fa schifo.
Ovviamente concordo in pieno sulla non coincidenza di dispiacere e sbagliato. Ma questa non è certo un'argomentazione a favore del pessimismo.  ;D  


Concordo con te :)


CitazionePrima una piccola parentesi da avvocato del diavolo. Ligotti potrebbe rispondere che le stesse categorie "bene" e "male" sono relative, quindi lui è pessimista perché il mondo non soddisfa la propria idea di "bene". E un mondo senza scopo e senso, per la propria definizione, è considerato un male. Da qui il suo pessimismo. :D 

Quindi l'argomentazione pessimistica dell'assenza di senso è corretta? No, penso che non sia corretta, ma per un motivo molto diverso da quello che adduci tu.

Nel topic "Un motivo per vivere" (https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-motivo-per-vivere/msg17877/#msg17877) ho sostenuto e difeso la tesi che la domanda sul senso e scopo della vita è un nonsense, frutto di un cattivo uso del linguaggio. Se ciò è vero, allora sia "la vita ha un senso" che "la vita non ha un senso" sono entrambe proposizioni mal formulate. E da un uso sgrammaticato del linguaggio non si può certo dedurre alcun stato di cose positivo o negativo. Quindi l'argomentazione dell'assenza di senso non può essere adottata dal pessimista.

Se definisco una parola come mi pare, ho sempre ragione :) Se Ligotti rispondesse come dici, la sua tesi varrebbe solo per sé e per chi condivide i suoi soggettivi criteri di "bene". Insomma, dimostra solo che la SUA vita fa schifo.

Leggerò il tuo testo!

CitazioneQui non ho capito. Se siamo nell'ipotesi che il male sia quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene per un dato individuo, cosa ci interessa considerare l'assolutezza o la relatività del male? L'unico dato importante è che per il soggetto ci sia più male che bene.

Mi spiego meglio: se un individuo decidesse che in assoluto il bene vale più del male, anche se fosse quantitativamente e qualitativamente minore, il suo giudizio cambierebbe.


CitazioneNon è che siamo ammaestrati a trovare una finalità e che quindi se c'è una finalità allora siamo contenti malgrado la sofferenza. Siamo disposti a ammettere delle sofferenze se alla fine ci attende una situazione che compensi tali sofferenze. Da come l'hai scritto tu sembra che tale tendenza umana sia uno stupido automatismo, ma formulato come ho fatto io si esplicita una giustificazione razionale.

Ho dato troppe cose per scontate in questo passaggio, hai ragione. Siamo capaci di sopportare molto dolore in vista di uno scopo che reputiamo, appunto, "valere la pena". Vale la pena di subire un pizzicotto per 2000 euro? E di perdere un rene? Si tratta di un mero calcolo quantitativo bene/male, che, fissati determinati criteri, porta a decisioni razionali.

Ma proprio perché siamo abituati a questo tipo di calcoli, li applichiamo anche alla vita nella sua interezza: Sì, vale la pena sopportare tutti i dolori della vita se... (e qua ognuno mette il suo senso). Ma il "senso della vita", se non si rifà a qualcosa dopo di essa, è privo di qualunque razionalità come quella sopra esposta.
Citazione di: epicurus il 26 Febbraio 2018, 15:40:51 PM
Citazione di: fdisa il 26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo.
Come ho detto sopra, io sostengo l'insensatezza linguistica dell'insensatezza (metafisica) e della sensatezza (metafisica) della vita. Ciò non risolve il problema, lo dissolve mostrando che non vi era mai stato un problema.

Quello che tu dici, invece, non mi convince.  :)
Non vedo come, sempre nel testo che dicevi?
#7
Tematiche Filosofiche / La vita fa schifo?
26 Febbraio 2018, 11:21:51 AM
Salve, mi permetto di condividere con voi questo breve articolo su quella che è forse la più importante delle questioni filosofiche.
(il testo è stato precedentemente pubblicato su L'Indiscreto, perdonate errori di formattazione dovuti al copia e incolla)
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa. Considerato inoltre che la vita è infinitamente più breve dell'eternità che la segue e precede, il fatto che l'esistenza cosciente sia una macchia irrilevante nell'illimitato dovrebbe essere considerata una buona notizia.
Quale che sia il proprio parere, non è un argomento di scarsa importanza, sebbene la maggior parte delle persone preferisca parlar d'altro – il che può esser letto come un ulteriore sintomo della sua rilevanza. A peggiorare le cose, capita che chi prende in considerazione il problema giunga spesso a conclusioni sgradevoli o soluzioni poco convincenti. L'affermazione di Camus, che ne Il mito di Sisifo scrive «vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio» non perde mai di efficacia, sebbene il capostipite della questione resti Buddha, che millecinquecento anni prima ne fa il cardine della propria filosofia (e religione). Parafrasando l'illuminato, la vita fa schifo, ma la cosa può avere un lieto fine, perché il dolore, se si osserva con attenzione, si palesa illusorio – come d'altra parte ogni cosa: non c'è né una vita né un "io" che la subisce.
Un'idea a cui si oppone Thomas Ligotti, che, ne La cospirazione contro la razza umana, offre una scorrevole disamina sul tema "la vita fa schifo", analizzando con un linguaggio chiaro ed evocativo argomenti e soluzioni. Anticipo il suo punto d'arrivo: sì, la vita fa schifo, dovremmo smettere di procreare e se il suicidio è un'opzione difficile è perché siamo schiavi delle dinamiche dell'esistenza. All'autore però, che appare genuinamente di malumore, non sovviene che questa sia una buona notizia e di conseguenza si definisce un "pessimista radicale", cosa d'altra parte coerente per uno scrittore di letteratura horror che ha ispirato la serie tv True Detective.


Chi sostiene che la vita fa schifo viene definito "pessimista", ma in realtà è un "ottimista" – più valore si dà alla vita, infatti, più la sua inevitabile perdita sarà dolorosa.


A difesa del valore della sua tesi, Ligotti propone uno degli argomenti preferiti dei pessimisti (che, ripeto, sono ottimisti), ovvero la giusta osservazione che se una conclusione è spiacevole non vuol dire che sia sbagliata. Come chiunque appartenga alla squadra del "dobbiamo prendere in seria considerazione la questione", mi unisco al coro e mi domando anch'io se la vita fa schifo.
Tradizionalmente le prove a favore di questa ipotesi si dividono in due gruppi, quelli legati al dolore (la vita offre tanta sofferenza e poca gioia) e quelli legati allo scopo (la vita non ha alcun senso). Sebbene questi ultimi siano considerati generalmente più motivati, è mia opinione che siano i primi a esserlo – d'altra parte, di un mal di denti si odia di più la sua insensatezza o la sensazione che lo accompagna?
Inizierò dunque dal secondo problema, quello più facile. Ligotti scrive:
Non ci sorprende il fatto che nessuno creda che ogni cosa sia inutile, e a buon diritto. Viviamo tutti in parametri di riferimento relativi e all'interno di tali parametri l'inutilità non è certo la norma. Uno schiacciapatate non è inutile se qualcuno vuole schiacciare le patate. Per certe persone un sistema che comprende un aldilà di beatitudine eterna non è inutile. Potrebbero affermare che questo sistema è necessariamente utile perché gli dà la speranza di cui hanno bisogno per attraversare questa vita. Ma un aldilà di beatitudine eterna non è, e non può essere, necessariamente utile perché qualcuno ha bisogno che sia così. Fa solo parte di un parametro relativo, nulla di più; proprio come uno schiacciapatate fa parte di un parametro relativo ed è utile solo se si ha necessità di schiacciare le patate. Una volta che hai attraversato questa vita verso un aldilà di beatitudine eterna, non avrai più bisogno di quest'aldilà. Ha svolto il suo compito e tutto quello che rimane è un aldilà di beatitudine eterna, un paradiso per edonisti riverenti e pii libertini. A cosa serve? Tanto varrebbe non esistere proprio, in vita o in un paradiso di beatitudine eterna. Ogni tipo di esistenza è inutile. Nulla si autogiustifica. Ogni cosa è giustificabile solo in senso relativistico, come lo schiacciapatate.
L'autore, così come i colleghi pessimisti che cita (soprattutto Peter Zapffe, ma il suo vero maestro è Schopenhauer), sostiene che l'inutilità della vita è garantita dalla relatività di ogni significato. Senza entrare nel termine della relatività congenita all'esistenza, va comunque notato che il nichilismo di Ligotti non è radicale, perché non si applica a se stesso: per dirla con Buddha, il filosofo del pessimismo intravede il vuoto, ma non la vuotezza del vuoto.


Se il problema è davvero che la vita non ha senso, perché fingere che ne abbia uno, sostenendo che è orribile?


In breve, disperarsi per l'insensatezza è a sua volta un gesto privo di senso, perché la disperazione le conferisce un significato. Il nichilismo che non si applica a se stesso, dunque, nega le categorie di valore per poi ristabilirle col ritenersi "un male". Se il problema è davvero che la vita non ha senso, perché fingere che ne abbia uno, sostenendo che è orribile? Ancora una volta il limite del pessimista è di non accorgersi di essere ottimista: al di là del bene e del male, infatti, non c'è il male, ma né il bene né il male. Come scrive Nietzsche, «non esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione morale dei fenomeni».
L'assenza di scopo, dunque, non è un buon argomento per sostenere che la vita faccia schifo, almeno dal punto di vista razionale. È piuttosto una reazione emotiva, legata al nostro essere "programmati" per dare uno scopo alle cose, come nel caso dello schiacciapatate di Ligotti. Nel prendere una decisione su un tema così importante però, non possiamo farci dominare dalle emozioni del momento – o meglio, possiamo, purché non si spacci la tesi come valida per tutti. Qui il pessimista che non sa di essere ottimista potrebbe obiettare: ammesso che la questione sia errata, queste emozioni non sono una scelta e non posso liberarmene. Un'affermazione che, nel tirare in ballo la soggettività, ci avvicina al secondo problema, quello del dolore.
Sebbene sia evidente che alcune persone soffrono di più e altre di meno, l'assenza di misurazioni adeguate impedisce un'analisi quantitativa: non resta che accettare che quando il bene sopravanza il male la vita non fa quantitativamente schifo, e viceversa. Anche la questione qualitativa, ovvero se "il bene sia più un bene di quanto il male sia un male", si riduce al peso specifico dei casi particolari. È meglio evitare la morte di un proprio caro che trovare una banconota per terra, così come è preferibile vincere la lotteria che avere un po' di mal di testa. È raro essere sia felici che tristi e in genere il sentimento più forte detta l'umore generale.
La complessità del problema, inoltre, vanifica un argomento caro agli ottimisti, secondo il quale "senza il male non ci sarebbe il bene" perché i due opposti si implicano a vicenda. È pur vero, infatti, che l'identità delle cose si basa su una reciproca differenza, ma nulla toglie che si possa sperare in una vita in cui si evitano i grandi mali in favore di piccoli fastidi. Dolore e gioia non sono necessariamente l'uno la misura dell'altro, in quanto situati in una scala in cui non è necessario aver provato orribili lutti o degradanti menomazioni per godere del piacere di un caffé o di un bacio – sebbene l'intensità possa variare. Il dolore, dunque, non è necessario al piacere e ancora una volta la questione quantitativa non si liquida facilmente.


Abituati come siamo a cercare una finalità, saremmo disposti ad accettare un bel po' di dolore se questo portasse a qualcosa – è un principio alla base di molti sacrifici, dal rinunciare a un biscotto per una dieta a dare la vita per una causa.


Prendiamo in analisi la peggiore delle ipotesi – purtroppo comune – in cui il male è quantitativamente e qualitativamente maggiore del bene. L'ultima speranza dei sofferenti è che questo abbia un valore assoluto; in poche parole, che la bellezza di un fiore o l'emozione di un bacio valga diecimila guerre e un milione di stupri. Purtroppo però, qualora si concordi con i pessimisti-ottimisti nell'affermare che la vita non ha significato se non relativamente a qualcosa, la risposta è no. Il bene non ha un valore assoluto perché nulla ne ha uno.
Abituati come siamo a cercare una finalità, saremmo disposti ad accettare un bel po' di dolore se questo portasse a qualcosa – è un principio alla base di molti sacrifici, dal rinunciare a un biscotto per una dieta a dare la vita per una causa. L'assenza di un obiettivo, invece, ci sembra una tortura. Una volta scoperto che il senso è legato a una forma, e che questa è in gran parte predeterminata (poco importa se dalla genetica, dalla società, dalla fisica subatomica, da un dio buono o da uno malvagio), pare che non ci sia scampo alla domanda che tormenta Levi Strauss in Tristi Tropici: «A che serve agire se il pensiero che guida l'azione conduce alla scoperta dell'assenza di senso?». Aggiungiamoci un bel po' di sofferenza e tutto è perduto.


Chi crede di poter sopportare ogni travaglio in nome di uno scopo, ma non ne trova uno soddisfacente, potrebbe azzardare la ribellione più estrema, quella contro il significato stesso.



Dunque la vita fa schifo o no? Bè, dipende. Il problema del dolore, infatti, si intreccia nuovamente a quello dello scopo, perché il peso di quest'ultimo influisce drasticamente nell'equilibrio tra bene e male, a favore dell'uno o dell'altro. La "scoperta dell'assenza di senso" ci riporta al nichilismo che non si applica a se stesso. Ligotti, e con lui molti altri, sostiene che il mondo oltre il bene e il male sia un inutile paradosso e che ogni forma di liberazione sia quasi impossibile. Buddha, e con lui molti altri, è convinto che questo stato sia sì paradossale, ma non inaccessibile. Qui, dove ogni risposta diventa inevitabilmente un'opinione, mi sembra inutile aggiungere la mia.
Da un punto di vista logico però, chi è convinto dell'insensatezza della vita deve anche credere all'insensatezza dell'insensatezza – trasportare la ragione nelle paradossali lande oltre il bene e il male non è arduo. Ma, ahimè, si vive in balia dei sentimenti e il dolore resta; «siamo tutti delle marionette, Laurie. Io sono una marionetta che riesce  a vedere i fili», confessa il Dottor Manhattan, il supereroe in crisi esistenziale di Watchmen. Il fatto curioso è che alcuni vivono la cosa come una liberazione e altri come un tormento.
Dove manca una risposta si può comunque tentare una strategia: se si è stanchi della catena delle finalità, potremmo trovare un sollievo nella sue vacuità. Chi crede di poter sopportare ogni travaglio in nome di uno scopo, ma non ne trova uno soddisfacente, potrebbe azzardare la ribellione più estrema, quella contro il significato stesso. Non è necessario esser santi o illuminati per dare una sbirciatina oltre i valori abituali e intuire dietro alla gioia, alla banalità e persino al dolore, un frammento del vuoto accecante per il quale ogni sentimento è inadeguato. Le sfumature, come si diceva, sono importanti. È un esercizio lungo, faticoso e progressivo, così come il mutare atteggiamento verso ciò che prima ci atterriva. E se proprio dovesse andar male, pazienza: che la vita faccia schifo, come si diceva all'inizio, è comunque una buona notizia.


Francesco D'Isa  (Firenze, 1980), di formazione filosofo e artista visivo, dopo l'esordio con I. (Nottetempo, 2011), ha pubblicato romanzi come Anna (effequ 2014), Ultimo piano (Imprimatur 2015), La Stanza di Therese (Tunué, 2017) e saggi per Hoepli e Newton Compton. Direttore editoriale dell'Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste.
#8
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
26 Gennaio 2018, 12:07:14 PM
Grazie per la tua lettura e risposta!

> Ergo sia per @fdisa che per Nagarjuna tutta l'esistenza è relazione. Ma proprio nella conclusione c'è una cosa che non capisco: in sostanza finisci per rigettare il principio di non-contraddizione, dicendo che dove esso non vale allora la frase "ogni verità è relativa" non è paradossale. E qui sta per me il problema che invalida tutto quanto. Ovvero perchè rigettarlo solo adesso? In fin dei conti dal tuo articolo ho letto che la velocità, il rosso ecc ma anche cose concrete come l'acqua ecc sono relazioni. Fin qui la tua prospettiva è consistente: ovvero semplicemente dici che ogni cosa è relazione (il Relazionalismo Ontologico di cui parlavamo). Poi però non ti limiti a questo, passi ad analizzare il valore epistemologico delle tue affermazioni, confondendo secondo me "verità" e "realtà" (ovvero "mappa" e "territorio"), e sostieni che allora ogni "verità" è "opinione", come dicevano tra l'altro i sofisti. Perchè passare all'epistemologia?

Hai ragione, devo ammettere che l'ordine dovrebbe essere inverso; l'articolo è un adattamento di un lavoro in corso che è stato un po' frettoloso, per via della scadenza del bando, e ho dovuto piegarlo alle sue esigenze. Se si legge prima la dichiarazione epistemologica (tutte le verità sono relative) e poi quella ontologica (tutte le COSE sono relative) forse acquista più linearità. È per questo che nel teso ho inserito un forzoso "facciamo un passo indietro...".

> Ma è anche vero che lo stesso Nagarjuna è stato interpretato in modo simile a quanto dici tu. Ma la cosa non ha prodotto altro che "sofismi". Se tu per esempio mi dici che "ogni verità è opinione (o credenza)" cadi come ben dici tu in contraddizione. Per "cavartela" assumi che il principio di non-contraddizione può non valere. Ma a questo punto che senso ha discutere se in modo aribitrario diciamo che la regola con cui si discute e con cui si cerca di conoscere la realtà (anche al solo livello di mappe e territori, senza niente di "troppo metafisico") ad un certo punto non vale più. In sostanza così chiudi il dibattito ma non hai dimostrato che hai ragione. Semplicemente dichiari di aver vinto, sostenendo che ciò che ti contraddice in fin dei conti non vale. Non voglio ovviamente essere polemico ma non riesco a capire questo tuo passaggio dall'ontologia all'epistemologia (ne avevamo tra l'altro discusso tempo fa e mi sembravi d'accordo sulla questione) 

Il mio procedimento è in realtà simile a quello della "vacuità della vacuità". Il passaggio molto schematicamente è "ogni verità è relativa" > "è relativo che ogni verità è relativa?" > ""è relativo che ogni verità è relativa?" è relativo" > ecc.

Questa è un'affermazione epistemologica. Ma se con N. affermo che non solo ogni verità, ma ogni cosa è relativa, il discorso vale pari pari dal punto di vista ontologico.

In generale, per la maggioranza è più difficile mandare giù la questione ontologica che epistemologica, per questo ho toccato anche quella...
#9
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
19 Gennaio 2018, 19:51:18 PM
Sono rimasto un po' indietro, evidentemente le notifiche non mi arrivano, mi aggiorno presto sulla discussione.

Nel frattempo, una versione più ampia e argomentata di questo breve saggio è stata pubblicata qua, se vi interessa.

È in inglese, se volete posso pubblicare una traduzione. La comunità della fondazione FQXi inoltre è una fonte interessante di materiali che spero possano destare la vostra curiosità, per chi non la conoscesse già.
#10
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
08 Gennaio 2018, 16:30:01 PM
Grazie mille per la segnalazione! Sto lavorando a una versione ampliata e rivista del testo che non mancherò di condividere :)
#11
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 18:22:54 PM
@Aperion

A questo punto ti annoierò col resto del testo, appena pronto :D

Grazie per i consigli!
#12
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 14:17:32 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2017, 12:49:07 PM
@fdisa,

il problema di queste discussioni è che si finisce per entrare nella semantica e non se ne esce più  ;D

Ripartiamo dall'esempio di "Tizio è a destra di Sempronio".
Sempronio dice: "Tizio è a destra"
Caio (un altro soggetto) dice: "la frase è incompleta. in realtà bisogna dire "Tizio è a destra di Sempronio"".

Ergo sulla frase "Tizio è a destra di Sempronio" sono d'accordo tutti e tre. Quindi è una "verità universale", nel senso che è condivisa da tutti. Se poi vogliamo distinguere tra "universale" e "assoluto" possiamo farlo, se "assoluto" è un termine che proprio non ci va giù  ;) in quanto "assoluto" suggerisce che la "verità" sia una "cosa" mentre "universale" sigifica sempliemente che è "vera per ogni soggetto". Nel mio "vocabolario" il "relativismo" non ammette nemmeno verità universali visto che in fin dei conti una verità universale è una verità su cui sono d'accordo tutti i soggetti. Motivo per cui il "buddhismo madhyamaka" lo considero personalmente una forma di "assolutismo" (anche se sarebbe meglio dire "universalismo"), visto che dice che tutte le cose esistono in dipendenza da altre cose (e nel caso del buddhismo madhyamaka - il cui più famoso sostenitore è Nagarjuna - la realizzazione di ciò ha anche valore "soteriologico" cosa che nel "relativismo occidentale" invece non c'è). Spesso le discussioni si basano proprio sulla non-condivisione del "vocabolario". Se mi dici che "ogni verità è relativa - questa è l'unica verità universale" però sbagli in quanto "Tizio è a destra di Sempronio" è una "verità universale". Se dici "ogni verità è relativa - questa è l'unica verità assoluta" sbagli ugualmente in quanto (per quanto detto prima) "assoluto" denota un valore ontologico.



Quindi il "relativismo" che personalmente rispetto è uno che ammette la possibilità di "verità universali", ossia è il "relativismo ontologico". Però poi rimangono problemi* di varia natura che eludono questi discorsi.



*N.B. Ora se ogni cosa esiste in "dipendenza da altro", ovvero ogni esistenza è "relativa" è chiaro che non ci sono nemmeno "punti di vista assoluti" e la "verità" non ha certamente un "aspetto ontologico". Punto di vista che rispetto ma sinceramente non condivido perchè mi sembra un  involontario nichilismo "mascherato". In particolare negando la "sostanzialità" dei soggetti e delle "verità" si dice che a livello ultimo non esiste niente  ;) Ad ogni modo se sei interessato a Nagarjuna e al buddhismo madhyamaka ti consiglio il Mūlamadhyamakakārikā di Nagarjuna (a mio giudizio avere un saggio antico che è d'accordo con quanto si sta proponendo lo ritengo un ottimo aiuto  ;D ). In questa sezione del Forum c'è anche un topic sul buddhismo https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/  se ti va di leggerlo vedi anche che qui nel Forum c'è un ottimo filosofo (Sariputra) che ha una posizione praticamente identica a quella del scuola madhyamaka (iovviamente spero che Sariputra se dico scemenze mi bacchetti a dovere  ;D ).
@Aperion

Ci andiamo chiarendo :)
Non uso assoluto nel senso di universale, sulle verità universali sono perfettamente d'accordo con te. Ma una verità assoluta è tale anche senza accordo tra i soggetti (o senza soggetti senzienti, sostituendo a tizio, caio e sempronio tre sassi).

Ma con buona pace del fatto che ogni questione è anche epistemologica, non vedo alcun errore nel leggere la cosa in termini ontologici – che poi sono quelli del testo* che ho proposto. Non parlo mai di "verità" come idee e opinioni sulle cose, ma come cose stesse. E che la loro natura, quale che sia, sia sempre relativa, è quel che espongo nell'articolo. E che questo non porti a un paradosso – o meglio porti a due paradossi che si annullano – è il tema del §4.

*Nota sulla nota: Questo articolo è parte di un lavoro in corso il cui capitolo successivo tocca proprio gli argomenti della tua nota, a partire dalla filosofia di Nagarjuna (ma non solo lui, con vari analoghi in filosofia antica e moderna, orientale e occidentale, ma anche letteratura e fisicae dell'esistenza come relazione. E in effetti concordo anche a una forma un po' particolare del fatto che "a livello ultimo non esiste niente", ma questo capitolo lo riserverei a un'ulteriore discussione, se pubblicherò un articolo in futuro sul tema lo condividerò volentieri.
#13
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 00:23:35 AM
Citazione di: viator il 09 Dicembre 2017, 12:56:49 PMSe però l'insieme consiste nel TUTTO (non importa se composto da una quantità finita od infinita di elementi), diventa impossibile aggiungere od eliminare da esso dei qualsiasi contenuti. (non sarà possibile trovare elementi da aggiungere dal di fuori di un tutto, non sarà possibile espellere elementi al di fuori di un tutto). Tale insieme risulterà rigorosamente invariante, immodificabile. E poichè non sarà influenzato dalla quantità finita od infinita dei suoi componenti, non risulterà in relazione con essi !!!

Allora, precisando ulteriormente, dovremmo giungere alla seguente definizione di assoluto :

      "L'ASSOLUTO CONSISTE NELL'INSIEME DI TUTTI I RELATIVI PUR NON ESSENDO IN RELAZIONE CON NESSUNO DI ESSI"

Questa sarebbe tra l'altro anche  la dimostrazione della sinonimia tra TUTTO ed ASSOLUTO e della completa astrattezza di tali concetti.

Molto interessante. Ma non mi torna una cosa. Dici "Tale insieme risulterà rigorosamente invariante, immodificabile. E poichè non sarà influenzato dalla quantità finita od infinita dei suoi componenti, non risulterà in relazione con essi". Ma così facendo limiti le varie relazioni possibili all'unica di appartenere o meno all'insieme.Il solo fatto di essere un "insieme di tutti i relativi" inoltre È una relazione del suddetto insieme con i relativi che lo compongono – "che lo compongono", appunto: una relazione.
#14
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
11 Dicembre 2017, 00:14:12 AM
Citazione di: Apeiron il 08 Dicembre 2017, 17:18:07 PM

Diverso è, per esempio, il "relativismo ontologico" della scuola buddhista Madhyamaka - se non interpreto male. In questa filosofia ogni "cosa" ha un'esistenza relativa, ovvero esiste in quanto "dipendente" da cause (le quali a loro volta dipendono da altre cause ecc ad infinitum...). Quindi l'esistenza è in questo caso relativa e ciò vale per ogni cosa, tuttavia il fatto che "ogni cosa ha un'esistenza relativa" è dal punto di vista epistemologico una "verità universale". Quindi se dal punto di vista ontologico puoi, volendo, costruire una metafisica "completamente relativistica" non lo puoi fare dal punto di vista epistemologico, in quanto appunto in questo caso "ogni cosa non ha un'esistenza indipendente" è una verità universale ecc  

Secondo la tua distinzione (e considerato che il testo ha tra le sue influenze anche alcune fonti buddiste), direi che quel che pongo è un relativismo ontologico.

Ma il discorso epistemologico che fai non mi torna del tutto.

1) Se dici che una cosa è assoluta una volta che la poni in relazione a un altro termine, dici che questa è relativa (al termine scelto). Se sono a destra rispetto a te, dire che sono assolutamente a destra rispetto a te non ha senso: o sono a destra in assoluto (cosa impossibile), o sono a destra rispetto a qualcosa, dunque relativamente. 

2) Qualunque tesi, teoria, pensiero o percezione, non può per definizione uscire da una prospettiva epistemologica perché proviene sempre da essa. In questo senso, anche il relativismo ontologico, come tutti i prodotti del pensiero, è una posizione epistemologica.

3) All'affermazione che "Il relativista quindi non si accorge che in sostanza specificando la "relatività" delle "verità" finisce per trasformare le proposizioni relative in assolute." rispondo col §4, sostenendo che l'assolutezza di questa affermazione è contraddittoria solo finché viene osservata dal suo interno; quando si prende in esame la relatività o assolutezza di questa medesima verità ci si espone comunque alla relatività, e così all'infinito, in un precipizio di meta-linguaggi che si aprono sempre al relativismo.
#15
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
08 Dicembre 2017, 16:32:05 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Ottobre 2017, 19:53:34 PMUna volta chiarito questo livello di dubitabilità, si può perfino porre questo dubbio: "Sto pensando di dubitare, ma chi mi assicura che io stia davvero dubitando?". Ciò lascia spazio alla possibilità che esistano certezze, ma la possibilità che esistano certezze non dà alcuna garanzia che anche una sola certezza esista davvero.

In questo senso il relativista (o fallibilista) si guarderà bene dal giungere alla conclusione che tutto è relativo: sarebbe una certezza presuntuosa; ma ciò non garantisce che esistano certezze. E quando diciamo che non lo garantisce non possiamo neanche essere certi di ciò che stiamo dicendo e stiamo pensando.

In mezzo a tutto questo dubitare, anche il semplice dire "Mi sembra" potrebbe essere accusato di presunzione di certezza, ma a questo punto mi sembra che si tratti solo di problemi del linguaggio: cioè, a quanto sembra, il nostro linguaggio non contiene la possibilità di semplici verbi che contengano già in sé il dubbio su quello che affermano. Per dubitare del verbo "mi sembra" sono costretto ad aggiungere qualche altro verbo, ma questo mi sembra essere solo un problema di linguaggio, non di certezze garantite: non mi sembra che l'inevitabilità di far apparire il "mi sembra" come se fosse una certezza costituisca garanzia di aver trovato una certezza: a me sembra che abbiamo trovato soltanto un limite del nostro linguaggio.

Grazie del commento interessante. L'articolo è tratto da un testo in corso e nel paragrafo precedente si parla proprio del dubbio scettico nelle modalità da lei sottolineate (lo incollo a pedice, sebbene sia una bozza).
Eppure, sembra che il relativista sia costretto dal §4 a questo passo arrogante e apparentemente contraddittorio...


1.1 Lo stallo del dubbio scettico: dubitare è legittimo quanto dubitare del dubbio.


Gli uomini hanno imparato a vivere sotto il peso di un nero fardello, un'enorme gobba dolorante: la supposizione che la "realtà" potrebbe essere soltanto un "sogno". Quanto più terrificante sarebbe se la consapevolezza stessa di essere consapevoli del carattere onirico della realtà fosse anch'essa un sogno, un'allucinazione innata! (V. Nabokov)


Le imperfezioni dei sensi, dei loro potenziamenti (dai telescopi agli acceleratori di particelle), come anche le limitazioni congenite alla medesima forma del pensiero, quali il sentimento, la logica, persino l'intuizione: qualunque terreno può dimostrarsi friabile. E sotto ci attende il vuoto. D'altra parte però, non c'è motivo per cui l'impossibilità di una conoscenza certa debba impedire la sua ricerca, così come l'incapacità nel riprodurre la luce solare non rende inutile la scoperta del fuoco, dell'elettricità o dell'energia nucleare. Il terribile dubbio scettico: «Se vivessimo un inganno a tal punto crudele da non poter nemmeno immaginare, se non sbagliando, cosa si cela al di sotto?» non deve spaventare troppo. Anzitutto perché il più irrisolvibile dei quesiti si presenta comunque in un linguaggio, ed è dunque rivolto a chi è capace di coglierlo. La sua conseguenza naturale sarebbe collassare su se stesso, diventare un buco nero e annichilire ogni parola. Se è tutto un inganno, infatti, perché non dovrebbe esserlo anche il processo mentale che ci porta a dubitare? Il quesito è condannato a uno stallo, perché così come è possibile che "sia tutto un inganno" lo è anche "che sia un inganno che tutto sia ingannevole" e via dicendo... dubitare è legittimo quanto dubitare del dubbio.

Sebbene la fiducia nei nostri mezzi sia spesso sopravvalutata, dunque, e l'arroganza (o l'ottimismo) ci porti talvolta a confondere l'aver imparato a volare con la "conquista dello spazio", anche la sfiducia nichilista presenta delle piaghe incurabili, sotto forma di una regressione all'infinito e alla tendenza ad auto-fagocitarsi.