Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 00:53:46 AM
Il ruolo centrale, fondamentale nel buddhismo è dato dalla diretta comprensione dell'impermanenza (anicca). Anicca sta all'inizio, al centro e alla fine del cammino di Siddhartha stesso. E' nell'incontro con anicca, nella figura del vecchio, del malato, del morente che Siddhartha matura la volontà di comprensione. E' nell'osservazione di anicca che trova la liberazione. Questo ruolo centrale dell'impermanenza è il tratto tipico del buddhismo che, a parere mio, lo differenzia dalle altre religioni ed è da tener presente nel confronto con i sistemi filosofici sorti sulle Upanishad. Gotama disse:
Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente la percezione dell'inconsistenza e mancanza di un Io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha (non-sé e sofferenza), e chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza.
Sul fatto che trovi molte assonanze tra le varie forme spirituali dell'India e financo della Cina, ho trovato un passo di Sayagyi U Ba Khin, grandissimo maestro di meditazione buddhista morto nel 1971:
Le verità di cui egli parlava (il Buddha storico) erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell' impermanenza, della sofferenza e dell'inconsistenza dell'Io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità.
Per questo motivo il Dhamma è così fondamentalmente "pratico", diretto e, nonostante abbia nel tempo sviluppato una filosofia e una psicologia raffinatissime, mette quasi in secondo piano la speculazione. Questo magari ad un filosofo può in un certo senso dare "fastidio", essendo più attratto dal teorizzare che dal fare, dal meditare, dal perdere tempo ad osservarsi. Ma non è un problema del Dhamma, bensì dell'approccio che ne abbiamo singolarmente, personalmente...
Nel Brahamajala Suttanta il Buddha fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo e poi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse,il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o monaci, è diventato distaccato e liberato.
In questo passo Siddhartha dichiara che è diventato un Buddha osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. L'impermanenza, ancora, si rivela il fatto centrale che bisogna comprendere. senza comprensione di anicca non può esserci Nibbana. E' osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee che il meditante si avvicina allo stadio incondizionato del Nibbana, al di là delle esperienze sensoriali.
Nei sistemi vedici, come ho già scritto, sembra palesarsi una sorta di sdoppiamento: falso Io/ vero Io. Ma nella meditazione questa frattura non esiste. esiste solo la consapevolezza dei fenomeni fisici e mentali e la loro impermanenza, soggetti al sorgere e cessare. Non è dato trovare alcun "falso Io" e nemmeno nessun "vero io". La consapevolezza non può essere un "Io", che è un aggregato.
Non è che possiamo buttare fuori dalla porta il "falso sé" e quello poi rientra dalla finestra ( mistica finestra) come "vero sé". Per il Buddha c'è un unico sè, ed è vuoto di esistenza intrinseca, come tutti i fenomeni che hanno origine dipendente.
Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna!