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Messaggi - Jacopus

#1006
Attualità / Re: Ontologia e disastri umanitari.
01 Maggio 2023, 21:37:10 PM
Phyrosphera. Personalmente cerco sempre di riflettere seriamente su ciò che scrivo e facendolo cerco anche di rispettare le idee degli altri, senza mai pensare che ciò che gli altri scrivono, sia stato scritto in modo non serio, se l'intento è quello di scrivere seriamente. Detto questo, ti pongo il problema in un'ottica meno scientifica e più etica. Che diritto ha la società per decidere su un sentimento così profondamente identitario come l'identità di genere. Ma stiamo scherzando? Se volessi una società del genere me ne dovrei andare a sud di Pantelleria o a est della Vistola. Invece sono qui, in un paese (parzialmente) occidentale, e a giudicare dai rischi che milioni di persone si prendono per arrivarci, direi che è un posto migliore anche e proprio a partire dalla tutela di diritti come quello sull'identità di genere indipendentemente dall' identità sessuale. Ritengo questo diritto inscindibile rispetto a tutti gli altri diritti di una società complessa ed evoluta, come il divorzio, l'interruzione di gravidanza, la tutela dei diritti del malato e dei bambini e dei detenuti e dei tossicodipendenti, così come la tutela dei lavoratori. Si tratta di difendere o provare a difendere la dignità delle persone e di quello che essi sentono di essere. Quel loro sentimento è indotto dalla società? E allora cambiamo la società prima di voler correggere le persone.
#1007
Attualità / Re: Ontologia e disastri umanitari.
30 Aprile 2023, 12:09:15 PM
Bob. Io la penso esattamente al contrario. Il due è fonte di ogni bene. Poiché il due è il principio della dialettica e l'opposizione al pensiero monistico. In realtà il pensiero umano, da Hegel in poi, è chiamato a fare uno sforzo in grado di ricomprendere al livello della stessa dignità sia l'uno, poiché è anche vero che l'uomo è un essere naturale, sia il due, poiché è contraddittoriamente vero anche il contrario che l'uomo non è più "solo" natura o perlomeno non va interpretato come quella "natura", che in quanto "naturale", giustifica ogni azione e situazione nel mondo. Permettemi una metafora: la natura è come la base del corallo, su cui noi ci poggiamo e dalla quale traiamo la base del nostro agire nel mondo, che però non si muove più fortunatamente solo sulla base di leggi naturali. E paradossalmente questo è avvenuto per un processo del tutto naturale, ovvero lo sviluppo enorme del nostro sistema nervoso centrale. Che poi questa sia stata una scelta adattiva in termini evolutivi ancora non si sa, ma il quadro è questo (perlomeno il mio quadro).
#1008
Attualità / Re: Ontologia e disastri umanitari.
30 Aprile 2023, 11:26:54 AM
Phyrosphera: appunto. La visione illusoria è quella che ci ha permesso da Prometeo  in poi, di trasformare il mondo ed è una delle grandi risorse dell'umanità. Ridurla a sogno irrealizzabile è il desiderio di chi sta bene nello "status quo", di cui la natura con le sue supposte leggi fondative è uno dei puntelli principali.

Claudia. La tua ultima metafora avrebbe fatto contento Gorgia, il più famoso fra i sofisti. Sicuramente il mercato nella sua forma più recente e pervasiva può incidere molto sulla percezione fluida di genere, semplicemente perché così si raddoppiano i mercati di quegli articoli che sono tradizionalmente appannaggio di un solo genere. Questo aspetto non mi sfugge. Ma anche ammesso che questa sia una delle cause, cosa è più giusto fare? Questo è il compito della filosofia. Curare la pecorella smarrita per farla tornare nei ranghi? Disinteressarsi ed invitarla ad andare in Turchia e farsi operare privatamente?

A proposito della natura, quella del regno animale per lo meno, va detto che vi sono comportamenti non proprio esemplari. Vi sono insetti che copulano fra fratelli e sorelle e mangiano, per crescere, il corpo della madre. Linneo, per primo, distinse le piante in monogynia, digynia o tryginia a seconda della quantità dei maschi necessari per la fecondazione, il 10 per cento della popolazione dei cigni neri è omosessuale. I leoni e molti altri mammiferi sono organizzati con un maschio alfa che impedisce a tutti gli altri maschi del gruppo di copulare con le femmine del branco. I leoni sono anche quelli che talvolta mangiano i cuccioli per far tornare in calore le femmine. Vogliamo parlare della mantide religiosa? Insomma, questa natura così perfetta di fronte all'uomo così cattivo e decaduto, mi sembra il solito polpettone ad usum fidei, per far risaltare di più la perfezione di un supposto iperuranio, che prima era religioso ed ora non si sa bene cosa sia.
Finisco a proposito del novello Icaro. Non mi risulta che nel corpo umano vi siano ormoni che ci spingono a volare, mentre è noto che sia nel corpo maschile che in quello femminile, vi sono, in proporzioni singolari ed uniche per ognuno di noi, sia ormoni maschili che ormoni femminili.
#1009
Attualità / Re: Ontologia e disastri umanitari.
29 Aprile 2023, 20:22:00 PM
Phyrosphera@ puoi spiegarti meglio. In che senso assumo come oggetto del pensiero la natura ma poi penso ad altro?
A me pare di essere stato chiaro. L'ipostatizzazione della natura è già biologicamente innaturale, da Darwin in poi. Ma anche se la natura fosse "eterna" all'interno di leggi eterne (cosa di cui dubito anche a livello di fisica oltre che di biologia), l'uomo si è emancipato dalle leggi naturali da almeno 10.000 anni. E ripeto che chi non vede questa cosa, è perché avversa la possibilità che l'uomo possa superare il suo stato di minorità. 
#1010
Attualità / Re: Ontologia e disastri umanitari.
29 Aprile 2023, 17:22:07 PM
Se può aiutare credo che le difficoltà nel comprendersi nascano da una diversa concezione della natura. Da un lato vi è chi crede nella natura come un processo/struttura/entità perfetta con leggi che dovrebbero essere rispecchiate nelle leggi delle società umane. Dall'altro chi ritiene la natura come un lavoro artigianale, che si arrangia con quello che ha a mandare avanti la baracca. Le prove che la realtà sia questa sono ormai molte, almeno per quanto riguarda la natura della biologia (sulla fisica e sulla chimica non mi pronuncio per mancanza di competenze). Già se si ritiene la natura un arte creativa di arrangiarsi, ogni valutazione sul gender assume un altra prospettiva, nel senso che non vi è nessuna rottura con supposte leggi naturali superiori. In linea con quello che sappiamo attualmente su come evolve la vita sul pianeta terra, appunto come tentativi maldestri che hanno dato dei risultati sul lunghissimo periodo e senza progetti ingegneristici o da orologiaio.
Ma anche se la natura fosse un giardino incantato da cui prendere esempio, sarebbe ormai ora di considerare l'umanità qualcosa che sta con un piede nella natura e nell'altro nella cultura (o tecnica), cosa che ha avuto notevoli conseguenze oltre che sul piano pratico anche su quello filosofico come su quello del rispetto delle più diverse manifestazioni dell'essere umano. Voler imbrigliare quest'ultimo in supposte regole naturali di solito ha degli scopi o autoritari o fatalistici, del tipo "nihil sub sole novi". Da Socrate a Kant ed oltre, avremmo dovuto impararlo a memoria.
#1011
Gli ormoni che regolano la nostra vita non sono solo quelli dell'aggressività. Abbiamo un mix di ormoni che sono sia prosociali che antisociali e che rispettano la massima filosofica di Schopenhauer sugli istrici.
Sul problema della regolamentazione del poliamore sono un pò dibattuto. Da un lato condivido quello che ha scritto Ipazia. In queste cose meno regoliamo e meglio è. Sono faccende private. Però è anche vero che poi subentrano altri impicci di noi umani, tipo "a chi dare il gatto, dopo che il poliamore è bruscamente finito? e la pensione di reversibilità in caso di morte?". Insomma tutte quelle cose quotidiane per cui è stato inventato il diritto.
La risposta più semplice sarebbe quella di dare preminenza alle unioni tradizionali a cui aggiungere anche quelle omosessuali, ma a questo punto perchè non aggiungere anche un "triplete", figli con due madri e un babbo e viceversa. O anche con tre padri e quattro madri, con figli che non si capisce più di chi sono figli. Effettivamente sarebbe un bel colpo per tutto il diritto testamentario, ma ci sarebbe davvero una grande confusione.
Vabbè per stavolta passo e sospendo il giudizio (ma in fondo preferisco la famiglia tradizionale, con l'unica eccezione possibile di due genitori dello stesso sesso, ma solo due e che gli altri facciano a letto un pò quello che vogliono, basta poi che non infastidiscano con regolamentazioni di fatto impossibili).
#1012
Socrate@: sono d'accordo. Esiste un narcisismo vitale ed uno mortifero. Quello vitale è quello che scende a compromessi fra le esigenze individuali e quelle sociali, senza annullare nè le prime nè le seconde. Pertanto ben venga l'altruista/narcisista. Il vero problema nasce quando gli spazi di pro socialità vengono sempre più assorbiti da esigenze di affermazione del proprio ego, che deve essere al centro dell'attenzione e osannato dal prossimo, semplici spettatori di uno spettacolo con il copione già scritto.
#1013
@Ipazia: i narcisisti sono fra i più difficili da trattare psicoterapeuticamente e non ci sono neppure terapie farmacologiche efficaci.
@Anthonyi: ovvio che esista una libertà di agire ed è il retaggio della tradizione occidentale. Contemporaneamente "siamo tutti coinvolti". Ancora una volta emisfero destro e sinistro devono sapersi parlare. Nel caso in cui predomini la concezione della "libertà di agire", nulla si può fare e nulla si può comprendere. A questo punto tanto varrebbe eliminare i "cattivi", proiettando su di essi tutte le nostre parti cattive. Nel caso in cui predomini la concezione della giustificazione ambientale/genetica, anche in questo caso non sarebbe possibile fare nulla, perché è già tutto scritto. In entrambi i casi saremmo fuori da ogni possibilità di redenzione e fuori anche da ogni ipotesi evoluzionistica. Bisogna invece lasciare attiva la tensione responsabilità individuale e responsabilità collettiva, allo stesso modo della necessità di lasciare attiva la tensione soggetto/oggetto (serve Hegel, fenomenologia dello spirito, più che la psicoanalisi).
#1014
In realtà dovrei conoscere meglio l'anamnesi socio-individuale di questo soggetto prima di pronunciarmi (cosa che comunque non mi sogno di fare in un forum), ma posso provare a fare delle ipotesi che Claudia potrà vagliare. Il caso classico è quello del narcisista, figlio di papà, a cui non è mancato l'amore, anzi ne ha ricevuto troppo. È stato considerato il figlio prediletto e i genitori lo hanno riempito di coccole e di beni materiali. Un soggetto del genere diventa di solito un despota e se gli viene attribuito del potere i suoi sottoposti devono iniziare a tremare. Per crescere bene occorre l'affettività ma anche l'educazione al senso del limite e al riconoscimento intersoggettivo. La nostra società fa molta fatica a trasmettere questi messaggi, essendo una società "non limits", "no rules", e dove vige la spettacolarizzazione delle proprie gesta. Ho già scritto altrove che è la società dove il disturbo tipico è proprio il narcisismo, mentre fino agli anni 70 era la nevrosi, fondata sul senso di colpa. Il narcisismo non riconosce gli altri se non come spettatori acclamanti delle sue imprese, che possono comprendere anche efferati atti di malvagità, rispetto ai quali non sente alcun rimorso.
#1015
Penso che si tratti di due piani diversi, Claudia. Il soggetto prevaricatore va fermato, punito, contenuto. Non c'è alcuna uguaglianza fra vittima e carnefice rispetto al fatto "hic et nunc" perpetrato o che si pensa di perpetrare. Ma in una accezione più socio-filosofica, occorre tener presente come la "cattiveria" sia un fenomeno complesso, che va considerato nelle sue origini ambientali, individuali e casuali e nella dinamica storica di ogni gruppo umano. Vista in questa prospettiva la "cattiveria" diventa più difficile da confinare secondo una distinzione netta fra "buoni" e "cattivi". Ti assicuro in modo piuttosto certo che, salvo problematiche neurologiche, la "cattiveria" è un percorso di apprendimento e di sviluppo di comportamenti routinari che diventano "modi di essere" (o modelli operativi interni, secondo Bolwby), a loro volta interagenti con il carattere individuale, l'ambiente dove vive il soggetto e il caso. Ciò non toglie, ripeto, che ognuno di noi sia responsabile, al cento per cento di ciò che fa, salvo perizia psichiatrica che affermi il contrario.
Per aggiungere carne al fuoco, si pensi come un certo comportamento e i relativi stati affettivi possono anche essere ereditati geneticamente. Quindi un ambiente che sollecita risposte predatorie, creerà un gruppo di dimoranti in quell'ambiente geneticamente inclini alla violenza, secondo un processo di feed-back che si autoalimenta e riproduce quel livello di predazione. Il tutto secondo i canoni della teoria evolutiva.
#1016
CitazioneMa non siamo affatto tutti uguali, e alla storia comune ciascuno porta il proprio.
Prendi tot bambini di 4-5 anni e a ciascuno di loro fai trovare nel giardino di casa  un gattino di due mesi, che sia il primo gattino che incontra dal vivo.
Assisterai alle reazioni più variegate : alcune più diffuse, altre meno, altre ancora decisamente eccezionali a livello percentuale.
Vedrai quello che si approccia senza esitazioni all'incontro ravvicinato e lo accarezza e lo prende in braccio; quello che ne è attratto ma più cauto nell'avvicinarsi; quello che lo guarderà col terrore di chi ha incontrato un orso e scapperà a rifugiarsi; quello che prenderà il primo sasso per tirarglielo addosso; fino a quello (certamente molto meno comune) che lo porterà come pasto caldo al molosso di casa o lo prenderà per la coda e lo sbatterà al muro finchè non muore.
Ripartirei da qui Carla. Quello che scrivi è verissimo. Abbiamo delle reazioni diverse e comportamenti diversi anche fra fratelli, il cui patrimonio genetico inevitabilmente è diverso. Le precondizioni della cosiddetta "cattiveria" le ho elencate prima e sono sempre le stesse, genotipo/fenotipo, ambiente, caso. Poi subentrano i meccanismi di apprendimento. Possibilmente il bambino che si diverte sadicamente va corretto da genitori comprensivi e presenti e se non ci sono genitori comprensivi e presenti va corretto da istituzioni preposte, scuola e sanità in primo luogo. Una correzione che va sviluppata non in senso autoritario (tipo "comportati bene sennò chiamo i carabinieri") ma in senso affettivo, dimostrando con l'esempio qual'è la vita etica. Il nostro cervello è estremamente plastico, possiamo apprendere e mettere in pratica tutto e il contrario di tutto. Contenere il più possibile il male dell'uomo sull'uomo è una responsabilità dell'umanità come complesso di relazioni. In questo risiede la sfida della cultura almeno da Ulisse in poi.
Un ulteriore considerazione. Il male è multiforme, si annida nei centri del potere, è spesso anonimo. Risale a generazioni prima e quando esplode sembra insensato o attribuibile esclusivamente alla degenerazione del singolo, ma non è così. Alice Miller fa risalire il nazifascismo alla "pedagogia nera" di fine ottocento, quella che costringeva il presidente Schreber a restare immobile con le mani e i piedi ristretti in complessi macchinari ideati dal suo famoso padre pedagogo, affinché studiasse senza masturbarsi. Quello stesso Schreber, diventato schizofrenico,  al centro di due magistrali interpretazioni, la prima di Freud e la seconda di Canetti. In questo caso dove si origina il male dell'uomo sull'uomo, se non da una distorta interpretazione della cultura? Una distorta interpretazione della cultura a sua volta debitrice di distorti rapporti di potere. Quindi, lungi da me pensare ad un futuro privo di male nella storia dell'umanità, ma occorrerebbe da subito pensare ad un progetto collettivo per attenuare quel male, mentre invece la più recente direzione della storia ci indica la direzione opposta. È la stessa filosofia individualista contemporanea a muovere le teorie che la causa del male dell'uomo risiedano nel singolo uomo malvagio, ma in questo modo non si fa altro che attivare un meccanismo di difesa, anzi due, scissione e proiezione, senza migliorare di una virgola la possibilità verso la vita buona.
#1017
La domanda di Carla è sostanzialmente: "dobbiamo sempre considerare il cattivo come una vittima? Anche alla luce dell'evidenza di soggetti cattivi privi di esperienze traumatiche?". Direi di no, proprio perché la "via alla cattiveria" non è a senso unico ma è piuttosto un labirinto di vie che si intersecano e si diramano secondo diverse miscele della solita triade:
1) genotipo/fenotipo;
2) società;
3) caso.
Cattiveria è anche un termine piuttosto generico, che ricomprende l'impulsività del focoso che spacca le teste, il freddo calcolo del omicida con premeditazione, ma anche gli appartenenti alla "zona grigia" di cui parla Primo Levi o coloro che magari sono cattivi in modo specializzato (contro poveri o ebrei o meridionali e così via), oppure coloro che lo esercitano perché lo credono inevitabile.
Il male dell'uomo sull'uomo esiste nelle società tribali e in quelle tecnologiche (ovvero in tutte le società dove interviene in modo preponderante la cultura). Nelle società arcaiche per la vicinanza con i modelli animali fondati sulla lealtà di clan e sulla gerarchia rispetto ai maschi alfa. Nelle società tecnologiche per qualche difetto "tecnico", che non si riesce mai a riparare. La cultura infatti, attraverso la religione, la filosofia e in seguito la scienza, ci ha sempre fatto intravedere il miraggio della pace, della giustizia, della libertà. Concetti che sono chiarissimi ad ogni mammifero anche in tenera età. Viviamo così da tempo immemore una condizione scissa. La nostra biologia e la nostra cultura riproducono entrambe uno sdoppiamento: una realtà dove esiste il male dell'uomo sull'uomo e una idealità dove il male dell'uomo sull'uomo è superata. La storia dell'uomo è un continuo tentativo, un protendersi verso il superamento di quel male, che conosce però un percorso a zig-zag, con ritorni all'indietro, con sentieri appena tracciati e subito interrotti.
La stessa dualità realtà/ideale si ripresenta in termini di responsabilità del male. Il perpetratore del male è contemporaneamente responsabile ed irresponsabile. Mantenere questa tensione è vitale proprio per affermare la libertà dell'uomo e per scorgere gli altri possibili esiti della storia e quindi del bene etico. Ma senza dimenticare che "io sono" è sempre un "noi siamo". In questa accezione riveste particolare importanza il discorso del perdono, che esula da una interpretazione religiosa, ma diventa il passaggio verso una nuova concezione dei rapporti umani. Ovvio che al perdono si deve abbinare anche il senso di colpa e il desiderio di "superare" lo stato precedente dominato dal "male". Un processo che si può fare solo insieme, abbandonando il bozzolo dell'individualismo, che è uno dei grandi mali del nostro tempo (come il gregarismo lo era di altri).
#1018
Tematiche Culturali e Sociali / Re: I social media
24 Aprile 2023, 16:48:59 PM
Personalmente frequento solo FB, da bravo boomer. Scorro la pagina. Mi serve anche per avere delle notizie. Oggi ad esempio ho scoperto casualmente che stasera ci sarà alle 9.00 un film di Malick in Tv. Oppure seguo delle pagine di cucina che mi servono per provare qualche nuova ricetta. evito come la peste le pagine politiche e cerco anche di evitare commenti, che rischiano di aprire polemiche sterili con schiere di disagiati.
#1019
Idee per migliorare il forum / Re: Psicologia
24 Aprile 2023, 16:43:51 PM
Ciao Aspirante. Nel vecchio forum c'era effettivamente la sezione psicologia. Niente esclude di poterla ripristinare. Il problema che potrebbe esserci a creare tante sezioni è quello di vederle inaridirsi per mancanza di contributi. Vediamo cosa ne pensano gli altri ed Ivo.
#1020
Cara Claudia, qui potrei scrivere per ore. Innegabile che quella che tu chiami "cattiveria" esista. Interessante anche l'origine etimologica della parola: Captivus, in latino è il prigioniero. Che fa il paio con Carcer, che in origine erano le stanze dove stavano i gladiatori prima di esibirsi sull'arena. La cattività riguarda quindi coloro che non sono stati abituati, educati, addestrati a rispettare gli altri e considerano il prossimo semplice strumento dei loro scopi. Quindi una bella folla, comprensiva di amministratori delegati, alti funzionari, politici, parenti senza scrupoli, oltre che dei soliti e banali delinquenti. Ci sono un paio di film che lo spiegano meglio di qualsiasi trattato: the wolf of wall street e American Psycho. Ed è anche vero che le cause sono molteplici. Non esiste un'unica fonte per spiegare la violenza intraspecifica dell'uomo, ma quella più importante è sicuramente l'apprendimento, che avviene in famiglia ma anche in tutte le situazioni sociali dell'umanità, dal gruppo amicale all'ambiente di lavoro, dai messaggi televisivi alle conversazioni quotidiane. Un effetto della laicizzazione della società è questa tendenza a vedere gli altri non più come fine ma come mezzo. In un'epoca di transizione come questa, in cui ai valori religiosi in declino si sono sostituiti i valori tossici della ricchezza, dell'apparire, della affermazione, tutti valori vissuti in chiave esclusivamente individualista, sembra che la cattiveria sovrasti ogni azione cooperativa e benevola. Tutto ciò che è collettivo, sociale, condiviso, ci fa normalmente schifo. E se gli altri sono l'inferno, tanto vale usarli come dannati o combatterli come altrettanti diavoli. Questo è il quadro generale. La tendenza. Ma non bisogna neppure dimenticare che l'uomo è biologicamente un animale sociale e quindi i valori dell'Unione, dell'affetto, della collaborazione torneranno sempre dalle cripte dove sono stati temporaneamente posti. È una guerra ancora in corso fra divinità del bene e divinità del male, così come raccontato con una prosa indimenticabile da Freud, ne "Il disagio della civiltà".