ciao Anthonyi,
conosco benissimo la teoria marginalista ,ne ho anche studiato la produttività decrescente fino al punto di pareggio.
Non si riesce a farvi capire un ragionamento di dinamiche.
Se siete un imprenditore tre sono i fattori produttivi: capitale ,lavoro, materie prime(semilavorati).
Ci sono costi costanti e costi variabili.Le materie prime e semilavorati sono costi variabili, il costo del capitale per prestiti bancari e investimenti sono fissi, così pure il costo del lavoro. Ma il costo del lavoro in realtà è variabilizzato proprio grazie alla precarietà.
Ad un'azienda gli conviene tenere la parte di lavoratori a contratto stabile per coprire la parte sicura della domanda di prodotti o servizi e richiede o lascia a casa il precario in funzione dei picchi dell'aumento oabbassamento di quella domanda.
E' chiaro fino a quì? E' come il supplente di professori e maestri, o il numero delle casse aperte di un supermercato in funzione del numero dei clienti.
Nell'ipotesi che tu abbia ragione, la prossima tornata di aumenti contrattuali ne risentirà sulla busta paga.Alla fine paga comunque il lavoratore.
Ma in realtà è ancora un errore. il mercato del lavoro non è una cosa in sè e per sè, esiste in funzione del mercato delle merci e servizi
e ribadisco non cambia niente perchè i soldi in tasca del consumatore non cambiano per aumenti o abbassamenti del costo del lavoro,
semmai può mutare lo scenario competitivo fra aziende ,come ho già scritto, in quanto c'è chi deciderà di spostare l'aumento del costo del lavoro sui prezzi, diventando meno competitivo e tenendo inalterato il margine di profitto, oppure mantiene il prezzo della merce, abbassa momentaneamente il suo margine di profitto, ma aumentala competitività rispetto a chi ha aumentato i lprezzo della merce.
Se avete capito, alla fine significa che aumento del costo del lavoro = aumento dei prezzi= aumento dell'inflazione.
La logica capitalista è scaricare sui prezzi i costi in modo tale da riassorbirli
conosco benissimo la teoria marginalista ,ne ho anche studiato la produttività decrescente fino al punto di pareggio.
Non si riesce a farvi capire un ragionamento di dinamiche.
Se siete un imprenditore tre sono i fattori produttivi: capitale ,lavoro, materie prime(semilavorati).
Ci sono costi costanti e costi variabili.Le materie prime e semilavorati sono costi variabili, il costo del capitale per prestiti bancari e investimenti sono fissi, così pure il costo del lavoro. Ma il costo del lavoro in realtà è variabilizzato proprio grazie alla precarietà.
Ad un'azienda gli conviene tenere la parte di lavoratori a contratto stabile per coprire la parte sicura della domanda di prodotti o servizi e richiede o lascia a casa il precario in funzione dei picchi dell'aumento oabbassamento di quella domanda.
E' chiaro fino a quì? E' come il supplente di professori e maestri, o il numero delle casse aperte di un supermercato in funzione del numero dei clienti.
Nell'ipotesi che tu abbia ragione, la prossima tornata di aumenti contrattuali ne risentirà sulla busta paga.Alla fine paga comunque il lavoratore.
Ma in realtà è ancora un errore. il mercato del lavoro non è una cosa in sè e per sè, esiste in funzione del mercato delle merci e servizi
e ribadisco non cambia niente perchè i soldi in tasca del consumatore non cambiano per aumenti o abbassamenti del costo del lavoro,
semmai può mutare lo scenario competitivo fra aziende ,come ho già scritto, in quanto c'è chi deciderà di spostare l'aumento del costo del lavoro sui prezzi, diventando meno competitivo e tenendo inalterato il margine di profitto, oppure mantiene il prezzo della merce, abbassa momentaneamente il suo margine di profitto, ma aumentala competitività rispetto a chi ha aumentato i lprezzo della merce.
Se avete capito, alla fine significa che aumento del costo del lavoro = aumento dei prezzi= aumento dell'inflazione.
La logica capitalista è scaricare sui prezzi i costi in modo tale da riassorbirli