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Messaggi - Apeiron

#1021
Tematiche Filosofiche / Re:Morte liquida
10 Gennaio 2017, 18:49:46 PM
Bel tema, davvero. D'altronde l'Oscuro Eraclito ci disse che pochi godranno della gloria immortale tra i mortali perchè per ottenerla ci vuole la rinuncia. E per rinunciare "alle piccole cose" ci vuole molto coraggio, oggi perduto. Il grande difetto della modernità è appunto che si è perso il coraggio della ricerca, si è perso il coraggio di dividere i valori secondo il loro grado di importanza. Tutto è divenuto piccolo e meschino: siamo cioè approdati nell'epoca dell'Ultimo Uomo (come direbbe Nietzsche). Tutto si tratta quindi con superficilità, filosofia e spiritualità incluse.  Risultato: si filosofa per "sport", si tratta la religione come una semplice tradizione, il pensiero politico ha sempre meno importanza...Ma d'altronde cosa potevamo aspettarci dopo un secolo in cui le ideologie hanno fatto quello che hanno fatto? Chi ce lo fa fare di cercare cose che possono portare a prendere posizioni contro la società?
E così siamo costretti a guardare in modo nostalgico il passato, dove vediamo i nostri eroi che hanno superato in un certo senso la morte e rimangono in noi come se ci volessero ricordare ogni giorno che dobbiamo "svegliarci". Sempre Eraclito ci diceva che la maggior parte degli uomini vive dormendo. Quindi in realtà non è un problema odierno ma è sempre stato così. "Nulla è nuovo sotto il sole" (Qoelet)
#1022
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 14:49:49 PM
Citazione di: bluemax il 10 Gennaio 2017, 12:48:17 PM
Citazione di: maral il 10 Gennaio 2017, 11:34:14 AMEcco, la differenza fondamentale tra induismo e buddismo da un lato e Cristianesimo o le altre religioni del Libro credo stia proprio in questo annientamento totale che rappresenta per i primi la suprema gioia. L'annientamento totale coinvolge pure gli dei, anche Brahma (l'essere immenso in cui si realizza il creato e l'illusione), Visnù (la divinità immanente dell'aggregazione, presente in ogni forma esistente) e Shiva (la divinità trascendente della disgregazione) vengono infine annientati. E' qui esattamente l'opposto dell'idea cristiana di un'eternità in cui l'Essere supremo (inteso anche qui in senso trinitario) è eterno e conserva in eterno presso di Sè le anime meritevoli rendendole partecipi della Sua eternità in essere. Questo trattenersi in eterno delle anime individuali, per l'Induismo è al contrario l'essenza stessa della pena e del dolore. E' interessante notare che ad esempio anche la reincarnazione, la trasmigrazione delle anime da una vita all'altra, per l'Occidente assume il significato positivo di un poter in qualche modo ripetere se stessi indefinitamente, mentre per l'Oriente è l'effetto di un karma negativo che potrà risolversi solamente nell'annientamento in cui solo può consistere la vera gioia.
Attenzione ad usare il termine "annientamento". Tale termine non ha nulla a che fare con il "terminare" ma molto piu' simile alla "fusione". In poche parole... "IO" sono un semplice risultato di cause ed effetti a cui partecipa l'intero universo... io e l'universo siamo la stessa "mescolanza", ne faccio parte. Siamo lo stesso mare e l'onda che diviene "io" e non vuole essere "mare", IGNORA di farne parte, presume di essere differente dal mare creandosi un "io" indipendente e quindi sofferenza. :) ciao

Bluemax ciò è vero solo per (alcune) tradizioni che seguono le Upanishads. Già per l'Advaita parlare di "unione" è problematico. Per il buddismo è errato. Infatti per l'Advaita quello che devi riconoscere è che "la natura profonda del tuo essere" è Narguna Brahman dopo aver "distrutto" le illusioni tramite la procedura del Neti-Neti. Motivo per cui non credo che si possa parlare di unione nella tradizione dell'advaita. Per il Buddismo quello che si cercava di fare è tirare via ogni idea del e non unirsi a un "Sé più grande".
In entrambi i casi per "ottenere l'eternità" è quello di "abbandonare l'ego". Non solo però abbandonare il proprio ma tutti gli ego. Fatto ciò si trascendono le distinzioni e rimangono per il buddismo il Nirvana mentre per l'Adviata un "Essere" ma tale essere è per così dire "vuoto", senza attributi.
La cosa interessante è che in queste filosofie la mancanza di eternità è dovuta all'ignoranza mentre per cristianesimo e dvaita al peccato.
#1023
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 14:40:59 PM
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2017, 00:23:16 AMcredo che tutti aspirino all'eternità, se questo assunto lo si interpreta come il fatto che ciascuno di noi è intenzionalmente rivolto a raggiungere una condizione caratterizzata dalla sospensione del tempo. Ogni agire diretto dalla volontà e dalla razionalità presuppone sempre un dinamismo, un mutamento che non è mai fine a se stesso ma mirante al raggiungimento di un fine, un acquietamento nel quale il fine è stato raggiunto, e il mutamento perde la sua ragion d'essere. Contro tale assunto può muoversi l'obiezione che in molti casi l'uomo tragga piacere non nel raggiungimento di una meta statica, ma nel divenire stesso. Quante volte si gode nel viaggio, nel percorso intermedio tra l'inizio e la fine, nello sforzo stesso tendente al fine più che nel raggiungimento del fine stesso? Tuttavia anche in questi casi l'eternità non viene scalzata dalla sua posizione di oggetto delle aspirazioni, a costo però di operare una formalizzazione, una generalizzazione del concetto. Quando il divenire diviene oggetto di per sè di godimento, si vorrebbe che ciò che si sta facendo lo si continui a fare PER SEMPRE. Il divenire diviene il fine a cui tende il desiderio a condizione che sia un "eterno divenire". Il concetto di "durata" è una declinazione di quello di "eternità", qualcosa tanto più dura quanto più si approssima all'ideale di "eternità". Insomma intesa in un'accezione più formale, intesa cioè a prescindere dalla determinatezza del contenuto, del quid che costituisce la realtà che dura senza più finitezza temporale, l'eternità è la prospettiva che le nostre inclinazioni mirano a raggiungere, insita nella struttura teleologica di tutto ciò che accade. Dunque l'orizzonte finalistico dell'eternità è un dato universale al di là delle differenti tradizioni religiose, mitiche, intellettuali che cercano di "riempire" l'indeterminatezza dell'idea di eternità con certi sistemi di rappresentazioni, di dogmi, di concetti filosofici. Non solo nel modello teista cristiano lineare dove l'eternità coincide con la eterna durata dalla beata contemplazione della visione divina da parte delle anime, ma anche in quello ciclico come nell' Amor fati nicciano dove, se ben interpreto, l'uomo, divenuto ora Oltreuomo, rinuncia alla speranza di un'escatologia trascendente il mondo e gode dell'idea dell'Eterno ritorno, l'oggetto verso cui si rivolgono i nostri desideri, il valore sommo, è qualcosa che dura eternamente, sia esso un ente trascendente il mondo, Dio, o lo stesso susseguirsi degli eventi mondani. Anche se non è poi da sottovalutare il fatto che nel modello lineare il valore dell'eternità è da considerarsi più accentuato, in quanto l' eterno non sarebbe solo la forma della realtà, ma anche il contenuto finale, il godimento dell'eternità divina, un'eternità ipostatizzata, che si costituisce come realtà per sè, mentre nel modello ciclico l'eterno resta presente in modo formale, l'ordine delle successioni di un contenuto che però si identifica con ildivenire, con la molteplicità di enti ciascuno dei quali, preso in se stesso non è eterno, ma diveniente e finito. E questa riduzione all'accezione formale comporta a mio avviso anche un certo depotenziamento valoriale dell'eternità Trovo un pò ambigua l'idea di "comprensione dell'eternità". Cosa si intende per "comprendere" in questo contesto? Se si intende omprendere un concetto come un coglierne il senso generale, definirlo, utilizzandolo per collocarlo in un'analisi, in una discussione come ora stiamo facendo, allora si può dire che l'eternità è comprensibile, o quantomeno ci proviamo a comprenderla. Tuttavia, vivendo nella storia, nella temporalità, non avendo un'esperienza concreta di qualcosa di eterno, questa comprensione resta per noi qualcosa di astratto, generico, intellettualista, ma di non vissuto. Sintentizzando, vivendo nel mondano, l'eternità la possiamo comprenderla ma non viverla. E tuttavia proprio tale scarto tra vita e comprensione può essere vista come la manifestazione della non riducibilità della nostra coscienza intellettale alla contingenza temporale del mondo...

Bel post. Concordo con te che l'anelito sia il più "profondo" dei nostri desideri. Tu però sostieni che noi comprendiamo l'eternità. Non sono d'accordo: l'eternità che aneliamo è una eternità "da vivere" e non un concetto. Motivo per cui secondo me i concetti che ci facciamo di eternità sono tutti insoddisfacenti ma ciò è dovuto al fatto che non parliamo di cose che non possiamo comprendere.

Citazione di: Angelo Cannata il 09 Gennaio 2017, 23:01:29 PM
Citazione di: Apeiron il 09 Gennaio 2017, 22:31:22 PMComunque tu che ne pensi dell'eternità?
Boh, è una parola che non mi dice niente.

Trovo interessante questa tua posizione. In sostanza stai abbracciando un "finitismo" radicale, che per me come ti avevo già detto è nichilismo. Quindi secondo te il nostro desiderio di "trascendere" è un auto-inganno?

Citazione di: paul11 il 09 Gennaio 2017, 23:41:56 PMTrovo che invece quasi tutte le spiritualità abbiano una struttura simile, una sintassi, dove anche le filosofie si differenziano nelle semantiche. Il tempo non è il problema, e nemmeno il divenire e l'eternità, Il tempo è vuoto, ma è l'esistenza che viene permessa dal tempo e la sostanza e le essenze vengono conosciute dall'esperienza. Allora il tempo diventa destino in cui il problema è il senso dell'esistenza nel processo del conoscere, dell'acquisizione delle sostanze. L'eternità più che un tempo è lo "stato" in cui la coscienza che esiste, vale a dire l'autocoscienza diventa coscienza di un "tutto", l'acquisizione della "pienezza" è il culmine del processo esistenza che conosce. A me pare quindi che il conoscere e l'esistere, si relazionano nell'esperienza attraverso il mezzo temporale che permette l'acquisizione. A questo punto il problematico è il significato dell'esistere, (che ci facciamo nel mondo) e se e quale conoscenza permette quell'eterno stato finale, ammesso che ci possa essere, in cui l'esistenza prende coscienza di un sapere assoluto, sempre ammesso che sia possible. E ognuno, più o meno coscientemente o schiavo del tempo, sceglie una sua strada, una sua filosofia, una sua scienza o spiritualità, insomma un suo destino.

Concordo con te che ci sono affinità tra le varie forme di spiriualità e l'affinità è appunto la divisione tra per così dire "le alte e le basse sfere". Ogni religione e ogni spiritualità è trascendenza e d'altronde tutte nascono dal desiderio di "andare oltre...". In sostanza l'uomo dotato di auto-coscienza è il primo a immmaginare qualcosa di "più alto" della sua condizione.
Ma se tutte le forme di spiritualità hanno questa radice esse si differenziano secondo me non solo per la semantica. D'altronde come si può ritenere compatibili per esempio le citate scuole indù Dvaita e Advaita (il fondatore della prima, Madhva, riteneva che i secondi erano "demoni ingannatori"). Tra di esse pratica e dottrina sono troppo diverse per dire che cambia solo il significato. Anzi la (così marcata) differenza tra le varie religioni è uno dei più grandi misteri per me.
#1024
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
10 Gennaio 2017, 12:44:51 PM
Citazione di: Sariputra il 10 Gennaio 2017, 01:03:45 AM@ Apeiron scrive: Però mi fai notare una cosa interessante: "noi siamo il tempo". O forse: la vita è il tempo! Che l'eternità sia il tempo (d'altronde si può parlare di "temporalità del tempo" ? ). Il tempo d'altronde è l'unica cosa a-temporale. Esso crea e distrugge senza nessuna malizia, in modo imparziale. Che la soluzione sia abbandonarsi al tempo? Se noi siamo il tempo e il tempo è (anche) noi, l'eternità del tempo che è l'eternità del divenire è pure la nostra (anche la nostra) eternità. Noi, essendo parte del tempo/divenire, partecipiamo dell'eternità del tempo/divenire. Possiamo definirci un "meccanismo" dell'eternità ? Quando diciamo "noi" però lo usiamo in senso convenzionale, nel senso cioè della verità convenzionale, che non è falsa ma non è nemmeno la verità ultima. Se togliamo quel "noi" in cui ci identifichiamo come esseri sostanziali ( esseri in sé) tutto ciò che ci compone è diverso dal tempo/divenire? Se siamo solo una goccia del fiume che scorre in divenire, non siamo anche noi quel fiume? Forse è perché riteniamo erroneamente che non-siamo una goccia del fiume, ma bensì una cosa in sé, distinta dal fiume del divenire, cha aspiriamo a qualcosa di irrealistico che chiamiamo eternità-del-nostro-essere-un'entità-in sé? La sensazione di essere un'entità in sé è molto profonda, forse la natura stessa della coscienza( e dell'attaccamento). Se dico 'Apeiron è" esprimo con forza una sensazione di essere in sé di Apeiron; se dico invece "Apeiron è giovane" parlo della realtà esistenziale di Apeiron. Maritain scriveva: Così, la primordiale intuizione di essere è l'intuizione della solidità e inesorabilità dell'esistenza...E' un ragionare senza parole, che non può essere espresso in modo articolato senza sacrificare la sua vitale concentrazione. Qui ogni cosa dipende dalla naturale intuizione dell'essere-dall'intuizione di quell'atto di esistere che è l'atto di ogni atto e la perfezione di ogni perfezione..." Questa sensazione però non ci dice niente sull'esistenza. E' semplicemente la diretta e vivida esperienza di vivere prima del sorgere degli attributi della vita stessa; forse prima della spaccatura soggetto-oggetto. Nelle Upanishad abbiamo così la formula: Essenza= pura esistenza=la realtà di una cosa= l'atto di esistere= fondamento divino= substrato universale= Brahman= Essere di esseri. La presa di posizione buddhista nei confronti di questa sensazione intuitiva dell'Essere, ossia dell'essenza, è diametralmente opposta. Invece di glorificarla e di argomentare i suoi significati a livello teologico e soteriologico, il Buddhismo ritiene che tale intuitiva comprensione dell'essere non è altro che una espressione del profondo legame e attaccamento degli uomini. Essa è la vera radice di tutte le sofferenze e di tutte le illusioni umane. La Liberazione ( ossia l'Illuminazione) è il risultato di un annientamento totale di tale innato, radicato attaccamento all'"essenza". Questo è il motivo per cui la Vacuità ( vuoto di essenza) ha un ruolo così importante , decisivo nel pensiero e nella pratica buddhista. L'intuizione primordiale di essere è priva di attributi, però l'attaccamento a questa intuizione proietta su di essa attributi nati dal desiderio: desiderio di durare, desiderio di significato, desiderio di non-essere nel divenire.

Sulla prima parte è un pensiero che ogni tanto viene anche a me. Noi siamo per così dire momenti del tempo e la "beatitudine" è capire questo. Per quanto riguarda il buddhismo: sì il ragionamento che fai è che bisogna abbandonare i concetti perchè sono un attaccamento. Tuttavia io ragiono in modo molto concettuale per riuscire a "comprendere" davvero che non c'è bisogno del sostrato, motivo per cui su certe cose mi trovo più d'accordo con le Upanishads. Per quanto riguarda l'Advaita essa presuppone che il fondamento sia "senza attributi" e sinceramente la trovo molto simile al Buddismo (simile ma non uguale). D'altronde "anatta" e "neti-neti" sono molto simili come procedimenti d'indagine.
Detto questo il buddismo mi sembra troppo "insostanziale" (mi sembra un nichilismo mascherato). L'Advaita mi pare un nichilismo oppure un panteismo così estremo da dimenticarsi della realtà (troppo "acosmistico"...).

Credo invece che noi siamo finiti e che la nostra "anima" sia diversa da Brahman ma continua ad anelare tale realtà. Quello che non capisco è se tale anelito sia una "fregatura" che ci facciamo oppure se in realtà corrisponde alla realtà (se possediamo o no una "componente" eterna).

Citazione di: maral il 10 Gennaio 2017, 11:34:14 AMEcco, la differenza fondamentale tra induismo e buddismo da un lato e Cristianesimo o le altre religioni del Libro credo stia proprio in questo annientamento totale che rappresenta per i primi la suprema gioia. L'annientamento totale coinvolge pure gli dei, anche Brahma (l'essere immenso in cui si realizza il creato e l'illusione), Visnù (la divinità immanente dell'aggregazione, presente in ogni forma esistente) e Shiva (la divinità trascendente della disgregazione) vengono infine annientati. E' qui esattamente l'opposto dell'idea cristiana di un'eternità in cui l'Essere supremo (inteso anche qui in senso trinitario) è eterno e conserva in eterno presso di Sè le anime meritevoli rendendole partecipi della Sua eternità in essere. Questo trattenersi in eterno delle anime individuali, per l'Induismo è al contrario l'essenza stessa della pena e del dolore. E' interessante notare che ad esempio anche la reincarnazione, la trasmigrazione delle anime da una vita all'altra, per l'Occidente assume il significato positivo di un poter in qualche modo ripetere se stessi indefinitamente, mentre per l'Oriente è l'effetto di un karma negativo che potrà risolversi solamente nell'annientamento in cui solo può consistere la vera gioia.

Il punto è che buddhisti e indù (inteso come Advaita o simili) non dicono che la liberazione sia annientamento. Anzi entrambi condannano tale interpretazione della liberazione. Nel cristianesimo il Paradiso è eterno e libero dal dolore. Buddismo e simili negano proprio che il paradiso sia eterno e libero dal dolore proprio perchè o non hanno Dio o non hanno il concetto di Dio come quello cristiano.

P.S. Per la scuola Dvaita Vedanta indù c'è un Dio personale e ci sono Paradiso (eterna pace con Dio) e Inferno (eterna condanna) e anime predestinate. Questo per dire che l'induismo non è una religione ma ogni scuola indù si fa la propria.
#1025
Ho iniziato a leggere il tuo libro Arianna e ti faccio i complimenti, scrivi davvero bene. Questo è dovuto al fatto che in qualche modo sei riuscita ad esprimere bene le tue emozioni a parole, cosa che non tutti riescono a fare. Potresti secondo me pubblicarlo come libro.

Detto questo ho notato che scrivi che la "maledizione" che affligge la famiglia "Parisi" è quella per troppo spesso ci si inganna col desiderio di primeggiare o di rivalsa sulla realtà. Purtroppo questo nasce dalla nostra "chiusura" e dal fatto che gran pochi comprendono cosa davvero siano queste "condizioni" che NON sono malattie. Purtroppo spesso, ahimé troppo spesso, l'etichetta di "malato" fa comodo. D'altronde come ho già detto in altri lidi in questo forum è molto più facile condannare l'altro che tentare di capirlo.
Per la questione dell'età: credo che attorno ai 16-17 anni quando si comincia a "entrare nel mondo" inizino i veri problemi almeno per coloro che come me hanno avuto la fortuna di avere un buona famiglia e non troppo bullismo a scuola (personalmente ero un po' escluso ma non me ne importava molto). Prima di quell'età al massimo avevo una "malinconia filosofica" (d'altronde una volta a circa otto anni mi sono messo a pensare perchè si formano amicizie quando queste un giorno finiranno...). Quindi i problemi degli "autistici" invece sorgono sicuramente in prossimità della maggiore età.

Citazione di: Sariputra il 10 Gennaio 2017, 09:04:32 AMMi chiedo se il problema non risieda principalmente nel fatto che la società umana non concepisce la diversità se non classificandola come malattia. Se tutti ti considerano malato, tu finirai inevitabilmente per convincerti di esserlo! Migliaia di anni fa c'erano molti individui che preferivano vivere da soli dentro una caverna, magari in compagnia di qualche animale, che mischiarsi con gli altri esseri umani. Spesso venivamo stimati come dei santi, delle persone altamente spirituali, o come dei saggi. Oggi si farebbe su di loro una diagnosi differenziata ( Aspeger con sintomi schizoidi, schizoide con vaghi accenni ossessivo compulsivi, nevrotico disadattato, autista ma solo vagamente e con mancanza di segni autistici, ecc. ;D ). Non sarebbe più semplice apprezzare la diversità e permettere che , per chi la vive, non si trasformi in una malattia e in una fonte di sofferenza? Tra l'altro, come testimonia Arianna, oltre all'evanescenza della diagnosi psichiatrica, non si dispone di cure efficaci ( come praticamente per il 99% di questi disturbi o vere malattie) per risolvere la situazione. Mi viene in mente che , un tempo non molto lontano, per far vincere la timidezza ai giovani maschi li si buttava, a viva forza ;D, tra le braccia di qualche "signorina" che , in questi casi, esercitava la funzione del psicologo. I risultati erano rapidi ed evidenti... 8) Oggigiorno li si porta da qualche psicologo con risultati nulli o quasi e spendendo cifre impossibili... C'è qualcosa che non mi torna... ???

Concordo con tutto quello che hai scritto. D'altronde non sono d'accordo nemmeno io con il dichiarare che quelle condizioni siano "malattie", ma diversità. Il problema è che la diversità causa problemi di adattamento alla società e l' "uomo tipico" secondo troppe persone è l'uomo di successo. Questo crea il meccanismo perverso secondo cui  prima si definisce il successo e poi le persone devono adattarsi ad esso e non il contrario. Ad esempio io in educazione fisica ero un disastro e anche se la cosa può sembrare scema vedere che ero scarso proprio dove tutti davano importanza mi "feriva". Sommaci tutte queste piccole cose e il "diverso" diventa malato. Quello che non si capisce è che sppunto ognuno di noi è unico e quindi si dovrebbe prima di tutto conoscere se stessi per poter dare il proprio contributo. Ma chiaramente ciò non è ben in accordo con una società che si fonda sull'ideale "neurotipico" (ossia in salute, sempre gioioso, che si diletta in compagnia, che parla e scrive in modo "normale"...).

P.S. Non mi sono iscritto a quei forum per mancanza di tempo (ma li seguo volentieri e spesso mi ritrovo in quello che scrivono). Consiglio gli utenti di questo forum a dare una letta a quei forum per farsi un'idea della situazione.
Segnalo (per chi mastica l'inglese) http://autisticsymphony.com/wittgenstein.html dove si cerca di considerare la filosofia di Wittgenstein (specie quella del Tractatus) in chiave psicologica. Wittgenstein è uno dei "sospetti autistici" della storia. Lo è anche Einstein ma in Einstein non vedo evidenti tratti "autistici".
#1026
Ti ringrazio della tua condivisione.

Io stesso ho tratti autistici (non ho diagnosi ma i tratti non posso negarli...) ma non so se siano dovuti all'Asperger o ad altre forme di autismo (ammesso che sia autismo). La cosa peggiore è quella sensazione di essere "fuori posto" che è sempre presente nella relazioni con gli altri. E alla lunga la cosa può avere effetti (troppo) deleteri. Tant'è che negli stati uniti hanno fondato il forum "wrongplanet" e il nome dice tutto. Qui in Italia abbiamo forum come spazioasperger però a mio giudizio l'informazione sulla neurodiversità è ancora troppo poco divulgata.

Detto questo mi spiace che la tua condizione ti abbia fatto passare tutti quei brutti momenti. La filosofia e la spiritualità possono essere un aiuto (ammesso che non diventino una delle classiche ossessioni...) e spero che tu ti possa trovare bene.

Aggiungo che la parte peggiore è proprio la penosa incomprensione che ci si porta sempre dietro. Ossia il non capire se si è apprezzati o no e non riuscire a "leggere" le occasioni e così via. Oltre ai problemi d'ansia che accompagnano il tutto
#1027
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
09 Gennaio 2017, 22:31:22 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Gennaio 2017, 16:23:13 PMHo già dato una mia risposta pochi giorni fa, quando dicevo che la nostra ossessione nei confronti del male si può considerare un problema nato con il modo greco di filosofare, che pretende di procedere per assolutizzazioni, astrazioni, universalizzazioni: http://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/mi-bolle-l'inferno!/msg7393/#msg7393 Mi sembra che la stessa identica cosa si possa dire riguardo all'ossessione nei confronti del tempo: anch'essa si può considerare nient'altro che un problema di mentalità greca che ancora portiamo addosso.

Sì credo che noi siamo stati in effetti condizionati un po' troppo dai greci e ragioniamo troppo in logica aristotelica. Il concetto stesso di divenire è contraddittorio. Io sono e non sono quello di un giorno fa e quello che sono oggi è condizionato da quello che ero (e non ero). Sì concordo con te che la logica aristotelica si applica male alla realtà. La ritengo utile però per definiri i concetti in modo non-ambiguo. Quindi ritengo i concetti di "disgregazione", "creazione" dei momenti temporali come concetti ben definiti che tuttavia non possono cogliere in toto la realtà. Non a caso il problema di chi si affida troppo alla matematica è quello di "cristallizzare" il mondo. Comunque tu che ne pensi dell'eternità?

Citazione di: Sariputra il 09 Gennaio 2017, 16:42:40 PMApeiron, può esserci vita senza tempo? Qualunque cosa abbia vita ha bisogno del tempo per dispiegarsi, giungere a maturazione e poi dissolversi. E' il nostro sentirci separati da questo divenire che causa sofferenza e paura. Sofferenza comune a tutte le forme di vita in questo universo in divenire ( o che appare in divenire...il che non cambia il problema visto che solo di quel divenire facciamo esperienza con i nostri sensi e con il senso interno, definito coscienza). Persino per aver timore della fine, della disgregazione abbiamo bisogno della disgregazione stessa, del tempo. Noi siamo il tempo e il tempo è (anche) noi. Con i nostri sensi e con il pensiero non siamo in grado di percepirlo, ma noi cambiamo attimo dopo attimo. Osservi una vecchia foto e , sbigottito, esclami:" Mio Dio, come sono diventato?" Ti sforzi di ricordare gli attimi vissuti, ma la maggior parte sono già andati, morti e qualche altro lo devi ridipingere per fermarlo, illudendosi che possa, in questo modo, sfuggire almeno lui alla disgregazione. Niente dura, né esteriormente né interiormente. E siccome tutto passa e si disgrega, cosa può sostenere questo se non un grande Vuoto? Proprio perché sono vuote di sostanza propria tutte le cose passano, si trasformano continuamente seguendo la loro natura vuota. Se le cose disponessero di una realtà propria ( di una sostanza intrinseca al loro esserci) come potrebbero cambiare restando se stesse? Sarebbe contradditorio in termini. Anche postulando un sé mutevole, per aggirare la contraddizione, creeremmo un'ulteriore contraddizione. Come può una cosa che è se stessa mutare in un'altra? Poiché tutte le cose sono vuote nel loro proprio essere, possono tutte esistere. Se possedessero un proprio essere, nessuna di esse esisterebbe. A tutta prima tutto ciò suona assurdo, però... Parmenide non poteva accettare il non-essere; pertanto non poteva accettare il cambiamento. Ma il vuoto non è nulla, non più di quanto lo sia il numero zero. Poiché lo zero non contiene nulla, può denotare qualsiasi cosa. Per es., se diciamo che un uomo vale sei cifre, non ci impegniamo a definire esattamente il suo conto in banca. La somma di sei cifre, rappresentata da sei zeri, è assai flessibile, estremamente non-essere ( non-svabhava si direbbe nella filosofia buddhista...), così che qualunque numero esatto può essere ad esse sostituito( Come 753.128 Euro per es.). Poichè zero è non-essere, ha enormi possibilità; può diventare ( ovvero funzionare) come un qualsiasi essere. Allo stesso modo, poiché tutte le cose sono prive di sostanza autonoma ( Io-autonomo) , sono dinamiche e piene di possibilità di cambiare, di divenire per l'appunto. La vacuità di sostanza intrinseca, pertanto, non distrugge o demolisce la realtà delle cose; al contrario, a mio parere, è il fattore che rende stabili tutte le cose. L'unica cosa che distrugge, nella sua comprensione, sono i desideri e gli attaccamenti degli uomini per una vita eterna, per l'illusorio concetto di eternità nato dal considerare le cose, come giustamente scrivi, fisse e dotate di una propria esistenza intrinseca. I due modi di pensare: Il modo svabhava ( essere) Il modo Nihsvabhava ( non-essere , vacuità) ___________________________________________________________________________________________________________________________ Indipendente Interdipendente unitario strutturale entità-sostanza eventi e azioni statico dinamico fisso fluido limitato libero definitamente restrittivo infinite possibilità costrizione e attaccamento liberazione e distacco essere non-essere medesimezza sicceità (da Garma C.C. Chang-filosofia Hwa yen) Il primo è l'approccio "Aristotelico", il secondo trova qualcosa di simile in occidente nella semantica generale di Korzybski. Ma , vuoto o non vuoto di esistenza intrinseca, alla sera, Apeiron, il cuore "muore d'amore" :'( ...

Il buddismo come tu ben dici è unico. Nessuna cosa è veramente reale e da qui ne segue appunto che la trasformazione è possibile proprio perchè nulla ha una vera sostanza. L'anatta non è contraddittoria come dottrina appunto perchènon assume che ci siano sostanze nel mondo ma nega proprio questo assioma. Siccome l'esistenza condizionata è dolorosa (perchè appunto soggetta alla disgregazione) si ricerca la liberazione. E qui però lo stesso Nirvana pur essendo "non nato, al di là del cambiamento" non è un atman (per ragioni a me oscure  ;D ).
Però mi fai notare una cosa interessante: "noi siamo il tempo".  O forse: la vita è il tempo! Che l'eternità sia il tempo (d'altronde si può parlare di "temporalità del tempo" ? ;D ). Il tempo d'altronde è l'unica cosa a-temporale. Esso crea e distrugge senza nessuna malizia, in modo imparziale. Che la soluzione sia abbandonarsi al tempo?

Citazione di: maral il 09 Gennaio 2017, 21:58:49 PM
Citazione di: Apeiron il 09 Gennaio 2017, 14:23:37 PMForse l'impulso "basico" che ci spinge più di ogni altro a ricercare le risposte esistenziali è quello di fuggire dalla morte. Non c'è davvero nessuna filosofia o religione "seria" che guarda positivamente alla morte e al cambiamento...
Non è propriamente così. Ad esempio tra le maggiori religioni vi è l'Induismo per il quale la potenza divorante e disgregante del tempo che agisce a livello cosmico è ciò che permette la liberazione dal sogno doloroso dell'esistenza e dal karma delle reincarnazioni per pervenire a quello stato di profonda beatitudine che è proprio del sonno profondo, dato dalla originaria imperturbata non esistenza. La Potenza del Tempo è la legge dell'esistenza ove tutto divora e viene divorato, è rappresentata da una dea di aspetto terribile, Kali, che danza su Shiva dormiente e la sua raffigurazione più paurosa è Tara, la Stella (Potenza della Fame e Notte della collera) che danza calpestando un cadavere, ma esse sono terrificanti solo dal punto di vista del sogno dell'esistente che rimane attaccato al desiderio e quindi all'io. Paradossalmente, entrambe, nella loro danza terrificante, compiono, tra gli altri, il gesto che allontana la paura e sono venerate nel loro aspetto benefico che porta alla gioia suprema della non esistenza. Anche nel buddismo che nasce dall'induismo credo ci sia la stessa concezione liberatoria e gioiosa della non esistenza (e qui Sariputra potrà illuminarci in merito), è l'Occidente che resta dalle sue origini attaccato alla concezione centrale di un Io a cui la divinità onnipotente garantisce eterna esistenza personale. In ambito filosofico, oltre alla posizione esistenzialista e piuttosto anomala di Cioran, nel '900 si è sviluppata una corrente di pensiero che, in termini ben più teoretici, pone l'assoluto nella potenza trasformativa di un continuo Divenire anziché nel permanere dell'Essere e nega qualsiasi realtà ontologica sia all'oggetto che al soggetto, tenendo solo la relazione in sé. E' una corrente che fa capo a Bergson, Whitehead, Simondon (di cui mi pare di ricordare abbiamo precedentemente parlato) e attualmente in Italia è rappresentata soprattutto da Rocco Ronchi (in questo video e nel successivo per chi volesse approfondire: https://www.youtube.com/watch?v=r1ZyZBT9mfM&t=2s)

In verità noto anche io una ambivalenza sul tempo nelle religioni dell'induismo (la quale non è una propriamente una religione visto che non si basa su una dottrina e infatti gli indù possono ad esempio essere atei, panteisti, teisti...) e del buddismo quasi che il tempo sia un "male" solo per chi non è "illuminato". Tuttavia anche per il cristianesimo le cose temporali "sono di questo mondo" (e il suo principe è proprio lui...) e la morte è "il nemico" eppure con la prospettiva della vita eterna la morte cessa di essere un nemico. In entrambi i casi quindi in sostanza la morte e la temporalità sono "nemici" per chi non è "illuminato" e "non sono più nemici" per chi è risvegliato.  Forse perchè chi ha una prospettiva eterna vede l'eternità anche nel tempo? In ogni caso l'"inganno" è sempre lo stesso: trattiamo le cose non-eterne come eterne.

E la soluzione qual è?  Forse come dicono i processualisti è abbandonare la sostanzialità e abbracciare l'unica cosa eterna ossia il tempo, il divenire. Il vivere un tempo di durata infinita? Chiaramente noi aneliamo all'eterno ma secondo me l'oggetto del nostro anelito è "oltre la nostra comprensione" visto che ogni "eternità" che ci immaginiamo alla fine non ci soddisfa (o ci sentiamo prigionieri o "congelati" o "inesistenti"...)
#1028
Tematiche Spirituali / Re:ESTASI
09 Gennaio 2017, 14:33:02 PM
In generale l'estasi a mio giudizio è una sorta di "resa" dell'io. L'io per sua natura è dinamico e inserito nella temporalità. Tuttavia per questa sua natura tende a voler rimanere in essa illudendosi che tale natura sia la "vita". L'estasi avviene quando per così dire si "esce dal tempo" e lo si "congela". Ma tale congelamento di certo non è davvero una fine del tempo fisico bensì è la fine del nostro attaccamento ad esso. Motivo per cui l'estasi è la resa sul mondo, la completa sottomissione a tutto ciò che avviene e tale sottomissione si manifesta nel "blocco dell'io". E questa resa in realtà si manifesta con un senso di pace in quanto ci rendiamo indipendenti da ciò che accade. Chiaramente serve la pratica perchè dobbiamo imporre a noi stessi un comportamento "contro le nostre tendenze" e senza la pratica non potremo mai raggiungerlo.


In sostanza per apprezzare la nostra esistenza dobbiamo per così dire "combattere per arrenderci".
#1029
Tematiche Filosofiche / Tempo ed eternità
09 Gennaio 2017, 14:23:37 PM
Forse l'impulso "basico" che ci spinge più di ogni altro a ricercare le risposte esistenziali è quello di fuggire dalla morte. Non c'è davvero nessuna filosofia o religione "seria" che guarda positivamente alla morte e al cambiamento. Perchè? Semplice: tutti gli esseri viventi mirano alla conservazione del proprio essere e purtroppo ben sappiamo che questo nostro desiderio non potrà venire soddisfatto. Il problema è che mentre per gli animali tutto ciò avviene nella loro inconsapevolezza (o almeno credo...) nell'uomo che è dotato di auto-coscienza la cosa è molto più penosa. Ognuno di noi è infatti una sorta di "microcosmo", tuttavia è un microcosmo transiente. Prima o poi quello che avverrà è che si disgregherà. Ma a ben guardare la disgregazione e la morte sono ben connaturate al tempo, o meglio al suo cosiddetto "scorrere". Ogni momento che passa in sostanza non è altro che: una morte del passato e una nascita effimera di un nuovo istante il quale soccomberà a sua volta. Capito ciò ci rendiamo conto per cosa nasce questo nostro anelito alla ricerca del permanente e dell'eterno. Questa incostanza della vita è dunque la natura del tempo, è la natura di questo nostro mondo. E per la nostra conformazione quello che facciamo è cercare un attaccamento: ma questo attaccamento lo dirigiamo continuamente alle "cose incostanti di questo mondo". E dunque continuiamo ad etichettare con termini "mio", "me stesso" e così via cose che sono destinate a "disgregarsi". Nelle forme più estreme si arriva a schiavizzare l'altro essere umano a noi e da qui notiamo come ogni religione seria ci consiglia di "lasciar andare".

Dunque se la morte, la disgregazione ci spaventano lo fanno per la loro irreversibilità. Eppure se questo mondo fosse ciclico e quindi noi fossimo "eterni" il tutto ci apparirebbe come una prigione. Allo stesso modo ci appare problematica vita di durata infinita come quella che svolgiamo qua una prigione perchè sicuramente ad un certo punto ci sentiremmo intrappolati. Tutto questo "preambolo" per dire che a mio giudizio noi non abbiamo idea di cosa questa "eternità" che aneliamo dovrebbe essere. Atemporalità? Ma allora saremmo come dire "congelati". Durata infinita della vita? SI rivela essere una prigione! Eterno ciclo? Altra prigione. D'altro canto la nostra vita finita è "dukkha": il tempo, il suo continuo scorrere è una tragedia proprio perchè come ho già detto "flusso del tempo=continua morte". Dunque secondo voi cos'è l'eternità? E la desiderate?

Una qualsiasi vita eterna secondo me deve essere una vita in cui non c'è passaggio nel tempo ma a differenza dell'atemporalità in qualche modo quel "congelamento" deve essere qualcosa di piacevole. Secondo me il tempo è il segno dell'imperfezione della nostra esistenza, della sua non completa realtà, il tempo è una sorta di "caduta". Per questo motivo la natura temporale è di per sé insoddisfacente. Secondo voi c'è qualcuno che davvero non desidera l'eternità? Ma questa eternità noi non possiamo comprenderla e per questo motivo ogni nostra concezione di eternità ci spaventa e questa paura per così dire è una "tentazione" di questa nostra esistenza, un ostacolo alla ricerca della perfezione.
#1030
Tematiche Spirituali / Re:Mi bolle l'inferno!
06 Gennaio 2017, 19:29:03 PM
Con @davidintro concordo che ultimamente si è ipocriti nel dire che la felicità è "fuori di sé" e da qui è nata in sostanza una falsa moralità nella quale si fa del bene "perchè lo dicono gli altri". La "vera" moralità dovrebbe essere connaturata nel nostro essere, ossia dovremo capire più noi stessi...

Citazione di: Angelo Cannata il 06 Gennaio 2017, 19:20:04 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Gennaio 2017, 23:46:44 PMsolo una cosa serve: andarsene! Via, via da queste sponde!
Può essere utile far notare che nell'Antico Testamento il male, sofferenza, la morte, non vengono percepiti con la stessa tragicità del Nuovo. Ovviamente ciò non significa che l'AT sia indifferente alla sofferenza, ma si può individuare una differenza abbastanza precisa: a partire dai testi più tardivi dell'AT, come Giobbe, Qoelet, e poi continuando col NT, si fa strada una coltivazione della tragicità del male e della morte anche nei momenti in cui si sta bene. Nell'AT si dice di qualche patriarca che morì "vecchio e sazio di giorni"; un'espressione così soddisfatta non è più concepibile nel NT. Cos'è avvenuto? È successo che con l'ultimo periodo dell'AT si è fatta strada la mentalità riflessiva tipica della Grecia e quindi della filosofia. Ciò significa che spesso ciò che trattiamo come problema del male è in realtà crisi del pensare riflessivo, universalista, astratto, il quale rimane frustrato nello sbattere il muso contro il fatto di non potersi impossessare della comprensione del mondo. Prendere coscienza di questo, ovviamente, non offre nessuna spiegazione del problema del male, ma mette in guardia sul fatto che, per lo meno, sono da sottoporre a critica i metodi mentali con cui lo affrontiamo. Altri metodi mentali non risolvono il problema del male, ma almeno evitano alla mente di torcersi in continuazione su se stessa, a vuoto, sprecando inutilmente il tempo della nostra esistenza. Si potrebbe dire che il problema del male non può essere risolto, però può essere vissuto in maniere alternative che favoriscono un crescere, una spiritualità che progredisce, che si presenta come metodo migliore rispetto all'affrontarlo a forza di interrogativi universalissimi, radicalissimi, destinati a rimanere inutili e senza risposta. Potremmo sospettare un legame con questo discorso nella differenza tra san Francesco e Gesù: credo che se Gesù si fosse trovato davanti a san Francesco nel momento in cui quest'ultimo diceva "sorella morte", gli avrebbe dato qualche calcio nel sedere: nella mentalità di Gesù la morte è il nemico numero uno, lui si è ritenuto mandato nel mondo proprio per sconfiggerla e in questa mentalità è impensabile l'appellativo "sorella". Ora, pensare Gesù nel contesto mentale dell'ellenismo è facile, perché è proprio questa la situazione; più difficile collegare la mentalità di san Francesco all'AT, visto che avrebbero in comune una visione non tragica del male e della morte; ma forse qualche collegamento si potrebbe ravvisare, per esempio in un procedere che in entrambi va per descrizioni, racconti e non per riflessioni astratte, più tipiche invece in Gesù e nell'ellenismo.

Concordo con te sulla differenza tra le visioni sul male e sulla morte. In Gesù vedo anche io che sofferenza, peccato e morte erano i nemici mentre nel medioevo si era fatta strada l'idea del "dolorismo" nella quale si crede che Dio ci voglia veder soffrire. Nel caso di san Francesco la sua espressione credo che sia più che altro dovuta ad una sua idea di relativizzare l'evento "morte" visto che con la prospettiva dell'aldilà la morte era una sorta di "liberazione". Insomma per san Francesco Gesù ha trasformato la morte dal nemico numero uno ad un passaggio naturale da una vita di tribolazione ad una di gioia, cosa ben diversa dal dolorismo. In sostanza Gesù morendo in quel modo ha dunque "vinto la morte".
#1031
Percorsi ed Esperienze / Re:Prigioniera
06 Gennaio 2017, 19:17:31 PM
Allora è giusto dare consigli e io all'inizio ho provato a darne. Però a mio giudizio è giusto darne solo quando non c'è di meglio. E secondo me una persona in carne ed ossa con cui confrontarsi è mille volte meglio che consigli dati in un forum. Chiaro che se proprio non c'è alternativa allora va bene il forum. Però c'è anche da dire che il sottoscritto è un incompetente e da incompetente ha tutti i suoi limiti del mondo nel dare consigli. Inoltre come dice Angelo Cannata troppi consigli possono portare confusione.

Ora che Tuttosbagliato ha preso una decisione spero che risolva i suoi problemi. In caso contrario in amicizia si può discutere di altre soluzioni ma appunto avere un aiuto in carne ed ossa è molto meglio che avere solo aiuti "a distanza".

Rivolgo quindi a Tuttosbagliato i miei più sinceri auguri affinchè possa migliorare la sua situazione!
#1032
Tematiche Spirituali / Re:Mi bolle l'inferno!
06 Gennaio 2017, 19:09:22 PM
Citazione di: Duc in altum! il 06 Gennaio 2017, 17:40:22 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneSe la sofferenza è la punizione allora non si spiega perchè la sofferenza dei bambini ci sia. E non si spiega nemmeno con la "colpa di tutti" perchè a differenza di Gesù (ammesso che abbia scelto il suo destino con il suo libero arbitrio) i bambini non scelgono di addossarsi la colpa di tutti. Motivo per cui la sofferenza dei bambini non è spiegabile in questi termini.
La sofferenza è una conseguenza generata dall'abuso di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente (vedi Genesi), non una punizione. Il voler far coincidere sofferenza = qualcosa di cattivo hai pur fatto, non è la maniera giusta di affrontare questo mistero, giacché ti condurrebbe a pensare che è sempre Dio ad averla voluta.

Sì ok è giusto quello che dici. Però ad esempio non spiega la sofferenza causata dalla natura e non dall'uomo. Pensa ad un terremoto: qui non c'è questione di "andare oltre con la propria libertà" eppure anche in questo caso la sofferenza c'è. Perchè? Boh, nessuno ha la risposta!
Discorso diverso è il come affrontare la sofferenza, cioè come viverla e qui semmai entra in campo la fede (che a mio giudizio non è semplicemente dire "bah accadono cose spiacevoli ma dopo la morte si risolverà tutto. Quindi faccio opere buone non perchè lo voglia io ma perchè mi impongo di credere in qualcosa così mi salvo" - spero che sia chiaro quello che intendo :) ).
#1033
Tematiche Spirituali / Re:Mi bolle l'inferno!
06 Gennaio 2017, 14:46:12 PM
Capisco quello @Duc che intendi però il ragionamento è il seguente: un bambino piccolo non può essere ritenuto colpevole per le proprie azioni perchè non ne ha consapevolezza. Un adulto sì. Se la sofferenza è la punizione allora non si spiega perchè la sofferenza dei bambini ci sia. E non si spiega nemmeno con la "colpa di tutti" perchè a differenza di Gesù (ammesso che abbia scelto il suo destino con il suo libero arbitrio) i bambini non scelgono di addossarsi la colpa di tutti. Motivo per cui la sofferenza dei bambini non è spiegabile in questi termini. Non dico che sia una prova dell'inesistenza di Dio ma è comunque un enigma sul quale tutti si scontrano. E la mancanza di spiegazione può generare rabbia anche verso Dio. Ma la rabbia come dice Sariputra è una relazione con un altro e a volte può trasmettere sincerità: ci si può arrabbiare con Dio solo se si crede nella sua esistenza (o almeno non si ritiene la sua esistenza impossibile). Un ateo che si arrabbia con Dio non ci può essere.
Sulla questione dei segni non volevo far passare l'idea che li pretendo a tutti i costi tuttavia volevo far vedere che è molto difficile seguire la volontà di qualcuno se questa non viene espressa in segni a noi comprensibili. Tu stesso dici di avere dubbi. Ma il dubbio avviene se la cosa non è per noi evidente, giusto?
Detto questo io capisco Sariputra: la realtà è quella che è. E siccome è quella che è le persone vogliono trascenderla. Come fare? Boh! io sono convinto che la filosofia e anche la spiritualità (e aggiungo la religione!) sono dei lavori su sé stessi e aiutano a "migliorarci". Sì pur avendo tutti i dubbi di questo mondo io mi ritengo "imperfetto", "peccatore", "difettoso" e "corrotto" ecc e cerco di impegnarmi almeno per non aumentare il male che si vede in giro. Tuttavia non pretendo di avere le risposte su tutto e inoltre capisco che questo a volte ci faccia cadere nella tristezza.
E così poi vedendo come è questo mondo mi chiedo:
perchè si continua a fare figli se poi questi sono anch'essi peccatori e dovrano assorbirsi le conseguenze delle colpe proprie e altrui (in questo mondo e nell'eventuale aldilà)? Se questo mondo assomiglia più un inferno che ad un paradiso non avrebbe senso "andarsene"?
Non avrebbe più senso vivere in modo da diminuire il male che c'è in giro e non "portarne altro"? Non credo sinceramente che la maggior parte dei genitori abbia in mente di mettere al mondo il figlio per sacrificarlo per i peccati altrui...

P.S. Credo che i genitori facciano figli affinchè questi trovino la felicità nella vita. In questo caso mi sta bene che si facciano figli. Tuttavia bisognerebbe avere comunque la consapevolezza che la felicità spesso non si trova. Detto questo non ho mai accusato i miei genitori di avermi messo al mondo perchè lo hanno fatto con amore...
#1034
Tematiche Spirituali / Re:Mi bolle l'inferno!
06 Gennaio 2017, 13:11:58 PM
Ebbene Duc tu parli, dicendo che è semplice ecc ecc. Ma facendo così non mi rispondi mai in realtà e non rispondi nemmeno a Sariputra. Se c'è Dio chiaramente è Lui a darmi la grazia e sarà lui a trasformarmi, tuttavia a quanto pare (se si vedono le cose dai loro frutti !) ci vuole anche una volontà e un impegno personali! Altrimenti perchè Dio non si mostra squarciando il cielo e dicendomi a parole quello che vuole da me?

Perchè alla domanda "qual è la ragione per la quale i bambini (anche battezzati!) soffrono?" non da una risposta a parole? Questa domanda era la domanda che tormentava Dostoevskij fino alla fine. Il Papa ammette che non ha una risposta MENTRE tu dici che è tutta colpa dell'egoismo umano. Ah: se vengo morso da un cobra è colpa mia quindi? Il maremoto dell'indonesia del 2006 è colpa dell'egoismo e della disobbedienza? Se lo meritavano? Queste mi sembrano domande che se uno ha l'umiltà dovrebbe dire almeno "non so" come fa il Papa!

Sono d'accordo con Sari: bisogna in qualche modo "andarsene". Come? Boh: spero che mi si riveli la strada (o che io capisca la strada rivelata).
#1035
Tematiche Spirituali / Re:Mi bolle l'inferno!
05 Gennaio 2017, 19:01:55 PM
@Duc,
in effetti sentirsi "corrotti" non è un pensiero egoistico così come non lo è sentirsi malato e cercare una cura. Ti do ragione. Sull'interpretazione del versetto ti do di nuovo ragione e tuttavia come puoi vedere uno non deve avere come obiettivo solo salvare la propria vita e quindi "dare testimonianza" forse non è solo "credo ed evangelizzo per salvarmi" un po' come verrebbe da pensare alla scommessa di Pascal, ma a quanto pare il "dare testimonianza" è altro, una sorta di cambiamento interiore profondo, una "nuova vita"... in breve essere come (o per lo meno sforzarsi al massimo per essere come) lui.  Obbiettivo estremamente difficile se ci pensi ma d'altronde c'è anche scritto "la porta è stretta"!
E tuttavia la stessa frase per i crociati significava "andiamo a combattere gli infedeli per lui cosicchè daremo la vita in suo nome". Ma tale interpretazione è errata se si ha una conoscenza abbastanza buona dell'etica cristiana. Eppure papi hanno indetto le crociate e credo conoscessero la Bibbia e che credessero in Dio. Ergo se ho capito qualcosa è che l'importante non è conoscere o credere come si crede ad esempio al fatto storico. Questo è un credere diverso. Ritengo poi che con Dio e la spiritualità in generale abbiamo approcci diversi e il mio è molto personale...

Tornando a parlare di inferno...

Citazione di: Sariputra il 05 Gennaio 2017, 15:28:32 PMSto scrivendo degli inferi per simboli e visioni oniriche, perché proprio di sogni si tratta, o per meglio dire di incubi. Sono terrori così profondi, che vengono dall'abisso insondabile del tempo, dagli angoli non illuminati dal fuoco delle prime caverne abitate. Sono il terrore di cadere dagli alberi dove ci rifugiavamo per fuggire i predatori notturni. I demoni che popolavano quelle tenebre minacciose erano forse proprio le bestie predatrici che ci cacciavano. L'inferno era quel buio, pieno di suoni misteriosi: i suoni della savana o delle foreste primordiali. I Deva , abitanti del cielo illuminato dalle stelle, erano i nostri protettori. Quando cadevamo in pasto dei demoni però rivelavano anche, a volte, il loro volto mostruoso di asura. Così il bene e il male si fondevano nella Grande Madre che dava la vita e la toglieva. Madre che non era né buona né cattiva, ma sempre feconda di nuovi demoni e di nuovi dei. "Desideroso di vedere Maya, ottenni il favore di una visione: una goccia d'acqua si gonfiò, diventò una fanciulla, poi una donna che partorì un figlio. Appena questo fu nato, la madre lo prese e lo divorò. Parecchi altri bambini nacquero così e furono ugualmente divorati. In tal modo io conobbi Maya." Variante delle due ultime frasi: "E tutto ciò che entrava nella sua bocca svaniva nel vuoto. Essa mi mostrava così che tutto è nulla. E sembrava dire: "Vieni a me, confusione! Vieni a me, illusione! Vieni!" ( Sri Ramakrishna ) "C'è qualcosa o qualcuno che si muove nelle tenebre?" ci chiediamo. A volte pare di sì, altre di no...Ecco sorgere il demone del dubbio. "Vi sono tre categorie di uomini che non possono mai arrivare alla conoscenza spirituale: i disonesti, i troppo meticolosi in materia di pulizia esteriore, e coloro che sono sempre portati a dubitare. (gli esseri posseduti dal demone del dubbio...nota del Sari citatore) Anche provando mille volte non si arriverà mai a raddrizzare la coda di un cane (di un demone, ossia di uno di noi...); così lo spirito di un uomo perverso non si migliora mai". (Sri Ramakrishna) Inferno e Paradiso formano una dualità. Dei e demoni ne formano un'altra. Ciò che si eleva al di sopra di ogni dualità scorge la bocca vorace della Madre...

OK altri demoni: il demone che nei sogni non ti permette di urlare quando un mostro ti insegue e vorresti chiedere aiuto, un demone che non ti permette di uscire ad esplorare e che non ti concede alcuna libertà. Oppure altri inferni: essere imprigionati da qualche parte vedere la luce ma non raggiungerla mai oppure una volta arrivati alla luce essere ritrascinati giù nel buio. Potremo andare avanti all'infinito...