Sui differenti modi di intendere la filosofia, usando immagini dal (defunto) sito projectcartoon.com (che lasciava personalizzare le didascalie), propongo questo poster (cliccarci per ingrandirlo):

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Mostra messaggi MenuCitazione di: Lou il 09 Ottobre 2020, 09:32:01 AMAndrei anche oltre fino ad affermare che tanto la filosofia quanto la scienza (quanto la filosofia della scienza e le scienze filosofiche) si fondano più sui principi (del metodo, del paradigma, etc.) che sui dati, poiché ogni dato è (in)formato dai principi metodologici (e prospettici) di chi se ne occupa. Come si suol dire, la realtà viene fatta a fette a seconda del coltello che si usa, dalla mano che lo stringe e dalla mente che la guida.
una conoscenza può essere fondata sui principi, come nel caso della filosofia. Un tipo di conoscenza razionale.
Citazione di: green demetr il 07 Ottobre 2020, 21:38:39 PMIl «sapere fatto dall'uomo» (episteme) che «funziona nella realtà» non è in contraddizione con un'«ontologia che funziona», ne è anzi il fondamento; per questo affermavo la priorità dell'episteme (su un'ontologia postulata come assolutistica), poiché «è l'episteme, più o meno raffinata, a individuare ciò che c'è, astraendolo dalla realtà indistinta e dinamica» (tutte autocit.). Non è il pixel o qualunque altra identità concettualizzata ad "alterare il mondo" ontologico: essi sono l'unità di misura che usa il soggetto (o il computer) per relazionarsi con il mondo, conoscendo, agendo, e quindi producendo cambiamenti (ovvero, «pixel» e «identità» sono categorie epistemiche che raffigurano la realtà, circoscrivendola, non sono enti ontologici che costituiscono o alterano la realtà).
Tu stesso cioè ammetti che il pixel oggetto alteri il mondo che circonda, ossia quello saputo.
Ma tale conoscenza avviene solo dopo che hai riconosciuto quell'oggetto.
Dunque l'oggetto viene prima del sapere. Naturalmente la conoscenza dell'oggetto stesso è funzionale alla fondazione dell'episteme da cui partire.
Citazione di: Aumkaara il 07 Ottobre 2020, 13:37:07 PMLa mia risposta (lasciando ad Ipazia la sua) è che la dualità più che «compresente» è onnipresente (nella mente-che-legge-il-mondo, non nel mondo), perché l'unita di misura logica fondamentale umana è l'identità concettuale-convenzionale (non ontologica) che quindi pone l'alterità, ovvero almeno un dualismo (se non un pluralismo).
Ogni volta che si crede di aver sfondato (in realtà è solo un'osservazione più precisa e nitida) questa dualità compresente, la si ritrova di nuovo. Come si può quindi stabilire che solo uno di questi due poli è ontologico mentre l'altro solo epistemico, come era appunto stato affermato con sicurezza da Ipazia?
Citazione di: Aumkaara il 07 Ottobre 2020, 13:37:07 PMpur concordando sull'autoreferenziale circolarità fra premesse/risultati(/verifica/correzione), che interpreta il reale almeno quanto lo descrive, osserverei che il sapere è il risultato del metodo, quindi sono strettamente connessi (se parliamo di un sapere immanente e non assoluto) e trovo rischiosa la domanda implicita su «quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati», poiché finché parliamo di «motivo» restiamo ancora dentro la logica, la scienza e le categorie umane (il che non è certo un difetto, ma un vincolo di cui essere consapevoli). Cercando il motivo-causa ci riferiamo ed affidiamo all meccanicismo, al causalismo, etc. per cui tale motivo-causa, anche se trovato e verificato, sarà sempre "antropocentricamente" prospettico, ovvero epistemico, ovvero (@green demetr) non "realmente" ontologico, salvo intendere per ontologia il suddetto sapere fatto dall'uomo e dalle sue categorie per funzionare nella sua realtà, non qualcosa di assoluto.
è solo un'azione valida esclusivamente nel proprio ambito, vera solo grazie alle premesse che poniamo e ai risultati che ci attendiamo. Quale sia il motivo della concordanza tra premesse e risultati, non lo si può stabilire dal metodo usato: è appunto soprattutto un metodo, non soprattutto un sapere.
Citazione di: Aumkaara il 06 Ottobre 2020, 02:30:05 AMcome si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?Se una certa filosofia ci suggerisce che ogni domanda non è mai singola, perché ha un "doppio fondo" che contiene una seconda domanda implicita (una "protodomanda") sulle condizioni di possibilità della riposta, in questo caso nel "doppio fondo" c'è il rapporto fra «spiegare», «regolarità» e «elementi». La scienza, e più in generale la ragione umana, ha una visione meccanicistica e causale della realtà: circoscrive un'identità, un elemento, e ne studia l'interazione con altri, spiegandone la regolarità (se pertinente), tramite il concetto di sistema chiuso, o almeno stabile. Il fulcro implicito del discorso è l'«elemento» inteso come identità (non a caso, primo principio della logica); ontologicamente circoscritta oppure questo è solo il modo (e il solo modo) in cui viene percepita/elaborata dalla nostra ragione?
Citazione di: Eutidemo il 05 Ottobre 2020, 15:36:51 PMNon è il provider, che infatti paghiamo, ad essere un'insidia per il nostro IP (anche perché c'è un contratto in essere), ma quei servizi online che non paghiamo e che sembrano lavorare gratis per noi (e con i quali non c'è un contratto paragonabile a quello con il provider).
Per cui la miglior tutela del nostro indirizzo IP non può in nessun caso nasconderlo al nostro PROVIDER; il quale, se ci fornisce anche la fonia, conosce sia il nostro indirizzo IP sia il nostro connesso numero telefonico.
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AMI koan o la meditazione sono promemoria convenzionali quando se ne parla, non quando li si pratica (come per ogni pratica, il vissuto del praticante è differente dalla narrazione del praticante riguardo suo vissuto; ciò vale anche per un giro in bici o una corsetta). Eviterei il riferimento all'estasi, sia per la sua deformazione culturale in occidente (si rischia di scivolare sul "piano inclinato" verso santità, anima mundi, Spirito Universale e altri non pertinenti dintorni), sia perché più che uno star-fuori (ek-stasi), si tratta semplicemente di uno stare, ovvero essere incentrati nel proprio centro vuoto; dimenticando per un attimo il proprio io ci si può ricordare della vacuità di (s)fondo (quindi senza proiezioni, ascesi o simili, ma, attenzione, nemmeno riducendosi alla vita attiva di un animale puramente istintivo, condizione che il nostro cervello biologico ci pre-clude, aprendo invece lo spazio della suddetta intuizione del vuoto di (s)fondo).
Promemoria convenzionale è pure la tecnica meditativa che usa espedienti come i koan zen per isolarci dal rumore di fondo del samsara e avvicinarci alla condizione estatica della dissoluzione del proprio io nella "chiara luce del vuoto" nirvanico.
Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AMLa scienza, dimensione convenzionale e razionale per eccellenza, più che «istituire un Universo non duale di (s)fondo»(cit.) può, come osservi, postularlo (v. topic), più meta-fisicamente e convenzionalmente di qualunque "sbirciata zen" sul mondo (che è non metafisica, non meta-fisica e non convenzionale).
La scienza fa bene ad istituire un Universo non duale di (s)fondo come referente di tutto ciò, ma è un referente con livelli di postulazione ben superiori a quelli degli enti della prassi quotidiana, tant'è che deve postulare oggetti particolari correlati da formule per agire la sua rappresentazione.
Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 14:33:48 PMSe usciamo dal concetto per andare ancor più "avanti" nell'analisi convenzional-razionale, dove la ragione si solleva dal reale e si fa postulante (come da topic), allora rischiamo di incappare nei miraggi del noumeno, delle idee platoniche, etc., tuttavia, se invece usciamo dai concetti per andare in un'altra direzione, non-convenzionale e, soprattutto, non postulante (v. il rifiuto della razionalizzazione indicato-ma-non-detto dai koan zen, come quello famoso del suono dell'albero che cade con nessuno che lo ascolta, indegnamente parodiato da me), allora abbiamo un "illuminante" antidoto proprio alla postulazione e ai noumeni, sotto forma di esperienza/intuizione della non-dualità di (s)fondo. Prospettiva di cui il (mio) relativismo è appunto un "promemoria convenzionale", e che, importante ribadirlo, va accantonata dietro le quinte quando si tratta di fare la spesa o scrivere su un forum, quindi ancor più quando si fa scienza.
Se usciamo dal concetto non resta che una realtà postulata, subdolamente noumenica: la toppa che è peggio del buco.
Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 11:08:56 AMSe prima non c'era «nessuna»(cit.) realtà, significa che anche la realtà è nata con l'universo antropologico? La realtà non va forse distinta dal concetto-di-realtà, ovvero non hanno due "esistenze" differenti il concetto e il suo referente? Se è così, la domanda resta, riferendosi essa alla realtà, non al concetto-di-realtà.Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 23:35:50 PMNessuna (così completiamo la triade pirandelliana). Nessuna, perchè allora non esisteva il concetto di realtà, nato con l'universo antropologico (En arché en o logos) che la realtà, convenzionalmente, le enumera sulla base dei propri presupposti metafisici, corretti nella misura in cui (Protagora) azzeccano il contesto della loro enumerazione.
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Citazione di: Ipazia il 02 Ottobre 2020, 13:48:48 PMIl dualismo è infatti teorico, ovvero deriva dalla teorizzazione, non dallo sguardo sul/dal vuoto; nel momento in cui vengono teorizzati «samsara» e «nirvana» si parla il linguaggio convenzionale (Nagarjuna), che è quello che appunto «sospende/accantona»(autocit.) il punto di vista dal/del vuoto.
Suppongo siano dualistici anche visti dalla parte degli illuminati quando li teorizzano. Quando li vivono non fanno storia universale
Citazione di: anthonyi il 30 Settembre 2020, 18:05:07 PMPersonalmente non presuppongo che l'empatia sia "positiva", tuttavia mi preme tenerla distinta dal desiderio, proprio perché non è la proiezione di ciò che vorrei in risposta alla situazione dell'altro (se fossi al posto suo), ma è soltanto l'introiezione delle emozioni altrui; quell'«io desidero essere felice, allora desidero la sua felicità»(cit.) non credo sia un meccanismo strettamente empatico, perché più che ricettivo-emotivo è propositivo-desiderante (può essere di certo conseguenza dell'empatia, me non è l'empatia in sé).
con empatia si intende la coscienza di quello che prova l'altro, il provare come tu dici implica che quello che l'altro vive lo viva emotivamente anch'io, per cui in tal caso la sua felicità sarà la mia, e siccome io desidero essere felice, allora desidero la sua felicità.
[...]
Il punto è che se noi definiamo l'empatia già nel senso positivo non abbiamo più un concetto per definirne la componente neutra, cioè quella appunto della semplice presa di coscienza razionale dell'altrui felicità/infelicità senza partecipazione emotiva