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Messaggi - giopap

#106
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
30 Maggio 2020, 18:52:49 PM
giopap:
Nel valutare il 'peso morale' di un'azione prendiamo in considerazione la possibilità che l'individuo che l'ha compiuta poteva fare diversamente e che non era 'fortemente condizionato' a farlo da costrizioni estrinseche rispetto alla sua propria intrinseca volontà.

Apeiron:
Ciao giopap,
scusami se non rispondo nel dettaglio, ma penso che il punto importante sia questo. Probabilmente ti sorprenderà ma con questo concordo  :) tuttavia, il mio sospetto è che in realtà questo 'accordo' è parziale.

Prima però di discutere questo punto, lasciami dire fare un elenco di 'definizioni' (cosa che magari potrà interessare anche ad Iano  :) ):
1) Ho sempre letto che 'determinismo' significa che ad una certa causa o un insieme di concause corrisponde sempre, inevitabilmente ad un certo effetto (questo non significa che la parola sia sempre stata utilizzata con questo significato...). Gli effetti sono perciò completamente inevitabili.
Questo se non erro è ciò che tu chiami 'determinismo forte'.
2) Per 'probabilismo' intendo la posizione per cui gli 'effetti' di una certa causa o un insieme di concause sono in realtà più di uno ma ne viene 'selezionato' uno secondo 'leggi probabilistiche'. Questo se non erro rientra nel 'determinismo debole' nella tua classificazione.

(per evitare equivoci, non sto discutendo che è 'sbagliato' usare la parola 'determinismo' con un significato diverso da quello che tu definisci 'determinismo forte'. Solo che non ho mai incontrato distinzione tra 'determinismo debole' e 'determinismo forte' altrove...)

giopap:
Solo un piccola precisazione: per me questo (il divenire ordinato i senso probabilistico - statistico) può essere inteso ad libitum tanto come determinismo debole quanto come indeterminismo altrettanto debole (Non mi interessa mettere "bandierine deterministiche" il più avanzate possibile sul terreno ontologico, ma solo spiegarmi, farmi capire e intendere, capire gli altri).


Apeiron:
3) non vi è alcuna regolarità.

Ci sono poi posizioni intermedie tra la (1) e la (2) da una parte e la (3) dall'altra. Alcune magari rientrano nel 'determinismo debole', altre no (ad esempio quelle scettiche e magari alcune 'fenomenologiche').

giopap:
La mia tesi é invece che non vi é alcuna posizione intermedia (che sia un' ipotesi) effettivamente sensata, ma solo quella che ritengo l' illusione del "libero arbitrio" come stremo rifugio del desiderio di "sacralizzare" la nostra umanità in realtà completamente desacralizzata dalle scienze naturali in quadrate nell' ottica di una filosofia razionalistica conseguente naturalistica.

E inoltre che quella probabilistica non sia che una mera coesistenza complementare fra aspetti deterministici (le proporzioni fra i casi alternativi) e aspetti indeterministici (i singoli casi) del divenire, e niente di "qualitativamente diverso" (né deterministico né indeterministico bensì qualcosa d' altro; ma invece deterministico e/o indeterministico: "e" per la "coesistenza separata" dei due aspetti, "o" per la netta distinzione - complementarità fra di essi in assenza di un reale "tertium" che non sia mera somma o "giustapposizione": non sintesi).



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Apeiron:
La mia posizione è che sia la (1) che la (2) che la (3) non riescono a 'dare un fondamento', secondo me, in modo diciamo 'completo' (?) alla responsabilità morale.

La (1) perché il determinista (forte) anche se magari direbbe (permettimi di usare le tue parole) "nel valutare il 'peso morale' di un'azione prendiamo in considerazione la possibilità che l'individuo che l'ha compiuta poteva fare diversamente e che non era 'fortemente condizionato' a farlo da costrizioni estrinseche rispetto alla sua propria intrinseca volontà.", sostiene però anche la la sua 'intrinseca volontà' era anch'essa il risultato inevitabile di una o più (con)cause e che inevitabilmente produce una determinata azione.
Come dicevo, però, questo ovviamente non implica che sia 'impossibile' formulare un'etica in una 'visione delle cose' di questo tipo. Spinoza, ad esempio, era un determinista 'forte'. Per esempio, lo stesso vale, 'in pratica', anche per Schopenhauer (dico 'in pratica' perché Schopenhauer era anche un idealista trascendentale...). In ambo i casi c'è una profonda riflessione etica. Lungi da me escluderlo.

giopap:

Perché una scelta di un agente intenzionale possa essere valutata eticamente (come più o meno buona o cattiva) necessariamente bisogna che la sua 'intrinseca volontà' sia anch'essa il risultato inevitabile di una o più (con) cause e che inevitabilmente produce una determinata azione; cause costituite dalle sue qualità morali.

Altrimenti sarebbe solo una scelta casuale, come quella di chi sfamasse il povero non perché moralmente buono, generoso, magnanimo, ma perché casualmente avesse perso il portafoglio pieno di denaro e questo fosse stato trovato dal bisognoso: un' azione eticamente del tutto irrilevante!


Perché non obietti a questo esempio illuminante, che a mio avviso taglia la testa al toro (dimostrandomi che invece non la taglia)?


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Apeiron:
La (2), il probabilismo 'ontologico', secondo me non riesce a dare una completa 'base' per la responsabilità morale perché l'effetto della 'intrinseca volontà' sarebbe probabilistico. Non funziona secondo me anche una combinazione della (1) e della (2) perché o si arriva a dire che l''intriseca volontà' è un risultato probabilistico e che l'azione causata dalla 'volontà intrinseca' è inevitabile (o l'inverso).
La (3) ovviamente è la peggiore in assoluto, in un certo senso. Perché tutti gli eventi in questione sarebbero senza alcuna regolarità.

Il 'libero arbitrio' si distingue da tutte queste tre posizioni. Inoltre, si può anche pensare che non si riduca ad una posizione alternativa, ma che ce ne siano più di una compatibili con il 'libero arbitrio'. Il problema è che sono difficili da formulare.

giopap:

Secondo me non si tratta di difficoltà ma di vera e propria impossibilità logica tout court.
Non é altro che un' illusione, un malinteso.

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Apeiron:
Per esempio, posso pensare che la 'volontà intrinseca' sia essa stessa un effetto inevitabile di processi 'fortemente' deterministici, ma che essa abbia una certa autonomia a 'selezionare' un'azione anziché un'altra. Oppure che essa sia un effetto di processi 'ontologicamente' probabilistici ma che, nuovamente, abbia una certa 'autonomia' nella scelta/selezione dell'azione. Chiaramente, se accettiamo questa 'autonomia' nella scelta dell'azione, ne seguirebbe, secondo me, che una descrizione completa dei movimenti del nostro corpo non possa essere descritta né in modo 'fortemente' deterministico né in modo probabilistico (da qui la 'libera azione', nel senso che l'azione viene selezionata con un certo grado di autonomia da quel 'qualcosa' che la causa, che nel tuo 'gergo' è 'volontà intrinseca', se non ti fraintendo).Una questione interessante che rimane è: si può conciliare questa autonomia con altre posizioni, ammesso che esse ci siano? Forse sì, per esempio un qualche tipo di 'determinismo debole' può aiutare (es: non si negano le regolarità dei processi fisici, ma questi non 'seguono' sempre 'leggi fortemente deterministice' o 'leggi probabilistiche').

giopap:
Un "effetto inevitabile di processi 'fortemente' deterministici, ma che [...] abbia una certa autonomia a 'selezionare' un'azione anziché un'altra" e "un effetto di processi 'ontologicamente' probabilistici ma che, nuovamente, abbia una certa 'autonomia' nella scelta/selezione dell'azione" sono mere contraddizioni, sequenze di caratteri tipografiche senza senso.

Inoltre nessun divenire ordinato, neppure il determinismo debole-indeterminismo debole probabilistico può per definizione, non autocontraddittoriamente, essere compatibile con alcuna forma di "autonomia" di agenti intenzionali che ne violino le leggi ("deterministiche forti a là Laplace" oppure "deterministiche ovverosia indeterministiche deboli ossia probabilistiche" che siano).

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bobmax:
Responsabilità di un evento significa che vi è stata una causa. È la causa la responsabile dell'evento.

Apeiron:
Qui secondo è troppo generico e 'metaforico' l'utilizzo del termine 'responsabilità'.

giopap:
In che senso?

A me apre perfettamente appropriato nel suo significato letterale.

Apeiron:
Dal dizionario online 'Treccani':
Citazioneresponsàbile (ant. risponsàbile) agg. e s. m. e f. [der. del lat. responsum, supino di respondēre «rispondere» (propr. «che può essere chiamato a rispondere di certi atti»), sull'esempio del fr. responsable]. – 1. agg. e s. m. e f. a. Che risponde delle proprie azioni e dei proprî comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze......b. Che risponde personalmente dell'esecuzione dei compiti e delle mansioni affidatigli, dell'andamento del settore di attività cui è preposto......2. agg. Che si comporta in modo riflessivo ed equilibrato, tenendo sempre consapevolmente presenti i pericoli e i danni che i proprî atti o le proprie decisioni potrebbero comportare per sé e per altri, e cercando di evitare ogni comportamento dannoso......

Quindi sembra che l'aggettivo responsabile nella frase riportata di bobmax era 'metaforico'. So benissimo che lo si usa moltissimo. Si dice, per esempio, che "il bacillo di Koch è il batterio responsabile della tubercolosi", nel senso che è la causa della malattia. Tuttavia, (1) da quanto si legge dalla citazione di cui sopra sembra essere una generalizzazione metaforica del significato '1a' e (2) il contesto era la discussione dell'etica/morale. Se ho frainteso, chiedo venia  :)

giopap:
Secondo me le definizioni confermano che chi causa un effetto, se é un agente intenzionale non coartato nella sua volontà (la quale pertanto deterministicamente causa l' effetto) da "cause di forza maggiore" ne é responsabile (in particolare moralmente).
E lo é proprio per il determinismo - non casualismo - non libero arbitrio del suo agire.

Infatti chi per esempio non rispetta la precedenza di un' altro utente della strada causandone la morte, nè é responsabile (anche legalmente).
#107
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
28 Maggio 2020, 09:26:56 AM
giopap:
Se noi agiamo allo stesso modo dei dadi, cioé deterministicamente (in ovvia libertà - assenza di coercizioni estrinseche della nostre scelte), le nostre azioni in una certa percentuale di casi buone oppure cattive dipendentemente dalle nostre tendenze deterministiche ad agire, e il nostro modo di essere fonda senza alcun problema o elemento di incertezza la nostra responsabilità (nei limiti nei quali é fondabile; senza cioé togliere che non essendoci autocreati così come siamo a nostra discrezione, il nostro trovarci ad essere più o meno buoni oppure malvagi non può ovviamente dipendere da noi; ma almeno ciò che facciamo sì).
Non così sarebbe in caso di libero arbitrio, ergo di non determinismo da parte delle nostre intrinseche qualità morali (che allora sarebbero infatti inesorabilmente da radersi con Ockam, in quanto non necessarie a determinare né a spiegare alcunché): in quest' altro caso infatti le nostre azioni non sarebbero ontologicamente causate da (ed eticamente valutabili per) nulla, ma invece incausate, letteralmente aleatorie (mentre i lanci dei dadi sono in realtà deterministici), cioé avverrebbero a casaccio e non per nostra responsabilità (ma casomai per nostra sorte).
[/size]

Apeiron:

il problema, secondo me, di questo ragionamento è che se non si ammette una certa autonomia, la distinzione tra 'cause intrinseche' e 'cause estrinseche' diventa però discutibile. Cosa si intende per 'causa intrinseca'?

Il punto che solleva Paul è fondamentale, secondo me: nel valutare il 'peso morale' di un'azione prendiamo in considerazione la possibilità che l'individuo che l'ha compiuta poteva fare diversamente e che non era 'fortemente condizionato' a farlo. Ovvero che in tali situazioni si assume un 'peso morale' inferiore è proprio il fatto che le azioni erano 'fortemente guidate' in un senso e che quindi per l'individuo che ha agito in un determinato modo non c'era molta possibilità di agire diversamente.


giopap:
Dissento.

Nel valutare il 'peso morale' di un'azione prendiamo in considerazione la possibilità che l'individuo che l'ha compiuta poteva fare diversamente e che non era 'fortemente condizionato' a farlo da costrizioni estrinseche rispetto alla sua propria intrinseca volontà.

Purché quest' ultima sia "strutturata" sulla sua natura di individuo più o meno buono oppure malvagio, purché sia conseguenza reale (e dunque spiegazione, dimostrazione epistemica) delle sue qualità etiche (positive o negative), e non qualcosa di fortuito, di casuale, e dunque eticamente irrilevante.

Se faccio del bene casualmente, per esempio sono ricco sfondato e mi cade involontariamente il portafoglio pieno di soldi su una strada dove poco dopo passa un povero che può prenderlo e così sfamare sé e la sua famiglia non sono affatto (e non dimostro affatto di essere) buono, ma solo fortunato (posso essere considerato tale se sono generoso e magnanimo) oppure sfortunato (se invece sono un gretto e meschino taccagno).

Invece è solo se il mio dono é volontario, deterministicamente causato dalla mia generosità e non indeterminato (==liberoarbitrario = fortuito) che (si dimostra che) il mio comportamento é eticamente buono.


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Apeiron:
Nello scenario determinista, questo non è vero solo nei casi eccezionali in cui il comportamento è fortemente compromesso, ma anche nei casi 'normali' visto che l''apparente' 'libertà' nelle azioni è dovuta solo ad una limitata conoscenza. Se conoscessimo alla perfezione, le azioni nelle circostanze 'normali' sarebbero tanto 'inevitabili' quanto in quelle in cui il comportamente è fortemente 'compromesso' (certo, il modo in cui le azioni sono determinate è diverso ovviamente. Ma non cambia il fatto che sono determinate...).

In breve, il problema è che anche le azioni 'libere' in un mondo deterministico sono in realtà completamente determinate. Quello che cambia ed è importante nel determinismo, da quello che mi sembra di capire, sono le cause che portano inevitabilmente ad esse (ovviamente questa differenza sembra essere alla base dei sistemi etici nelle filosofie deterministiche...).


giopap:
E che problema c' é?

Forse il gesto di San Martino é meno buono o virtuoso per il fatto che chi lo avesse conosciuto bene, sapendolo altruista, avrebbe facilmente previsto il suo comportamento generoso (avrebbe vinto qualsiasi scommessa in proposito)?

Anzi, questo ne avrebbe casomai rinforzato il carattere eticamente positivo, fugando eventuali dubbi su secondi fini (che ne so? Carpire la benevolenza del povero in vista di una candidatura a un' elezione...).

E' proprio il diverso modo (intrinseco, responsabile, oppure estrinseco, coercitivo, non responsabile) del determinismo delle azioni che condiziona o meno la loro significanza etica (inesistente in caso di casualità, come anche in caso di costrizione subita estrinsecamente contro la propria intrinseca volontà; deterministica o meno che sia).

E' proprio per il fatto che le azioni libere da coercizioni estrinseche in un mondo deterministico sono in realtà completamente determinate dalle qualità morali di chi le compie a conferire loro una valenza etica: se non lo fossero sarebbero moralmente insignificanti, né buone né cattive ma casomai fortunate o sfortunate, come quella del "donare" fortuitamente il portafoglio pieno al povero.


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Apeiron:
Non capisco, poi, perché secondo te 'negazione del determinismo' = 'a casaccio'. Nemmeno processi che seguono un andamento probabilistico possono essere definiti avvenimenti 'a casaccio', perché le le regole probabilistiche con cui vengono descritti possono essere ben precise. 'A casaccio' sembra una descrizione della situazione in cui qualcosa avviene senza alcuna regolarità, senza motivo ecc. Non credo che i sostenitori del 'libero arbitrio' in genere affermano una cosa simile...

La 'libera azione' richiede per esempio che ci sia un certo tipo di 'causalità', seppur di natura diversa (e difficilmente formulabile in modo 'rigoroso')...

giopap:
I sostenitori del libero arbitrio si illudono di non affermare che chi agisce non deterministicamente non agisce a casaccio.

Infatti mai nessuno di loro é riuscito a dimostrare (essendo indimostrabile) che fra determinismo e indeterminismo un possibile tertium "liberoarbitrario" esiste.



Mi sembrava che in precedenti tuoi interventi considerassi non dirimente la questione del probabilismo, che a seconda dei gusti può essere considerato tanto un determinismo quanto un indeterminismo "debole".

In realtà esso é puramente e semplicemente indeterminismo dei singoli casi, determinismo delle proporzioni fra i casi complessivi.

A parte il fatto che un probabilismo ontologico (un probabilismo meramente epistemico come quello del lancio di una moneta o di dadi ricadrebbe in realtà nel determinismo "forte") può darsi negli eventi quantistici ma non si direbbe proprio negli eventi neurofisiologici cerebrali che determinano i comportamenti umani, se anche così invece fosse, allora i comportamenti umani stessi sarebbero:

casuali singolarmente (e dunque non considerabili eticamente rilevanti in quanto tali: da un singolo atto di generosità o di grettezza non si potrebbe stabilire se il suo soggetto sia eticamente buono o malvagio):

e deterministici nel complesso (e dunque considerabili eticamente rilevanti in quanto tali: tanto più le azioni complessive di un soggetto sono in prevalenza generose tanto più eticamente buono sarà il soggetto stesso, quanto meno tanto più sarà eticamente malvagio).

Il che, considerato che nessuno é perfetto, né nel bene né nel male, non é poi tanto diverso dal determinismo forte.


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bobmax:
Responsabilità di un evento significa che vi è stata una causa. È la causa la responsabile dell'evento.

Apeiron:
Qui secondo è troppo generico e 'metaforico' l'utilizzo del termine 'responsabilità'.

giopap:
In che senso?

A me apre perfettamente appropriato nel suo significato letterale.
#108
Citazione di: viator il 27 Maggio 2020, 22:25:33 PM
Salve giopap. Ho dovuto rileggere sette od otto volte ciò che hai voluto replicarmi a proposito di egoismo ed altruismo, poi, finalmente, credo di aver capito.Hai ragione tu. Infatti solo un imbecille come me può arrivare a pensare che martiri ed altruisti facciano le loro scelte perchè son quelle dalle quali attendono una qualche soddisfazione del loro egoistico (tu tendi a confondere l'etica (un argomento della filosofia) con la logica (ciò che dovrebbe permeare ogni e qualsiasi pensiero filosofico))............una qualche soddisfazione - dicevo - del loro NATURALMENTE EGOISTICO impulso, sogno, ideale di realizzazione della altrui soddisfazione. Cari saluti.


No, non hai proprio capito (e dopo sette o otto letture inutili all' uopo temo che non capirai mai).


Affermo in realtà che non un imbecille, bensì un egoista decisamente incallito può arrivare a non essere in grado di capire che si può essere felici e appagati anche nell' altruismo, nella generosità (e che si può essere infelici, inappagati anche nella grettezza e meschinità) perché non é in grado di discernere due ben diverse cose quali sono:

a) l' essere appagati, contenti o meno; e

b) il volere (appagati o meno) il bene anche degli altri oppure il volere (appagati o meno) unicamente il proprio anche a scapito degli altri.


I martiri altruisti sono felici (e non affatto egoisti!) perché, come dicevano giustamente gli antichi stoici, "la virtù é premio a se stessa" e loro ricevono il premio della loro generosità e magnanimità, ottengono la soddisfazione (che  tutt' altro che essere egoisti: é invece essere felici) di potere realizzare il loro altruismo.


Mentre gli egoisti che non riescono a soddisfare le loro grette e meschine aspirazioni sulla pelle degli altri, per il fatto di essere inappagati, infelici, non diventano di certo altruisti, ma restano solo dei grettissimi e meschinissimi egoisti, per giunta anche sfigati!


Ripeto, quasi di sicuro inutilmente, per l' ultima volta che:


appagamento, felicità =/= da egoismo (possono coesistere tanto con l' egoismo quanto con l' altruismo, dipende dal fatto che siano appagati o frustrati).


Insoddisfazione, infelicità =/= altruismo (possono coesistere tanto con l' egoismo quanto con l' altruismo, dipende dal fatto che siano frustrati o appagati).


Solo (non un imbecille, ma invece) un incallito, incorreggibile egoista può non capirlo confondendo l' eventuale soddisfazione del suo proprio egoismo con l' appagamento, la soddisfazione la gioia per tutti e per chiunque, non riuscendo ad immaginare che si possa essere appagati, contenti, felici, anche essendo generosi e magnanimi, oltre che, in alternativa, egoisti.
#109
Citazione di: viator il 26 Maggio 2020, 19:14:13 PM
Salve jacopus. Citandoti : "Bisogna sempre preoccuparsi se qualcuno fa qualcosa per il bene di qualcun altro. Ma l'altro estremo è "crepa pure nella RSA perchè la legge regionale ha privatizzato la sanità" oppure "crepa pure sul ponte crollato, perchè il controllo fissato dalla legge ha stabilito la solidità del ponte"".

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Per quanto riguarda la prima osservazione, vedo che a distanza di tempo e di argomento mi dai ragione per quando mi trovai ad affermare che "Tutte le nostre scelte ed atti privilegiano NOSTRE istanze, prima ancora di qualsiasi altra istanza o beneficio altrui.....perciò l'altruismo non esiste !



Invece per quanto mi riguarda non ti do affatto ragione.

Le "istanze proprie di ciascuno" sono per definizione ciò che ciascuno desidera.

E "la soddisfazione di ciò che ciascuno desidera" non é affatto necessariamente (contrariamente a quanto potrebbe credere falsamente chi sia egoista e non riesca ad immaginare desideri e aspirazioni diversi dai propri) la definizione di "egoismo" bensì di "appagamento", o "soddisfazione", o "contentezza", condizione che può dare felicità (e che può darsi, esattamente allo stesso modo, tanto dei più gretti e meschini desideri egoistici quanto dei più generosi e magnanimi desideri altruistici).

Ciò che stabilisce se chi vede le "proprie istanze" appagate o meno (rispettivamente con sua soddisfazione-piacere-felicità oppure con sua insoddisfazione-dolore-infelicità) é un egoista oppure un altruista non é affatto l' appagamento o meno delle stesse, ma bensì il loro contenuto:
Chi desidera il bene (anche) degli altri é altruista indipendentemente dal fatto che i suoi altruistici desideri siano soddisfatti o meno (cioé indipendentemente dal fatto che sia, oltre anche altruista, anche appagato-felice-contento o meno); invece chi desidera il bene proprio anche a scapito di quello altrui é egoista, indipendentemente dal fatto che i suoi egoistici desideri siano soddisfatti o meno (indipendentemente dal fatto che sia, oltre che egoista, anche appagato-felice-contento o meno).

Solo chi sia egoista può (pretendere falsamente di) identificare, confondendoli, appagamento, soddisfazione, contentezza, felicità, ecc. con egoismo, può ritenere che si possa essere felici solo egoisticamente.
#110
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
27 Maggio 2020, 16:22:17 PM
bobmax:
Giopap, ciò che fonda l'Etica è l'Uno in quanto causa sui.
La considerazione che la determinazione è una negazione "deriva" necessariamente da questa premessa.
Non ne è il fondamento!
Chi lo ha mai detto?

giopap:
Nella tua risposta #63 affermi:

"Giopap, non si può tirare in ballo Spinoza, con la determinazione che è una negazione, senza considerare che questa stessa constatazione deriva da ciò che fonda la sua Etica. E ciò che la fonda è Dio. Negazione della negazione!".

Se l' etica é fondata da Dio (erroneamente, attraverso un illogico passaggio dal dover essere all' essere; dopo che Dio stesso era stato a sua volta fondato erroneamente sulla "prova ontologica"). E se Dio é "negazione della negazione" (affermazione che peraltro non mi sembra attribuibile a Spinoza, oltre che essere tutta da dimostrare), allora é la negazione (in particolare della negazione) a fondare l' etica.


Ma a me pare che Spinoza fondi l' etica semplicemente su Dio, attribuendogli indimostratamente, nell' ambito delle infinite "perfezioni", la bontà infinita; dopo aver fondato (erroneamente) l' esistenza di Dio sulla "prova ontologica".



bobmax:
Il fondamento non può essere dimostrato.

La dimostrazione di Spinoza riguarda il mondo.
Premesso Dio, ne segue necessariamente la dimostrazione di cosa sia la Natura.
Appunto, Dio stesso.


giopap:
Ma invece Spinoza, all' inizio dell' Etica, pretende di fondare (dimostrare) Dio:" Proposizione VII, alla natura della sostanza appartiene di esistere", la cui immediatamente successiva Dimostrazione é la celeberrima "prova ontologica".



bobmax:
Ed essendo Dio negazione della negazione, ne segue... che ogni determinazione è negazione!
E poiché ogni negazione è annullata in Dio, unica realtà, ogni determinazione è illusoria.

giopap:
Ripeto che l' affermazione che Dio sarebbe la negazione della negazione (nonché la "conesguenza" che ogni determinazione é una negazione) non ricordo di averla trovata in Spinoza (e mi sembra più hegeliana che spinoziana, pur conoscendo Hegel pochissimo e solo indirettamente, da quel che ne dice Engles).



bobmax:
Invece ci si ferma al concetto logico: "Che bello!".
Senza accorgersi di ciò che lo fonda.
Negazione della negazione, sempre presente, anche se implicita.
Così come in Anselmo o in Cusano.

Ormai l'ho detto in tutte le salse.
Mi fermo qui.

giopap:
L' avrai anche detto in tutte le salse, ma a me non sembra nemmeno "implicita" in Spinoza [/size](e comunque anche in questo caso sarebbe per lo meno discutibile che lo fosse: se é un concetto così importante nell' ambito del suo pensiero perché mai avrebbe dovuto lasciarlo implicito?).
#111
Troppo ben detto, non posso aggiungervi nulla ...purtroppo!

Se non l' osservazione, rivolta a Paul11, che il fatto che l' alienazione colpisca anche i capitalisti, per quanto in modi diversi dai proletari, é perfettamente congruo con le considerazioni marxiane in proposito (se non anche esplicitamente affermato dal vecchio di Treviri; di cui ho letto pochissimo della fase "giovanile" e nulla degli inediti, salvo l' Ideologia Tedesca che però é stata scritta a quattro mani con Engels, che conosco meglio; di qui la mia incertezza in proposito).
#112
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
27 Maggio 2020, 09:16:13 AM
bobmax:
Giopap, non si può tirare in ballo Spinoza, con la determinazione che è una negazione, senza considerare che questa stessa constatazione deriva da ciò che fonda la sua Etica.

E ciò che la fonda è Dio. Negazione della negazione!

giopap:

Ho letto, con grande soddisfazione, l' Etica e non ricordo di avervi trovato la geniale constatazione che "omnis determinatio est negatio", cioé ogni concetto che possiamo pensare (compreso quello di "Dio") non possiamo non pensarlo relativamente ad altri concetti e non affatto "come un assoluto".
E infatti WP mi dice che "Il concetto venne riportato per la prima volta in una lettera di Spinoza a Jarig Jelles del 2 giugno 1674 ("Quia ergo figura non aliud, quam determinatio, et determinatio negatio est" / "Poiché la figura non è altro che la determinazione, e la determinazione è una negazione") e si diffuse ampiamente attraverso le opere di Hegel".

Dunque l' etica d Spinoza non si fonda su questa geniale constatazione, ma invece, come ho affermato e criticato nella risposta #61, sulla cosiddetta "prova ontologica dell' esistenza di Dio".



bobmax:
Per criticare Spinoza non basta non essere d'accordo.
Occorre mostrare dove sbaglia.
Se invece lo si accetta, dove cadrebbe in errore?

giopap:
E infatti l' ho fatto nella risposta #61.



bobmax:
Se però non si accetta il suo postulato iniziale, meglio sarebbe evitare di riferirsi al suo concetto di determinazione che ne deriva.

giopap:
Come ho illustrato qui sopra, l' Etica spinoziana non é demonstrata ordine geometrico a partire dal principio semeiologico che "omnis determinatio est negatio", ma invece a partire dalla scorretta, falsa "prova onotlogica".
E poiché l' acutissimo e più che corretto principio semiologico non deriva dalla scorretta e falsa "prova ontologica", mi ci riferisco convintamente ed entusiaticamente.



bobmax:
Riguardo all'amore, è un dato di fatto che sia impossibile voler amare.

O si ama o non si ama, non dipende da noi.

Ed essendo "l'amor che move il sole e l'altre stelle" ne consegue che l'unica libertà è nello stesso amore.

giopap:
Voler amare é assurdo, ma non volere amare e conseguentemente non amare anziché amare é possibilssimo.
Se é vero il determinismo intrinseco di ciascuno di noi (come credo, senza che sia possibile dimostrarlo), allora soddisfare il desiedrio, l' aspirazione all' amore o meno (cercando di spegnerlo in noi e comuqnue eventualmente "tenendocelo insoddisfatto dentro di noi") dipende da noi, dalle nostre qualità morali.

Per esempio se si é onesti si evita di amare un' altra persona (si "mette a tacere" o comunque si lascia insoddisfatto il proprio amore) anziché raccontarle falsamente di non amare nessun altro (o comunque di non avere più o meno analoghe relazioni sentimentali più o meno sincere con nessun altro) per carpirle falsamente, disonestamente di essere ricambiati contro la sua reale volontà, in quanto non lo farebbe se sapesse la verità (con una violenza che per essere non fisica ma psicologica -un inganno- non é meno immorale e spregevole di un vero e proprio stupro).

Se invece si é disonesti si lascia libero di realizzarsi anche un amore la cui "corrispondenza" sia carpibile e di fatto carpita con quella miserabile violenza (psicologica) che é l' inganno.



bobmax:
Riguardo alla prova ontologica, se ci riferiamo ad Anselmo, questa "prova" non ha a che fare con la logica.
Perché non è una dimostrazione.

Può essere intesa come prova solo nel senso di sperimentare. Quindi provare sulla propria pelle.
Implica il nostro immergerci nella questione, il nostro farne parte integrante.

Perché non vi è qualcosa da dimostrare.

Il Tutto non è un qualcosa!

giopap:
La "prova ontologica" fu proposta per primo da Anselmo e poi ripresa da Cartesio, Spinoza e altri.
Come ho argomentato nella risposta #61, é un giudizio analitico a priori, una deduzione, una dimostrazione "more geometrico" simile a quella di un teorema matematico; inficiata dalla errata pretesa di attribuire alla realtà quale é indipendentemente dal fatto di essere eventualmente anche pensata o meno caratteristiche che sono unicamente di (quel caso particolare di realtà che é, quando si pensa) il pensiero quale é indipendentemente dal fatto di essere eventualmente (ipotesi che sarebbe da dimostrarsi e non dimostrata!) pensiero di qualcosa di reale o meno.
Quindi non ha proprio nulla a che vedere con le prove empiriche, le "prove nel senso di sperimentare".

Che "qualcosa" é concetto diverso da "tutto" é ovvio.
Ma che Dio esista (e conseguentemente tutto ciò che ne deduce Spinoza) é tutto da dimostrare.
#113
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
26 Maggio 2020, 17:20:51 PM
...Che anche ai poveri sprovveduti (per lo meno in proporzione ai grandi geni stessi) é concesso di poter criticare.
#114
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
26 Maggio 2020, 17:15:26 PM
Citazione di: bobmax il 26 Maggio 2020, 10:34:31 AM
Giopap, non si può tirare in ballo Spinoza senza considerare su cosa si fonda la sua Etica.

Solo allora si potrebbe forse afferrare l'assurdità di pretendere una dimostrazione di ciò che permette ogni possibile dimostrazione.

Tra l'altro questa idiosincrasia per il termine Dio è alquanto limitante.

È stata una parola certamente abusata, ma essere ancora fermi ad attributi come onnipotenza ecc... che sono solo fuorvianti, significa non essere dissimili dai credenti meno illuminati.


No, scusa, guarda che in democrazia si può "tirare in ballo" chiunque da parte di chiunque in qualsiasi modo (non offensivo).
Non esiste nessuna autorità costituita che dia a chi le pare e alle condizioni che le pare il diritto di citare, criticare, approvare o disapprovare il pensiero e l' opera di qualunque autore.

Di Spinoza in particolare ho una grande ammirazione per la profondità veramente geniale del pensiero e per la vita dell' uomo e le vicende che ha onestamente, coraggiosamente e degnamente vissuto.
Anche se non ne condivido gran parte delle tesi filosofiche

Infatti la sua etica secondo me pretenderebbe impossibilmente di fondarsi deduttivamente a priori, "more geometrico", su una impossibile deduzione a priori, "more geometrico", della conoscenza ontologica della realtà: il prodotto di due impossibilità, ovvero un' impossibilità al quadrato!

Perché i giudizi analitici a priori possono solo dirci come un costrutto mentale debba essere pensato, sintatticamente articolato, a prescindere dalla realtà eccedente il pensiero stesso, per potere essere un discorso coerente, logicamente corretto e dunque sensato; mentre non possono dirci nulla di che cosa realmente accade o meno.

E infatti il "fondamento strutturale" di tutta la sua costruzione teorica é la cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio; la quale per me costituisce un paralogismo, indebitamente pretendendo di passare dal piano logico, delle "cose pensate", al piano della realtà quale accade anche indipendentemente dal' eventuale fatto che inoltre la si pensi o meno: passaggio indebito, logicamente scorretto, falso dal piano logico al piano ontologico.
Solo e unicamente nell' ambito del piano logico, nell' ambito delle cose reali unicamente in quanto oggetti di pensiero Dio necessariamente deve essere caratterizzato dalla caratteristica di essere reale; solo in quanto "cosa pensata", mero "oggetto o contenuto di pensiero" (e basta: nient' altro).
Ovvero: non si può correttamente, sensatamente pensare Dio se non in quanto esistente nell' ambito del pensiero e non della realtà eccedente il pensiero stesso, se non come realmente esistente in quanto concetto, oggetto di pensiero "e basta"); esattamente allo stesso modo nel quale un triangolo euclideo necessariamente deve essere caratterizzato dall' avere angoli interni la cui somma é uguale a un angolo piatto: necessità vigente soltanto nell' ambito delle cose reali unicamente in quanto pensate e non nell' ambito delle cose che sono realmente esistenti-accadenti indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensate (oggetti di pensiero) o meno. E infatti a voler misurare gli angoli di qualsiasi reale oggetto triangolare piano, per "perfettamente disegnato che sia", mai si otterranno esattamente 180° 00' 00", ma sempre qualcosa di più o qualcosa di meno.

Su questo errore, su questa falsità pretende poi di dedurre il dover essere dall' essere, il bene (e il male) dal reale, cosa altrettanto logicamente scorretta, errata, falsa.

Un' impossibile ed errata dimostrazione "more geometrico" dell' etica su un' ontologia a sua volta (pretesa essere) impossibilmente ed erroneamente dimostrata "more geometrico" sulla logica.

Solo i grandi geni possono compiere errori geniali.
#115
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
26 Maggio 2020, 08:10:27 AM
Citazione di: bobmax il 25 Maggio 2020, 20:50:04 PM

Vi è il male oppure no?

Vi è almeno un evento per il quale si debba affermare: "Questo è male!"?

Se si risponde di no, che il male cioè non esiste, allora probabilmente si è ancora nel paradiso terrestre.
Luogo agognato da chi vorrebbe rinunciare alla propria evoluzione tornando allo stadio animale (desiderio impossibile ben descritto da Nietzsche, filosofo prezioso e da te così poco apprezzato)

Se invece si ammette l'esistenza del male...
Allora questo male se ne sta in quel punto del divenire dove comparve e, se il divenire è una "verità" assoluta, non può in alcun modo essere annullato!
Una volta avvenuto se ne sta iscritto per l'eternità.

E ciò è inaccettabile!
Perché se così davvero fosse, il Bene non sarebbe.
Citazione
Il male esiste in quanto esiste il bene e viceversa: "omnis detreminatio est negatio" (Spinoza).

Nel corso del divenire l' uno é iniziato con l' altro e relativamente all' altro al momento in cui hanno cominciato ad esistere animali considerabili dotati di coscienza, volontà e capacità di scelta (determinata da causalità intrinseca; che se invece é indeterminata di bene e di male non si può sensatamente parlare ma casomai solo di fortuna o sfortuna).


Prima non c' era né l' uno né l' altro, dal momento che l' esistenza dell' uno é condizione dell' esistenza dell' altro e viceversa.

Dunque se si spera che l bene sia eterno, allora anche il male necessariamente deve esserlo.
Altrimenti il bene non é "inaccettabile", ma impossibile non avendo senso se non relativamente alla sua negazione.

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Citazione di: bobmax il 25 Maggio 2020, 20:50:04 PM
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Dio = Bene, è negazione della negazione.
Non ammette la reale esistenza di alcun male.

Ciò che si chiede all'Uno, infatti, è una cosa sola, che il Bene sia.
Il che significa che ogni male non sia davvero reale.

Quindi, il divenire è in sostanza un'illusione.


Queste sono affermazioni assolutamente indimostrate.


Partendo da due premesse indimostrate, l' esistenza di Dio (evidentemente onnipotente in quanto gli si attribuisce l' intenzione di negare il male e l' ottenimento "assoluto" di quanto voluto) e la coincidenza di Dio con il Bene.


Da questi assunti indimostrati (e indimostrabili) si deduce l' impossibilità dell' esistenza del divenire (peraltro ampiamente falsificata empiricamente: il male esiste eccome! (e infatti esiste anche il bene).


Ma  questa pretesa deduzione é falsa anche sul piano puramente logico formale (oltre che come predicato sintetico a posteriori circa la realtà di fatto empiricamente constatabile), dal momento che il divenire potrebbe benissimo esistere anche senza implicare il male: basterebbe con non implicasse nemmeno il bene ma per esempio solo il bello e il brutto, il bianco e il nero, il caldo e il freddo e un' infinità di altre determinazioni reciproche.
E fra l' altro se fosse corretta -per assurdo; ammesso  non concesso- implicherebbe necessariamente anche l' inesistenza del Bene, e dunque di Dio che con il bene si identificherebbe: il concetto di "bene" semplicemente none esisterebbe come tale (non avrebbe alcun senso) se non fosse in relazione oppositiva col concetto di "male" e viceversa.
#116
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
25 Maggio 2020, 17:38:56 PM
X bobmax (innanzitutto; ma ovviamente anche per chiunque sia interessato).

giopap:

Mi risulti più oscuro di come doveva apparire agli antichi Eraclito.
Cerco di criticare, di ciò che affermi, quel poco sul quale mi sembra di comprendere (forse) qualcosa.



bobmax:

Giopap, se il divenire è, se è per davvero... il male, qualunque male, anche il più banale, se ne sta incastonato in quell'istante che fu.

Ed è perciò assoluto!


Assoluto tanto quanto lo stesso divenire.

giopap:
Affermazioni di scarsa comprensibilità, ma soprattutto del tutto infondate, proclamate ma non affatto dimostrate.

Perché mai, se il divenire é per davvero, allora il male dovrebbe starsene proprio incastonato in quell' istante che fu e non da qualche altra parte o magari da nessuna parte?
E quale istante, dei tanti che furono, é "quello" di cui parli?
E perché mai in quell' istante non dovrebbe poterci stare invece il bene, o il bello o il brutto, o nulla, o ...chi più ne ha più ne metta?



bobmax:

Per comprenderlo occorre però iniziare a chiedersi cosa davvero conta in questa nostra vita.
Cosa ha davvero valore?

La risposta può essere una sola: il Bene!

giopap:
Riposta che mi pare puramente e semplicemente tautologica.

Definizione: dicesi "Bene" ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita; ergo il Bene é ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita, ovvero ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita é il Bene!



bobmax:
E allora è necessario cambiare radicalmente la nostra prospettiva. L'etica non è affatto un epifenomeno del mondo fisico. Ma ne è il fondamento!


Se tengo fermo allora che il Bene è, tutto il resto deve necessariamente adeguarvisi.
A costo di ribaltare la nostra visione del mondo.
La realtà che davamo per scontata va in frantumi...

giopap:
Che l' etica non sia affatto un epifenomeno del mondo fisico mi sembra evidente.

Così come altrettanto evidente mi sembra che non ne é affatto il fondamento.
Infatti il modo fisico esisteva benissimo anche prima della comparsa dell' uomo nel corso dell' evoluzione biologica, senza alcun bisogno di fondarsi sull' (infatti allora inesistente) etica.

Al bene (per parte mia conosco solo il "bene" con iniziale minuscola: tutt' altro che la divinità personale positiva in incessante lotta contro il Male del manicheismo) deve necessariamente adeguarsi, per definizione, chi intenda essere eticamente buono (ma il problema sta nel comprendere, di volta in volta, in che cosa concretamente consista il bene cui il buono o virtuoso intende adeguarsi: dirlo così non significa alcunché di concreto, non serve a nulla).

Non comprendo poi la questione del "ribaltamento della visione del mondo" e dell' "andare in frantumi della realtà che davamo per scontata".



bobmax (in un altro intervento con un altra interlocutrice):
Il Bene appare sempre come Nulla.
Un Nulla a cui tendere nella lotta contro il male.

Il movimento che porta dal male al Bene è l'amore.
E l'amore non lascia alcuna libertà, che non sia se stesso.

giopap:
Altre affermazioni sia incomprensibili sia proclamate senza essere punto dimostrate.

Peraltro dissento sulla pretesa che l' l'amore non lasci alcuna libertà, che non sia se stesso (in particolare se si intende perseguire il bene, ovvero agire eticamente).
Come qualsiasi altro sentimento l' amore é relativo, e per perseguire il bene può benissimo (e talora deve) darsi che un determinato caso (sentimento) di amore venga liberamente (da coercizioni estrinseche!) negato, posposto ovvero "sacrificato" a un bene maggiore, come ad esempio potrebbe essere un amore più grande quale é quello per l' umanità intera, o l' onestà, con i quali può benissimo darsi che tale particolare caso (sentimento) di amore non sia compatibile.
#117
Sono pessimisticamente più vicina a Jacopus.
Anche perché ritengo che purtroppo le vere o presunte (comunque limitatissime) "scelte consapevoli del consumatore", "investimenti etici (ossimoro)", presunto "capitale che investe in sostenibilità, in un'ottica non mutata di buon affare" non siano che banali gretatumbetgate mediatiche, cioé pannicelli caldi coi quali si pretenderebbe di curare un tumore maligno, di fatto impedendo cure veramente efficaci ma inevitabilmente dolorosissime: un tumore maligno si cura, e si può sperare ma non essere certi di guarirne, con operazioni chirurgiche mutilanti e chemioterapie debilitanti, faticose, dolorose, e non certo con tisane ed omeopatia!
#118
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
24 Maggio 2020, 21:50:08 PM
Apeiron:

@giopap, il problema che vedo io nella descrizione delle 'qualità' è che esse rappresentano una 'tendenza' ad agire, secondo me.
Facendo una analogia, se ho due dadi 'truccati' in modo che uno cada sul numero N il 95% delle volte e l'altro sul numero M il 95% delle volte, dirò che lo fanno per cause 'interne' ad essi. Ovvero, spiegherò la tendenza di uno o dell'altro postulando una certa 'variabile nascosta', ovvero una caratteristica interna ad essi, che possa spiegare tali comportamenti (ovviamente queste 'caratteristiche' sono diverse nei due casi).

giopap:
E questo é, metaforicamente, il caso del determinismo intrinseco, della negazione del libero arbitrio ovvero indeterminismo (pur nell' imprevedibilità "gnoseologica" dei risultati, il lancio dei dadi, truccati o meno, é un evento senza alcun dubbio ontologicamente deterministico): se sono eticamente buona faccio come il primo dado, deterministicamente agisco bene nel 95% dei casi; se sono cattiva faccio come il secondo dado: agisco male nel 95% dei casi.




Apeiron:
Posso pensare che due persone 'tendono' a comportarsi in modo diverso. Magari una tende a comportarsi in modo più 'virtuoso' mentre un'altra tende a comportarsi più facilmente in modo opposto. Possiamo pensare che queste 'qualità morali' siano in qualche modo analoghe alle 'variabili nascoste' dell'esempio dei dadi. Ovvero possiamo postulare che esse sono dovute a cause 'interne', a caratteristiche interne ecc. D'altra parte, però, queste rimangono pur sempre 'tendenze' (che possono cambiare) e non penso che sia sufficiente basarsi su tali 'tendenze' per 'fondare' la 'responsabilità'.

giopap:
E perché no?
Sono tendenze ben calcolabili (95% N oppure M, 5% tutti gli altri numeri), quantitative; e inoltre deterministicamente causate dal modo di essere (truccati in un certo determinato modo) dei dadi.
E nella misura in cui possono cambiare cambiano con loro (essendo da loro rappresentate tout court: non essendo altro, direi per definizione), cambiano le nostre caratteristiche etiche; inesistenti o comunque irrilevanti in caso di agire non determinato da esse (determinato da altri o indeterminato = liberoarbitrario).

Se noi agiamo allo stesso modo dei dadi, cioé deterministicamente (in ovvia libertà - assenza di coercizioni estrinseche della nostre scelte), le nostre azioni in una certa percentuale di casi buone oppure cattive dipendentemente dalle nostre tendenze deterministiche ad agire, e il nostro modo di essere fonda senza alcun problema o elemento di incertezza la nostra responsabilità (nei limiti nei quali é fondabile; senza cioé togliere che non essendoci autocreati così come siamo a nostra discrezione, il nostro trovarci ad essere più o meno buoni oppure malvagi non può ovviamente dipendere da noi; ma almeno ciò che facciamo sì).
Non così sarebbe in caso di libero arbitrio, ergo di non determinismo da parte delle nostre intrinseche qualità morali (che allora sarebbero infatti inesorabilmente da radersi con Ockam, in quanto non necessarie a determinare né a spiegare alcunché): in quest' altro caso infatti le nostre azioni non sarebbero ontologicamente causate da (ed eticamente valutabili per) nulla, ma invece incausate, letteralmente aleatorie (mentre i lanci dei dadi sono in realtà deterministici), cioé avverrebbero a casaccio e non per nostra responsabilità (ma casomai per nostra sorte).




Apeiron:
Personalmente, infatti, credo che una azione su cui possiamo davvero parlare di 'responsabilità'* non sia qualcosa che date determinate condizioni interne ed esterne sia inevitabile. Credo che comunque serva una qualche 'autonomia'. Autonomia chiaramente limitata, ma che riesce (in parte) anche a far compiere azioni che possano andare (nel bene o nel male) anche contro le 'tendenze' più radicate (magari portando eventualmente ad una modifica anche parziali di tali 'tendenze'...). *Si badi bene che NON voglio affermare che, per esempio, un sistema filosofico deterministico non possa contenere al suo interno determinati aspetti etici (vedi per esempio Spinoza, filosofo secondo me molto profondo... col quale però dissento).

giopap:
Se (o comunque nella misura in cui) un' azione non é inevitabile a causa delle nostre condizioni interne, allora: o la é a causa di condizioni esterne, e allora noi non ne suiamo eticamente responsabili; oppure non la é in assoluto, non ha cause, ovvero é del tutto casuale, fortuita: frutto della fortuna e non di (inesistenti o comunque inefficaci in questo caso) qualità morali.

Che in noi possano esistere ed esistano tendenze comportamentali contraddittorie, delle quali talora possiamo scegliere le une o le altre é un fatto molto importante ma secondo me del tutto irrilevante per la questione: ciò non implica affatto inevitabilmente il libero arbitrio o indeterminismo piuttosto che l' indeterminismo, potendo arsi tanto nell' uno quanto nell' altro caso.
Solo che in caso di indeterminismo il prevalere di tendenze comportamentali più o meno buone su tendenze più o meno malvagie sarebbe determinato dalle nostre caratteristiche etiche, e dunque le dimostrerebbe; invece in caso di indeterminismo - libero arbitrio non sarebbe causato da alcunché bensì casuale, non dimostrando nulle circa eventuali qualità morali.

Anch' io ammiro molto Spinoza e ne dissento.
#119
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
24 Maggio 2020, 21:08:25 PM
Citazione di: bobmax il 24 Maggio 2020, 10:26:15 AM
Giopap, è davvero ardua, ma non impossibile.

Sì tratta infatti di negare il divenire.

E in nome di cosa lo si dovrebbe negare?

A prescindere delle varie considerazioni logico/fisiche che rendono possibile una messa in discussione del divenire, vi è una motivazione fondamentale.

La medesima motivazione che sospinge, seppur confusamente, a una strenua difesa del libero arbitrio.

Caduta la difesa dell'illusione, resta la motivazione originaria.

E questa motivazione è l'Etica!

È proprio l'Etica a richiedere di mettere tutto in discussione.

Quindi non solo il libero arbitrio.

Ma sia ciò che con esso si dissolve: l'io,
e sia ciò che rende il male un assoluto: il divenire.


Comprendo (o credo-spero di comprendere) poco; e ovviamente commento solo questo poco.


Secondo me non é l' etica, ma lo scetticismo metodico razionalistico a mettere in dubbio l' esistenza dell' io come soggetto dell' esperienza cosciente.
Ma si limita a metterlo in dubbio, a rilevarne l' indimostrabilità (però tanto in positivo quanto in negativo: tanto della sua esistenza quanto della sua inesistenza), senza poter giungere nemmeno a negarla (oltre che ad affermarla) con certezza.


Il divenire non vedo come possa dissolversi, nè in che senso possa rendere il male un assoluto (e infatti per me é sempre inevitabilmente un relativo: é relativo al bene: "omnis determinatio est negatio" - Spinoza).
#120
Tematiche Filosofiche / Re:Morale e libero arbitrio
24 Maggio 2020, 09:52:02 AM
bobmax :
Vedi, Giopap, come il determinismo si presti alle più ardite acrobazie attorno al filo immaginato del libero arbitrio?

Sì confonde così (volutamente?) la prevedibilità con la necessità.

Mentre non vi è alcun bisogno che l'evento sia prevedibile, per negare il libero arbitrio, è sufficiente che abbia una causa.

E la necessità è solo questo che richiede: che vi sia una causa.
A prescindere che l'effetto sia determinabile o meno.

giopap:
Fin qui perfettamente d' acocordo!
Ma...




bobmax:
Poiché negare una causa è cosa davvero ardua... meglio restare sul determinismo, che non c'entra nulla!

I sostenitori del libero arbitrio dovrebbero invece, secondo me, investigare le "vere" ragioni del loro sostegno.

E allora, forse, si potrebbe iniziare a supporre che non vi sia in realtà mai alcuna causa!

giopap:
Per me non é solo arduo ma proprio impossibile sia dimostrare il causalismo-determinismo sia dimostrarne la negazione ovvero dimostrare il casualismo-indeterminismo (compreso il caso particolare del libero arbitrio).

Ma dicendo che si potrebbe iniziare a supporre che in realtà non vi sia mai alcuna causa ti orienti (sia pure con molta cautela, fra "supposizioni" e "forse", modo "arduo", e non proprio impossibile, di affermare o negare) in senso opposto alla tua precedente affermazione che negare una causa é cosa davvero ardua.