Citazione di: Visechi il 19 Dicembre 2024, 22:14:16 PML'accoglienza, a causa dell'abnormità del fenomeno, non è più una scelta, ma si è ormai imposta in termini di necessità ineludibile; l'alternativa sarebbe attuare i respingimenti alla frontiera, perché nel momento che questi disgraziati mettono piede sul territorio nazionale, nasce e si presenta il problema della loro gestione, e che sia la più umanitaria possibile. I respingimenti alla frontiera risultano essere alquanto problematici, poiché per oltre due terzi, la frontiera nazionale è costituita dal mare... Nostrum. Ora, ipotizzare dei respingimenti su quel fronte è un'opzione la cui realizzazione si mostra da subito improba poiché assume infatti il significato di procedere ad un loro abbandono alle amorevoli cure del mare, senza troppi sofismi o ipocrisie. Oppure, si renderebbe necessario un presidio armato delle acque territoriali (questo è l'unico vero significato della blindatura delle frontiere) con autorizzazione all'uso della forza nei casi in cui si tenti di forzare il blocco, cioè con facoltà di sparare. Chi ci governa dovrebbe avere il coraggio di sostenerlo apertis verbis, evitandoci inutili, ipocriti e stucchevoli giri di parole. Chi si propone il blocco navale deve finalmente sostenere, senza un ma o un se, che la difesa delle italiane genti esige un sacrificio etico a vantaggio del plotone d'esecuzione. Per attuare una cosa simile è anche necessario assumersi la responsabilità della scelta ed oggi non riesco ad immaginare alcun politico europeo in grado di sbandierare la gioiosa croce uncinata indossando la graziosa maschera con i baffetti. C'è bisogno di un Hitler, come minimo, per impedire l'assalto di pericolose orde moresche alle nostre coste. Ecco perché questa opzione non può essere contemplata, non perché tecnicamente impossibile, ma perché eticamente improponibile.Dunque, diciamo per prima cosa che un blocco navale sarebbe, tecnicamente parlando, possibile, altro che marina scalcagnata e povera, gli ingressi per mare si concentrano in aree ristrette delle nostre coste, mica in tutte le migliaia di chilometri che abbiamo. Detto ciò e senza che io lo auspichi, una trentina d'anni fa un tipo molto simile di blocco navale fu applicato dal governo Prodi per arginare la migrazione massiccia e improvvisa di albanesi, dopo il collasso economico di quel paese. Ci furono anche dei morti, ovviamente delle critiche, ma nessuno scomodò Adolfo il baffetto, alla fine fu da tutti archiviata come una ragion di Stato. Ma dei blocchi navali è anche assurdo parlare, quando, come tu stesso hai detto, per mare arrivano percentuali di migranti molto inferiori a quelli che entrano per via di terra. Se, putacaso, decidessimo di mettere i reticolati ai confini da cui si entra illegalmente (cioè non essendo cittadini europei e senza documenti), saremmo molto più criticabili di molti nostri vicini e compagni di merende in Europa? Parliamoci chiaro: se qualche governante, italiano o straniero, volesse arrestare il flusso lo potrebbe fare comodamente e c'è chi già lo fa. Con le critiche inevitabili del caso, ovviamente, ma nel pieno rispetto delle sue prerogative. Sarebbe sicuramente difficile nel tempo, ma la storia insegna che i flussi migratori non sono come gli spostamenti di una mandria e se non si riesce a entrare da una parte, si va a cercare un passaggio più facile. Tutto ciò solo per dire, senza auspicarlo, che se si volesse veramente, un freno, rudimentale e di poco respiro, ma pur sempre un freno sarebbe possibile. Per me è evidente che, destra o sinistra, i reticolati e i blocchi navali, da noi non li vuole nessuno.
Capisco bene il discorso economico che imporrebbe, a parer tuo (mi sembra di capire), lo smantellamento del complesso sistema dell'accoglienza, ma su questo fronte è necessario chiarire alcuni aspetti troppo spesso passati sottotraccia, se non del tutto sottaciuti dal mondo dell'informazione e ancor più da certa politica nostrana. In primo luogo, che approcciare il tema dell'immigrazione in termini economicistici espone il suo sostenitore al rischio di essere mosso da latenti motivazioni razziste.
Detto questo, suppongo che tu abbia notato come in questi anni il dibattito intorno al tema del costo dell'immigrazione è completamente sparito dai radar. Non c'è più convenienza a sostenere tesi e prese di posizione facendo leva sull'aspetto economico. Ciò è dovuto al fatto che è ormai acclarato e testimoniato dai numeri che l'immigrazione crea ricchezza per l'intero sistema Paese. Non solo, ma anche, in termini di gettito fiscale e contributivo, ma ancor più in campo demografico. Oggi il mondo dell'imprenditoria preme perché siano ampliati i numeri degli immigrati da poter inserire nel mondo del lavoro (ovvio che questa richiesta sia anche sostenuta dalla non troppo larvata tentazione di contrarre progressivamente il costo del lavoro). I saldi contributivi sono sensibilmente positivi per le casse dell'Inps, così pure, anche se in misurare minore, quelli erariali. Quindi il mito dell'immigrato sostenuto economicamente dalle nostre finanze si è rivelato un falso utilizzato proditoriamente sempre da una certa pessima classe politica ed utile per imbastirci intorno una campagna elettorale la cui leva sia la paura. Neppure far leva sul naturale bisogno di sicurezza dei cittadini, risulta essere vantaggioso come alcuni anni orsono: i reati sono in costante calo. L'Italia è oggi uno dei Paesi del mondo occidentale dove i grandi crimini (con esclusione della criminalità organizzata) sono i più bassi in assoluto. Restano i reati definiti di prossimità: piccoli furti, scippi ed in genere reati legati al mondo della droga e dello spaccio. Ma è proprio la marginalizzazione dell'immigrato che fornisce mano d'opera alla criminalità. Una sconsiderata legge ha destituito il migrante dal posto che ha sempre occupato nell'immaginario collettivo, andando a collocarlo, ipso facto, per il solo fatto di essere tale, nella categoria dei paria. Se il linguaggio è formativo e contribuisce a creare un universo sociale, va da sé che definire il migrante con l'appellativo affatto gradevole di "clandestino" lo espropria della sua intrinseca carica umana sufficientemente a smuovere emozioni nel prossimo, non necessariamente compassionevoli, ma quantomeno umanitarie, poiché nel migrante un tempo si intravedeva il suo carico di umana sofferenza e divina speranza. Oggi è invece un paria. Con una sola subdola attribuzione fonematica, si è riusciti a sradicarlo dal consesso degli umani, attribuendogli uno status giuridico, sociale ed etnico che si riverbera sul piano relazionale e psicologico. Si diventa così paria perché in paria li abbiamo voluti trasformare.
Certo, è fuori dubbio che il fenomeno sia gestito male, pessimamente, incongruentemente. Perciò affermo e sostengo che, fallite o non proponibili le velleità di bloccarne il flusso, atteso che tutti gli studi indicano una prossima sua recrudescenza, non ci resta che smettere di subirlo, sia come fenomeno che come conseguenze, per iniziare a governarlo veramente, essendo comunque ben consci che non esiste la perfezione e che la perfezione impedisce il possibile.
Non mi dilungo oltre... troppo avrei da scrivere, ma vorrei sinceramente che questi pochi e brevi concetti siano utili per promuovere una riflessione.
Sull' approccio economico, non capisco perchè esporrebbe al rischio di essere considerati razzisti. A meno che tu non parli di razze economiche, che comunque è un concetto che mi suonerebbe nuovo, ma forse su cui riflettere. Rispondendo a Jacopus in post precedente a questo, ho comunque detto la mia e non mi ripeto.
Infine, la questione dei paria. Se si considerano così anche i 10 milioni di persone che in Italia sono povere, allora sì, chi arriva senza documenti e senza nulla è anche lui sicuramente un paria. Ma non sono categorie che mi appartengono, quelle delle caste.
