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Messaggi - doxa

#106
Tematiche Culturali e Sociali / Arte "grammatica"
17 Gennaio 2025, 19:04:00 PM
L'Accademia d'arte grammatica   :) è una "società segreta" che ha come sacro testo il vocabolario per ingaggiare cacce ai tesori linguistici, tenendo conto anche delle variabili territoriali.

Per farne sapere di più il linguista Giuseppe Antonelli, docente di "Storia della lingua italiana" all'Università di Pavia ha pubblicato il libro titolato: "Il mago delle parole" (edit. Einaudi).

Apprendere bene la nostra lingua italiana è un'avventura  conoscitiva e di libertà. Aiuta  a diventare cittadini autonomi, mai sudditi del potere politico, di quello intellettuale, dei media e dei social.

L'autore invita a "rivoltare" le parole fino a trovarne il lato che ci piace di più, fino a trovare ogni volta l'incastro giusto per ciò che vogliamo dire.

Non fermarsi mai alla superficie, non accontentarsi mai del primo significato, ma scavare a fondo per capire che cosa vogliono dire le parole che ascoltiamo.

La grammatica non è noiosa ma intrigante.

Il sostantivo "grammàtica"  deriva dall'omonima parola in lingua latina e questa dal greco grammatiké, con riferimento all'arte o tecnica della scrittura.

Grammatiké deriva a sua volta dal greco gráphein (= scrivere).

Etimologicamente "grammàtica" allude all'arte di scrivere, ma  nell'ambito della linguistica la grammatica fa riferimento al complesso di norme o  regole necessarie per formare frasi, sintagmi e parole di una determinata lingua.


Gentile da Fabriano e collaboratori,  frammenti del ciclo di affreschi realizzati tra il 1411 e il 1412  nella Sala delle Arti liberali e dei Pianeti,  Palazzo Trinci, Foligno.
Sulla destra si vede il dipinto dell'allegoria della grammatica.


particolare


Luca della Robbia, Prisciano e la grammatica, ex formella del "Campanile di Giotto" 1437-1439,  Museo dell'Opera del duomo, Firenze

Il campanile di Giotto è la torre campanaria  del duomo, dedicato a "Santa Maria del Fiore.

Chi era Prisciano ? Un grammatico del VI secolo. Il suo nome: Priscianus Caesariensis, nato  a Cesarea, in Mauritania, l'attuale Cherchell, in Algeria. In quel tempo la città nordafricana di Cesarea era la capitale della provincia romana della Mauritania.

Prisciano scrisse le "Istituzioni di grammatica, che divenne l'abituale libro di testo per lo studio del latino durante il Medioevo.
#107
A Roma, nella zona dell'ex Ghetto ebraico, in piazza Mattei, c''è  la fontana delle tartarughe, del XVI secolo,  ogni tanto viene depredata di una o più  testuggini  bronzee e il Comune provvede a farle sostituire.


fontana delle tartarughe

Le quattro tartarughe sono collocate sul bordo della vasca superiore, al di sotto della quale ci sono quattro efebi in bronzo che giocano con altrettanti delfini sulla vasca a forma di conchiglia

#108
Stamane ho accompagnato persone amiche di Milano nella Galleria Borghese.  Prima di farli giungere al museo li  ho fatti passare in alcuni vialetti di Villa Borghese ed hanno visto alcuni gruppi scultorei, tra i quali la "Fontana Gaia". A loro è molto piaciuta.


"Fontana Gaia (= di gioia) o dei Satiri": è nell'area del "Giardino del Lago di Villa Borghese.

È una piacevole fontana, costituita  al centro da un finto puteale (dal latino puteus = pozzo), di forma rotonda, con decorazioni e rilievi,  sormontato da un gruppo scultoreo bronzeo  realizzato dallo scultore Giovanni Nicolini nel 1929.

L'opera raffigura una coppia di satiri a braccia protese che gioca con il piccolo figlio che ha tra le mani un grappolo d'uva. 

Intorno al puteale, in simmetrica posizione, ci sono le marmoree teste in rilievo di 4 conigli. Dalla bocca di ognuno di essi esce un rivolo d'acqua che si riversa nella sottostante ampia vasca circolare.

L'espressione di gioia manifestata dalla famiglia di satiri è confermata dalla seguente epigrafe  incisa nella parte superiore del basamento: "Fons canit vitae laudem murmure suo" (= il mormorio della fontana canta le lodi alla vita).

#109
Ciao Jacopus, ogni tanto ci si incontra.  ;D

Il sostantivo "invidia" deriva dal latino "in – videre": unione del prefisso "in" (= sopra) + "videre" (= guardare); letteralmente, = guardare sopra; più liberamente, guardare con astio, con ostilità.

L'invidia è il sentimento avversivo che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé.


L'invidia è un sentimento bipolare


positivo, se  suscita  ammirazione ed emulazione, se dà ambizione e sprona a darsi da fare onestamente per arrivare allo stesso livello di chi è ricco, ha successo, ha un elevato status sociale, ha un oggetto che ci piace molto, ecc.;

negativo se invece provoca afflizione, astio per la fortuna, i beni o le qualità fisiche che ha un altro e li vorrebbe avere. L'invidia può condurre all'omicidio. Infatti, secondo il racconto biblico, fu  per invidia che avvenne l'uccisione di Abele da parte del fratello Caino.

L'invidia sociale: questo sentimento così intimo e inconfessabile, si sedimenta nella relazione che intercorre tra l'invidioso e l'invidiato. L'invidioso avverte con strazio il proprio scarso valore rispetto a colui che, invece, ha successo. 

L'invidia sociale motiva l'individuo a pretendere l'uguaglianza sociale: nessuno deve emergere
. Chi si distingue deve essere odiato ed emarginato. Siamo tutti uguali.

Giovanni Boccaccio nell'introduzione alla IV giornata del "Decameron" scrisse:  "... posso comprendere, quello esser vero che sogliono i savi dire, che sola la miseria è senza invidia nelle cose presenti...".

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nel suo libro dedicato all'etica riflette  sui comportamenti umani. Secondo lui le passioni sono caratterizzate da gioia o tristezza. Tra le passioni tristi c'è l'invidia: "Per l'invidioso nulla è più gradito dell'infelicità altrui, nulla è più molesto dell'altrui felicità".

L'invidia non concede tregua. Il "corteo" che l'accompagna è descritto da Paolo di Tarso nella  seconda Lettera ai Corinzi: "litigi, invidie, orgoglio  dissenso, maldicenze, pettegolezzi, fanatismi, immoralità" (2Corinzi 12, 20).

L'antidoto per non soffrire d'invidia è l'umiltà, unita alla generosità e alla sincerità.

#110
Tematiche Culturali e Sociali / Invidia e gratitudine
12 Gennaio 2025, 19:26:28 PM
"Un uomo era invidioso del suo vicino. Un giorno gli apparve una fata: 'Puoi realizzare ogni tuo desiderio solo a questa condizione: il tuo vicino riceverà il doppio'. Quell'uomo pensò un po' e disse: 'Allora, cavami un occhio'."

Questa parabola è tratta dal saggio "Invidia e gratitudine", pubblicato nel 1957 e scritto dalla psicoanalista inglese di origine austriaca Melaine Klein, famosa per le sue teorie sul libero gioco dei bambini.

L'invidia è uno dei sette vizi capitali ed è la categoria con la quale si interpretano e si condannano le varie forme di antagonismo sociale e politico.

L'invidia è sofferenza per il bene degli altri; l'invidioso è colui che guarda di traverso (invidet) un altro individuo perché non sopporta che costui goda di un qualche bene che lui non possiede.

Di solito si prova compassione, solidarietà se un amico o un collega di lavoro soffre o ha problemi economici. Ma se l'amico o il collega si rivela più intelligente, più simpatico e più fortunato, comincia la diffusa pratica della critica verso di lui, e persino la calunnia.

L'invidia è il peccato sociale che rompe i legami tra le persone, impedisce la convivenza e la pace, suscita l'ira  e la violenza.

L'invidia dilaga ed emargina la gratitudine, che è un antidoto all'invidia. Infatti la gratitudine genera affetto verso chi ci ha fatto del bene, è un sentimento che fa ricordare il beneficio ricevuto e la riconoscenza.

Ricerche socio-psicologiche evidenziano che le persone riconoscenti hanno livelli più elevati di benessere soggettivo e  sono più soddisfatte delle loro relazioni sociali.  ::) ???
#111
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
11 Gennaio 2025, 16:33:12 PM
Dall'epoca rinascimentale ebbe notevole diffusione il ritratto quasi fotografico.

Un esempio è il noto dipinto del pittore olandese Jan Vermeer la "Ragazza col turbante", meglio conosciuto come "Ragazza con l'orecchino di perla", dal romanzo di Tracy Chevalier, pubblicato nel 1999, da cui è derivato nel 2003 l'omonimo film diretto da Peter Webber.


Jan Vermeer, Ragazza col turbante, olio su tela, 1665 circa,  Museo Mauritshuis, L' Aia, Olanda

A guardarla sembra di trovarsi davanti a lei.

Nel 1696 vennero venduti all'asta tre dipinti di Vermeer, catalogati come "tronie" (in olandese significa faccia), uno di quelli forse era  la "Ragazza col turbante".

"Tronie" è un tipo di quadro che mostra la testa di figure allegoriche, simboliche o curiose: bevitori, fumatori, persone talvolta brutte o che fanno smorfie. Non sono ritratti ma teste decorative che evocano significati morali.

Nella storia dell'arte questo tipo di facce è definito "pseudo-ritratto".

Un esempio di pseudo ritratto è l'Olympia, realizzata dal pittore francese Edouard Manet.


dettaglio



Edouard Manet, Olympia, olio su tela, 1863, Musée d'Orsay, Parigi

In questo dipinto il soggetto è una prostituta stesa su un letto, ma l'immagine che vediamo è Victorine Meurent, che faceva da modella per i pittori.

Il quadro evoca la "Venere di Urbino", di Tiziano. Infatti Manet la copiò nel 1857 quando venne in Italia.


dettaglio


Tiziano Vecellio, Venere di Urbino, olio su tela, 1538, Galleria degli Uffizi, Firenze.

La raffigurazione  è un elogio alla grazia e alla femminilità. Come Venere, è simbolo di amore e  bellezza. Il committente, il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere.

Il quadro rappresenta un'allegoria del matrimonio. Doveva servire come modello "didattico" per Giulia Varano, la giovane moglie del duca: l'evidente  erotismo aveva lo scopo di  ricordare alla donna i doveri matrimoniali nei confronti dello sposo.

L'allegoria è ancora più chiara nella rappresentazione di Venere, dea dell'amore, come una donna terrena, che fissa in modo allusivo chi la guarda. 

Il corpo nudo disteso di fianco sul letto con  la parte superiore poggiata su cuscini, ha una lunga tradizione figurativa, in particolare quella veneziana del Cinquecento.

In questo quadro Tiziano ha dipinto una seducente Venere basandosi sull'antica figurazione della Venus pudìca.

La fanciulla è distesa nuda sul letto, le lenzuola sgualcite, guarda lo spettatore in modo allusivo. Con la mano sinistra nasconde la zona pubica, nella mano destra ha un piccolo mazzo di rose, uno dei simboli della dea Venere.
 
Su un lato del letto, ai piedi della donna,  c'è  il cagnolino  simbolo di fedeltà coniugale, lo stesso che è in un altro dipinto di Tiziano, il "Ritratto di Eleonora Gonzaga".

Lo sfondo mostra un ambiente di una casa patrizia della Venezia del Cinquecento. Ci sono due ancelle:  una è  in ginocchio, di spalle intenta a frugare nel cassone istoriato dal quale ha preso il sontuoso abito destinato alle nozze, visibile sulla spalla dell'altra ancella in piedi a destra.

Sul davanzale delle finestra, il vaso di mirto, pianta tradizionalmente legata a Venere, costituisce un ulteriore riferimento alla costanza in amore.
#112
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:30:57 PM
Il libro che ho citato racconta  che fin dai tempi antichi il viso è stato oggetto di riflessioni ed elaborazioni da parte di artisti e letterati.

Teste scolpite oppure dipinte, bambole o maschere, effigi funerarie o personaggi di fantasia come gli dei. Che forma dare a quei volti ? Come rappresentare i sovrani ? Dall'espressione del viso come far capire agli altri chi è buono e chi è cattivo ?

Michelangelo Buonarroti, scultore, pittore e architetto, tra il 1524 e il 1534 fu impegnato nella decorazione della "Sagrestia Nuova" nella basilica di San Lorenzo, a Firenze, e realizzò anche la tomba di Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, da non confondere con il nonno, Lorenzo il Magnifico (si chiamavano entrambi Lorenzo di Piero de' Medici).
 

Michelangelo Buonarroti, tomba di  Lorenzo  di Piero de' Medici, duca di Urbino.  Cappella de' Medici, Sagrestia Nuova, chiesa di San Lorenzo,  Firenze.

Questa tomba è famosa per le statue del Crepuscolo (sulla sinistra) e dell'Aurora (sulla destra). Nella nicchia al centro, in alto c'è l'allegorica statua di Lorenzo raffigurato come un condottiero di epoca romana.
 

In questa scultura Michelangelo lo idealizza e lo raffigura come un  condottiero malinconico mentre sta pensando.

Al Buonarroti fecero notare che la statua non era somigliante al duca, l'artista rispose che in futuro nessuno ricorderà le fattezze di Lorenzo. Lo scopo dell'arte è celebrare la gloria  degli uomini e trascurare il compiacimento dei contemporanei.

L'artista non considera gli attributi del duca, come la barba o la forma del naso, preferendo ideare un volto immaginario del personaggio eroico che simboleggia Lorenzo.

Per capire il significato del ritratto scultoreo michelangiolesco (e delle sue idee in proposito) si può fare il confronto con il dipinto attribuito a Raffaello Sanzio che mostra Lorenzo de' Medici, duca d'Urbino, in modo più somigliante.
 

Raffaello Sanzio (attribuito) ritratto di Lorenzo de' Medici, duca di Urbino, olio su tela, 1516/1519
 
Nel XVII secolo Gian Lorenzo Bernini a volte scolpiva le statue  con la bocca un po' aperta per dare l'idea che il soggetto stesse respirando.

Nel XIX secolo il pittore e fotografo tedesco Franz Seraph Hanfstaenglinventò il fotoritocco, perché ci sono persone che nelle foto "vengono male", invece altre sono fotogeniche  e "vengono bene" o meglio di come sono dal vero.


Doppio ritratto  di Monica Bellucci realizzato dal fotografo Piero Gemelli nel 1996. La sua idea era quella di far apparire in fotografia una sola persona ma come se  fossero due.

A differenza del pittore, il fotografo sceglie fra le foto scattate qual è quella giusta. Non necessariamente quella in cui "si è venuti meglio",  ma quella adeguata  a ciò che deve raccontare.
#113
Riflessioni sull'Arte / Re: Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:21:00 PM
Nel precedente post guardate bene quel riflesso, quel piccolo punto bianco nell'iride delle due giovani, non è un riflesso della luce.

Il graphic designer Riccardo Falcinelli nel suo recente libro titolato "Visus. Storie del volto dall'antichità al selfie" nel preambolo ha scritto:

"Occhi simili possono esistere solo in pittura: le sopracciglia seguono un arco che ripete, come in rima, la curva delle palpebre. Il risultato è uno splendido andamento di geometrie regolari. Una scelta che potrebbe apparire  fredda o troppo astratta, se non fosse che Ingres, per renderla plausibile, decide di trattare le superfici in maniera illusionistica: modella l'incarnato per velature di colore, mette i rossori nei punti giusti e dipinge qua e là gli effetti di umido, tipici degli occhi veri, aggiungendo piccoli tocchi di bianco che, alla giusta distanza , danno l'idea che l'iride sia bagnata. Sembra niente, una cosa banale; eppure nell'arte nulla è mai scontato. Quel luccichio compare infatti solo in certi periodi storici, anzi, la maggior parte delle culture lo ha completamente ignorato: non c'è riflesso negli occhi delle madonne bizantine; né in quelli delle miniature indiane; non c'è in molti ritratti rinascimentali".

Ed ancora: "Dal punto di vista fisico, quel bagliore è la conseguenza di una superficie lucida colpita da una fonte luminosa isolata. Non vediamo riflessi quando la luce è diffusa o riverberata, per esempio se il volto è in controluce".

[...] "I motivi sono più complessi e non riguardano la fisica della luce, ma le teorie della rappresentazione. Un volto disegnato, dipinto o scolpito è sempre un'interpretazione della realtà: si dipinge in una data maniera per restituire una versione dei fatti o un modo di sentire la vita. Decidere se mettere o non mettere quel riflesso è una volontà precisa, una cosa che è stata pensata con cura per raccontare un determinato tipo di storia. Quel puntolino bianco, insomma, non è davvero un riflesso della luce, ma della cultura".
#114
Riflessioni sull'Arte / Lo sguardo, il viso
10 Gennaio 2025, 16:18:28 PM

Jean-Auguste Dominique Ingres, Mademoiselle Caroline Rivière, olio su tela, 1806, Museo del Louvre, Parigi.

Il dipinto raffigura la quindicenne Caroline Rivière, che morì pochi mesi dopo. E' l'unico ritratto di Ingres che raffigura una persona adolescente.

L'abito bianco di mussola è in  stile impero, la parte bassa  spicca sul fondo scuro della vegetazione.

Il vestito è impreziosito da accessori che evocano la voluttà femminile, tra le braccia ha la stola di ermellino nella forma di serpente boa, i lunghi guanti lasciano intravedere la parte superiore delle dita. Una cintura (di raso bianco ?) cinge l'abito sotto il seno.

Sullo sfondo c'è il paesaggio dell'Ile-de-France.

I capelli e gli occhi scuri della fanciulla mettono in evidenza il chiarore diffuso nella parte alta del  dipinto.


Mademoiselle Caroline Rivière, particolare

La posa  evoca i ritratti di epoca rinascimentale, in particolare quelli di  Raffaello Sanzio.

Ecco un esempio


Raffaello Sanzio - La Fornarina 1518-1519,  particolare.

segue
#115
Oggi, 5 gennaio 2025,  nell'inserto domenicale "La lettura" del Corriere della Sera c'è un interessante articolo dello storico triestino Raoul Pupo, già docente di storia contemporanea all'università di Trieste.

L'articolo è titolato:   "La vecchia frontiera dell'Europa".
Gorizia e Nova Gorica: due città per una "Capitale della cultura".

"Gorizia è una collina. Lo dice l'originario toponimo sloveno, Gorica (si pronuncia allo stesso modo), diminutivo di gora, cioè montagna. Compare nella storia agli inizi dell'XI secolo come villaggio ai piedi di un colle sul quale una dinastia germanica erige un castello. Pian piano il castello cresce così come il villaggio, le nobili famiglie germaniche si succedono e riescono a costruirsi un bel dominio feudale, la contea di Gorizia, inserendosi abilmente nei contrasti fra il patriarca di Aquileia, i suoi riottosi vassalli, i comuni di Venezia, Padova e Treviso, il ducato d'Austria su cui dominano gli Asburgo.

La corte comitale nel Trecento accoglie letterati sia italiani che tedeschi, mentre nel Quattrocento Gorizia scampa alle scorrerie turche dirottandole verso i suoi vicini. Nell'anno 1500 però l'ultimo conte si estingue e gli Asburgo sono i più lesti a impadronirsi della contea. Per un secolo il confine con la repubblica di Venezia rimane caldo, poi arriva la pace e Gorizia vive fino a tutto l'Ottocento una tranquilla esistenza di periferia imperiale.

Alla vigilia della Grande guerra è una cittadina vivace e multilingue. Il comune è guidato dal partito liberalnazionale, italianissimo con qualche simpatia irredentista, il luogotenente imperiale è un sacerdote friulano, esponente di un movimento cattolico che raduna i contadini italofoni fedeli sudditi dell'imperatore, vescovo principe è uno sloveno, così come molti fedeli della città e tutti quelli dell'alta valle dell'Isonzo.

Poi comincia il Novecento breve e terribile. Durante la Prima guerra mondiale Gorizia è campo di battaglia e ne esce distrutta. Attorno sorgono le alture più insanguinate del conflitto: il Sabotino, il San Gabriele, il San Michele, il Calvario. Finite le ostilità, la città viene ricostruita e semplificata. I tedescofoni se ne vanno quasi tutti. I patrioti italiani esultano, quelli sloveni, che vorrebbero l'annessione al regno jugoslavo, vanno in esilio o al confino. L'antica contea diventa provincia del regno d'Italia, ma nelle elezioni del 1921 vengono eletti quattro deputati di lingua slovena e un deputato italiano comunista: tanto basta perché dopo l'ascesa al potere di Mussolini nel 1923 la provincia venga abolita. Viene ricostituita nel 1927, quando il fascismo è diventato regime e della volontà degli elettori non si tiene più alcun conto.

La città vive così fasti e nefasti del ventennio, ben più numerosi i secondi, perché all'oppressione politica che morde tutti gli italiani si aggiunge quella nazionale, per sradicare l'identità della componente slovena della popolazione. I provvedimenti sono quelli usuali delle politiche di assimilazione forzata: divieto di insegnamento, stampa e uso pubblico della lingua slovena, penalizzazione — che vuol dire anche legnate — di quello privato, cambio di toponimi, cognomi e nomi, incarcerazione, confino o espulsione dei riottosi. Anche i modesti spiragli lasciati dalle leggi vengono riempiti dagli squadristi, che non esitano ad ammazzare un musicista per aver diretto un coro natalizio in lingua slovena autorizzato dalla questura. Qualcuno, ovviamente fra i più giovani, si ribella e aderisce al movimento clandestino irredentista jugoslavo Tigr, acronimo che sta per Trst, Istra, Gorica i Rijeka. Per il regime sono punture di spillo, anche se generano una pesantissima repressione, ma ben diversa è la situazione quando nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, l'Italia fascista invade la Jugoslavia assieme ai tedeschi e ne annette alcune parti.

In breve, dalla nuova provincia di Lubiana il movimento partigiano a guida comunista si estende alla contigua Venezia Giulia; agli inizi del 1943 quella goriziana è la prima provincia italiana in cui le autorità hanno perso il controllo del territorio ben prima dello sbarco alleato in Sicilia. Dopo l'8 settembre arrivano i tedeschi e gli operai del vicino cantiere di Monfalcone, assieme a soldati italiani e partigiani sloveni, li affrontano nella «battaglia di Gorizia», uno dei pochi episodi di resistenza armata dopo l'armistizio.

Durante l'occupazione nazista la pluralità della città isontina si tinge di sangue. I partigiani sloveni controllano le foreste alle spalle di Gorizia, in città si crea un Comitato di liberazione nazionale italiano; con i tedeschi collaborano non solo i fascisti ma anche le formazioni anticomuniste slovene dei domobranzi, che però con i fascisti italiani dialogano a suon di bombe e scariche di mitra; prefetto diventa un aristocratico asburgico che riesce a dialogare con tutti, ma ci rimette quasi la pelle; a un certo punto arrivano anche i marò della Decima, aumentando il tasso di conflittualità con tutti gli altri, ma vengono pesantemente sconfitti dai partigiani nella selva di Ternova.

I tedeschi se ne vanno l'1 maggio 1945, però non scoppia la pace, bensì le terribili violenze di transizione. Sloveni e anche comunisti italiani accolgono festanti la liberazione portata dalle truppe jugoslave, i patrioti italiani no, perché la temono premessa all'annessione alla Jugoslavia di Tito e perché subito l'Ozna — la temibile polizia politica — avvia la caccia ai «nemici del popolo», come in tutta la Slovenia. Se nell'alta valle dell'Isonzo non mancano gli sloveni, sacerdoti e laici, presi di mira perché anticomunisti e sospetti di collaborazionismo e finiti nelle foibe, in città gli arrestati sono quasi tutti italiani: dai noti fascisti e collaborazionisti agli uomini delle istituzioni, agli altrettanto noti e potenzialmente fastidiosi patrioti, fino ad alcuni antifascisti non comunisti del Cln. Gli arrestati nell'Isontino sono migliaia, gli uccisi fortunatamente meno: gli elenchi oscillano fra 600 e 800 scomparsi, che in ogni caso configurano una di quelle stragi il cui trauma si conficca a fondo nella memoria collettiva. Ciò tanto più, dal momento che al ritiro delle truppe jugoslave e all'instaurazione di un'amministrazione provvisoria anglo-americana segue una fase di aspri conflitti, anche fisici, fra patrioti italiani e sostenitori della causa jugoslava. Il 15 settembre 1947 tornano finalmente i bersaglieri: gli italiani tripudiano per la «seconda redenzione» dopo quella del 1918, sloveni e comunisti assai meno, perché mentre la massa dei goriziani festeggia, c'è chi sceglie il momento per devastare negozi e abitazioni di concittadini sloveni e comunisti.
Il nuovo confine è un mostro. La stazione della Transalpina è tagliata a metà dal reticolato, in periferia la linea attraversa una stalla, lasciando la mucca da una parte e il mungitore da quell'altra. La città ha perso la maggior parte della provincia, le valli dell'Isonzo e del Vipacco hanno perso il loro centro urbano. Non si può andare avanti così. Il governo italiano decide provvidenze eccezionali. Quello jugoslavo avvia la costruzione di una città gemella, Nova Gorica. Ma il 13 agosto 1950 una massa di abitanti jugoslavi supera i posti di blocco e si riversa in città a salutare i parenti e, soprattutto, ad acquistare quei beni di consumo elementari che oltre confine non si trovano: la chiameranno 'la domenica delle scope'.

Passano dieci anni, arriva la distensione e le classi politiche locali capiscono che bisogna andare oltre. Gorizia ha avuto fortuna con i sindaci. Negli anni Sessanta è dalle amministrazioni comunali che parte la spinta al dialogo fra le due Gorizie, per affrontare i problemi comuni e spingere sui rispettivi governi. Agendo in sintonia con Trieste e con la nuova regione Friuli-Venezia Giulia, ne viene lo stimolo a realizzare quello che ben presto verrà chiamato il confine-ponte, motore di un'economia transfrontaliera che dà ossigeno a entrambe le città. Altrettanto dinamica è la cultura di frontiera, capace di guardare anche orizzonti più lontani, come fa l'Istituto per gli incontri mitteleuropei.
Il collasso della Jugoslavia disegna prospettive nuove. Per un verso facilita i contatti, per l'altro costringe Gorizia a ristrutturare un'economia largamente fondata sulla peculiarità frontaliera e sulla massiccia presenza di unità militari. Saltano però, anche materialmente, le divisioni fra le due città sorelle: i valichi di frontiera si spalancano, le garitte delle sentinelle diventano musei del confine, la piazza della Transalpina collega e non divide più le due Gorizie. I sindaci continuano a darsi da fare ed è soprattutto grazie a loro che in questo mese di gennaio 2025 Gorizia e Nova Gorica diventano assieme Capitale europea della cultura.

Ci saranno feste, concerti, spettacoli. Ci saranno prove di integrazione del territorio e dei servizi. Speriamo ci siano anche momenti forti di riflessione comune e serena su un passato che sereno non è stato per niente. Nel mondo che sembra nuovamente compiacersi delle divisioni e degli atti di forza, c'è urgenza di mostrare come anche il buio della storia può venire illuminato. È tempo allora di andare oltre il confronto rispettoso delle reciproche memorie dolenti per proporre ai più giovani la storia intera di una comunità articolata che solo nella prospettiva europea trova la sua autentica dimensione".
#116
Attualità / Capitale europea della cultura nel 2025
05 Gennaio 2025, 19:41:05 PM
2025: quest'anno la "Capitale Europea della Cultura" è trans-frontaliera,  saranno Gorizia e Nova Gorica. Due città di confine, la prima italiana, la seconda slovena. Un sodalizio simbolico che unisce due territori vicini, storicamente separati da un confine, che oggi segna invece un cammino condiviso.

GO!2025 è il motto.

L'inaugurazione congiunta di  Gorizia e  Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura avverrà il prossimo mese: l'8 febbraio 2025: una data simbolica,  sia perché  l'8 febbraio in Slovenia si celebra la "Giornata della cultura", legata allo scrittore France Prešeren, morto l'8 febbraio 1849,  sia perché è la data di nascita di Giuseppe Ungaretti: 8 febbraio 1849.  Questo poeta partecipò in zona alla prima guerra mondiale.

Un concatenarsi di simboli che vanno in un'unica direzione: quella di valorizzare la cultura che costruisce ponti e futuro, diventando un modello e un simbolo per l'Europa.

L'iniziativa vuole promuovere la diversità e l'integrazione. Le due città vicine offriranno arte, musica, natura e cultura.


Castello di Gorizia

Due città un tempo divise, oggi riunite dalla comune appartenenza all'unione europea.

Gorizia e Nova Gorica (questo toponimo significa "Nuova Gorizia") in precedenza separate dal confine di Stato italo-jugoslavo e poi italo-sloveno, sono di fatto unite dal 21 dicembre 2007, giorno in cui la Slovenia è entrata nell'area del "trattato di Schengen", che ha comportato la definitiva caduta delle barriere doganali e la rimozione delle recinzioni alla frontiera. Le due città sono comunque diverse, essendo il centro sloveno privo di edifici storici: l'unico edificio di rilievo del centro cittadino è la stazione ferroviaria.

segue
#118
Varie / Re: Il paradosso del Dr. Tenma
31 Dicembre 2024, 17:44:40 PM
La risposta è già prevista  nei criteri di priorità nella "medicina delle catastrofi" e nella "medicina d'urgenza".

Dopo il triage (dal francese "trier"= selezione) avviene il processo decisionale clinico: l'etica professionale del medico lo motiva a salvare il bambino che ha come prospettiva molti anni di vita, a differenza dell'anziano.

L'esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull'indipendenza della professione, che costituiscono diritto inalienabile del medico. Questo, se invece ha degli interessi economici in combutta con il sindaco, allora ignora l'etica e salva l'anziano. ???  :P
#119
Varie / Scambiarsi un saluto
31 Dicembre 2024, 08:33:35 AM
Il  filosofo e sociologo  francese Edgar Morin afferma che  nel nostro tempo  c'è il problema dell'incomunicabilità,  invece  è importante  relazionarsi con gli altri,  creare l'empatia e la resilienza. Ma per comprendere gli altri  è necessario saperli ascoltare. C'è bisogno di "umanità", sentimento universale che ci rende simili, solidali.

Un esempio. Il 13 marzo 2013 il neo-eletto papa Francesco  dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro si rivolse alla folla nella piazza dicendo: "Fratelli e sorelle, buona sera !". 

Quel saluto a molti cattolici evocò il gesto di Gesù risorto  che nella sera di Pasqua entrò nel Cenacolo e ai discepoli stupefatti disse: "Pace a voi", ossia lo "shalom", che si scambiano gli ebrei e persino gli arabi nella variante "salam". Quel "Pace a voi" è  il Vangelo di Giovanni a ricordarlo (20, 19). Anche  due altri evangelisti citano il monito del loro Maestro: "In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa" (vedi Luca 10, 6; Matteo 10, 12).

In prevalenza le persone si scambiano saluti di cortesia o di abitudine,  spesso senza pensare al significato delle parole.  Lo dimostra l'ormai universale parola inglese "goodbye", abbreviata in "bye bye", amputata del nome divino originario: "God bye ye" (= "Dio sia con te").

Altro esempio. Quando percorriamo i sentieri turistici montani  ed incontriamo estranei,  per  consuetudine  e bon ton c'è il reciproco scambio di saluti tra escursionisti.  Questa abitudine è molto più di un semplice gesto di cortesia.

La montagna è un ambiente  particolare, spesso isolato e impegnativo, in cui la natura impone le sue regole è salutarsi diventa un gesto solidale, tranquillizzante. È un segno di attenzione che, implicitamente, suggerisce: "Ti vedo, non sei solo". Anche solo scambiarsi un cenno di riconoscimento può infondere un senso di sicurezza.

Salutarsi è un atteggiamento che fa parte di una sorta di codice etico della montagna, un modo per ricordare che, in questi luoghi, è importante prendersi cura l'uno dell'altro.

La peculiarità che rende particolare la prassi del saluto in montagna è il contrasto con la vita quotidiana urbana. Nelle città, il saluto tra sconosciuti è raro. Può persino essere percepito come insolito o invadente. In montagna, invece, è quasi istintivo,  diventa un atto di connessione non solo con l'altro, ma anche con sé stesso.

Al saluto, nel suo profilo antropologico-socio-culturale e nelle sue iridescenze religiose,  il teologo e vescovo Giovanni Cesare Pagazzi ha dedicato un saggio titolato: "Cosa può un saluto ?" (edit. San Paolo). L'autore dice che il saluto è l'offerta preliminare di sé stessi, l'ingresso nella vita di un altro. Infatti chi saluta per primo si espone e  nel contempo s'impone all'altro.  Se è così,  allora mi espongo, stamane vi saluto per primo, ma senza impormi.

Lieto Capodanno


Il tappo nella bottiglia dello spumante è quasi in dirittura di lancio, le bollicine fanno pressione al sughero inesperto.
#120
Estratti di Poesie d'Autore / Re: Anno 2024
29 Dicembre 2024, 11:56:59 AM
La poetessa statunitense Emily Elizabeth Dickinson (1830 – 1886) dedicò al "tempus fugit" la poesia titolata: "E' un curiosa creatura il passato".

"È una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.
Se qualcuno l'incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!".
 
La Dickinson ha ragione, però di solito il passato non "approda" all'estasi ma alla nostalgia "canaglia, che ti prende proprio quando non vuoi" dice il testo cantato da Albano.
 
 La nostalgia per un amore finito, per la persona amata e ormai lontana dalla nostra quotidianità colpisce con forza inattesa.
 
 Come ho detto in altro topic dedicato al "tempus fugit", per ricordare basta una parola che ha per noi ancora risonanza, o una foto che reintegra ricordi sbiaditi, oppure le prime note di una canzone che non si ascoltava da tempo...da quel tempo... e nella mente si ricompone l'immagine del volto amato, col quale si credeva di aver chiuso per sempre.
 Ma il ricordo, improvvisamente liberato, fa affiorare la struggente nostalgia.