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Messaggi - PhyroSphera

#106
Non credo sia un caso qualche accadimento di troppo intervenuto nei miei confronti dopo la pubblicazione del tema di questa discussione. Ebbene io spesso ho incontrato biechi personaggi che intendono la fede in Cristo quale una forma di devozione verso un uomo e che vogliono fingere la pazzia di chi li smentisce. Allora accludo una spiegazione, per sicurezza ed anche per smascherare un errore non cristiano e una prepotenza anticristiana, la cui origine è dai tempi di un certo umanesimo rinascimentale (non di tutto esso, si badi).

Per l'avvio della discussione il titolo sopperisce al racconto, verso cui è difficile rapportarsi; ma nessuno ha risposto.
Forse a sembrare assurdo è l'assunto che Gesù di Nazareth non sia proprio Cristo.
Lo studioso che citavo, D. Stuhlmacher, recava in un suo libro due curiose ma illuminanti espressioni:

"Gesù di Nazaret - Cristo della fede";
"Gesù di Nazaret come Cristo della fede".

La prima costituisce il titolo effettivo di una sua pubblicazione, che reca dentro anche la seconda.
Questa descrive chi incontrava l'uomo detto Gesù e a sèguito dell'incontro comprendeva l'oggetto di fede cristiana, cosa che avviene oggi tramite la memoria di lui. Si tratta di un conto dei fatti, ma non di identificazione. L'altra col trattino invece indica che i fatti non sono in discontinuità con la fede, ma restano disuniti. L'atto di fede si profila necessariamente come salto, secondo una continuazione per gradi diversi anzi differenti, insomma come un uomo che camminando poi continua proprio con un salto.

Forse iniziativa editoriale, forse no, nella copertina del libro c'è quest'altra espressione: "Gesù di Nazaret Cristo della fede". Si sa che per il titolo dell'opera bisogna guardare l'interno e solo se manca rifarsi alla copertina; se il titolo interno è diverso, è quello autentico. La copertina a volte serve per avvicinare. Appunto, giustapponendo i due riferimenti, Gesù di Nazareth e Cristo della fede, ci si introduce soltanto all'argomento.
Il libro consta di tre scritti e il titolo mostra la conclusione dello storico e teologo: nonostante vi sia un salto tra fede e storia, esiste una continuità. Tale salto è dimostrato dal come: una analogia tra personaggio storico e figura teologica, non una identità! Gesù stesso rappresentava altro da sé, questa volontà di alterità reca il segno di una sua effettiva possibile missione per il cristianesimo, cioè di una relazione nonostante tutto... anche se questo è il parere storico-critico, non la descrizione del cristianesimo quale si presenta oggi. Nel testo tradotto in italiano si trova anche un indugiare eccessivo sulla prospettiva storica, cioè senza tirare le somme per quel che si sarebbe potuto. Sembra cioè che una altra parte critica si poteva aggiungere.
Rituale ebraico gesuano e rituale apostolico cristiano della Santa Cena sono scoperti in opposizione storica! L'uno rivolto al passato, l'altro al futuro (era già risaputo, al di fuori degli studi storici). Questa direzione viene scoperta per non unica,  emergendo implicitamente anche una grecità non dipendente dalla missione del Nazareno - questo la bibbia lo lascia intendere anche direttamente.
Stuhlmacher non riflette sui risultati raggiunti, limitandosi all'assunto, che espongo secondo terminologia diversa da quella principale del libro: v'è relazione tra il Gesù storico e il Cristo dell'annuncio, secondo non omogeneità e non omologia. Dico io: il parere dello storico, su una priorità della vicenda del Nazareno, può essere inteso solamente come interno a una ricerca sulla storia dei Vangeli, insomma una priorità di tale studioso di storia; difatti il senso della ricerca condotta porta alla conclusione opposta, per ciò che riguarda l'esistenza e la libertà concreta dei cristiani.

P.S.
Riguardo alla distinzione semantica tra Gesù e Cristo, questa è innanzitutto glottologica, a prescindere da ideologie religiose o non religiose.


MAURO PASTORE
#107
Ho pubblicato il mio testo anche nella sezione spiritualità, penso sia meglio iniziare discussione lì, anche perché ho messo un titolo che consente una prospettiva intrinsecamente filosofica.

MAURO PASTORE
#108
Tra ieri e oggi scrivevo questo:


|Un Venerdì di Pasqua uguale e diverso.
In strada nella Processione i seduttori che promuovevano vicinanza e licenza, seguiti dai punitori che minacciavano 'la strada è nostra'. Ieri incontravo uno che — evidentemente — consumava la droga del momento, detta "degli zombie", il fentanyl; gli effetti sul suo corpo e le sole impressioni dei miei sensi corrispondevano all'identikit televisivo. Stasera c'era il gioco con le sostanze sacre, nel punitore parevano combinate con gli effetti analgesici degli ospedali pubblici.
In tivù su Rai Uno invece una celebrazione laica delle Dodici Stazioni del Messia, tutta interiore, senza invischiarsi nei meandri della storia... ma a insidiare c'era una mimesi profana del volto di Maria madre del Nazareno, di una 'grossa bimba' che ancor di più insinuava una cronaca africana nella rappresentazione giustamente slegata dai semplici fatti. Del resto in quest'ultima la voce di una donna era insistentemente sensuale e non era giusto né bello.
Secondo lo studioso e teologo R. Bultmann la resurrezione di Gesù di Nazareth, del Gesù storico, era un fatto privato solamente, giuntoci attraverso testimoni pubblici ma senza testimonianza pubblica. Il fatto storico cioè, per quanto incluso, non era né è importante. Bultmann arrivava a dire che non ha importanza se il Nazareno esistette o meno, ma in più aggiungeva che della resurrezione non abbiamo neppure elementi per domandare di tale esistenza. A importare è il Cristo dell'Annuncio.
Successivamente si trovava una corrispondenza, nonostante tutto, tra materia storica e di fede (lo studioso più rappresentativo E. Käsemann); ma non senza una sorpresa: l'uomo storico in questione era fuori dal cristianesimo, un ebreo coinvolto nelle proprie faccende (G. Vermes). Cosa erano queste faccende? Sicuramente il passo successivo è stato quello di notare che l'impresa del maestro ebreo e giudeo (rabbi) Yeshua alias Gesù di Nazareth era in non inconsapevole relazione col futuro della fede cristiana. Tuttavia non lui in persona, ma ciò che rappresentava (D. Stuhlmacher). D'altronde non potrebbe che essere così, dato che il suo carisma personale rimaneva tutto interno ad ebraismo e giudaismo. Di tutto questo iter intellettuale, una nobile ricerca scientifica consumatasi nella Germania dopo Lutero e dipendente da un assunto di fede esprimibile filosoficamente, io avevo già da piccolo, poi di nuovo da giovane prima di scoprire tutto questo nel mio percorso di studi universitari, versione casereccia. Nella tradizione del Presepe lo stesso Nazareno era, è annoverato attore; e storicità o non storicità sono questione di soli atteggiamenti. Del percorso con la croce ci è stata tramandata una pantomima.
Sempre stasera sulla Rai, più tardi, il Dossier sulla morte di Gesù non ne teneva proprio in conto. Certo non si aveva coscienza, dalla produzione e dal lavoro di regia televisiva, che ci si stava lanciando in una storia del teatro. Si elencavano ritenute prove di avvenimento storicamente reale. Ardito l'interrogativo: possono i tre crocifissi discorrere tra loro, in quelle condizioni? La patologia attuale risponde di sì. Ma la vera domanda sarebbe: come trovò Yeshua modo per continuare la sua sacra rappresentazione? È tutt'altro che ironia. Il rabbi infatti, nonostante caduto in disgrazia, arrestato e consegnato ai nemici in una gran perniciosa confusione, abbandonato dai suoi — Pietro lo rinnegava, Giuda lo tradiva — continuava imperterrito il proprio ufficio sacro, alla fine... resuscitando. Difatti alla spirituale resurrezione corrispondeva morte apparente con ripresa della vita. Una storia diversa vissuta dal Nazareno secondo l'ideologia sionista: 'in Sion tutti i popoli sono benedetti'.
Gesù mezzo, nel senso proprio di 'essere decisivamente tra', spesso trattato da pagano tramite (nel senso di essere, non rappresentare la via); e spesso il tramite e il mezzo confusi, fino all'illusione che tutto stia a stabilire e capire un fatto storico. Il sacerdote e psicoanalista E. Drewermann denunciava caduta finanche maggiore, di quelli che pensano semplicemente che 'accaduto il fatto' si ha tutto.
Durante i miei studi io vagliavo una cronaca missionaria dal Canada (ad opera di A. Peelman), in cui si dava spazio a testimoni con l'inclusione di un'altra memoria, un altro "apparire di Cristo", dalla remota Polinesia, luogo di una migrazione verso il Continente Americano e fino al suo Settentrione. In verità ne avevo già ricevuto dei resoconti, potendo ricostruire vicenda immersa nella natura che solo il mondo dei pastori potrebbe contenere in un racconto ufficiale, sfuggente alla civiltà di stampo giudaico e non decisivo per l'altra, greca. Nessun martirio violento, ma un dramma passeggero di incomunicabilità. Ma anche in tal caso: concentrarsi sulla sua persona condurrebbe a un niente, peraltro non evocabile con una scrittura. La società selvaggia amerinda difatti pratica esclusivamente cultura orale.
Il segno, la traccia, è per il monoteismo garanzia proprio perché quasi niente, ma non come la differenza radicale tra persona umana e persona di Dio. Nel frattempo che ho scritto tutto questo, è scoccata la mezzanotte, è sabato prima di Pasqua in Occidente dove falsità e verità si succedono senza apparente senso.
[18-19 aprile 2025]
MAURO PASTORE|



MAURO PASTORE
#109
Citazione di: PhyroSphera il 19 Aprile 2025, 01:23:36 AM non era ne è importante. 
Errata corrige: 'non era né è importante'.

Reinvio testo corretto:


|Un Venerdì di Pasqua uguale e diverso. 
In strada nella Processione i seduttori che promuovevano vicinanza e licenza, seguiti dai punitori che minacciavano 'la strada è nostra'. Ieri incontravo uno che — evidentemente — consumava la droga del momento, detta "degli zombie", il fentanyl; gli effetti sul suo corpo e le sole impressioni dei miei sensi corrispondevano all'identikit televisivo. Stasera c'era il gioco con le sostanze sacre, nel punitore parevano combinate con gli effetti analgesici degli ospedali pubblici.
In tivù su Rai Uno invece una celebrazione laica delle Dodici Stazioni del Messia, tutta interiore, senza invischiarsi nei meandri della storia... ma a insidiare c'era una mimesi profana del volto di Maria madre del Nazareno, di una 'grossa bimba' che ancor di più insinuava una cronaca africana nella rappresentazione giustamente slegata dai semplici fatti. Del resto in quest'ultima la voce di una donna era insistentemente sensuale e non era giusto né bello.
Secondo lo studioso e teologo R. Bultmann la resurrezione di Gesù di Nazareth, del Gesù storico, era un fatto privato solamente, giuntoci attraverso testimoni pubblici ma senza testimonianza pubblica. Il fatto storico cioè, per quanto incluso, non era né è importante. Bultmann arrivava a dire che non ha importanza se il Nazareno esistette o meno, ma in più aggiungeva che della resurrezione non abbiamo neppure elementi per domandare di tale esistenza. A importare è il Cristo dell'Annuncio.
Successivamente si trovava una corrispondenza, nonostante tutto, tra materia storica e di fede (lo studioso più rappresentativo E. Käsemann); ma non senza una sorpresa: l'uomo storico in questione era fuori dal cristianesimo, un ebreo coinvolto nelle proprie faccende (G. Vermes). Cosa erano queste faccende? Sicuramente il passo successivo è stato quello di notare che l'impresa del maestro ebreo e giudeo (rabbi) Yeshua alias Gesù di Nazareth era in non inconsapevole relazione col futuro della fede cristiana. Tuttavia non lui in persona, ma ciò che rappresentava (D. Stuhlmacher). D'altronde non potrebbe che essere così, dato che il suo carisma personale rimaneva tutto interno ad ebraismo e giudaismo. Di tutto questo iter intellettuale, una nobile ricerca scientifica consumatasi nella Germania dopo Lutero e dipendente da un assunto di fede esprimibile filosoficamente, io avevo già da piccolo, poi di nuovo da giovane prima di scoprire tutto questo nel mio percorso di studi universitari, versione casereccia. Nella tradizione del Presepe lo stesso Nazareno era, è annoverato attore; e storicità o non storicità sono questione di soli atteggiamenti. Del percorso con la croce ci è stata tramandata una pantomima.
Sempre stasera sulla Rai, più tardi, il Dossier sulla morte di Gesù non ne teneva proprio in conto. Certo non si aveva coscienza, dalla produzione e dal lavoro di regia televisiva, che ci si stava lanciando in una storia del teatro. Si elencavano ritenute prove di avvenimento storicamente reale. Ardito l'interrogativo: possono i tre crocifissi discorrere tra loro, in quelle condizioni? La patologia attuale risponde di sì. Ma la vera domanda sarebbe: come trovò Yeshua modo per continuare la sua sacra rappresentazione? È tutt'altro che ironia. Il rabbi infatti, nonostante caduto in disgrazia, arrestato e consegnato ai nemici in una gran perniciosa confusione, abbandonato dai suoi — Pietro lo rinnegava, Giuda lo tradiva — continuava imperterrito il proprio ufficio sacro, alla fine... resuscitando. Difatti alla spirituale resurrezione corrispondeva morte apparente con ripresa della vita. Una storia diversa vissuta dal Nazareno secondo l'ideologia sionista: 'in Sion tutti i popoli sono benedetti'.
Gesù mezzo, nel senso proprio di 'essere decisivamente tra', spesso trattato da pagano tramite (nel senso di essere, non rappresentare la via); e spesso il tramite e il mezzo confusi, fino all'illusione che tutto stia a stabilire e capire un fatto storico. Il sacerdote e psicoanalista E. Drewermann denunciava caduta finanche maggiore, di quelli che pensano semplicemente che 'accaduto il fatto' si ha tutto.
Durante i miei studi io vagliavo una cronaca missionaria dal Canada (ad opera di A. Peelman), in cui si dava spazio a testimoni con l'inclusione di un'altra memoria, un altro "apparire di Cristo", dalla remota Polinesia, luogo di una migrazione verso il Continente Americano e fino al suo Settentrione. In verità ne avevo già ricevuto dei resoconti, potendo ricostruire vicenda immersa nella natura che solo il mondo dei pastori potrebbe contenere in un racconto ufficiale, sfuggente alla civiltà di stampo giudaico e non decisivo per l'altra, greca. Nessun martirio violento, ma un dramma passeggero di incomunicabilità. Ma anche in tal caso: concentrarsi sulla sua persona condurrebbe a un niente, peraltro non evocabile con una scrittura. La società selvaggia amerinda difatti pratica esclusivamente cultura orale.
Il segno, la traccia, è per il monoteismo garanzia proprio perché quasi niente, ma non come la differenza radicale tra persona umana e persona di Dio. Nel frattempo che ho scritto tutto questo, è scoccata la mezzanotte, è sabato prima di Pasqua in Occidente dove falsità e verità si succedono senza apparente senso.
[18-19 aprile 2025]
 
MAURO PASTORE|
#110
Un Venerdì di Pasqua uguale e diverso.
In strada nella Processione i seduttori che promuovevano vicinanza e licenza, seguiti dai punitori che minacciavano 'la strada è nostra'. Ieri incontravo uno che — evidentemente — consumava la droga del momento, detta "degli zombie", il fentanyl; gli effetti sul suo corpo e le sole impressioni dei miei sensi corrispondevano all'identikit televisivo. Stasera c'era il gioco con le sostanze sacre, nel punitore parevano combinate con gli effetti analgesici degli ospedali pubblici.
In tivù su Rai Uno invece una celebrazione laica delle Dodici Stazioni del Messia, tutta interiore, senza invischiarsi nei meandri della storia... ma a insidiare c'era una mimesi profana del volto di Maria madre del Nazareno, di una 'grossa bimba' che ancor di più insinuava una cronaca africana nella rappresentazione giustamente slegata dai semplici fatti. Del resto in quest'ultima la voce di una donna era insistentemente sensuale e non era giusto né bello.
Secondo lo studioso e teologo R. Bultmann la resurrezione di Gesù di Nazareth, del Gesù storico, era un fatto privato solamente, giuntoci attraverso testimoni pubblici ma senza testimonianza pubblica. Il fatto storico cioè, per quanto incluso, non era ne è importante. Bultmann arrivava a dire che non ha importanza se il Nazareno esistette o meno, ma in più aggiungeva che della resurrezione non abbiamo neppure elementi per domandare di tale esistenza. A importare è il Cristo dell'Annuncio.
Successivamente si trovava una corrispondenza, nonostante tutto, tra materia storica e di fede (lo studioso più rappresentativo E. Käsemann); ma non senza una sorpresa: l'uomo storico in questione era fuori dal cristianesimo, un ebreo coinvolto nelle proprie faccende (G. Vermes). Cosa erano queste faccende? Sicuramente il passo successivo è stato quello di notare che l'impresa del maestro ebreo e giudeo (rabbi) Yeshua alias Gesù di Nazareth era in non inconsapevole relazione col futuro della fede cristiana. Tuttavia non lui in persona, ma ciò che rappresentava (P. Stuhlmacher). D'altronde non potrebbe che essere così, dato che il suo carisma personale rimaneva tutto interno ad ebraismo e giudaismo. Di tutto questo iter intellettuale, una nobile ricerca scientifica consumatasi nella Germania dopo Lutero e dipendente da un assunto di fede esprimibile filosoficamente, io avevo già da piccolo, poi di nuovo da giovane prima di scoprire tutto questo nel mio percorso di studi universitari, versione casereccia. Nella tradizione del Presepe lo stesso Nazareno era, è annoverato attore; e storicità o non storicità sono questione di soli atteggiamenti. Del percorso con la croce ci è stata tramandata una pantomima.
Sempre stasera sulla Rai, più tardi, il Dossier sulla morte di Gesù non ne teneva proprio in conto. Certo non si aveva coscienza, dalla produzione e dal lavoro di regia televisiva, che ci si stava lanciando in una storia del teatro. Si elencavano ritenute prove di avvenimento storicamente reale. Ardito l'interrogativo: possono i tre crocifissi discorrere tra loro, in quelle condizioni? La patologia attuale risponde di sì. Ma la vera domanda sarebbe: come trovò Yeshua modo per continuare la sua sacra rappresentazione? È tutt'altro che ironia. Il rabbi infatti, nonostante caduto in disgrazia, arrestato e consegnato ai nemici in una gran perniciosa confusione, abbandonato dai suoi — Pietro lo rinnegava, Giuda lo tradiva — continuava imperterrito il proprio ufficio sacro, alla fine... resuscitando. Difatti alla spirituale resurrezione corrispondeva morte apparente con ripresa della vita. Una storia diversa vissuta dal Nazareno secondo l'ideologia sionista: 'in Sion tutti i popoli sono benedetti'.
Gesù mezzo, nel senso proprio di 'essere decisivamente tra', spesso trattato da pagano tramite (nel senso di essere, non rappresentare la via); e spesso il tramite e il mezzo confusi, fino all'illusione che tutto stia a stabilire e capire un fatto storico. Il sacerdote e psicoanalista E. Drewermann denunciava caduta finanche maggiore, di quelli che pensano semplicemente che 'accaduto il fatto' si ha tutto.
Durante i miei studi io vagliavo una cronaca missionaria dal Canada (ad opera di A. Peelman), in cui si dava spazio a testimoni con l'inclusione di un'altra memoria, un altro "apparire di Cristo", dalla remota Polinesia, luogo di una migrazione verso il Continente Americano e fino al suo Settentrione. In verità ne avevo già ricevuto dei resoconti, potendo ricostruire vicenda immersa nella natura che solo il mondo dei pastori potrebbe contenere in un racconto ufficiale, sfuggente alla civiltà di stampo giudaico e non decisivo per l'altra, greca. Nessun martirio violento, ma un dramma passeggero di incomunicabilità. Ma anche in tal caso: concentrarsi sulla sua persona condurrebbe a un niente, peraltro non evocabile con una scrittura. La società selvaggia amerinda difatti pratica esclusivamente cultura orale.
Il segno, la traccia, è per il monoteismo garanzia proprio perché quasi niente, ma non come la differenza radicale tra persona umana e persona di Dio. Nel frattempo che ho scritto tutto questo, è scoccata la mezzanotte, è sabato prima di Pasqua in Occidente dove falsità e verità si succedono senza apparente senso.
[18-19 aprile 2025]

MAURO PASTORE
#111
Citazione di: PhyroSphera il 06 Aprile 2025, 18:48:34 PMde l'essere che è, il non essere che non è
Il 'de' sta per: de, senza la seconda lettera in corsivo. Il linguaggio filosofico può esser ostico e circolano per il web soggetti che vorrebbero profittarne, quindi ho precisato.
Per agio dei lettori e dei loro occhi reinvio testo, corretto:

|La filosofia nasce col dire che l'essere è quando è, con Platone cioè; o era nata già con Parmenide dicendo de l'essere che è, il non essere che non è?
Se assumiamo il primo riferimento (che ho scritto) per interpretare il secondo, l'altro ci appare designificato; ugualmente avvalorando e premettendo tale designificazione a quel 'quando', questo appare dimostrato senza esserlo.

E' quello che accade col quadro storico delineato dal defunto professore E. Severino. Sguardo che non va abbastanza a ritroso quindi errore? O non disposizione, non contatto diretto ai fatti? Entrambe le cose ma con l'intervenire di una coscienza: non Parmenide, ma il Parmenide di una tradizione, quella occidentale di cui il professore descrive la radicale follia di confondere essere e nulla.

Esiste solo questo Occidente, solo il modo razionalista di approcciarsi alla filosofia dei Greci, sicché i pensieri sulla natura dei primi filosofi detti fisici e non i cosiddetti magi (sapienti) sarebbero la preistoria e solo con Socrate si attuerebbe l'inizio?

Che rapporti ci sono tra l'immanentismo della concezione di Severino, il suo rifiuto ad ammettere la teologia nella propria speculazione intellettuale e lo sguardo storico ridotto agli inizi metafisici della filosofia?
Principiare dal parmenideo essere in quanto tale reca una vertigine della conoscenza e abisso del non conoscere. Difatti prima ci troviamo un tale Senofane, vero ispiratore della scuola di Elea, del quale si sa che principiava le sue riflessioni con menzione esoterica di un Dio.
Tutto ciò è precluso all'ateismo, anche al solo rinunciare alla prospettiva teista.


MAURO PASTORE|



MAURO PASTORE
#112
Citazione di: PhyroSphera il 31 Dicembre 2023, 17:58:15 PMInteressante un frammento del Diario di Kierkegaard (il 2907) dove si trova una critica alla filosofia di Schopenhauer. 
La numerazione dei frammenti è quella tenuta nella edizione ridotta del Diario, pubblicata dalla BUR. L'edizione non ridotta, di altro editore, segue un altro criterio di numerazione.

MAURO PASTORE
#113
Tanto tempo fa' riflettei parecchio sulla differenza dei concetti di angoscia in S. Freud e M Heidegger.
Dipendente dalla fatale gettatezza dell'ente nell'essere dall'essere, misura della nostra finitezza, di essere per la morte ma anche disparente con tale consapevolezza; segno di problemi inerenti la nostra mente, sintomo di malessere psichico: l'angoscia ha bisogno di essere pensata in entrambi i modi. Proprio per questo l'assolutezza freudiana nel trattare i sintomi - fino allo smarrimento del vero pensiero medico -, quindi la sua (freudiana) pretesa di oggettività dimenticando che la psicologia anche quando è scienza è soggettiva e al neurologo la psiche è oggetto che sfugge proprio - ricevono una smentita e un correttivo dalla filosofia di Heidegger. Privata del nemico, l'insistenza heideggeriana sull'essere invece si connoterebbe come sopravvalutazione del sapere su di esso, sapere ontologico, anche solo ontico.
Da una parte lo scientismo di un mero precursore della vera e propria psicoanalisi, Sigmund Freud; dall'altra una critica a tale scientismo, quella di Heidegger o, prescindendo dalla critica, un filosofema che degenera in sofisma, un pensiero che pretenderebbe di squadrare il mare dell'essere nel ciò che è, istituendo un collegamento troppo immediato con le cose; il che tramuterebbe la critica stessa in premessa allo scientismo.
Ma Heidegger aveva criticato il Freud, e se in altra occasione andò oltre col suo pensiero dell'essere, questo è altro conto, non un solo accadere e non bisogna fare indistinzione.
Non l'aveva pensata così Graziella Berto, che (nel suo libro Freud Heidegger Lo spaesamento) istituiva un paragone tra i due paritariamente. Con tanto di tedesco a spaventare ma pure a garantire, la filosofa descriveva, scortata da citazioni da J. Derrida, un gioco di costruzione eccessiva e inautentica di identità, sconfinamento con inclusione di estraneità, rappresentata da Marx e i suoi spettri. Come dire l'identità, se la nostra casa (oikos) accoglie un estraneo, se i suoi perimetri sono stati allargati troppo, come dire della nostra dimora della mente, in cui siamo? La difficoltà di una presenza da definire ma che ci sfugge, psicoanaliticamente, ontologicamente, dipende dall'esserci dell'estraneo e dal non farci i conti.
L'alterità in noi, nell'inconscio; fuori di noi, nell'essere: il voler stabilire troppo separa dalla vera identità, espone alla intrusione, quindi non se ne viene a capo. Lo spettro è creato dalla distrazione: l'invadenza intellettuale accoglie stranieri senza volerci pensare; si reitera la proposizione di una identità inautentica.
La Berto però non coglie la differenza tra chi attirato suo malgrado fuori dal proprio cortile (Heidegger) e chi invece realmente prepotente con chi passava solo accanto al suo (Freud); e così resta non capito il ruolo di Marx e il marxismo: estranei nel senso di intrusi, nei confronti della cultura, civiltà, politica e società caratteristiche della Germania; nel senso di capitati per caso altrove, ma in un mondo non veramente diverso dal proprio, quello dei rivoluzionari antioccidentali, prepotenti anch'essi. Da una parte cioè l'identità di una espropriazione; dall'altra quella di un gemellaggio, celebrato col connubio del freudo-marxismo.

P. A. Rovatti nella Premessa al testo della Berti pone in causa Lacan: ne va del soggetto che noi siamo, del capire come liberarsi dalle catene per agire; ma - dico io - è vera liberazione concludere con l'affermazione: 'il proprio non è il proprio'? Senza individuare il ruolo di intruso di Marx nella dimora occidentale? Imputando ai suoi spettri una cattiva coscienza europea inesistente, credendo che i nostri fantasmi ricorrenti siano cadaveri nell'armadio dell'assassino, che verrebbe ingiustamente identificato con la cultura non solo occidentale ad europea, anche italiana?
Non è libertà ma coscienza di chi ingannato e senza la premessa di Rovatti il testo di G. Berto era ancora più ingannevole. Un testo del 1999 di cui ho analizzato solo la composizione e qualche punto determinante, ma quanto basta per non accettare né evitare di dirne. Dirne in un periodo, quello odierno, segnato dall'alleanza volontaria o involontaria tra cancel culture e marxismo residuo, postmarxismo, ex-marxismo e col bisogno di conoscere la nostra innocenza - così come la conosco io anche gli altri.


MAURO PASTORE
#114
Tematiche Filosofiche / Re: Nietzsche e Zarathustra
07 Aprile 2025, 20:06:02 PM
Citazione di: Visechi il 16 Gennaio 2025, 23:27:13 PMLo Zarathustra è l'opera filosofica di Nietzsche senza dubbio più significativa. Rappresenta l'annuncio del nuovo
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/nietzsche-e-zarathustra/msg95365/#msg95365


Secondo C. G. Jung, F. W. Nietzsche, nella sua discesa verso la follia, dopo la stagione creativa del Così parlò Zarathustra ne aveva smarrito il piano simbolico, letteralizzato i discorsi, perduto i contesti.
L'immagine de "la bocca aperta che richiama ad un'apertura di senso e non ad un unico senso" richiamata dal testo che sto commentando [visibile interamente al link che ho accluso] restituirebbe l'indefinitezza e indeterminazione originaria della poesia se vi si ponesse bene mente.
Il volontarismo è una corrente della filosofia e va trattato con cautela. Nonostante tutto volontà di vita e volontà di potenza non sono lo stesso. Pure Fato e destino in realtà non coincidono.

Il voler soffrire quale adesione a un futuro che incontrerà certamente il negativo dentro la ciclicità della natura, corrisponde al pathos nella sua forma negativa. Ma l'assolutizzazione del principio volontaristico nella determinazione della potenza pone in conflitto il piano del desiderio puro, che non è ciclico e più artificiale che naturale. Ritorna sempre l'Io quale ego smisurato, da che era la tempesta e lotta romantica diviene ossessione nell'uomo che cerca l'unità, il senso affidandosi a una sola delle due polarità della vita. Forma e distinzione; energia e fusione: gli elementi apollinei e dionisiaci, vengono separati, scelta l'oscurità del secondo. Nietzsche non pensava alla sua descrizione della tragedia greca come alla scoperta dei due poli della vita cosmica rappresentati con l'idea mitica. Se ne lasciò sfuggire il senso archetipico stabile, tentando la via dell'oscura unificazione. Non fu esagerazione romantica, non ego capriccioso e sublime, ma squilibrio culturale, poi sociale e psichico. Incontrò la schizofrenia dopo averla tenuta a bada con un lungo peregrinare, anche sulle Alpi italiane. A Torino la sua mente non resse ma aveva problemi di ordine diverso e la psicosi era ridotta solo a una manifestazione secondaria. Infatti morì in sèguito a paralisi progressiva, forse causata da malattia venerea.
Nelle sue Lettere da Torino, mentre era in comportamenti anche schizofrenici, scrisse del 'Dioniso crocifisso', secondo sorta di sincretismo col cristianesimo. Quel pathos, la volontà di assentire ai momenti necessari di sofferenza, erano accompagnati infatti, nella assolutizzazione di un solo polo della vita biologica, dal sopraggiungere del dolore imprevisto, non determinato da alcun destino. Perché le indistinzioni generate dalla attrazione della sua coscienza per la figura di Dioniso confondevano la Parola misteriosamente pronunciata (Fato) col persistere ineluttabile di un fine naturale, da accettare o cui soccombere (destino)! La ebbrezza dionisiaca era con una difficoltà di altro ordine, pensabile compiutamente assieme al Dio cristiano della Provvidenza. Il suo amor Fati era compromesso col senso ineluttabile del destino; il significato, superiore al piano delle léggi naturali, oggetto di Rivelazione ma non con un dire oscuro della Divinità (Fatum), confuso coi segni di codeste léggi; e in ciò valeva l'appello del Dio cristiano a una salvezza non umana. Inutile il superomismo, l'uomo nuovo al posto del vecchio.
Mentre accadeva ciò, Nietzsche decideva di voltare le spalle al proprio passato. La sua attenzione già da tempo era rivolta al mito germanico-slavo di Wotan. Registrò qualcosa di non concluso nel Frammento sul nichilismo europeo, dove dava atto di restante possibilità cristiana; abbandonò la Grecia di Dioniso quando la sua incomprensibile oscurità gli aveva funestato la vita.

Avevo iniziato con l'analisi di Jung, continuavo in parallelo ad essa, concludo con la mia analisi del messaggio di "Visechi", sempre in parallelo:
Nello scritto dell'autore del messaggio che sto commentando il pensiero deborda e si staglia la figura pagana di Crono a dominare la scena, secondo gusto nichilista e designificante, dove tutto è positivisticamente fino all'eccesso ridotto ad aritmetica del tempo puntuale: invece di sistemi metafisici o antimetafisici il riferimento ad elementi primi del tempo in sé inconsistenti più dei punti geometrici. Ma così il senso della vita e delle opere di F. W. Nietzsche è cancellato. Le sue altezze e bassezze, vita da studioso di filologia e da musicista, da filosofo critico sui monumenti della storia e da pubblicista troppo incauto, da poeta e da critico musicale, da uomo politico ed emarginato per le strade; genio celebrato ma internato in manicomio.
Il Crono messo in evidenza nel testo di "Visechi" (non so se è pseudonimo) è quello della odierna epoca tecnoscientifica, dal mitologico Titano al mitico dio del tempo, apparso quando era già all'orizzonte il cristiano Creatore del tempo. La divinità di Crono è l'idolo contro cui il materialismo estremo che vanifica la stessa concezione della materia si scontrava e si scontra. L'esser nichilista dell'autore del Così parlò Zarathustra fu invece l'esser aristocratico, con l'errore dell'Anticristo sulle spalle ma anche con un carico di tesori in tasca, senza nessuno che potesse seguirlo.


MAURO PASTORE
#115
La filosofia nasce col dire che l'essere è quando è, con Platone cioè; o era nata già con Parmenide dicendo de l'essere che è, il non essere che non è?
Se assumiamo il primo riferimento (che ho scritto) per interpretare il secondo, l'altro ci appare designificato; ugualmente avvalorando e premettendo tale designificazione a quel 'quando', questo appare dimostrato senza esserlo. 

E' quello che accade col quadro storico delineato dal defunto professore E. Severino. Sguardo che non va abbastanza a ritroso quindi errore? O non disposizione, non contatto diretto ai fatti? Entrambe le cose ma con l'intervenire di una coscienza: non Parmenide, ma il Parmenide di una tradizione, quella occidentale di cui il professore descrive la radicale follia di confondere essere e nulla.

Esiste solo questo Occidente, solo il modo razionalista di approcciarsi alla filosofia dei Greci, sicché i pensieri sulla natura dei primi filosofi detti fisici e non i cosiddetti magi (sapienti) sarebbero la preistoria e solo con Socrate si attuerebbe l'inizio?

Che rapporti ci sono tra l'immanentismo della concezione di Severino, il suo rifiuto ad ammettere la teologia nella propria speculazione intellettuale e lo sguardo storico ridotto agli inizi metafisici della filosofia?
Principiare dal parmenideo essere in quanto tale reca una vertigine della conoscenza e abisso del non conoscere. Difatti prima ci troviamo un tale Senofane, vero ispiratore della scuola di Elea, del quale si sa che principiava le sue riflessioni con menzione esoterica di un Dio.
Tutto ciò è precluso all'ateismo, anche al solo rinunciare alla prospettiva teista.


MAURO PASTORE
#116
Citazione di: PhyroSphera il 04 Aprile 2025, 00:12:50 AMMa fare i conti con proprie impotenze e poteri negativi sovrastanti non è da iniziarsi arbitrariamente e neanche - avvertendo il peggio - con la cura clinica del disagio. Si tratta di non distogliere lo sguardo dall'aut aut che ci si pone innanzi, trovando la ragione poi ma non quella scientifica, saltando assurdamente nel buio che si rivela la luce superiore di Dio.
Lo stesso psicoanalista citava - a me pare con terribile imbarazzo, sicuramente invano - Kierkegaard, che questo aut aut lo aveva portato al centro dell'attenzione dei filosofi e della cultura religiosa.


Citazione di: PhyroSphera il 04 Aprile 2025, 00:12:50 AMil problema in questione non si risolve mettendo i disagiati in una grande clinica né attribuendo la colpa del fattaccio al settarismo.

Qui su mancavo lettera grande. Mi è necessario precisarlo nonostante si possa ricostruire immediatamente il testo corretto e nel leggerlo, comunque, tutto resta lo stesso; mi è necessario perché la denuncia che il mio messaggio contiene è invisa a chi abusa di atti mancati ed errori per ottenere una ragione che non ha. Basta questo, il non aver avuto tempo sufficiente per una più attenta revisione, una maiuscola mancante a inizio frase, perché qualcuno sentendo parole forti che coinvolgono il mondo sanitario s'inganna di trovare in uno sbaglio un intoppo mentale e finanche un difetto al fisico dello scrivente, desiderando di fargli un "check" ad ogni costo. Quando l'ingiusta rabbia guida l'azione e assieme a pregiudizi reiterati, si ha a che fare con ossessi, se ci sono proprio prevenzioni con forsennati. Purtroppo, come già spiegato in una discussione sulla psicoanalisi su questo stesso forum, il mito costruito sugli scritti di S. Freud, che sono a carattere neurologico e solo in una dimensione psicoanalitica non con una vera e propria psicoanalisi, contribuisce a dare la caccia in camice bianco a errori e persone che sbagliano o sembrano sbagliare. Anche inciampando si possono fare grandi imprese e l'azione altrui non si giudica con metri inesistenti. Chi pretende inerzia per paura di ossessi e forsennati dovrebbe occuparsi di altro, dell'ingiusto credito di cui costoro si fanno vanto. (Freud aveva assunto la semplice dimensione psicoanalitica interdisciplinarmente dagli psichiatri che già la praticavano nelle proprie diagnosi.)

Spero in una buona discussione.


MAURO PASTORE
#117
Per evitare interpretazioni inutili quanto fuorvianti da parte del lettore, accludo link contenente un riferimento che illustra de l'arroganza o hybris quale tratto fondamentale della nostra mente:

https://www.riflessioni.it/logos/riflessioni-sull'arte/l-innocenza-nella-lingua-nella-poesia-nel-pensiero-nella-storia/msg92924/#msg92924

Utile anche il pensiero successivo (potrebbe esserlo l'intera discussione di cui è parte, perché l'estetica non è mero apparire ma mezzo di conoscenza dell'universo):

https://www.riflessioni.it/logos/riflessioni-sull'arte/l-innocenza-nella-lingua-nella-poesia-nel-pensiero-nella-storia/msg96581/#msg96581

C'è una relazione, tra il sogno di risolvere i casi di tragica violenza con l'utilizzo della terapia o peggio della medicina e il rifiuto, presente negli ambienti sanitari, di riconoscere l'innocuità dell'aggressività insita nella natura umana. I delitti peggiori accadono da chi la teme! Sebbene la ricerca psicologica abbia mostrato a vari livelli che l'aggressività mentale sia del tutto necessaria per noi umani (certo non siamo angeli e neanche bestie, pur partecipando di altezze e bassezze psichiche e psicologiche), permane un tentativo sanitario di troppo. La psicoanalisi lacaniana - restiamo alla materia di questa discussione - da motivo di liberazione può diventare, se assunta al rovescio, occasione per chiudere la simbolizzazione spontanea della nostra psiche entro i segni che non sempre l'accompagnano, irreggimentando il pensiero e le emozioni in codici civili che vengono fatti sembrare naturale armonia tra léggi politiche e regole mentali. In realtà così facendo si favorisce una civilizzazione che non è di tutti - appartiene al mondo del giudaismo soltanto - e che peraltro non va e non può essere proposta e ancor meno favorita da tale confusione. C'è insomma qualcosa di etnofobico, a livello anche religioso, nel fare da balia alla natura umana sperando così di porre fine agli abusi della violenza. Questa balia finisce con concentrare il proprio asfissiante controllo verso il mondo greco e i mondi ad esso vicini. Per grecità non si intenda solo quella ellenica né si confonda il panellenismo col più vasto cosmopolitismo greco.


MAURO PASTORE

#118
Si badi che io non ho fatto un riassunto del programma tivù citato. Ho posto in evidenza degli elementi importanti secondo una sintesi.

MAURO PASTORE
#119
Il titolo di un fortunato libro di Karl Popper Cattiva maestra televisione si addice a introdurre la questione.

Un delitto familiare assolutamente macabro e inquietante, il colpevole che dice di aver ucciso per liberare dai dèmoni.
Il caso finisce alla Rai alla rubrica Protestantesimo (si veda al link alla fine del testo), evidentemente altra cosa dalla omonima rivista, dato che nel programma tivù si finisce con l'accusare le sètte mentre la dottrina evangelica le riabilita.
Un quadro psicologico definisce il protagonismo di troppo dei 'pastori autoproclamati', un quadro psicoanalitico attribuisce al disagio il delitto illudendosi che basti portare le vittime di quelle autoproclamazioni dentro una sfera clinica. Parallelamente un esercizio di avvocatura crede d'individuare l'antidoto nella configurazione democratica delle chiese della Riforma. Nel mezzo un'intervistato dal mondo pentecostale dava esempio di moderazione insinuando un dubbio: non tutti quelli che si autoproclamano sono da rifiutare. Altro intervistato offriva però un esempio di integralismo sociale inconsapevole della molteplicità dei contenuti della Rivelazione, sostenendo: i carismi solitari sono per servire gli altri. Questo altro quadro è sociologico ma il suo espositore non faceva compiuta sociologia. Secondo tale piano tutto è interrelazione paritaria... Nondimeno la prospettiva psicologica si rifaceva viva: non è la singolarità il problema ma le scelte a fronte delle capacità singolari. Questa analisi però era, come detto, assieme a uno sviamento che attribuiva alla patologia l'accadere della violenza. Sbagliatissimo! Le circostanze delle violenze non sono mai nel pathos stesso e non sono gli studi sulla psiche a poter e dover discettare di tali circostanze.
Oltre la relatività sociale, in aggiunta alla individuazione psicologica, sarebbe stato opportuno uno studio interreligioso a completare i quadri!

La presenza del dèmone informa sul lato oscuro e distruttivo della natura, cui far fronte dando credito alle divinità, per trovare il proprio destino. Un cammino di virtù in cui consiste un fondamentale vissuto del paganesimo. La vicenda però è di tutti. Il cristiano vive la necessità di accogliere la destinazione offerta da Dio per far fronte ad imprevisti oltre nostre forze; e a volte è necessario questo altrimenti il confronto col dèmone non potrebbe mai riuscire. Episodicamente si potrebbe risolvere tutto ateisticamente con un esorcismo, mancando tante insidie. L'autore dell'omicidio rifiutava di considerare adeguatamente la natura; invece di accettare la prova e di darsi alla virtù, identificava il dèmone con un male irresistibile; invece di notare che un esorcismo non sarebbe mai bastato e porsi solo di fronte a Dio, pensava di fare da solo e non gli bastava scongiurare. Non mettendosi in condizioni di capire come trovare un destino familiare in una circostanza oltre le normali intuizioni, trovava soluzione nel portare via dal mondo sua moglie e due suoi figli.

Lo psicoanalista lacaniano, esperto di alterità che potrebbero esser tutto, dio o dèmone (come saggiamente avvertì Jung), non restava umile, instradato dalla psicologa fiduciosa che il proprio discorso avrebbe dischiuso tutto il necessario si illudeva sul potere terapeutico, nel pregiudizio troppo grave che vi sia un nesso tra follia e violenza criminale o criminosa... Ma fare i conti con proprie impotenze e poteri negativi sovrastanti non è da iniziarsi arbitrariamente e neanche - avvertendo il peggio - con la cura clinica del disagio. Si tratta di non distogliere lo sguardo dall'aut aut che ci si pone innanzi, trovando la ragione poi ma non quella scientifica, saltando assurdamente nel buio che si rivela la luce superiore di Dio.
Una testimonianza, anch'essa nel mezzo, raccontava: nessun esorcismo nelle nostre chiese, in tali casi si chiama chi aiuta effettivamente - per esempio un medico! Eppure neanche così funziona. L'autore del delitto vedeva nel dèmone il male stesso; chiamare un medico significa vedere nel disagio una malattia e anche questo è odio verso la natura!

In questi labirinti una notazione può essere di aiuto. Alla fine del suo Tractatus logico-philosophicus L. Wittgenstein additava la necessità del tacere a fronte dell'inesprimibile e al cospetto de il Mistico. Il positivismo sostituiva questo con una Incognita trasformando le affermazioni del trattato in espressioni razionaliste. Di questo passo: dire Dio non significa nulla, è solo come un gioco che aiuterebbe a vivere; le indicazioni di assoluta ulteriorità non avrebbero senso; l'alterità è una qualunque, sempre, non una qualsiasi, non quella del credente in Dio.
La psicoanalisi che studia il linguaggio vive di espressioni e non si cura del valore delle affermazioni. Si deve riflettere e meditare sul superamento delle suggestioni con semplici scongiuri, sulla via del proprio destino tra le vuote oscurità e la luminosità divina, sulla destinazione data da Dio stesso.
Il non-teista tradurrà il tutto secondo termini di coincidenze, assoluti e Assoluto, ma la sostanza non cambia.
il problema in questione non si risolve mettendo i disagiati in una grande clinica né attribuendo la colpa del fattaccio al settarismo.

Quel che dava senso al programma: alcune espressioni terrorizzate della presentatrice-intervistatrice.

Link:
https://www.raiplay.it/video/2025/03/Protestantesimo---Il-lato-oscuro-della-Fede---30032025-8ccbb680-97ff-45fd-86c9-0c1e94a0bb40.html


MAURO PASTORE
#120
Tematiche Spirituali / Re: "Ateismo cristiano"
03 Aprile 2025, 08:31:38 AM
Citazione di: doxa il 01 Marzo 2025, 21:51:58 PMIl  filosofo marxista e sociologo sloveno Slavoj Žižek,  teorico dell'ateismo cristiano, al quale ha dedicato quattro libri, l'ultimo  dei quali l'ha pubblicato recentemente ed è titolato: "Ateismo cristiano. Come diventare veri materialisti" (edit. Ponte alle Grazie), dice he per il cristianesimo ciò che muore sulla croce non è soltanto un messia, un rappresentate di Dio. "Non è come se Dio se ne fosse stato lassù, mentre noi siamo qui, e avesse detto, duemila anni fa, va bene, cerchiamo di redimere l'umanità, e poi, visto che non ha funzionato, disse a Gesù, figlio mio torna da me, magari proverò ancora più avanti".
 
 Ed ancora: Cosa significa servire Dio ? Se dico "Sto servendo Dio, presumo di sapere che cosa Dio vuole ! Significa che sono in diretto contatto con Dio. Secondo lo scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton un vero cristiano non può mai pretendere di sapere cosa vuole Dio".
 
 "Dio lo sa che se l'umanità scompare, muore anche lui".
 
 Gesù sulla croce gridò: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni" (= Dio mio, perché mi hai abbandonato ?). Žižek dice: "Solo nel cristianesimo Dio stesso, abbandonato da Dio, per un momento è ateo".

 
 E a proposito di ateismo..., vi ricordate l'aneddoto , forse vero, di quando Napoleone I Bonaparte chiese al matematico e astronomo francese Pierre-Simon Laplace perché nella sua teoria sull'universo, descritta nel libro "Exposition du système du monde", pubblicato nel 1796, non fosse accennato Dio ?
 
 Napoleone gli disse: "Newton ha parlato di Dio nel suo Libro. Ho già sfogliato il vostro e non ho trovato questo nome una sola volta".
 
 L'ateo Laplace gli rispose: "Citoyen Premier Consul, je n'ai pas eu besoin de cette hypothèse" (= "Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi").
 
 Napoleone, molto divertito, raccontò la risposta di Laplace al matematico e astronomo Joseph-Louis Lagrange (il suo vero nome era Giuseppe Luigi Lagrancia, nato a Torino nel 1736; un italiano naturalizzato francese), il quale esclamò: "Ah ! Questa è una bellissima ipotesi; essa spiega molte cose".
 
 In realtà non è chiaro, stando anche ai commentatori dell'epoca, se la risposta di Laplace a Napoleone fosse da intendersi come un proclama di ateismo oppure come il rifiuto di introdurre nella filosofia della natura un "Essere Supremo" che intervenendo in continuazione nell'universo fosse garante dell'ordine cosmico, come era ritenuto necessario ad esempio da Newton.
 
 Comunque, quali che fossero le convinzioni di Laplace sull'esistenza di Dio, egli fu convintamente anti cristiano.


Un Dio che si dimentica di sé, degli uomini che si sentono autorizzati a dimenticarsi di lui... O non è vero oblio, finto ateismo, o un sofisma nato per eludere le affermazioni di necessità della fede in qualcosa che non è il mondo. Psicologia, sociologia, antropologia attestano entro la stessa prospettiva scientifica il bisogno della fede religiosa; la filosofia che considera pensiero e azione ne conosce i vantaggi anche per la politica.

La vita umana non può metter da parte stabilmente Dio, lo si chiami pure solo Mistero; la politica non fa eccezione e una seria organizzazione politica non può essere atea, solo un raggruppamento effimero.
L'impegno politico del marxismo ateo, conformandosi quale movimento continuato con aspirazioni o caratteri di regime intellettuale, è una illusione per chi lo protrae ed un inganno per chi vi aderisce. Si tratta di una invasione nell'agone politico e proprio un invasore era Stalin, che a differenza di Hitler era dedito a violenze senza aspirazioni di vera politica: una intromissione che segnalava, per il fronte occidentale della Seconda Guerra Mondiale, W. Churchill.
Quel che di fatto è stato tentato da S. Žižek e dagli altri come lui, le loro opere di pubblicistica, non sono definibili neanche scritti corsari ma manifestazioni di confusione subculturale, dietro o attraverso cui agiscono poteri alieni che vogliono profittare della fine dell'Occidente e, ai nostri giorni, distruggere i poteri del Settentrione del Mondo.
La Cancel Culture rappresenta ufficialmente - avrebbe voluto continuare ad agire all'oscuro, ma fu portata in evidenza - l'istanza distruttiva e lascia intravedere ciò che vuol farsi grande in forza della fine.
Dietro l'ateismo marxista, cha ha fortissimo effetto di cancellazione culturale, incombono poteri religiosi estranei a noi, che non si sono proposti secondo la necessaria correttezza di rapporti umani e universali.


MAURO PASTORE