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Messaggi - iano

#1051
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2024, 20:51:42 PML'ovvia aritmetica assolve la funzione pratica di enumerare degli oggetti. Cosa che nessuna estrosa matematica potrebbe fare meglio. La moltiplicazione è una elaborazione sintetica della somma. Sottrazione e divisione sono funzioni contabili elaborate dai più antichi matematici, assai utili nel loro mestiere di carattere economico. Così come l'analisi matematica si sviluppò per rispondere ai bisogni teorici e di calcolo della fisica quando questa cominciò a ridurre i fenomeni a funzioni matematiche orientate a sviluppi tecnologici.

Giusto,  e a queste due fasi storiche aggiungiamo la terza , quella di una matematica che si sviluppa per nessuno motivo e che può trovare applicazione inattesa a posteriori.
Ora resta a noi liberamente decidere se tutte queste matematiche vogliamo considerarle una, potendole fare ricadere dentro lo stesso quadro teorico, o se vogliamo parlare di tre matematiche distinte nella sostanza.
Se le teniamo distinte avremo quindi una matematica che fa  culo e camicia con la realtà, una matematica '' a priori'' alla Galilei, quindi una seconda che non sembra essere implicita nella realtà, ma che da questa si può comunque spremere, o che comunque nasce per spiegarla, fase Leibnitz-Newton, e una terza dove pure invenzioni matematiche possano diventare abiti che rivestono la realtà, puri esercizi di stile capaci di dettare la moda.
 
#1052
Politica spiccia quotidiana incapace di fare un programma che vada e veda oltre il buio della mezzanotte.
#1053
Citazione di: Visechi il 15 Novembre 2024, 20:41:55 PMNiente di nuovo sotto il sole, dunque?
Non sono i riferimenti ai grandi della cultura universale che debbono marcare e dare la cifra dell'odierna sensazione di decadenza. Sarebbe davvero un troppo comodo rifugio affidare le nostre sensazioni a chi ha vissuto in altri tempi e con notevole maestria ha cantato il tramontar del sol.
No! Sotto il sole odierno c'è ben altro.
Non l'usuale, non il banale, non un normale periodo di transizione.
Questa tua affermazione ha un valore nella misura in cui riusciamo ad immedesimarci nel travaglio degli uomini del passato e/o nella misura in cui riusciamo ad estraniarci dalla centralità che inevitabilmente possiede per noi il tempo che viviamo, laddove decentralizzarsi non è mai facile, richiedendo una forte volontà nel farlo.
Però quello che io vedo, e non mi riferisco a te, è che questa volontà non sia cosi forte , mentre prevale a volte il desiderio di vedersi come potenziali abitanti di un arcadia da restaurare, non potendovi materialmente tornare, e alla fine ci si riduce a dire, secondo un copione scontato, che si stava meglio quando si stava peggio.
Allo stesso tempo non mi sfugge come questo farsi zavorra al cambiamento sia salutare, perchè per procedere il freno non conta meno dell'acceleratore in un veicolo accortamente costruito.
Mi pare che nella misura in cui la cultura si fa carne, veloci cambiamenti culturali letteralmente ci dilaniano, e che non sia facile vincere la scommessa di poter vivere più vite in una come i nostri tempi ci invitano a fare.
Immaginate allora  come saremmo messi in fatto di alienazione se mai si realizzasse il nostro sogno di eternità.
Per tutti arriverebbe allora il momento di spararsi un colpo in testa, perchè c'è poco da fare, ma, per quanto ci sforziamo di adeguarci, certi processi non possono fare a meno del ricambio generazionale, se di noi periodicamente non si possa fare tabula rasa, spegnendoci per riaccenderci, quando il programma vitale si blocca.

Ma , in quanto filosofi mi chiedo, non dovremmo noi riuscire a sollevarci sopra tanta ovvietà ripetitiva, almeno col pensiero, cioè con ciò che al filosofo attiene, se non nei fatti?
Oppure dobbiamo accattare di assoggettarci alla solita recita ripetuta sempre uguale?
In cosa consisterebbe allora il filosofare nella sua specificità se si riduce poi a politica spiccia?
#1054
Più in generale mi chiedo, può il filosofo esercitare la sua disciplina senza ricorrere necessariamente all'intuito, oppure in ciò sta il suo limite?
Per tacere di quel detto e non detto per cui in forma indiretta, senza dichiaralo in forma chiara, si ritiene anzi l'intuito come come forma mentale superiore al ragionamento.
E stante la mia ignoranza vi chiedo se nella storia della filosofia vi sia stato qualcuno che delle due forme mentali  abbia provato a cercare il comun minimo denominatore, o una qualche possibile loro relazione.
#1055
Il secondo principio della termodinamica non afferma nulla che non sia a tutti noto, tanto da esser considerato da alcuni, quando lo sentono enunciare, una ovvietà.
Bella scoperta ti dicono ridacchiando,  chiunque sa che che il calore passa dai corpi caldi a quelli freddi!
Ma assumono poi un aria seria e preoccupata, quando gli spieghi che ciò comporterà in un futuro, per quanto molto in là da venire, la certa fine del mondo.
Il principio lo si può enunciare anche come una perdita media di ordine irreversibile.
In questa diversa forma il principio appare già un poco meno ovvio, ma ancora ben intuibile, se di cosa sia ordine abbiamo intuito.
Ma possiamo noi limitarci alll'intuito, o dovremmo provare dell'ordine a darne una definizione?
Questo è quello che gli scienziati si propongono sempre di fare, consci del fatto che una volta che di ciò che intuiamo diamo una definizione, l'intuito non ha più cittadinanza, e che se ancora pur lo si usa occorre farlo con accortezza,, perchè una volta data la definizione, l'oggetto che viene definito, non coincide più potenzialmente con quello della nostra intuizione.
Trarre conseguenze filosofiche da questi principi fisici riguardanti concetti così definiti dovrebbe comportare che i filosofi ben li conoscano prima di trarne conseguenze tragiche o meno, il che non sempre è vero, e inoltre  continuano ad usare l'intuito in via esclusiva senza usare accortezza alcuna.
Quindi, al di là della definizione che danno gli scienziati di ordine, essendo libera tale definizione, voi filosofi, in piena potenziale autonomia dagli scienziati, come provereste a definirlo senza ricorrere all'intuito?
 
#1056
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Novembre 2024, 21:54:52 PML'ho gia detto qualche decina di volte, ma se non viene compreso questo...allora vi lascio discutere delle vostre cose in santa pace.
Io l'ho compreso il tuo punto di vista, tanto è vero che l'ho criticato.
#1057
Citazione di: Il_Dubbio il 13 Novembre 2024, 21:54:52 PMLa natura sembra che abbia messo le cose in equilibrio, ad esempio creando casualmente la nostra casa, il sistema solare, dandoci l'acqua e l'ossigeno ecc. Se tutto questo lo immaginiamo come un mondo perfetto ci chiederemmo perchè questo sistema cosi "materno" crei i terremoti, oppure perchè la Terra sia bombardata da asteroidi, alcuni catastrofici o comunque molti potenzialmente pericolosi. Perchè esistono le malattie, perchè muoriamo...
Perchè? Perchè il particolare equilibrio raggiunto sulla terra   è il frutto  di eventi più o meno catastrofici ancora in corso.
Perchè i microrganismi che non ci uccidono, causandoci malattie, ''ci ingrassano''.
#1058
Citazione di: Jacopus il 12 Novembre 2024, 16:23:39 PMIo mi limitavo a non fargliene passare una.😆
Non eri il solo. Anch'io lo fustigavo senza tregua su quella sua idea fissa dell'energia come sostituto dello spirito santo.
#1059
A me manca Apeiron.
#1060
Il problema della metafisica della cosa in se, se così si può dire, è che ad essa resta legata a vita la nostra percezione naturale della realtà, che in fatti è fatta di evidenze, le quali permangono anche quando la scienza ne scova la natura di illusione, non bastando questa consapevolezza a mutare la nostra percezione.
La nuova ''percezione'' scientifica non è nella sostanza diversa da quella ''naturale'', ma i suoi prodotti non sono le evidenze, e, stante l'inerzia di una evidenza, perciò i suoi cambiamenti di pelle sono molto meno travagliati, per quanto restino problematici,
#1061
Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 18:01:20 PMHai un po' modificato la questione.
Potremmo dire così, ora: l'edificio della metafisica è crollato, noi ci aggiriamo tra le macerie e ogni tanto ci fermiamo davanti ad uno di questi pezzi, interrogandoci su di esso, sulla sua natura, ma inutilmente in quanto il suo significato stava nella posizione occupata all'interno della struttura dell'edificio. Ora non è altro che un pezzo di materia inerte.


Inerte come la pelle che il serpente ha abbandonato per assumerne una nuova.
La metafisica non muore ma si trasforma.
Il compito del filosofo sarebbe quello di capire dove si è andata a cacciare di nuovo, perchè almeno lui dovrebbe porre fiducia nella sua funzione insostituibile, piuttosto che lamentarne l'irrimediabile perdita, e uno dei posti dove andarla cercare è dentro alle teorie fisiche, dove, anche indipendentemente dalla volontà degli scienziati a loro insaputa si è reinsediata nella sua nuova forma che la rende irriconoscibile a prima vista.
La metafisica muta , ma non muore, per cui se essa non ci indica più l'assoluto, resta però assolutamente necessaria.
Allo stesso tempo occorre avere la consapevolezza che quando la si trova questo è il momento in cui inizierà  a cambiare pelle.
La ''cosa in se'' relativa alla vecchia metafisica, in quanto cosa in se, quindi ovvia ed evidente, non aveva perciò bisogno di essere affermata, come volendone puntellare un esistenza in pericolo, e l'affermarla quindi è il primo passo necessario per poterla poi negare, operazione lunga e difficile che segna le ere filosofiche.
Le parole servono ad affermare quanto a negare, per cui non potremo mai affermare  un senso della vita che sia innegabile, nella misura in cui venga espresso appunto in parole.
Non c'è una verità esprimile in simboli e per questo la scienza non ce la può dare.
Esistono verità innegabili dentro di noi, che resistono, finché non le scoviamo traducendole in parole.
#1062
Noi siamo di fatto il nostro prossimo, se avremmo potuto esserlo, ma allo stesso tempo dobbiamo difendere la nostra esclusiva individualità perchè da ciò dipende la ricchezza nella diversità, che nei limiti in cui si può esprimere a parole, è la descrizione della vita su questo pianeta, la cui finalità, se c'è, non posiamo sapere, ma sappiamo che se c'è su questa ricchezza di diversità si basa per potervi giungere..
Tutto ciò per dire alla fine quanto mi dispiaccia vedere come alcuni di voi su certi problemi esistenziali si arrovellano soffrendoci.
#1063
Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 10:37:00 AM"Le risposte non le troviamo semplicemente perché non avrebbe senso porsi quelle domande".
Non hanno presumibilmente senso, perchè se c'è una finalità non è a parole che la si può esprimere, secondo me, cioè non tutto è riducibile a parole, per quanto inevitabilmente proviamo a farlo.
Questo però non significa che non bisogna porsi le domande esistenziali, non fosse altro perchè ci viene naturale porcele, e anzi è bene porsele, perchè scoprirne la mancanza di senso definisce i limiti del linguaggio, che una volta definiti possono essere perciò superati, il che equivale adire che superata una domanda se ne pongono altre cento, laddove le domande senza risposta sono da considerare un indice di ricchezza del linguaggio.

In quanto osservatori noi saremo sempre al centro dell'universo, perchè l'osservazione coincide con questa centralità, ma nella misura in cui non siamo immutabilinquesta centralità si sposta.
Scoprire la centralità da cui osserviamo, senza aspettare che si palesi da sola, significa partecipare in modo cosciente alla nostra trasmutazione, che preferibilmente userei al posto di evoluzione la quale sottende un fine che se c'è, ripeto non è esprimibile a parole.
Direi anche di più, che la nostra tensione spirituale, una volta espressa a parole, così traducendola la tradiamo.
Non ci sono parole per dirlo, perchè anche quando diciamo che Dio è innominabile, la frittata è già fatta, perchè non possiamo dirlo senza nominarlo.
Questo è il punto di partenza contraddittorio di ogni religione che si basa su un testo sacro, e questa idolatria della scrittura non si limita comunque all'ambito religioso.
Questo è l'esempio di ciò che portato fuori di noi in forma di una tecnologia, la scrittura, una volta presa confidenza e ristabilita l'intimità di partenza, essa torni a noi sotto forma di idolo da venerare.
Nel bene e nel male la vituperata teconologia, cioè il noi esternato, tende col tempo a fare ritorno nel suo grembo, in una dinamica che non si è mai arrestata.

In ogni caso noi non siamo riducibili a parole, se siamo noi a produrle, per cui posto che abbiamo delle finalità, sarebbe riduttivo pensare di poterle esprime a parole.
Il farlo comunque non è peccato, e in modo indiretto sono comunque positive le conseguenze di ciò, ma in sostanza, volendo riassumere la ratio di questa mia discussione, vorrei invitarvi a non arrovellarvi su quelle domande prive di risposte fino a farvene una malattia, e affrontare  in modo allegro e leggero la questione, senza scatenare piccole o grandi guerre di religione.
Ridurre per quanto possibile i grandi problemi esistenziali a un gioco al quale, in quanto tale, è sempre bello partecipare, laddove vi è da un lato la determinazione di dover sostenere il ruolo assunto nel gioco, e dall'altro la coscienza che noi non ci identifichiamo con quel ruolo, se è vero che avremmo potuto assumerne un altro.
#1064
Partendo dal principio che credo logico, per cui l'osservatore può osservare solo altro da se, questo schemino semplice si arricchisce senza complicarsi se si ammette che l'osservatore può effettivamente osservarsi se ciò che di se osserva diventa contestualmente altro da se, in un processo che sarebbe di pura alienazione, ma solo se c'è il rifiuto di continuare a relazionarci con ciò che abbiamo esternato, senza perciò aver perso la capacità di continuare a farlo.
#1065
Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 10:37:00 AMla posizione di Iano espressa nel post di apertura è chiara e può essere descritta come la radicalizzazione del neopositivismo logico
Sono andato a leggere sulla Treccani alla voce neopositivismo, nel quale, per quanto possa valere la lettura di dieci righi, mi riconosco effettivamente, ma solo in parte.
Ad esempio non riconosco il ''ruolo privilegiato ricoperto dalle scienze sperimentali nel processo di acquisizione di conoscenza'', riferendomi all'agire umano di cui quelle sono solo un espressione, allo stesso modo che matematica e logica sono solo esempi dei linguaggi umani. Tutto ciò con cui abbiamo a che fare sta dentro alla dimensione umana potrei dire, se non fossi consapevole che a questo dire non corrispondono confini così precisi da poter dire cosa sta dentro effettivamente  e cosa fuori, se ciò che sta dentro può essere portato fuori, come si adopera a fare la psicologia, e viceversa, e come ancor prima ha fatto la fisica.
La mia filosofia parte dall'assunzione che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, ma che appare nuovo ciò che viene posto in evidenza, passando dalla dimensione inconscia a quella conscia, laddove esse comportando un diverso fare, e sono perciò riconducibili all'agire umano.
Semplificando al massimo questa posizione, fino a rischiare di renderla davvero semplicistica, direi che ciò che si può fare in modo conscio lo si può fare in modo inconscio, e viceversa.
Per quanto questo schemino possa apparire appunto semplicistico, a me pare che spieghi molte cose in modo semplice.
Quindi in particolare non do un maggior valore all'agire cosciente, ma semplicemente constato che questo sembra sembra sempre più caratterizzare l'agire umano, laddove prendere coscienza di se equivale poter esternare ciò che abbiamo conosciuto, alienandoci, ma non necessariamente in senso negativo, seppur emotivamente è facile così intendere.