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Messaggi - Sariputra

#1051
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
22 Agosto 2017, 16:33:15 PM
Vorrei ora mettere in evidenza uno dei più grandi problemi che si affrontano nella cosiddetta "vita spirituale"( e non solo): la presunzione.  Nei suoi discorsi Buddha Shakyamuni parla di tre tipi di presunzione che hanno tutti la loro radice nel concetto base "Io sono". Da questa radice nascono: "Io sono più grande", "Io sono uguale" e "Io sono meno". Si possono definire come presunzione di superiorità, d'uguaglianza e d'inferiorità. L'ultima può impedire che una persona compia qualunque sforzo: "Per lui va bene, ma io come diavolo potrei riuscirci?". Quella di mezzo impedeisce di apprendere da coloro che sanno di più e hanno praticato di più:" Chi si crede di essere costui? Io sono esattamente come lui". La prima però è la più pericolosa per chi medita ( tralascio qui il fatto che probabilmente è anche la più fastidiosa in generale , in tutti i campi della vita ordinaria...). Una persona inizia a credere di sapere più degli altri, fatto questo che, come ben sappiamo, viene spesso tradito dal tono stesso della voce e dai gesti fatti. Si può giungere persino a credere di aver fatto esperienza del Nibbana, di essere un saggio e quindi di non aver più contaminazioni, mentre purtroppo le contaminazioni sono evidenti a tutti fuorché all'interessato  ;D . Ricordo, per esempio, un incontro di meditazione al quale partecipai permeato dalla soffocante presunzione di superiorità di un gruppetto di meditatori laici. Una cosa veramente penosa. Di solito, quando una persona manifesta la propria presunzione, si crea un certo imbarazzo, cala uno strano silenzio. E' difficile affrontare una presunzione troppo evidente e smaccata. In termini buddhisti questo crea un aumento di dukkha ( sofferenza). Dalla presunzione nascono le opinioni che sono fondamentalmente concetti. La presunzione-radice "Io sono" si dirama, proprio come le radici di un grande albero, in miriadi di opinioni, quello che il Buddha ha descritto come:"Il roveto delle opinioni, il deserto delle opinioni, la distorsione delle opinioni, il vacillare delle opinioni, il legame delle opinioni".
Le opinioni sostengono il concetto dell'io e, proprio per questo, molte persone sono sensibili e suscettibili quando le loro opinioni vengono messe in discussione. Il concetto dell'io comporta attaccamento alle opinioni...un bel problema nella pratica.  Persone tenacemente attaccate alle proprie opinioni  vengono chiamate, dai maestri di meditazione, mana-ditthi, una persona di presunzione-e-opinioni, difficilmente addestrabile. Diciamocelo chiaramente: se una persona non ne vuol sapere di deporre il suo fardello di opinioni...non può vedere il Dhamma. Se la sua testa è piena di concetti su Dio, io, anima, ecc. di concetti esclusivisti come "Solo questo è giusto", oppure concetti di superiorità come "La nosta via è quella giusta, la nostra filosofia è corretta , la nostra scienza è superiore", il Dhamma non trova spazio. Possiamo vedere, anche all'interno della storia del buddhismo, come questi concetti si siano fatti strada. Nella distinzione tra Grande Veicolo (Mahayana) e Basso Veicolo ( Hinayana), sono presenti due concetti che il Buddha non avrebbe mai potuto pronunciare, essendo del tutto privo di presunzione. Una persona intelligente può indovinare chi ha inventato questi termini (Hina è un termine spregiativo e non significa piccolo o minore).
La presunzione è una vera sfortuna per i praticanti buddhisti. Nelle altre religioni almeno si coltiva l'umiltà di mettersi in adorazione di un Dio, fatto questo che permette di non aumentare a dismisura la propria presunzione ( anche se non sempre...come ben vediamo e...leggiamo ;D). Ma i praticanti buddhisti non hanno queste opinioni e queste pratiche di adorazione, non credendo in un Dio creatore onnipotente, e quindi l'intero loro "cammino" dipende dal loro sforzo; sforzi fatti da se stessi, mediante la virtù, la meditazione e la visione profonda-saggezza.
Senza la guida di qualcuno, questi sforzi spesso portano, purtroppo, ad una crescita della presunzione. Il buddhismo non è certo la religione del "fatelo da soli"...
Collegata a questa presunzione legata alle opinioni-concetti vi è la presunzione che complessità è uguale a profondità. Molte persone studiano il Dhamma buddhista per anni e anni. Arrivano ad avere una profondissima conoscenza dell'Abhidhamma o di tutti i sistemi scolastici della filosofia buddhista, al di fuori dei Discorsi in pali e del Vinaya ( ossia della Disciplina...). Studiano il Sentiero di Mezzo di Nagarjuna, la Mente-sola di Asanga o la filosofia dell'interrelazione di tutte le cose dello Hwa-Yen. Questo però può diventare ( e spesso lo è...) un vero pericolo nei confronti della pratica concreta che non richiede tutte queste complessità. Nel cristianesimo potremmo dire che "Non è necessario conoscere l'intera teologia cattolica per amare Dio", essendo la pratica dell'amore-agape il cuore di questa religione e non certo la sua comprensione esclusivamente intellettuale  :).
La mente guidata dal desiderio, dalla presunzione e dalle opinioni è abilissima nel produrre filosofia, che però, in Oriente come in Occidente, non vanno nella direzione della calma e della visione profonda. Il Buddha definì il filosofeggiare come una varietà della proliferazione concettuale (papanca) e dichiarò che è la via giusta per i legami (ovviamente molti filosofi che scrivono sul forum non saranno d'accordo... ;D).
#1052
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
22 Agosto 2017, 11:55:31 AM
SIRIMA

-Raccontaci una delle tue storie Sari...daiii...che ci annoiamo  a guardare le capre che brucano l'erba. Una storiella divertente, magari un pò piccante, come quelle che racconti ogni tanto...
-Non sono dell'umore adatto. Penso che continuerò ad osservare le capre...-
-Ma ti tira su...smetti di rimuginare come fai di solito...e poi si chiama socializzare. Le relazioni sono importanti!-
-Questa devo averla già sentita...Sono spento. Una nebbia d'umidità afosa si è posata sui miei pensieri. -
-Dobbiamo passare al ricatto, come al solito?...Di cosa potremmo minacciarlo?...Uhm!-
-Va bè...ho capito come va a finire. Allora ascoltate e non fiatate...-
-Siamo tutt'orecchi...aahh...questo prosecco sta andando aceto...quando iniziamo a vendemmiare?
-Tra una decina di giorni, se non grandina prima.-
-Allora?...racconta...

-C'era una volta un giovane monaco di nome Sariputra. Era un tipo pieno di volontà di seguire il Dharma del Buddha, di sincera e buona volontà...-
-Avevamo detto qualcosa di piccante e te ne esci con una storiella edificante?...-
-Non fiatate. Allora...A quei tempi viveva una famosa cortigiana di nome Sirima. Era una fanciulla di grande bellezza, la cui fama si era diffusa per tutta la regione e gli uomini pagavano anche mille monete  per una notte in sua compagnia. Quindi molto più bella di voi che sorridete...
-Grazie. Gentile come al solito...-
-Questa Sirima era anche devota all'ordine dei mendicanti e ogni giorno inviava al boschetto di bambù dove risiedeva Sariputra un invito a ritirare un pasto per uno dei membri del Sangha.
 Quel giorno toccò al giovane di recarsi alla casa della cortigiana. Sirima però , proprio quel mattino, cadde ammalata e dovette farsi aiutare dalle sue ancelle, tutte fanciulle di notevole splendore e  bellezza, per servire Sariputra. Nonostante la malattia, e anzi forse a ragione di questa, la giovane sembrava emanare una bellezza ancor più radiosa. Appena la vide il giovane monaco se ne innamorò  perdutamente...-
-Come ti capita di solito con le giovani fanciulle...eh!eh!-
-Shhh!...Non stiamo parlando di me.-
-Ah no?...eh!eh!-
-Anche se malata la sua bellezza infiammò di desiderio il giovane Sari...putra. Tornato al boschetto di bambù non riusciva a pensare a nulla fuorché a Sirima, rifiutando persino di mangiare e di alzarsi per  quattro giorni di seguito. Però, la sera stessa in cui si ammalò, Sirima morì.-
-Che sfiga...poveraccio...eh!eh!eh!-
-Il re mandò un messaggero dal Buddha per comunicarglielo, perché lei era una sua seguace, anche se non molto ortodossa.-
-Direi! Che tipo di contemplazione praticava? Eh!eh!eh!...-
-Il Buddha chiese al re di far lasciare il suo corpo per qualche giorno nel "campo delle ossa".-
-Che è?-
-I campi delle ossa venivano utilizzati da vari vagabondi spirituali e da monaci i quali si rendevano conto che gli oggetti che vi si potevano vedere stimolavano la rinuncia. Anche i monaci buddhisti visitavano questi luoghi e contemplavano i vari stadi di decomposizione del corpo. Una descrizione dettagliata di quello che si doveva fare in questi campi si trova nel Visuddhimagga.
-Vai avanti con la narrazione. I dettagli a dopo...-
-Il Buddha e la comunità monastica , compreso il giovane Sariputra, vi si recarono dopo quattro giorni dalla morte della fanciulla...-
-Credo di sapere dove andrai a parare...-
-Anch'io...tipico del personaggio direi.-
-Il re ordinò che tutti i cittadini dovevano partecipare, ad eccezione dei guardiani. Tutti andarono al campo delle ossa, ognuno al proprio posto e nel proprio gruppo, intorno al corpo gonfio di Sirima.  Sariputra, che non sapeva della morte, seguì il Buddha pieno di gioia di rivedere Sirima. Quando tutti furono riuniti il re annunciò che il corpo di Sirima sarebbe stato messo in vendita. Se, quando era viva,  gli uomini avevano pagato mille monete a notte per la sua compagnia, adesso che era morta il prezzo venne fissato in cinquecento monete. Ed anche se il re dimezzava il prezzo ogni volta, nessuno lo  prese fin quando il cadavere fu offerto liberamente. Nessuno lo prese...-
-E te credo!...-
-Allora il Buddha pronunciò questi versi:

 Osservate questo bel corpo,
una massa di piaghe, una congerie,
molto ben considerato ma miserabile,
dove nulla è stabile, nulla persiste...
 
 e quel giovane monaco, in quel momento e a quella vista, si trovò sciolto dal suo desiderio e divenne un "vincitore della corrente".-
-Allora , di sicuro, non eri tu...-
-Il Buddha però poi sottolineò non tanto l'osservazione del deperimento dei corpi altrui, ma anche la riflessione che lo stesso sarà per il nostro.-
-Ecco, è proprio quel tipo di riflessioni che cerco sempre di evitare. Perché rattristarci con queste anticipazioni? Pensiamo invece a quanto era bella da viva...-
-E' un tipo di meditazione che serve per liberare il cuore dalla brama, specie se si ha un tipo di mente visiva.-
-Io amo la mia brama. Mi sentirei già morto e decomposto senza la mia brama. Adesso bramo un pò di quel prosecco. Ci vuole una bevutina dopo questa storia piccante...-
-Ma non sta già diventando aceto?-
-Infatti...che schifo! Non dura niente a 'sto mondo.-
#1053
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Agosto 2017, 09:34:41 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Agosto 2017, 03:50:04 AMTi invito a riflettere su quanto, sinteticamente, scrive J. Evola: "Esistono delle realtà d'un ordine superiore, archetipico, variamente adombrate dal simbolo o dal mito.
Non è che una cosa diventa esistente perché lo dice Evola, altrimenti facciamo di questo Evola un Dio come quello della Genesi, a cui basta dire "Sia la luce!" e la luce esiste per il semplice fatto che l'ha detto lui. Vorrei osservare che, riguardo all'esistenza di entità invisibili o esoteriche o comunque misteriose, di alcun genere, io, nella mia visione che rozzamente si potrebbe dire materialista, credo in realtà a più cose di quante non ne credano persone come Evola. C'è infatti da mettere in luce un meccanismo mentale di cui solitamente non ci si rende conto. Si tratta del meccanismo seguente. In una visione materialista una persona può ritenere che esiste soltanto ciò che è misurabile, documentabile, dimostrabile. Ma un materialista non ingenuo non può fare a meno di tener presente che possono esistere entità la cui esistenza oggi non è documentabile, ma potrebbe esserlo domani. In questo senso anche un materialista serio, critico e autocritico, non può fare a meno di ammettere la possibilità dell'esistenza di qualsiasi cosa al momento sconosciuta. A questo punto vediamo cosa succede se un superstizioso dice al materialista che esistono i fantasmi. In base a ciò che ho detto, il materialista non può escluderne a priori l'esistenza, perché potrebbe sempre succedere che un giorno se ne trovino prove inconfutabili e addirittura esperimenti ripetibili. Tuttavia il materialista non vede lo stesso di buon occhio la proposta avanzata dal superstizioso riguardo all'esistenza dei fantasmi. Perché? Perché è carente di autocritica. Quando uno scienziato ipotizza l'esistenza di una qualsiasi entità, egli, per metodo acquisito, inizierà immediatamente a trattare anzitutto già la sua stessa ipotesi con metodo critico totale, cioè sottoponendola a tutti i sospetti immaginabili in grado di demolirla. Questo metodo gli consente, nel tempo, di pervenire a conclusioni che hanno una certa solidità, sebbene la certezza assoluta sia umanamente impossibile. Sottoporre un'ipotesi a tutti i sospetti e a tutte le critiche immaginabili equivale a partire dal presupposto che essa sia falsa e quindi letteralmente aggredirla con tutte le critiche possibili. Teniamo presente che stiamo parlando di un'ipotesi pensata dal materialista stesso, quindi egli aggredisce praticamente se stesso, partendo da questo presupposto: "No, non può essere, sicuramente mi sto sbagliando, ci dev'essere qualche inghippo, qualche fregatura". Partendo da questa posizione mentale, lo scienziato comincia ad aggredire la propria ipotesi e va avanti finché vede che l'ipotesi continua a resistere, a non poter essere demolita. In realtà questo lavoro di critica diventa permanente a causa del fatto che, come ho detto, mi risulta umanamente impossibile pervenire a certezze assolute, non più ulteriormente discutibili. Questo è il metodo che la scienza usa per pervenire ai risultati dei propri esperimenti (che non sono mai certezze assolute, come ho detto). Questo metodo è importante perché lo scienziato, il materialista, sapendo di essere un uomo, sa che l'inganno, la falsità, l'illusione, stanno sempre dietro l'angolo, pronti a sviarlo da un contatto serio e critico con ciò che siamo soliti chiamare "realtà". Ora, il problema è che invece il superstizioso non mostra di praticare quest'atteggiamento severo di sospetto e critica, ma, al contrario, si mostra incline a favorire tutto ciò che conferma la sua ipotesi, tendendo invece a trascurare o minimizzare ciò che la demolisce. Una testimonianza forte del metodo scientifico che ho descritto è stata portata dal criterio della falsificabilità di Karl Popper. Il suo principio, sebbene non sia perfetto o infallibile, orienta verso il negativo: quando si fa un'ipotesi, la prima cosa che ci si deve chiedere è se esistono modi per demolirla; se non ne esistono, allora essa è da scartare in partenza. Vale solo ciò che è demolibile! Anche qui possiamo tener presente che un'ipotesi non falsificabile oggi potrebbe esserlo domani. Ma ciò che conta è lo sforzo, l'atteggiamento: per giungere a risultati seri è necessario essere proprio cattivi, aggressivi contro le proprie stesse ipotesi. Questo è il mio problema: mi ritengo un materialista che in realtà non nega nulla di tutto ciò che potrebbe esistere, ma che soltanto chiede severità, metodo critico, perché so di essere umano e quindi facilmente ingannabile. Quando vedo persone che invece sono inclini a innervosirsi appena uno mette in dubbio le loro idee e ipotesi, che sono inclini a difendere ciò che dicono, piuttosto che attaccarlo già in partenza loro stessi, come secondo me sarebbe meglio fare, allora storco il naso. Forse mi si potrebbe chiedere se io adesso sono disposto ad attaccare violentemente ciò che io stesso ho appena detto. Sì, lo sono, sono già dell'opinione di aver detto solo delle fantasie della mia mente. Ma anche qualsiasi alternativa a ciò che ho detto non potrà sottrarsi al sospetto di essere pura fantasia. E anche il sospettare può essere sospettato di non valere niente. Cioè, le certezze assolute potrebbero anche esistere. Questo però è molto diverso dal darle per certe in anticipo o essere inclini a favorirle, piuttosto che a sottoporle a critica permanente.

Il problema di questo ragionamento, Angelo, è che tu vorresti imporre il metodo scientifico anche al campo della spiritualità. La cosa non mi pare possibile, in quanto la scienza si occupa del campo dell'empirico e non ha interesse a valutare e misurare il campo spirituale. Molti seri scienziati sono atei e molti altri sono credenti. Proprio perché non confodono i due ambiti diversi di indagine.
Dovremmo piuttosto chiederci, a parer mio, quale potrebbe essere un serio metodo di valutazione di un'esperienza spirituale: é la fede? E' la verifica del cambiamento in noi? E' un aumento di empatia e benevolenza verso chi ci sta vicino? Ecc. Ecco, queste mi paiono domande che mettono veramente in questione la serietà di un percorso o di un'esperienza che definiamo convenzionalmente come "spirituale". E' sempre il problema dei "frutti" che si pone come verifica della bontà di una scelta di vita.
Se applichiamo il metodo scientifico a una materia  come la spiritualità, fortemente soggettiva per natura stessa, è evidente che ne verrà sempre deleggitimata da questo.  A meno che non si voglia sostenere che ogni cosa e ogni esperienza umana deve passare il vaglio del metodo scientifico. Questo però presuppone che si dia per scontato che il metodo scientifico, efficace nell'indagare come funziona la realtà materiale, lo sia per ogni tipo di realtà. E questo , personalmente, mi fa paura perché diventa un pensiero unico e totalizzante, oltre che intollerante verso altre forme di pensiero. Quindi si rischia di passare dal dogma fideistico religioso al dogma fideistico del metodo scientifico.
La "spiritualità", se praticata seriamente e non come mezzo per imporsi agli altri, è necessariamente "debole", se la confrontiamo con le prodigiose scoperte scientifiche che ci vengono sbattute in faccia con tutta la forza della loro evidenza . A volte però questa debolezza diviene preziosa perché è una narrazione che ha la capacità di saziare quello che una volta veniva definito come il "cuore". Ossia ha la capacità e possibilità di dare pace. E' molto interessante questo...
#1054
Tematiche Filosofiche / Re:Vita
16 Agosto 2017, 23:52:19 PM
Citazione di: altamarea il 16 Agosto 2017, 21:50:37 PMPrima di domandarsi il senso della vita bisogna chiedersi cos'è la vita, cos'è un essere vivente. Interrogarsi sul senso della vita significa indagare anche il significato della morte. Vita e morte sono in tandem. Il biologo e genetista Edoardo Boncinelli nel suo saggio titolato "Vita" dice che un essere vivente è materia organizzata, limitata nel tempo e nello spazio, capace di metabolizzare, riprodursi ed evolvere. I costituenti sono cellule e macromolecole, ma è il possesso del genoma che fa l'essere vivente. In un altro suo libro, titolato "Quel che resta dell'anima", Boncinelli evidenzia che "... la consapevolezza di dover morire è un peso che accompagna l'uomo in ogni circostanza, per quanto si sforzi di vivere come se così non fosse. E proprio per sopportare questo pesante fardello, l'uomo ha inventato l'anima, affinché almeno una parte di sé potesse essere immortale e incorruttibile, non deperire col tempo e non essere annientata." Questo genetista nel citato suo saggio sull'anima aggiunge: "... si potrebbe intendere come anima il genoma. Non c'è vita senza genoma. Se la vita ha un'anima, questa risiede nella vigile presenza del suo genoma. Tale anima si trasmette attraverso le generazioni e questo processo dura da quasi quattro miliardi di anni, rappresentando e garantendo l'unicità della vita. La biologia molecolare ha scoperto che l'essenza della vita è in due sue proprietà essenziali: il possesso di un genoma ed un assetto strutturale e funzionale che le permette di utilizzare l'energia e l'informazione prese dal mondo.
Citazione di: Jacopus il 16 Agosto 2017, 23:04:03 PMEffettivamente quello che dice Altamarea ha un senso, alla luce dell'evidenza scientifica che condividiamo il 50 per cento del patrimonio genetico con l'albero di banane (sic) e il 98,2 per cento con lo scimpanzè, il quale geneticamente è più simile all'homo sapiens che al gorilla.

E dopo questo immagino il povero Io "quasi ventenne", tutto rinfrancato e speranzoso, sprizzando gioia da ogni  macromolecola,  risolversi di affrontare la vita del suo genoma con un casco di banane in testa e grattandosi la panza come una scimmia...che disperasiòn, che disperasiòn !!  ;D  ;D  ;D  
Io, ascolta il vecchio Sari... Se cercavi una risposta ai tuoi perché, l'ultima cosa che dovevi fare era chiederlo agli utenti di un forum di filosofia!  :(
#1055
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
15 Agosto 2017, 15:04:52 PM
Per comprendere meglio il Dharma buddhista dobbiamo, prima di tutto, capire che il sentiero tracciato dal Shakyamuni ruota attorno allo sforzo di liberarsi dalle tre radici nocive.  Vorrei porre l'accento in questo breve scritto ( per quei due, tre a cui può interessare... ;D )sull'influsso profondo che queste hanno sull'esercizio, da parte dei potenti, DELLA VIOLENZA E DELL'OPPRESSIONE:

Ci sono, o monaci, tre radici di ciò che è nocivo: la brama, l'odio e l'illusione.
La brama, l'odio e l'illusione di qualsiasi tipo, sono nocivi.
Qualunque kamma accumulato, tramite azioni, parole o pensieri, da una persona avida, in preda all'odio o all'illusione, è anche esso nocivo. Ogni sofferenza che una tale persona, sopraffatta dalla brama, dall'odio e dall'illusione, i cui pensieri sono controllati da essi, infligge con falsi pretesti agli altri (uccidendo, imprigionando, confiscando i beni, con false accuse o con l'espulsione, a causa del pensiero: " Io ho potere e io voglio il potere") tutto ciò è pure nocivo. In una tale persona si manifestano così molti stati mentali negativi e nocivi, che nascono e sono originati dalla brama, dall'odio e dall'illusione, che sono causati dalla brama, dall'odio e dall'illusione.        Anguttara Nikaya, 3:69

Questo testo dimostra chiaramente che, per il Buddha, le tre radici nocive producono terribili ripercussioni sulla società, in quanto causa di dolore, crudeltà e sopraffazioni. Il Buddha le descrive come le reali motivazioni che sono alla base dell'uso indiscriminato del potere e gli esempi ci fanno capire che si riferiva specificamente all'uso politico di questo potere. Abuso che un governante esercita verso il suo stesso popolo o verso altri popoli di un paese considerato "nemico" in tempo di guerra. Sicuramente Siddhartha era uno spettatore attento alle vicissitudini del suo tempo e avrà assistito a molti casi di violenza e di oppressione. La falsa propaganda o la calunnia verso delle vittime prescelte tra gli abitanti dello stesso paese governato esistevano di sicuro anche 2.500 anni fa. Infatti, tutti gli esempi di violenza e di sopraffazione citati in questo testo antichissimo ci sono familiari. Naturalmente, oggi come un tempo, le forze che li stimolano son sempre le stesse: la brama smodata di potere, l'odio verso tutto ciò che limita o si oppone a questa brama e l'illusione ideologica. Nella storia moderna , la radice che ha preso il sopravvento, che ha occupato il ruolo centrale, a mio parere, è l'illusione, che è all'origine di svariate ideologie di tipo religioso, politico o etnico.. Penso che Siddhartha ripensasse alla sua vita di nobile principe del clan Shakya, alla corte del padre  quando pronunciò i famosi ( e commoventi, per me) versi che aprono l' Atta-danda Sutta ( il sutra chiamato "L'Uso del Bastone"):

Dal bastone brandito nasce la paura, guarda la gente che fa vittime:
Io voglio narrare la commozione, come è stata da me sperimentata.
Vedendo la gente brulicare, come pesci in poca acqua,
Vedendo l'uno ostacolare l'altro, un terrore mi è sorto.
(Sutta Nipata, vv 935-936)

Di solito, negli atti di violenza e di oppressione, sono presenti tutte e tre le radici nocive. Nei vari casi specifici però una delle tre può essere predominante sulle altre. Però sarà sempre presente un elemento di illusione, o ignoranza ( avidya). L'illusione, per esempio, era l'elemento predominante nelle guerre di religione del passato, mentre nel presente l'elemento brama ( di ricchezza, di dominio economico, di supremazia politica, ecc.) pare prevalere, servendosi naturalmente sempre della radice nociva dell'odio per stimolare il desiderio di combattere del popolo ( usando la subdola arma della propaganda...).
L'illusione, in questi casi, genera l'odio , mentre la brama sta sempre in agguato sullo sfondo. L'interazione delle tre radici è spesso assai complessa per via del fatto che si alimentano a vicenda, aumentando così la loro forza violenta. La psicologia del potente, al tempo del Buddha come ai giorni nostri, è fondamentalmente sempre la stessa. Tutti questi atti contro i più deboli vengono compiuti per brama di potere: per godere del potere, per il desiderio di ottenerlo e per lo stimolo continuo ad allargarlo sempre di più. La smania di potere è un 'illusione ossessiva, intimamente legata all'autorità.
Questa smania minaccia sempre di prendere il sopravvento in tutti coloro che esercitano una qualche forma di autorità sugli altri, dal dittatore al capo di un governo "democraticamente" eletto. Non sfuggono ad essa neppure i più meschini burocrati; anch'essi provano piacere nell'esercitare la loro piccola fetta di potere e , a volte, ad ostentare i segni della propria autorità.
#1056
Ciao Laura Amphitrite e ben arrivata in questa arena virtuale dove bisogna spremere le meningi...spremere...spremere...sempre spremere al fine di ottenere un ottimo vino!
Se sono nato il 23 agosto come mai in alcuni oroscopi sono "leone" e in altri "vergine"? Questo interrogativo turba le mie notti, non mi dà tregua. Visto che sei un'esperta potresti svelarmi l'arcano?
E non credo si possa rientrare astrologicamente nella categoria dei "leoni vergini" ( e non sogghignate voi che leggete...come al solito!)...
#1057
Quando ci poniamo di fronte all'idea di trascendenza o di immanenza dovremo credo lasciar andare ogni concetto su di essa che ci siamo fatti o ci hanno insegnato. Dovremo proprio dimenticare persino il significato di questi due termini. In primis perchè non ci servono e poi perché rischiano sempre di essere fuorvianti. Dobbiamo per prima cosa essere "vergini" spiritualmente. Non siamo "occidentali" o "orientali"...siamo semplicemente noi, con tutta la nostra forza interiore e la nostra debolezza psicologica. PercHè c'è una grande forza interiore in noi. C'è, è sempre là, presente ma noi ci soffermiano spesso solo sulle nostre debolezze e non vediamo che queste non sono insuperabili, non ci impediscono di camminare, se lo vogliamo. La "trascendenza" ( uso questo termine per favorire la comprensione ma in realtà non lo condivido...) è una ricchezza, non un impoverimento come ritenuto dalla mentalità corrente. Una persona che cerca di seguire un sentiero spirituale non è un frustrato che pone limitazioni al godimento della vita, ma anzi ..ne ha in sovrappiù! Il fallimento che vediamo in molte persone che hanno seguito un particolare sentiero spirituale non dimostra l'inefficacia del sentiero ma la mancanza di autentico vigore spirituale del viandante.  L'uomo che continua a confrontare la propria vita con quella degli altri e soffrirne per la sensazione di non essere all'altezza; l'uomo che non ha stima di se stesso e della propria capacità di amare veramente; l'uomo che dubita in continuazione di ogni cosa e anche delle proprie  ricchezze interiori, non è adatto ad un sentiero spirituale. Bisogna lasciar andar tutta questa massa di incertezze, lasciarle sullo sfondo della nostra vita. Smetterla di confrontarci e di ritenerci "spirituali" o " materialisti". Essere autenticamente nudi e poveri, come un Siddharta che si nutre del letame dei vitelli di bufalo per sopravvivere. Non possiamo farlo? Non possiamo denudarci da tutta la catasta senza fine di idee che ci siamo fatti sulla "spiritualità"? Su Dio, Allah, Nirvana o qualunqua altra cosa? Non possiamo metterci soli e nudi di fronte a "Dio"? Non possiamo farlo perchè siamo esseri culturali e socievolmente sociali? AH... ma siamo anche altro. Lo siamo, e quando siamo stanchi di tutto, alla sera nel nostro letto, non c'è qualcosa che frugna nel nostro profondo e che ci fa dire:" Non me ne frega niente del mondo e della sua cultura: Vorrei solo...essere amato per quello che posso dare"?
Ecco perché la "rinuncia" è essenzialmente un dono che facciamo, a noi stessi e agli altri che ci circondano. La rinuncia diventa l'atto di fare spazio nel nostro cuore e lasciar spazio agli altri. Si parla spesso di rinuncia al "sè" ma poco di una altrettanto importante, ossia al "Mio". Il mio sapere. la mia cultura, la mia posizione, le mie infelicità, il mio benessere materiale...abbiamo un'infinità di "mio" che guidano la nostra vita. Ci aspettiamo che il "trascendente" sia una cosa meravigliosa, un'esperienza ineffabile, totalmente "altra" ad ogni altra esperienza e non ci accorgiamo che è sempre il solito gioco del "mio" in azione. Come pensiamo di accorgerci della presenza di "Dio" o dello stato del "Nirvana" se non ci accorgiamo nemmeno dell'infelicità e del dolore di quelli che diciamo di amare? Solo se incontriamo lo sguardo dell'altro e guardiamo nel colore del suo animo possiamo capire se ha un senso la parola "trascendenza".
Scusate il predicozzo... :)
#1058
Una citazione piuttosto interessante di Jaspers sulla trascendenza che si trova su Wiki:"La trascendenza non è esistenza. L'esistenza infatti sussiste solo in quanto c'è comunicazione; la trascendenza invece è se stessa senza bisogno d'altro". Se parliamo di "esperienze di trascendenza" vediamo infatti che la loro più precipua caratteristica è l'incomunicabilità ( la citazione ovviamente non ha nulla a che fare con questo,la sto strumentalizzando ai fini del mio discorso... :) ). La possiamo ricordare con terminologie simboliche, con paragoni, ecc. ma tutto questo non ha nulla a che fare con l'esperienza in sé. C'è l'esperienza e poi c'è il tentativo del pensiero di inquadrarla nelle definizioni. "Dio" appare quindi, a mio avviso, come una definizione  di un'esperienza incomunicabile . Chi ha fatto esperienza di stati "mistici"  conosce perfettamente il limite invalicabile che pone il linguaggio. Chi tenta di superarlo spesso scade nel ridicolo, se non addirittura nell'infantile.  Si fa l'esperienza e poi... la si definisce come "mistica" perchè non si sa che parola usare. Tutto questo si presta ovviamente all'errata interpretazione.  Essendo uno stato incomunicabile è anche uno stato d'esperienza della morte (del pensiero). Nel momento in cui si sperimenta questo morire e pertanto vengono a cessare tutte le formazioni mentali che sostengono la differenziazione non è più possibile sostenere una distinzione di qualsivoglia tipo.  Se non c'è più chi sperimenta la trascendenza non ha nemmeno senso parlare di trascendenza o immanenza, essendo l'esperienza in sè al di là delle definizioni di trascendenza o immanenza, oppure di vita o morte, di essere o non-essere, io e Dio, ecc.. Spesso si parla di "essere visitati". Quindi non più "Io ho visto" ma, nel mio morire al pensiero, "sono stato visto". E' interessante ...ma è ovviamente sempre e solo una definizione a posteriori che assume un senso solo per chi ha già vissuto un certo tipo d'esperienza. . Simbolicamente è l'Adam che non vuole esser visto e si nasconde, che si "copre" con la conoscenza ( "Sono nudo"). Questo sembra indicare che, solo se mi denudo o ritrovo la mia originaria natura di totale nudità,  posso uscire dall'inferno della differenziazione ( della "cacciata"...che ho voluto per poter dominare), differenziazione che è il nostro abito mentale, la nostra foglia di fico.
#1059
Per dare un contributo al tuo interessante spunto mi verrebbe da aggiungere un'altra possibilità che può aver dato la stura all'idea nell'uomo di una realtà trascendente il dato sensibile. Questa può aver origine da quel tipo di esperienze mistiche che definiamo come trascendentali in quanto si presentano alle persone che ne fanno esperienza come qualcosa di "totalmente altro" al pensiero, all'emozione e al sentimento quotidiano. E' possibile ipotizzare che questa sia stata una possibilità ampiamente alla portata di molti uomini e donne dei tempi antichi. Nella tradizione buddhista si parla dell'incapacità , per la maggior parte degli uomini moderni, di raggiungere persino il primo jhana di assorbimento, mentre era comune ai tempi del Buddha arrivare tranquillamente al quinto. Da questo tipo d'esperienze può esser sorta o intuita la possibilità di una realtà trascendente il dato empirico e, la differenza esperienziale così profonda con la normale percezione, può aver creato i presupposti per le categorie di assoluti che si sono attribuiti a questa realtà "trascendentale". Per es. , tentando di non banalizzare, la gioia profonda e di natura totalmente diversa dalla normale gioia esperibile nel quotidiano,  può esser intesa anche come gioia dell'Unione con qualcosa di indescrivible, di totalmente altro per l'appunto. Da qui l'idea , sviluppata dal pensiero, della Somma Gioia  che è Dio. L'idea di divinità non è a priori e poi , le varie esperienze, ne sono state ricondotte per darne una spiegazione, ma è a posteriori, cioè nata sulla base di queste esperienze trascendentali . In Genesi abbiamo proprio la visione simbolica di questa realtà., a mio parere:"Dio camminava nel giardino dell'uomo". Questa amicizia era la visione quotidiana del trascendente che poi , via via, l'uomo ha allontanato per volontà di dominio sul reale e sul bisogno della sfera fisica e sensitiva. Si è preferito abbandonare il paradiso e la visione per conoscere e assoggettare, cioè per sete di dominio del "giardino" che però, a quel punto, essendo troppo "fragile" per esser visto in maniera così "grossolana"...è sparito dall'orizzonte della visione umana!
#1060
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
02 Agosto 2017, 00:51:10 AM
Che caldo! ...Che afa opprimente! ...La Villa è immersa in una cappa di umido bollore,,,come sono insoddisfatto di questo! E' insopportabile!...Non riesco quasi a ragionare...sonnecchio nel torpore...
Devo parlare d'insoddisfazione ma...fa troppo caldo!...Non mi vien niente da scrivere...come mi sento insoddisfatto! Sono nella pentola e mi sto lessando!... A dire il vero, ora che ci penso...son quasi sempre insoddisfatto di quel che scrivo. E' così...Baylham, che scrivi nell'agio dell'impianto d'aria condizionata ( è così, me lo sento...tu hai quel che io non ho: l'aria condizionata...) e per questo ritieni soddisfacente la vita. Ecco Baylham...cosa volevo dire? Ah, sì...non pensi che sia la passione dell'artista che lo fa continuare nel suo lavoro e non la soddisfazione per i risultati ottenuti? Chiedevo infatti al mio vecchio, artista novantenne , se per caso fosse mai stato soddisfatto delle sue opere: "Mai!" è stata la sua risposta. E allora...perché continuare a farne? Ho soggiunto... "Pa pasiòn" è stata la risposta. " Vedito...xe la pasiòn che te fa continuar a sperimentar. Xe il bisogno di tirar fora quelo che xe vivo in ti, i couori che te ghà dentro. Quande te te a vardi finìa, l'opera non a te convinse, non xe mai queo che te voevi. E cosita te ghin cominsi naltra...E gò pasà a me vita cosita, sempre a sercar de dar forma a queo che sentivo, ma non poso dire ghe queo che gò otenuo xe queo che vedevo dentro de mi."
Così, mentre gli facevo aria a mò di ancella egiziana a Cleopatra, gli ho posto un'altra domanda: "Quindi la soddisfazione consiste nell'esercizio della propria passione e non tanto nei risultati ottenuti da quell'esercizio?". "Sacramèn" ha risposto ( tipica moccola nel dialetto della Contea...), "Te gò mandà scoea par imparar a sparar casade? Esercizio della passione? Cristo santo, la pasiòn a xe na soferensa! Svejate! Gheto mai visto nasere  qualcossa de vero sensa soferensa e fadiga? A gero finìo mi, quando ghevo completà el lavoro. Che sodisfasiòn del casso parlito?...Non sarìa ora de magnare desso, invese de ciacolar?".
#1061
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
"Accarezzare" è un verbo che mi piace molto. Ha molte caratteristiche che appaiono positive: se accarezzo il fiore non lo strappo , non lo recido, non me ne approprio. Posso con delicatezza percepirne la morbidezza, la fragilità. Mi appare già come uno stato di non attaccamento. Apprezzo il fiore ma lo lascio là, al suo posto. Lo lascio al corso della sua esistenza. Se non mi identifico con l'insoddisfazione ma, in un certo qual modo, l'"accarezzo" , ne sono consapevole, ma la lascio al suo posto, l'insoddisfazione fa il suo corso: appare e scompare, per poi riapparire, ma non mi sento più legato al sentirmi soddisfatto o insoddisfatto; li "accarezzo" e poi li lascio andare.
Negli anni quaranta c'era un libro che divenne un best-seller di Norman Peale "The Power of Positive Thinking" che insisteva sul potere del pensiero positivo. Se insisto a concentrarmi sui pensieri positivi...mi sentirò benissimo, insegnava l'autore. Se penso in maniera molto positiva, la mia vita diventa felice e sarò incline ad un maggior ottimismo. Viceversa se penso in maniera negativa vedrò tutto in maniera negativa, insoddisfacente, come  scrive anche Phil.  Pensare sempre positivo mette di buon umore, si arriva persino all'euforia, all'esaltazione. Il problema però è che sei costretto a mantenere costantemente un atteggiamento ottimista per continuare a stare bene, per sostenere l'illusione di soddisfazione e felicità. Devi tenere a bada il dubbio, lo scetticismo e i concetti negativi altrimenti...tutto svanisce! Non appena si prende consapevolezza di quel gesto di positività compulsiva...si smette di prendersi in giro.
Se invece applichiamo lo stesso principio ai pensieri negativi , ecco che tutto diventa insoddisfacente: la vita non ha scopo. E' tutta una farsa. La gente è marcia, non c'è una persona onesta a 'sto mondo. Le religioni sono tutte false. Tutti i politici sono corrotti. Mia madre mi ha messo al mondo per egoismo, per pura libidine. Risultato: mi deprimo. A che serve vivere? E' solo perdita di tempo.
Così la mente finisce per alimentare illusoriamente la propria felicità o la propria infelicità/insoddisfazione.
C'è qualcosa che è consapevole di questo giochetto che ci combina la mente? Qualcosa che non si schiera né con la positività, né con la negatività? Qualcosa che non è toccato dal desiderio del paradiso o dalla paura dell'inferno?
Ciò che è consapevole del positivo e del negativo, ossia la consapevolezza, non si schiera e non giudica. Si limita a notare le cose come sono, quello che accade. La reale natura dell'esperienza che accade nel momento presente. Si comincia a prendere atto che c'è solo questa funzione giudicante del pensiero: soddisfacente, insoddisfacente o neutro. Appare una costruzione, una convenzione. Se le persone che cio stanno intorno non rinforzano la nostra idea di positività...possiamo finire all'inferno, infuriati! Quando le condizioni esterne non si prestano più a rinforzare le opinioni ottimistiche...si crolla!
Se invece coltiviamo, culliamo solo insoddisfazione ( come nella maggior parte delle persone...) ecco che, anche il fiore più bello da "accarezzare, ci appare sbiadito, incolore.
Possiamo liberarci da queste illusioni?
#1062
Varie / Re:Varie
30 Luglio 2017, 16:38:08 PM
Citazione di: sgiombo il 30 Luglio 2017, 15:21:48 PMPer un mese sarò "via" con possibilità di accesso a Internet per lo meno molto limitate e difficoltose. In maniera poco o punto ortodossa (me ne scuso) saluto momentaneamente tutti in questa sede. Ci rileggiamo a Settembre. Statemi bene!

Buone ferie! Fai il check-up alla moto prima di partire.
#1063
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
30 Luglio 2017, 08:16:33 AM
Citazione di: Phil il 30 Luglio 2017, 00:38:41 AM
Citazione di: Sariputra il 29 Luglio 2017, 22:19:16 PMComunque si possono mettere alla prova i due assiomi. E verificare personalmente quale dei due aumenta o diminuisce l'insoddisfazione. Provare a vedere se si prova più soddisfazione nell'afferrare o nel lasciar andare. Ovviamente i risultati andranno a definire meglio la propria "Weltanshauung"... ;D
Oltre all'afferrare e al lasciar andare, aggiungerei una "terza via": l'accarezzare... non trattiene né stringe ciò che tocca, ma nemmeno lo allontana e lo perde... lo incontra con delicata fuggevolezza :)

Perfetto Phil! E' come "accarezzare la tigre"...
Penso che , proprio dalla capacità di "lasciar andare", nasca la possibilità di reincontrare le cose in modo nuovo. Di solito però abbiamo bisogno di afferrare molto prima che  la stanchezza ci faccia "aprire la mano"... :) ( almeno io la penso così partendo ovviamente dalla mia esperienza personale...).
#1064
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
29 Luglio 2017, 22:19:16 PM
@Apeiron
Temo che sbatterebbero fuori a pedate nel sedere tutti e due, se fossimo in un monastero della foresta theravadin!! Tu per i dubbi sull' irrealtà dell'"io" e il Sari per la sua poca disciplina e in particolare per aver, nella sua vita, rispettato poco i precetti ( in particolare il terzo... :-[ :-[ ). Senza questa debolezza magari adesso sarei un  bel bonzo che si difende dalle zanzare...ma d'altronde forse è preferibile tentare di essere un buon genitore , piuttosto che un pessimo monaco...Un mio caro amico mi confessò di aver seriamente pensato di farsi prete, quando aveva vent'anni,  ma  alla mia domanda sul perché non mise in atto il suo proposito mi rispose:" Perché mi piacevano troppo le ragazze! Sarei stato un prete che lottava sempre con il desiderio!". Adesso ha due figli, uno dei quali disabile, e soffre molto lo stesso per la condizione del suo figliolo... :(
Non è necessario essere inquadrati in una organizzazione religiosa o fare pubblico atto di fede per portare avanti il proprio cammino. A volte aiuta, ma non è sempre adatto a tutti i tipi di temperamento. Buddha non era mica un buddhista!... ;D e dubito che Lao Tze si definisse un daoista...
Sono gli altri che hanno il  bisogno di definirci. Io non sento alcun bisogno di definirmi un buddhista...

Cit.da Apeiron
Potremo chiederci perchè l'uomo arriva ad avere un desiderio senza fine, una brama infinita? Perchè lui un essere finito desidera l'infinito (restando insoddisfatto)?

Assodato che il forum è per lo più frequentato da esseri che ti risponderebbero che non hanno un desiderio d'infinito e che sono perfettamente soddisfatti di essere finiti, personalmente, da "cane sciolto"  che ulula alla Luna (doppia...) ed essendo "politicamente scorretto" oltre che demodè, ti risponderei che è perché il pensiero ha stabilito che siamo finiti, ma il cuore la pensa all'opposto e solo quando realizza quello stato privo di "brama infinita" può trovare riposo.

@Phil dice:
[Non mi immergo ulteriormente sul tema dell'individualità perchè forse andremmo off topic, ma proprio i bisogni primari, e il loro soddisfacimento, ci dimostrano la sostanzialità dell' Io, e la sua differenza con l'Altro: se l'altro beve appaga la sua "sete", ma se io non appago la mia, muoio... la sua sete non è la mia, quindi non è la sete a crearci ma noi, in quanto creature, ad essere dotati geneticamente di "sete", primaria e non  ]

 Più che la sostanzialità dell'io direi che dimostrano la sostanzialità del nostro corpo che ha bisogno istintivo e naturale di soddisfare quei bisogni primari e la separazione del nostro corpo da quello degli altri. L'io diventa la costruzione che la nostra mente attua per trovare il modo migliore per soddisfare i bisogni del corpo. Privo di sostanzialità non significa privo di esistenza ma che la sua esistenza è origine dipendente e pertanto priva di esistenza autonoma ( dalle cause e condizioni che lo tengono in essere). Ma siamo probabilmente OT

 Cit. da Phil:Mi pare sia un circolo vizioso basato sulla fede-ops!-fiducia nell'assioma "l'attaccamento al Sè crea insoddisfazione" (accettazione più che legittima, basta tener presenti le eccezioni e la possibilità logica di altri assiomi). Se tale convinzione-premessa è accettata come il punto di partenza logico, se ci si attacca ) a tale certezza, essa troverà conferme in ogni innegabile episodio di insoddisfazione. 
Tuttavia, come accennavo sopra, possiamo comunque ribaltare la prospettiva: "l'attaccamento al Sè crea soddisfazione", e allora ogni innegabile episodio di soddisfazione confermerà tale assunto (ovviamente escludendo da tale rovesciamento i bisogni primari, ma non credo che il topic si riferisse all'ovvia necessità di nutrirsi, respirare, etc.). 


Direi che, più che una "fede" di tipo intellettuale verso l'assioma "l'attaccamento crea insoddisfazione" o viceversa verso l'assioma opposto "l'attaccamento crea soddisfazione"  è un tipo di valutazione che investe l'intera visione personale dell'esistenza, si potrebbe definire come la propria "Weltanschauung" , la propria visione  che forse si potrebbe definire come "intuitivo/emozionale". Non credo proprio che uno si legge un libro del canone pali e per fede accetta il primo assioma. E' semmai perchè "sente" come vero dentro di sé, magari in forma confusa o embrionale, il primo assioma che va in cerca in libreria di un libro del canone pali che magari gli permette di approfondire l'intuizione avuta, confrontandola quindi con quella personale di altri ( è il famoso: apri un libro e senti che è quello giusto per te...).  Comunque l'insoddisfazione, per tornare in tema, è anche una potente forza creativa , nel bene e nel male. Senza l'insoddisfazione per i risultati raggiunti non avremmo un miglioramento della ricerca in campo medico, per es., o non avremmo pregevoli opere d'arte nate dallo sforzo e dall'insoddisfazione continua degli artisti per i risultati raggiunti ( memorabile l'insoddisfazione di Michelangelo Buonarroti davanti alla Cappella Sistina con gli affreschi completati e mirabilmente descritta nel libro "Il tormento e l'estasi"). Purtroppo l'insoddisfazione per la quantita di morte e distruzione provocata da una bomba convenzionale ha anche spinto gli scienziati a creare l'atomica.
Si potrebbe senz'altro dire che, il mondo come lo conosciamo, è l'espressione di questa potentissima forza creatrice che è l'insoddisfazione. Cosa ha permesso il successo e il giogo planetario del capitalismo se non l'insoddisfazione perenne degli uomini ( gli uni a spese degli altri...)?
Comunque si possono mettere alla prova i due assiomi. E verificare personalmente quale dei due aumenta o diminuisce l'insoddisfazione. Provare a vedere se si prova più soddisfazione nell'afferrare o nel lasciar andare. Ovviamente i risultati andranno a definire meglio la propria "Weltanshauung"... ;D
Parlare di insoddisfazione è spesso una sorta di tabù. Raramente le persone, alla domanda:"Sei soddisfatto della tua vita?" ti rispondono di "no" ( a parte i depressi cronici che provano piacere a sbatterlo in faccia a chiunque...). E'addirittua difficile formularla questa domanda. La evitiamo se possibile...spesso non vogliamo scoprire che la nostra soddisfazione è la causa dell'insoddisfazione profonda delle persone che più amiamo...pertanto , spesso...preferiamo dire (e sperare) che, in fondo, le cose vanno abbastanza bene!...
#1065
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
28 Luglio 2017, 23:39:05 PM
Apeiron,
Sei entrato nella corrente e ti sembra di affogare! Ciò che si ribella adesso in te , che ti fa saltare da uno stato d'euforia ad uno di dubbio o di sfiducia non è altro che attaccamento a tutte le idee che ti sei fatto di te stesso, del mondo, del Buddha, ecc. che ti danno sicurezza. Vorresti agguantare l'illuminazione come si prende un cane per la coda, ma pensi forse che i condizionamenti e le afflizioni che hai costruito e ti hanno costruito attorno per anni, da quando sei nato, svaniscano per magia? Se fosse così "semplice", pensi che un genio come Siddharta avrebbe avuto bisogno di sette lunghi anni  per realizzare quello stato in cui si può essere pienamente soddisfatti nello spazzare le foglie secche del giardino?
Coraggio! hai scritto delle cose molto belle, sentite , piene di passione e di pathos. Sei un vero pellegrino del Dharma  ;D...L'unico consiglio o "suggerimento", se mi permetti di dartelo, è quello di non perdere mai l'amore per le piccole cose, entrare nel mono-no-aware delle piccole cose ordinarie e lasciare che faccia il lavoro che deve fare. :)
Sono andato OT ma mi sentivo di scriverlo perché raramente si incontra un giovane con una "sete" ( questa volta in senso positivo) di "vero" così intensa e vissuta.

P.S. Ho letto adesso la tua aggiunta. Sì, sono d'accordo con te, il vero problema è l'attaccamento al senso dell'Io-mio. Un "io" che definisco per capirci come "convenzionale" è pur necessario, per la sopravvivenza stessa. E' prenderlo per reale, duraturo e autonomo la fregatura che genera l'attaccamento...
Questa sera qui, a Villa sariputra, c'è una bellissima luna nel cielo, una falce di luna in verità. Pensa che, per effetto dell'operazione alla retina e al cristallino che ho subito...ne vedo due! La seconda sembra addirittura più splendente dell'originale. Anche l'io-mio appare splendente e ci seduce ma...forse abbiamo qualche problema di osservazione! ;D ;D