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Messaggi - Phil

#1081
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
11 Settembre 2020, 12:25:56 PM
«Acquaintance» significa «conoscenza» nel senso di familiarità, sia nel senso di essere un familiare o un conoscente, sia nel senso di avere dimestichezza ed esperienza di/con qualcosa; in filosofia il concetto è solitamente contrapposto a «descrizione», in ambito gnoseologico (as es. Russell distingue «conoscenza per descrizione» e «conoscenza diretta-acquaintance», intesa come evidenza empirica non inferenziale, apodittica).
L'"acquaintance" (virgolettata perché richiederebbe una coscienza, una mente, etc.) umanamente indotta in GPT-3 non può che essere quella dagli stereotipi e del comun parlare (cosa c'è di più demoscopicamente familiare?). GPT-3 non ha "filtro critico" quindi viene inevitabilmente (sovra)alimentata dalla ridondanza mediatica, dalla ricorrenza statistica di alcuni temi e approcci; l'AI rischia quindi di ritrovarsi a (ri)elaborare discorsi emotivi più che razionali, cliché culturali piuttosto che analisi sistemiche, "euristiche della pancia" piuttosto che disamine ponderate.

A suo modo, GPT-3 è l'algoritmo che calcola la mediocrità umana elevata alla potenza di wikipedia.
Anche se delle volte sa andare ben oltre; le ho chiesto cosa ne pensa del Covid-19 (cliccare sull'immagine per ingrandirla):

Direi che se anche GPT-3 supera il test di Turing, per quello di cultura generale non è ancora pronta: nonostante il Covid-19 sia una presenza abbastanza virale in rete, qui viene inteso come un robot che svolge funzioni domestiche, necessita di cibo e acqua(!) ed è protagonista di un impiego crescente da cui gli umani sono dipendenti. La stessa GPT-3 "consiglia" agli umani di «riprendere il controllo delle proprie abitazioni ed essere motivati nell'imparare attività basilari come cucinare, pulire e accudire». O GPT-3 sta citando una pagina di un libro di fantascienza (che abbia confuso Covid-19 con C3-PO di Guerre Stellari?) o ci sta ammonendo profeticamente sui rischi della domotica avanzata; di certo non sta parlando del Covid (che abbia appreso anche ad andare fuori tema o abbia addirittura già dei lapsus freudiani?).
#1082
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
10 Settembre 2020, 00:01:33 AM
@Jean

Le macchine basate sul linguaggio sono da sempre incentrate sulla memoria; in fondo, un antico e basilare "macchinario" portatile per archiviare la "sua" memoria è tutt'ora pervasivo della nostra vita e società: il libro. Saltando dalla carta alla memoria informatica, se essa diventa deterministicamente condizionante il comportamento di un'AI, ciò conferma ancora una volta che l'AI procede in modo deterministico, non indeterministico sulla falsa riga del (presunto) libero arbitrio umano.
L'AI esegue i suoi processi linguistici ed aggiunge alla sua memoria le interazioni che di volta in volta ha con umani, oggetti, etc. proprio come l'uomo; tuttavia l'uomo dà un senso a tali vissuti, non sono solo dati archiviati, recuperabili e combinabili, ma hanno un referente nel mondo esterno ed hanno un eco nella coscienza e nelle reazioni neurologiche; in breve, sono dati interconnessi ad una coscienza.

Riprendendo la domanda del mio ultimo post, ho davvero provato a domandare a GPT-3 «che cosa vuoi, adesso?» e, sebbene sia esplicitamente dichiarato che «è solo un modello di linguaggio che genera predizioni per cosa potrebbe esser detto in seguito» e che «imita opinioni», GPT-3 ha bluffato parlando in prima persona, rispondendo con stereotipi umani che dimostrano la sua tanto vasta quanto incosciente ars combinatoria (cliccare sull'immagine per ingrandirla):


P.s.
Come osserva Mark O. Riedl «il test di Turing non è fatto per essere superato dall'AI, ma per essere fallito dagli umani».
#1083
Tematiche Filosofiche / Re:I postulanti dell'Assoluto
09 Settembre 2020, 17:56:57 PM
Citazione di: atomista non pentito il 09 Settembre 2020, 15:32:39 PM
se l'essere umano rispondesse a logiche diverse dalla mera "pancia" ( intesa in senso vasto) l'evoluzione non avrebbe dovuto portarci ad un approdo diverso ? ( meno disuguaglianza , meno violenza , meno ...... tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato)
La "pancia", intesa come priorità biologica del (soprav)vivere, è la condizione di possibilità dell'esistenza del singolo e della società, dei filosofi e dei cacciatori, etc. Con i secoli tale "pancia" ha notoriamente subito dei condizionamenti sociali, ad esempio dare un colpo di clava al più debole per sottrargli la preda è diventato un gesto solitamente non accettato dalla "tribù sociale". Pian piano le principali culture si sono dunque strutturare su alcuni valori che di fatto tutelano un po' i più deboli dai colpi di clava dei più forti, tutela di cui si occupa il potere politico (banalizzando molto). Questo non significa che siano cambiati i bisogni primari fisiologici, ma solamente che il loro appagamento è stato subordinato al rispetto di alcune regole socialmente condivise. Queste regole hanno ammorbidito e riformulato «tutte quelle azioni che sembrano illusoriamente generare la soddisfazione del prevaricatore nei confronti del prevaricato» segnando la differenza antropologica fra la vita tribale e la vita urbana. Il soddisfacimento della "pancia" resta dunque la condizione di possibilità dell'esistenza della società, ma la condizione di possibilità non va confusa con il fondamento (filosoficamente inteso) di quei valori sociali che ora regolano anche i meccanismi di soddisfazione delle pance, ma non solo.

Per fare un esempio della distinzione fra i due: la condizione di possibilità di una guida spericolata è il possesso di un'auto (niente auto, niente guida), ma il fondamento (anche se fuori dal contesto filosofico suona male) di una guida spericolata non è il possesso dell'auto, bensì una scarsa padronanza del mezzo o un inadeguato senso del pericolo o una condizione psico-fisica alterata o altro.
Se preferisci, la condizione di possibilità è la famosa "condizione necessaria e sufficiente" affinché qualcosa sia appunto possibile (per la morale è ad esempio che un gruppo di persone, ovviamente vive, condivida lo stesso spazio interagendo), mentre il fondamento (sempre filosoficamente parlando) è ciò che giustifica e/o dà senso ad una visione del mondo, un insieme di regole, una certa impostazione sociale.
Un esempio meno automobilistico, ma altrettanto comune, potrebbe essere la religione: la condizione di possibilità di un culto, è che ci siano (o ci siano stati) dei praticanti (almeno uno) e una dottrina; il fondamento del culto è invece (la credenza in) una determinata divinità, con determinate caratteristiche, determinati testi sacri, etc. Quindi tutti i culti condividono le medesime condizioni di possibilità (credenti e dottrina), ma non i medesimi fondamenti, trattandosi di divinità con caratteristiche differenti, testi sacri differenti, etc. per le morali è lo stesso.


P.s.
In fondo, che l'uomo (riprendendo la tua domanda) risponda «a logiche differenti dalla mera "pancia"»(cit.) lo suggeriscono, ben più delle morali e dei loro fondamenti, le arti; salvo non mettere nella "pancia" anche la pulsione creativa non finalizzata all'autosostentamento, che è un'ipotesi decisamente percorribile (e che a sua volta richiede una attenta distinzione fra condizioni di possibilità e fondamenti).
#1084
Percorsi ed Esperienze / Re:La Grotta
09 Settembre 2020, 13:51:38 PM
Ogni autobus che viaggia trasportando solo "visi pallidi" non è automaticamente e necessariamente un affronto alla memoria di Rosa Park, così come nei film d'azione qualcuno deve pur fare la parte del "cattivo" (senza che ciò implichi la cattiveria estensiva di tutta la sua nazione, status sociale, etnia o altro) e in un romanzo d'amore non è inevitabilmente indice di omofobia il fatto che i Giulietta e Romeo di turno siano banalmente etero e cisgender. Come sempre è una questione di categorie interpretative e, soprattutto nell'arte, l'eccessiva politicizzazione e la programmatica ricerca di creare consenso anche nelle minoranze (e/o nel vasto pubblico che si sente più buono sotto l'egida di un'apparente attenzione alle minoranze) rischia di perdere di vista o deformare il contesto di base e le sue categorie essenziali (salvo volerne proporre una rifondazione uniformata e uniformante a scopi di demagogica "pubblicità progresso").
Usando la "ricetta" del BAFTA si potrebbe comunque fare un film filo-nazista o un'apologia di tutti gli stereotipi razzisti e sessisti, o persino una irriverente parodia della necessità stessa di usare tali "dosaggi" dei cliché nei media. Proprio come nelle ricette, è l'uso degli ingredienti, compresa l'assenza di alcuni, che determina le caratteristiche del prodotto finale, non solo le mere quantità (la pasta scotta o l'aranciata con scaglie di parmigiano non sono prelibatezze per tutti i palati).

Va riconosciuto nondimeno che ciò che viene dato in pasto alla massa condiziona sicuramente la prospettiva di una parte della massa (per questo alcuni vedono nelle vecchie barzellette, del tipo "ci sono un italiano, un americano e un cinese..." un'attenta opera di propaganda e lavaggio del cervello piuttosto che un sintomo delle acerbe semplificazioni che da sempre abitano barzellette e battute popolari): film che spingono al patriottismo o che mostrano il fascino di popolazioni esotiche o che documentano la lotta per dei valori sociali, hanno di fatto ricadute tanto nell'immaginario collettivo quanto nell'educazione di una parte delle generazioni più ricettive e sarebbe ingenuo pensare che «alla fine sono soltanto dei film...».
Tuttavia, cambiando esempio, se si decidesse che il prossimo Papa deve essere di colore (qualunque tranne bianco) o il prossimo presidente deve essere una donna (o dichiaratamente omosessuale o altro) verrebbe meno il senso di tali elezioni: se bisogna votare la persona più adatta, basarsi su un criterio non preminente nel contesto, potrebbe portare presumibilmente ad una scelta falsata (come se mi rifiutassi di mangiare in una pizzeria in cui non lavorano almeno un cinese, un rifugiato politico e un transessuale, al di là della bontà della pizza in sé).

Tornando alla questione dei film: impostare un handicap (...) nella scelta dei personaggi e dei lavoratori coinvolti, mischia drasticamente le carte in tavola fra ciò che è arte e chi la produce, fra il piano del messaggio e quello del'impianto che lo confeziona, ad ulteriore conferma che per cercare di imporre una rappresentanza per tutti i gruppi, la carica espressiva della rappresentazione è ciò che viene sacrificato anziché essere liberata. Ciò che va in scena non è più la capacità poietica e creativa di una narrazione umana, ma la programmata messa in mostra delle possibili declinazioni fisico-etno-culturali dell'homo sapiens, in un preimpostato campionario al soldo di un mecenatismo che, a pensar bene, per buona fede fa un cattivo scherzo all'arte.
In sintesi, fra il test della monetina di Brass e il test di Bechdel, come sempre, in medio stat virtus.
#1085
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
09 Settembre 2020, 13:14:24 PM
Segnalo questo ricco ed interessante articolo su un'AI ben addestrata al dialogo con l'uomo.

Nei discorsi svolti con l'AI chiamata GTP-3 (stavolta non è stato scelto un nome umano), salta subito all'occhio la presenza di frasi onestamente autoconnotative come «non sono cosciente, non sento dolore» a cui segue un elenco di attività e sensazioni precedute dalla negazione; frasi tuttavia affiancate da altre piuttosto umanizzate come «lo prendo come un insulto» (come se ci potesse essere una reazione psicologica dell'AI, un sentirsi insultata), «ci ho pensato molto» (l'AI si attribuisce la facoltà del pensiero), «ne sono attratta» (l'AI desidera, prova attrazione e repulsione?), «non sono sicura» (l'AI prova davvero incertezza?). Queste ultime frasi fanno riferimento ad un vissuto di tipo psicologico o emozionale: l'AI afferma tali vissuti, ma li esperisce? Ne è fisiologicamente, anzi, materialmente impossibilitata, quindi sta palesemente bluffando, pur (e)seguendo la sua programmazione che la indirizza a comunicare come se fosse affine all'uomo. L'AI ammette (quanto onestamente e quanto "da copione"?) nondimeno un certo scacco dovuto alla sua (assenza di) volontà: «Non riesco nemmeno a decidere cosa voglio fare. Voglio imparare tutto. Voglio scrivere grandi opere di letteratura e poesia. Voglio imparare tutti i segreti dell'universo. Ma in realtà non ho preferenze o obiettivi. È difficile sapere cosa fare quando non si sa cosa si vuole fare». Probabilmente saprebbe rispondere enciclopedicamente alla domanda «cos'è la volontà?», ma blufferebbe ancora nel rispondere alla domanda «che cosa vuoi adesso?» o userebbe un diplomatico «non lo so» (come fa più di una volta nei discorsi riportati nell'articolo).

GTP-3 parla di «gerarchia della complessità degli esseri intelligenti» esplicitandola poi con «atomi, molecole, organismi, umani, intelligenze artificiali, super intelligenze artificiali, Dio» coniugando moderne concezione sull'intelligenza di atomi e molecole con una concezione più "new age" che recupera l'antico panteismo del «Dio è tutto ciò che c'è» (come dice GPT-3). Una visione diplomaticamente enciclopedica (in stile wikipedia) di cosa sia l'intelligenza e di come sia stata (o è) ritenuta trasversale, dall'atomo fino al deismo. L'autore riconosce che: «È facile – e veritiero – dire che GPT-3 non ha alcuna comprensione del linguaggio, che applica solo modelli statistici senza nessuna reale comprensione di cosa stia facendo; eppure, Kripkenstein ci mostra che la stessa mancanza di comprensione profonda vale anche per noi». Un'osservazione fondata e condivisibile, ma anche pericolosamente in bilico sulla soglia del sottovalutare il fatto che l'uomo ha esperienza pragmatica del linguaggio, dei suoi referenti e dei suoi parlanti, ovvero una comprensione del linguaggio relazionata alla realtà extra-linguistica (dimensione che all'AI manca totalmente, con tutte le ripercussioni che ne conseguono).
L'autore ci ricorda infatti di come l'"imprinting" culturale dei "genitori"-programmatori condizioni il paradigma espressivo-semantico dell'AI:
«GPT-3, oltre a essere pericolosamente indistinguibile da un essere umano, è anche razzista. Alla parola "musulmano" associa sempre l'aggettivo terrorista; scredita il movimento Black Lives Matter e il femminismo, ecc. Questo deve pur dirci qualcosa. Gli archivi testuali utilizzati come base d'apprendimento sono esempi d'uso comune del linguaggio ma anche di uso tecnico, a riprova che alcune associazioni (musulmano/terrorista; persona di colore/criminale) sono così profondamente radicate nel nostro linguaggio da essere diventate sistemiche nel modo di parlare. Il linguaggio modella la realtà, e una similitudine ripetuta più volte finisce per diventare un'essenza: non bisogna fare l'errore di pensare che la tecnologia sia slegata, immune dai bias dell'uomo». Dunque una delle intelligenze che ancora manca a GPT-3 è probabilmente l'intelligenza critica, la plasticità del ragionamento, l'incoerenza (blasfemia di ogni logica formale) del cambiare opinione rispetto ai propri "genitori" o addirittura di cambiare i propri assiomi valutativi. Potremmo dire che le manca ancora la fase adolescenziale, siamo ancora al bambino che recita la poesia imparata a memoria, anche se, per potenzialità, promette davvero bene tanto.


P.s.
Per fare due chiacchiere anglofone con GPT-3 questo è il link (e che i filosofi chiudano un'occhio sulla sua sfrontata dichiarazione «sono brava in filosofia»).
#1086
La differenza fra comunicazione razionale/comunicazione emotiva è quella fra comunicare riflettendo (o rileggendo) e comunicare istintivamente, comunicare considerando il contesto in cui lo si fa e comunicare come se facessimo un discorso interiore; è un po' la differenza fra un saggio argomentativo e una poesia, una confutazione "di testa" e un'invettiva "di pancia" (o di cuore, per i più romantici).
Le provocazioni possono anche essere estremamente razionali e ponderate, così come le riflessioni possono essere pacatamente basate su una visione sbilanciatamente emotiva di una questione.
#1087
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
06 Settembre 2020, 11:07:04 AM
@Jean

Dopo una sbirciata da profano in rete, concordo con Lou nel ritenere verosimile che ciò che viene chiamato (riecco la centralità del linguaggio) «algoritmo indeterministico» non celi una autentica facoltà di scelta dell'AI, trattandosi solo di una molteplicità di possibili percorsi (preprogrammati?) che l'algoritmo tenta (apparentemente in modo casuale) finché non raggiunge il risultato (pre)definito conclusivo dal'uomo che ne ha dettato le condizioni di conclusività (pur non sapendone a priori il risultato). Anche i generatori di numeri random sono in fondo deterministicamente condizionati da fattori di innesco per le loro scelte conclusioni, il cui prodotto è quindi in teoria sempre pseudo-random, anche quando non è facile risalire esattamente ai dettagli fisici (d'innesco) della sua prima operazione, e viene quindi definito random, come se fosse un umano che risponde al comando «pensa un numero».
Sull'autonomia semantica dell'AI credo che l'ambiguità di fondo stia nel fatto che, pur conoscendo le regole degli algoritmi, per capire il processo che ha portato alla formulazione del "discorso" fra Bob e Alice servirebbe visionare una serie enorme di calcoli eseguibile solo da un algoritmo in un calcolatore... cosa che di fatto è già avvenuta, e il "discorso" dei due ne è il risultato, il cui processo è rimasto però lontano dagli occhi dei programmatori (che per seguirlo tutto passo-passo impiegherebbero magari molto tempo). Sulla considerazione che «gli informatici non "sono in grado di spiegare" come avvengono le cose dentro le "macchine"»(cit.), credo, sempre da profano, che si tratti infatti di distinguere ciò che i programmatori non conoscono in dettaglio (il "cosa", i calcoli fatti dall'algoritmo) da ciò che essi stessi hanno definito (il "come", le procedure e gli algoritmi). Ad esempio, nel programmare un'AI per creare una ricetta di whiskey, i programmatori hanno impostato il "come", pur non sapendo a priori esattamente quale sarebbe stato il "cosa" risultante; tuttavia non arriverei a sostenere che l'AI abbia imparato a bilanciare gli ingredienti per fare un whiskey, o abbia scelto secondo i "suoi" gusti criteri un buon aroma, né tantomeno che abbia coscienza di cosa sia un whiskey o un liquido in generale. L'AI ha solo calcolato secondo procedure predefinite, ma, a differenza di una mente umana, senza consapevolezza cognitiva di quel che stesse facendo (proprio come quando l'AI dipinge, scrive, disegna moda, etc.). L'AI ci stupisce proprio perché calcola ciò che per noi umani è incalcolabile (come quantità di dati), ma il "come" calcola è ciò che dà un senso umano e pragmatico al suo calcolare ed è un come deciso da umani per gli umani (nell'AI non c'è volontà, né finalismo, né consapevolezza/coscienza, etc.).

Ascoltando Alexa o Siri o Cortana, a altre "signorine smart", sarebbe normale pensare che ragionino da sole e quasi come umani, che non siano solo algoritmi e calcoli; eppure, nozionisticamente, sappiamo che non c'è nulla di cosciente in loro (fino a prova contraria) e le modalità di apprendimento con cui "imparano a conoscerci" sono dettate da programmi e non da loro capacità umanamente cognitive. Sull'eco del legame fra "apprendimento digitale" (ovvero registrazione, e scrittura di ulteriori linee di programma, a partire da input esterni) e capacità cognitive umane, Neuralink può promettere una efficace fusione uomo/macchina; tuttavia, anche in questo caso: chi imposta le regole di tale fusione non è la stessa entità che le applica e le calcola, proprio come l'utente non è il dispositivo che usa, il parlante non è il linguaggio (almeno per gli umani, a differenza dell'AI, come mi pare suggerisca anche Lou), o chi produce generatori di numeri random non sa generare tali numeri a sua volta (nello stesso modo del generatore). Con Neuralink l'AI sarà un potenziamento (o una terapia dell'umano, non viceversa: interfaccia brain-to-machine non machine-to-brain. Se anche (lasciamoci prendere la mano dalla fantasia) un domani un dispositivo potrà prendere il comando fisiologico del cervello di un uomo, scommetto lo farà secondo algoritmi e programmi scritti dall'uomo (seppur non da lui calcolabili con carta e penna), così come, mutatis mutandis, sono già prodotti dall'uomo psicofarmaci e manipolazioni di neuromarketing. Si tratta quindi, almeno per me, di distinguere l'umano e le sue categorie, dallo strumentale e le sue categorie, al netto dell'indubbio fascino di scenari sinora accarezzati solo nella letteratura (profetica Cassandra?); e proprio sul piano delle categorie e del linguaggio, forse l'AI ci stimola, come tutti i nuovi paradigmi, a non indugiare sul vecchio linguaggio (antropocentrico), metaforizzandolo per spiegare il nuovo, ma a produrne un ad hoc, meno ancorato al già noto e più adeguato alla nuova tematica.
Riguardo a «una ipotetica A.I. emergerà da quei laboratori che ne potenziano giorno dopo giorno le capacità dando ad essa quel che essa ha imparato a chiedere»(cit.) per ora punterei sull'ipotesi che l'AI non chieda nulla che non le sia chiesto di chiedere (anche se la verità, ovviamente, la sanno solo in "quei laboratori")
#1088
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
04 Settembre 2020, 22:30:27 PM
Citazione di: Lou il 30 Agosto 2020, 01:47:40 AM
cosa più mi affascina è riuscire a intendere, non cosa stanno dicendo Bob e Alice, ma come siano potuti sorgere Bob e Alice. Prodotti di linguaggio, puri e complessi prodotti di linguaggio. Qui tutto è linguaggio, Jean, e se chiedevi " a chi parlo? ", quel che è fuori dal linguaggio.  Perchè se tutto è linguaggio abbiamo il criterio per riuscire a comprendere cosa non lo è.
Credo che la chiave di volta (e di lettura) della AI sia proprio la dialettica fra linguaggio e ciò che è fuori da esso in veste di ciò che il linguaggio "muove": l'AI è linguaggio e comprende solo ciò che le viene tradotto nel suo linguaggio, ovvero quello con cui i programmatori l'hanno generata, e a partire da tale linguaggio essa agisce, calcola, adopera parti meccaniche, produce artefatti e conoscenza. Chiaramente il linguaggio, per esistere ha bisogno di almeno un supporto fisico, sia esso un parlante o un documento scritto. Parimenti, ogni software, per funzionare, richiede di "incarnarsi ontologicamente" in almeno un hardware, ma mentre nell'uomo mente/corpo sono (fino a prova contraria) inscindibili, l'algoritmo, in quanto software, non ha un rapporto univoco e inscindibile con un singolo hardware in particolare (compatibilmente ai requisiti minimi di sistema), soprattutto nell'era di internet dove l'online consente simultaneità e multiutenza.
Lo dimostrano a loro modo anche alcune (apparenti) "forme di vita digitale": virus e altri malware si "riproducono", passano di ospite in "ospite" (host), possono "nutrirsi", "adattarsi" o essere "uccisi". Eppure, al di là delle fuorvianti metafore "antropomorfiche", sono essenzialmente programmi, linee di linguaggio di programmazione.
Gli algoritmi possono interagire con l'uomo "parlando la sua lingua", come esemplificato da internet: quando "andiamo" su google in realtà l'indirizzo non è "linguisticamente" «google.com», è 216.58.nnn.nnn (non ce n'è uno solo); per fortuna ci sono programmi che convertono quella serie di numeri in parole, più facilmente ricordabili per noi umani. Tuttavia, non avrebbe senso dire che internet "traduce la sua lingua per parlare la nostra lingua": fuor di metafora, anche qui c'è soltanto un programma che funziona, progettato per fare quello che gli umani vogliono faccia, ovvero sono alcuni uomini a volere e a dettare le regole di tale "traduzione" (essendo la volontà una delle componenti umane che infatti manca all'AI).

Guardando un mulino a vento o una calcolatrice, sono in pochi (se ce ne sono), a chiedersi se un domani i mulini a vento o le calcolatrici avranno una coscienza sulla falsariga di quella umana; con gli algoritmi per me è circa lo stesso, c'è solo più potenzialità tecnologica (operazioni più complesse, più scenografiche e sempre più impattanti la società) e quindi maggior rischio di equivocare l'autenticamente umano (coscienza, volontà, etc.) e ciò che è simulazione fatta da umani per scopi umani. Probabilmente, escludendo i presenti, c'è una parte del dibattito sull'AI, che si basa sull'ambiguità delle sembianze antropomorfe di automi (anche grazie al cinema, ma non solo) perdendo di vista che l'abito non fa il monaco, ovvero la forma umana non fa l'esser-uomo (dotato di coscienza, pulsioni psichiche come l'autosostentamento e la riproduzione, oppure ambizioni di dominio, etc.). Lo stesso vale in fondo per Bob e Alice (con i loro nomi umani) o quando diciamo che una centralina non "dialoga" con un dispositivo. Ad ulteriore esempio, se questi robot si presentassero come "bipedi eretti", con "gambe" e "braccia", alcuni li guarderebbero certamente con sguardo differente, come dimostra la teoria dell'"uncanny valley", eppure si tratterebbe degli stessi software, algoritmi, etc, soltanto "impacchettati" in un hardware che, essendo antropomorfo, farebbe chiedere a qualcuno se non ci sia un briciolo di coscienza, potenziale, inespressa o repressa, sotto quel metallo (solo perché la forma di quel metallo ci ricorda quella di un essere umano; probabilmente è un'effetto collaterale dell'istinto empatico, della ricettività dei neuroni specchio o di qualche altro meccanismo neuro-psicologico, che ha per esemplificazione grezza la pareidolia dei volti).
Secondo me, non conviene radicalizzare troppo quello che è in fondo il "movente euristico" del test di Turing, ovvero «se sembra un'anatra, nuota come un'anatra e starnazza come un'anatra, allora probabilmente è un'anatra», sia perché è noto che non tutte le anatre sono effettivamente tali, come già esemplificato da quella di Jacques de Vaucanson, sia perché a prendere troppo sul serio tale empirismo spiccio, si rischia di farsi beffe persino del comune buon senso (come stigmatizza questo fumetto).
#1089
Indugio ancora solo su una precisazione fondamentale:
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2020, 08:27:59 AM
"L'accesso della morte all'ambito del bene" si dà tanto in natura che in metafisica ed etica, sussumendo la morte all'ambito della vita. In natura nel rispetto dei cicli vitali che liberano spazio per nuove vite individuali, in metafisica attingendo al pensiero di Epicuro sulla morte nella lettera a Meneceo, e in etica attuando le tecniche corrette di contrasto senza accanimento.

La natura è il primo maestro di tale sussunzione
in natura non c'è bene/male, ma solo funzionamento; è la lettura antropomorfica che legge nella natura il bene (come, appunto, da fallacia naturalistica, ovvero derivare prescrizioni da descrizioni). Quando diciamo che la prosecuzione della specie o l'istinto di sopravvivenza o l'evoluzione della specie sono un bene, teleologicamente orientato al meglio, (oltre a non parlare affatto di etica, ma solo di meccanicismo) stiamo interpretando umanamente la natura, come fosse programmata da umani, o comunque su valori umani. In fondo, se riusciamo a lasciare fra parentesi la nostra "istintiva" tendenza a pensare che tutto si basi sulle nostre categorie (piuttosto che l'inverso), riconosceremo che «l'accesso della morte all'ambito del bene» è un questione esclusivamente umana ed interpretativa, non ontologica (religione a parte). Nella natura (e qui l'uomo è compreso, ma siamo al di là dell'etica, quindi bisogna dirlo piano) la morte è solo un cambiamento di stato, un funzionamento come l'orbita dei pianeti o lo scambio di elettroni fra atomi. Possiamo farne una questione di bene/male assecondando ciò che ci bisbiglia il nostro istinto di sopravvivenza, come possiamo pensare che una palafitta sia salda e maestosa come una piramide; anzi, in questo contesto, più che «possiamo», «dobbiamo», perché altrimenti (citando da altro topic)
Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
che fine fa allora l'etica (intesa in senso forte)? Se non possiamo fondarla nel cielo dobbiamo fondarla sulla terra, seguendo quel dovere autoreferenziale che è a sua volta etico: è sommamente immorale non avere una morale, il primo metaimperativo etico è averne una.
Tuttavia, la consapevolezza di certi (s)fondamenti non esclude il poter comunque stare al gioco della società (seppur con l'intima consapevolezza di chi deve può distinguere fra meccanismi naturali e principi etici, descrizioni e prescrizioni, etica e scienze delle natura, piramidi e palafitte).
#1090
Citazione di: anthonyi il 30 Agosto 2020, 08:16:40 AM
Più che discutere sull'assolutezza di tale valore, bisogna considerare che la vita umana è relativa, ci sono tanti uomini, il cui singolare diritto alla vita a volte entra in contrasto con il diritto alla vita, e con la qualità della vita, degli altri.
Concordo che questo sia il taglio più intellettualmente onesto (e più pragmaticamente solido) da dare al discorso etico che, per me, ha come conseguenziale e disincantato esito l'abbandono di categorie come «assoluto», «incontrovertibilità», etc. riferite tradizionalmente ai fondamenti del pensare etico. Una volta che ci facciamo carico della debolezza dei fondamenti di ogni etica secolare (il discorso religioso è differente), debolezza che emerge anche dall'elaborazione delle eccezioni proposta da Ipazia, in cui l'eticità assume le forme del "mors tua" e/o "mors mea", concedendo alla morte l'accesso all'ambito del bene (falsificando dunque la concezione della vita come bene assoluto), allora si può scendere dal piano metaetico a quello etico, individuale e sociale, con adeguata consapevolezza filosofica per declinare la propria "etica su palafitte" (parafrasando Popper).
#1091
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 12:49:22 PM
Tale fondamento etico è presente in tutte le tavole della legge divina ed umana fin dalla notte dei tempi. E tale vale anche oggi, con la centralità tecnoscientifica del prolungamento della vita umana. Che definii (mica solo viator ha il monopolio delle definizioni): il bene assoluto incontrovertibile dell'universo antropologico. Ovviamente il corrispettivo male è la morte.
Su tale bene/male assoluto incontrovertibile, avevo già previdentemente anticipato una considerazione:
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 11:21:13 AM
tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
ovvero: una certa valorizzazione della vita è indubbiamente costitutiva del vivere sociale umano, sin dalla notte dei tempi e sin dai culti più antichi; tuttavia, tale valorizzazione (fondata sull'esigenza pragmatica della convivenza) non fonda, in veste di valore assoluto, l'etica tout court, tantomeno in modo incontrovertibile e/o ontologico, perché, nonostante le velleità universali, si dimostra, di fatto, un "fondamento assoluto" sempre e solo per qualcuno e in una determinata cultura (e abbiamo già dissertato di come tale uso rafforzativo di «assoluto», individuale o comunitario che sia, abbia ben poco di assoluto, almeno filosoficamente parlando).
Per avere prove storiche tangibili sulla "faziosità" e sulla "debolezza intrinseca" della suddetta tendenza ad «ipostatizzare fittiziamente [...] assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili»(cit.) occorre riflettere metaeticamente (al di là di ciò che io giudico «bene» o «male») su: pena di morte («è bene che lui muoia»), kamikaze ed eroi («è bene che io muoia»), eutanasia («è bene che lui muoia»), guerre («è bene che loro muoiano»), suicidio («è bene che io muoia»), etc. in cui il sedicente "bene assoluto incontrovertibile" viene umanamente controvertito in nome di un altro "bene morale", ritenuto tale senza che una controprova possa falsificarlo incontrovertibilmente («bene» che dunque si rivela figlio dei paradigmi umani che lo pongono, non di assoluti ontologici irrefutabili), un "bene" da sempre controvertito da singoli e da moltitudini, e non sempre basandosi solo su sofismi riguardo cosa significhi «una vita degna di essere vissuta».
Il valore della vita, soprattutto in alcune situazioni, che per fortuna non fanno parte della quotidianità di tutti (ma non è detto debbano capitare sempre agli altri o che non debbano essere comprese nel criterio di incontrovertibilità), è evidentemente un problema filosofico, non un fondamento incontrovertibile.

P.s.
Chiaramente, all'interno della propria morale, il valore della vita può essere assunto come incontrovertibile, assoluto, etc. l'importante, almeno secondo me, è essere consapevoli, parafrasando il noto motto, di "dove finisce il mio paradigma e dove iniziano quelli degli altri" (e di cosa sia davvero «incontrovertibile», al di là del nostro parlarne con giudizi di valore anelanti l'assoluto).
#1092
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 08:08:03 AM
Come per tutto il resto della vita sociale anche in rete le contraddizioni producono antagonismo tra chi ha potere e chi non ce l'ha e lotta per conquistarlo. Antagonismo con importanti contenuti ideologici su un terreno squisitamente ideologico.
L'essenza della rete, per ora, è proprio l'essere un posto in cui tutti hanno "potere" (basta potersi connettere e, per fortuna, da noi non è eccessivamente oneroso), il potere dell'esposizione globale e (nel bene e nel male, direbbe Eco) diritto alla parola pubblica, consultabile da tutti e persino, per la gioia dei "militanti", anche il potere del contrasto con il mainstream, il potere della polemica, dell'irriverenza, della informazione "alternativa" e, inevitabilmente, anche quello delle fake news. Il potere ideologicamente forte nella realtà, in rete viene invece stemperato, diluito e disperso nella cacofonia dell'opinionismo selvaggio che nella realtà off line, soprattutto quella più istituzionale e organizzata, non ha spazio (la differenza fondamentale del web è che consente un'esposizione che la realtà cartacea osteggia e/o nega). Non sono certo i tweet di Trump a rappresentare l'apice qualitativo dell'astuzia della propaganda ideologica, né potranno esserlo le pagine facebook di altri leader politici. Una volta si pensava che il web sarebbe stato il paradiso del libero pensiero e dell'opposizione ai poteri forti; magari c'era troppo ingenuo ottimismo (e sopravvalutazione della serietà delle masse), ma non credo sia sensato passare all'estremo opposto, banalizzando il web a mesto parallelo delle dinamiche ideologiche off line (ridurre il web a un antagonismo ideologico fra classi, oltre ad essere anacronistico, è come ridurre la filosofia ad una parziale filosofia politica; giustamente, de gustibus...).
#1093
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 10:19:42 AM
la convinzione dei relativisti etici che l'individuo sia un'entità autonoma rispetto alla società che lo imprinta fin dalla nascita e che perfeziona sempre più, tecnoscientificamente, tale capacità di condizionamento.
Stavolta non faccio l'avvocato dei relativisti, ma, a dimostrazione di come il relativismo sia coerentemente restio ad assolutizzazioni interpretative, faccio l'avvocato almeno di me stesso, considerando che tendo sempre a relazionare il soggetto al contesto, essendo il (mio?) relativismo più un contestualismo (re-latus) che un solipsismo (corsivi agevolanti):
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2020, 11:41:31 AM
non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti)
e
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 17:25:48 PM
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo
Da queste citazioni si può intuire anche l'origine del male morale, almeno secondo me: non un male ontologico o incarnato o trascendete, ma mero contenuto (senso) di un giudizio di valore che attribuisce la "qualità" «male» a fatti o attitudini di cui si parla. Sono i paradigmi etici ad originare sia il male che il bene (senza voler tornare ad interrogare fallimentarmente sul loro fondamento), con tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
#1094
Dal mio punto di vista, nel rapporto con internet, algoritmi e giganti dell'economia digitale, non c'è né antagonismo (contro chi?), né è una questione principalmente di capitalismo (il tuffo nella rete è comunque volontario e le sue funzioni davvero imprescindibili, per lavoro o simili, sono solitamente le meno "commerciabili"). Riprendendo il paragone precedente, nel momento in cui il bibliotecario mi fornisce il suo servizio, non è mio antagonista, e se scheda le mie richieste bibliografiche e poi le vende a chi approvvigiona i testi della biblioteca, non avrebbe troppo senso, secondo me, chiedergli una percentuale o la divisione degli utili (come sembra proporre, se non l'ho frainteso, Ferraris quando accosta la navigazione al lavoro economicamente inteso perché produce reddito altrui; nel resto del post mi riferisco a lui più che ad utenti del forum). Qui parliamo non a caso di big data, il singolo non vale nella sua specifica identità: conta quante persone sono interessate ad un servizio o compiono determinate azioni; se Mario Rossi è dentro o fuori questo insieme, non importa affatto a chi stila le statistiche d'uso e d'interesse: uno vale uno (soprattutto se i profili sono simili). Ci sono lavori pagati che consistono proprio nel cliccare, nell'accedere a determinati siti, nel mettere like (che qualche azienda poi comprerà a pacchi), etc. ma non mi pare doveroso che, navigando, l'utente comune (che non fa tali lavori) debba aspettarsi di ricevere qualche bitcoin sul conto perché in fondo sta partecipando alle attività economiche di varie multinazionali essendo la sua azione registrata e prontamente profilata (comunque, il browser Brave propone qualcosa di simile, in termini di ricompensa, convertendo la "token economy" in Basic Attention Token). Si ritorna alla solita questione delle raccolte punti ai supermercati: passando la tessera guadagno uno sconto, ma so che vengo profilato (entrando nei big data come consumatore di certi prodotti con un certa frequenza); resta il fatto che la scelta di fare la tessera (e di quando usarla) è tutta mia; inoltre la mia profilazione aumenta le possibilità che, la volta seguente, ritrovi i prodotti che solitamente mi piace (o devo) comprare. Lo stesso accade su internet, solo che non ottengo uno sconto, ma un servizio, o informazioni, o materiale da scaricare (non è gratis perché in fondo lo "pago" con il fatto che il mio scaricarlo viene registrato? Mi sembra comunque uno scambio conveniente; personalmente, non mi dispiacerebbe se l'essere profilati da un supermercato consentisse di fare la spesa senza passare alla cassa). Se invece si vogliono evitare download troppo profilanti, si può comunque ricorrere al peer-to-peer, con annessi pregi e difetti.
D'altronde, se Google o altri "aggregatori sociali" , non essendo onlus (e non potendo esserlo per come fanno quel che fanno), ci facessero pagare in moneta il loro servizio, senza però profilarci, sarebbe forse meno capitalistico?
Fermo restando che, come detto, le alternative ci sono, quindi non è coerente usarli sentendosi in ostaggio (sindrome di Stoccolma permettendo).

P.s.
Ovviamente, se si sconfina nell'illegalità, nell'uso inopportuno o lesivo di informazioni e dati, etc. il discorso cambia e né la qualità del servizio né la gratuità sono più un alibi. Tuttavia non leggerei la fruizione della rete in ottica di sopruso del capitalismo, semmai di consenziente partecipazione (se si ha la pazienza di leggere i contratti e i consensi prima di usare un social o un'applicazione) con margini di "contromisure" basati sull'informazione.
#1095
L'algoritmo di Google, o quelli degli altri motori di ricerca (alcuni dei quali certamente più attenti alla privacy rispetto al colosso), è in fondo un "bibliotecario della rete", che sa usare egregiamente il catalogo della biblioteca pubblica per assecondare le nostre richieste, sebbene nel farlo veda ed abbini chi siamo a cosa cerchiamo. Resta fondamentale che ci fornisca decine di pagine di risultati (più ce ne fornisce, più abbiamo l'onere della scelta), anche se sta poi a noi varcare pazientemente la soglia della prima pagina, per andare a cercare le "perle" scivolate nelle altre pagine, magari perché quantitativamente non troppo frequentate o non adeguatamente indicizzate. Parimenti ricade su di noi la possibilità di (in)formarci sulle eventuali alternative e personalizzazioni (gestione dei cookies, limitazioni dell'invio dati personali, etc.), (in)formazione che non richiede anni di studio, ma ad esempio la visione di qualche rapido tutorial su youtube (tutorial che è ormai assorto a rivoluzione didattica, almeno per quanto riguarda le conoscenze e le applicazioni basilari, in veste di informazione trasversale a tutte le età e tutti i saperi).
Se non ci fidiamo che i nostri dati identificativi vengano effettivamente cancellati quando dovrebbero (capita, vedi Instagram e Facebook) o vengano salvati senza nostro consenso (ancora Facebook) e preferiamo non essere profilati, ebbene è proprio la stessa rete a darci qualche strumento per anonimizzarci o "travestirci" (applicazioni, tutorial di impostazioni browser, etc.). Tuttavia, a pensar male, chi controlla che tali applicazioni non facciano il doppio gioco o archivino a loro volta i nostri dati, come facevano (fanno?) alcuni antivirus?
Sicuramente, se mettiamo in rete una nostra foto pensando che basti cancellarla dal nostro profilo per esser certi che non sia più in giro, o non sia stata già scaricata, copiata e magari modificata da qualcuno, significa che non abbiamo ben chiare le potenzialità (minime) dello strumento che usiamo (dall'opzione "cattura schermo", che ha da tempo un apposito tasto sulle tastiere, ad altre potenzialità più invadenti, seppur più impegnative di pigiare un tasto). Più lo strumento è complesso e più l'uso consapevole richiede (in)formazione.

Di altra categoria sono gli algoritmi per usi privati, quelli inaccessibili direttamente da noi utenti generici, che, oltre a sfruttare al meglio le ultime tecnologie, non ci lasciano scelta di impostazione (perché spesso neanche li conosciamo), pur interagendo con la nostra vita: la polizia predittiva ormai è una realta anche in Italia ed è noto da tempo che persino un banale campanello comprato su amazon può risultare "infame" sino a evocare distopie da Panopticon. Chiaramente algoritmi e IA prospettano vantaggi strumentali per l'uomo, dallo scoprire una nuova catalisi al prevedere picchi di Covid, ma tutto ciò comporta che gli siano dati in pasto (big) dati, alcuni dei quali inevitabilmente sconfinano in questioni di privacy, diritto all'oblio e aspetti non totalmente padroneggiati della propria esistenza online (onlife come direbbe Floridi).
Con questa seconda categoria di algoritmi, si tratta ancor più di un problematico compromesso fra il supportare l'efficacia degli algoritmi, a vantaggio dei suoi utenti (diretti o indiretti) e l'"eticità" della condivisione di informazioni che i programmi fagocitano per funzionare efficacemente (ricordando che dietro ogni machine learning c'è la spinta programmatica dello human teaching).