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Messaggi - Sariputra

#1081
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
07 Luglio 2017, 15:54:16 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Luglio 2017, 12:40:33 PMDimenticare se stessi mi sa di spersonalizzazione. Spesso ho notato che l'orante dei Salmi, che furono anche la preghiera abituale di Gesù, non si preoccupa affatto né di concentrarsi, né di dimenticarsi; al contrario, spesso presenta a Dio le proprie preoccupazioni, gli dice che ci sono persone odiose che gli rendono la vita difficile, a volte protesta anche contro Dio stesso, e poi conclude facendo capire di sentirsi rasserenato. In questo senso molti Salmi mi somigliano a delle sedute psicologiche, in cui il paziente si sfoga, si racconta e in questo raccontarsi si reinterpreta, si riconsidera, specialmente sapendo che c'è un altro che lo sta ascoltando; poi alla fine si sente rasserenato, proprio grazie a quest'esperienza di aver tirato fuori i problemi, averli raccontati, riletti, e avendo vissuto nel contempo un'esperienza di sentirsi ascoltato da qualcuno. In questo senso trovo armonia tra l'esperienza espressa nei Salmi e quella elaborata dalla ricerca scientifica in psicologia. Da prete ogni tanto qualche persona mi esprimeva la sua difficoltà a pregare, perché la sua mente a un certo punto perdeva la concentrazione, cominciava a vagare. Io rispondevo che non c'era niente di preoccupante: il pregare cristiano non è concentrazione, ma al contrario, piena assunzione della propria esistenza per quella che è. Una delle preghiere più alte, più sublimi della tradizione cristiana fu quella vissuta da Gesù nel Getsemani prima di essere condannato e crocifisso: ma quella fu una preghiera disturbata, nervosa, andava e veniva dai suoi apostoli, li trovava addormentati, una volta dice loro di riposare, ma un attimo dopo dice di alzarsi e andare. Eppure non ci sono dubbi che quella fu autentica preghiera, altissima esperienza spirituale. Una volta mi accadde di partecipare ad un ritiro spirituale guidato da un altro prete; la prima cosa che disse fu: "Adesso cercate di dimenticare tutto, lasciate a casa le vostre preoccupazioni, non pensate a niente". Istantaneamente mi dissi, tra me e me: "Comiciamo male!". Ci sarebbe tanto da dire sulla tradizione ebraica come memoria, memoria dell'essere stati liberati dall'Egitto, la Pasqua che è un fare memoria, Gesù che dice "Fate questo in memoria di me", la memoria dell'Olocausto. Anche il perdonare non può essere inteso come un dimenticare le offese, ma piuttosto come un reinterpretare in maniera diversa ciò che è successo. Tutto ciò mi ha creato un habitus mentale che dà enorme importanza al non dimenticare, al fare memoria, raccontare. Ovviamente le memorie vanno organizzate, ordinate, altrimenti ci si sperde nella loro moltitudine, ci ritroviamo nel problema che diceva prima Sariputra, il puro accatastare senza armonizzare. Tutto questo mi fa essere quanto meno perplesso quando sento inviti a dimenticare o dimenticarsi.

Il senso dell'individualità e quindi della personalità ( da coltivare, custodire, accrescere, indottrinare, ecc.) è prepotente nella spiritualità occidentale e , in senso generale, nella concezione stessa della vita.
L'uomo è di fronte al Dio, ne viene nominato, il suo nome ha importanza, Lui ti conosce, ecc. Tutto questo non ha la stessa importanza nelle forme spirituali dell'Oriente in cui prevale il senso dell'illusione, dell'ignoranza sulla nostra vera natura. La personalità stessa è ostacolo a volte per i sentieri da percorrere. Solo nella libertà dal tuo condizionamento a ritenerti separato, separazione per cui il tuo vissuto ti appartiene, è tuo, è qualcosa di sostanziale che vive ( un io personale, un sé autonomo, ecc.), si può pervenire ad un'intuizione fondata sulla reale natura dei fenomeni .
Quindi il dimenticare s'intende come dimenticare il noto, quello a cui ti aggrappi, fare spazio per il nuovo. Se la casa è ingombra , dove puoi trovare spazio per l'Ospite?
Spesso si ritiene che uno che conosce molte cose ( un erudito) sia una personalità "forte", un maestro, un guru, ecc. Mentre si dovrebbe, a mio parere, scorgere se c'è armonia tra quel che si dice e il proprio vissuto, così che tutto di un essere umano ci parli della sua spiritualità: le sua azioni, il suo porsi all'altro, la sua benevolenza, la sua bontà ( questo termine così desueto ma pieno di significato...). 
Le sue parole , a questo punto, diventano superflue. E' la sua vita stessa che insegna. Spesso è la persona impensabile, quella che ti sta accanto magari, che può essere il tuo maestro, il tuo buddha silenzioso, purché ci si sappia "dimenticare" di se stessi e, nella dimenticanza, creare lo spazio per accogliere il non-noto, il nuovo, che è anche "creazione".
#1082
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
07 Luglio 2017, 09:18:11 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Luglio 2017, 01:24:13 AMUn video di 2 minuti e mezzo che esprime ciò che per me è il nocciolo, l'essenza, il fondamento di tutto, della vita, dell'universo, della spiritualità: la mèta è la strada: se stai camminando sei già nella mèta; la Verità non è essere arrivati, ma l'esatto opposto, essere per strada, trovarsi in cammino, essere in ricerca. Finché non smetti di cercare, sei già nell'aver trovato. Se smetti di cercare, puoi star certo di aver perso il trovare, qualunque cosa tu pensi di aver trovato. Jean Louis Ska fu tra i miei professori di Sacra Scrittura molti anni fa, per me è un grande maestro. https://www.youtube.com/watch?v=Z5jKu1ZUrmc

"I frutti della strada si raccolgono camminando"...però bisogna pure sincerarsi se, per caso, non si stia percorrendo un circuito ( stile Indianapolis...) , perché se no si continua a passare sotto lo stesso albero  ;D e a "girare in tondo" su se stessi ( magari camminando con lunghi capelli raccolti da un nastro, una chitarra a tracolla e un meraviglioso sole che spunta all'orizzonte...stile hippy per intenderci).
E' vero che la meta è anche  la strada da percorrere, ma io lo intendo nel senso che, se vuoi arrivare da qualche parte, devi pur metterti in cammino ( "uscire dalla propria terra" o dall'Egitto...o da un mondo di certezze preconfezionate). Questo cammino però è interiore, perché se lo consideriamo esteriore, diventa un semplice accumulare esperienze che non sono in grado di cambiarci, annullando il senso stesso del viaggio.
#1083
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
07 Luglio 2017, 00:40:23 AM
Citazione di: Apeiron il 06 Luglio 2017, 19:53:36 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Luglio 2017, 01:17:01 AMLa Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare. Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace. Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione. Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo. Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà. Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha). E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.) e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.
Sono molto d'accordo con te e credo che anche Arthur lo era (non a caso parla di un nulla "relativo"... secondo me è stato male interpretato, di certo il suo disprezzo per la vita che aveva non ha aiutato nessuno... te possino Arthur). L'unica cosa su cui potrei non essere d'accordo è la completa ostinazione dei buddisti a "non ammettere" che Nirvana/Nirodha potrebbe essere "qualcosa di reale". Chiaramente sarebbe uno "stato" senza referimenti all'io e al non-io, senza desideri ecc (d'altronde la Pace (con la "P" maiuscola) richiede completezza) ma questo non significa che il Nirvana sia il nulla. Visto che "è la cessazione della nascita" me lo immagino come un oceano in calma piatta, senza onde (l'esistenza condizionata). Questo non è panteismo perchè il panteismo ha ancora un'attaccamento all'io. Però non è il Nulla perchè l'assoluta calma, il "raffreddamento" di tutti i processi non è necessariamente il nulla:) Anzi ritengo che la positività del Nirvana sia molto importante (non a caso il Buddha era compassionevole e felice, non era "distaccato" ma "non-attaccato" ecc).

"Qualcosa di reale" e "Qualcosa di irreale" formano una dualità e l'elemento Nibbana è al di là di ogni dualità del pensiero. In più se si definisce il Nibbana come "reale" si rischia che sia inteso come qualcosa di esistente in sé, dotato di esistenza intrinseca, o come un Dio, cadendo nell'estremo positivo metafisico dell'eternalismo. Viceversa se si definisce come "irreale" si rischia di cadere nell'estremo opposto del nichilismo e perciò, per evitare questo, viene correttamente stabilito come "non-nato-non-divenuto-non composto- ecc." ( ovviamente uso i termini eternalismo e nichilismo nell'accezione filosofica buddhista ). Il Nibbana non è il nulla, ma non è nemmeno "qualcosa"...
Nel Visuddhimagga viene data questa definizione del NIbbana, che si serve di tre categorie, che trovo interessante:

Il Nibbana ha come sua caratteristica la pace. la sua funzione è il non morire; oppure la sua funzione è il confortare. Viene manifestato come privo di segni ( senza i segni, o tracce, del desiderio, dell'odio e dell'illusione); oppure è manifestato come non diversificazione.

Nell'argomentare su questo passo Buddhagosa dapprima rigetta il punto di vista di vista secondo il quale il Nibbana è non esistente, affermando che deve esistere in quanto può essere realizzato praticando il sentiero . Non è nemmeno possibile intenderlo semplicemente come l'assenza di tutti i fattori dell'esistenza, cioè i famosi "cinque aggregati", perchè può essere realizzato nel corso della vita, mentre gli aggregati sono ancora presenti. Non è possibile intenderlo neanche come semplice estinzione dell'odio, dell'illusione e della brama di esistere, perché questo lo ridurrebbe ad un evento temporale ( la distruzione delle "contaminazioni" infatti succede nel tempo...) e , oltre a ciò, sarebbe "condizionato", in quanto la distruzione avviene tramite determinate condizioni.
Viene definito come la distruzione della brama, dell'odio e dell'illusione perché, essendo non-condizionato, è la base ( o il sostegno) per operare la completa liberazione da queste ostruzioni.
IL Nibbana viene raggiunto tramite il sentiero, ma non è prodotto da esso ( altrimenti cadrebbe all'interno di paticcasammupada, la catena di produzione condizionata...), pertanto è increato, senza un inizio, e quindi ovviamente, libero da invecchiamento e morte.
Ancora Buddhagosa:

"Poiché può essere raggiunto tramite la discriminazione della conoscenza che ha successo grazie ad una assidua perseveranza, il Nibbana non è inesistente per quanto riguarda la sua natura in senso ultimo; infatti è detto: "Vi è, o bhikkhu, il non-nato, il non-divenuto, il non-fatto, il non-composto" (Udana 8:3; itivuttaka 45)

Se l'elemento Nibbana fosse non esistente, come potrebbe essere descritto con espressioni come "profondo" ( nascosto, difficile a comprendersi, sereno , elevato, inaccessibile al ragionamento, sottile ) o come "l'incorruttible", il vero, l'altra sponda, oppure come "karmicamente neutro, non condizionato" ?  :)


Non è l'"Annullamento" la meta suprema del buddhismo, nemmeno di quello originario , del Theravada, o persino del Canone Pali. Ma se il Nibbana non è sicuramente da intendersi come non-esistente , non si deve nemmeno intendersi come esistente nella concezione che il pensiero dà di questo termine. Infatti dobbiamo considerare che la teoria dell'anatta ( non-sé) non va riferita solamente al mondo dei fenomeni condizionati, ma va estesa correttamente anche al Nibbana. Questo per evitare di far cadere il Nibbana all'interno dell'estremo positivo della metafisica e della tentazione della mente di definirne una "identità" ( mentre qualunque tipo di identità concepibile non potrebbe che rientrare nei fenomeni condizionati ). Nella Parabola del serpente si afferma che io e mio, chi possiede e la proprietà, sostanza e attributo, soggetto e predicato sono termini inseparabili e correlativi, che mancano di realtà in senso ultimo.
#1084
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
03 Luglio 2017, 01:17:01 AM
La Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare.
Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace.
Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione.
Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo.
Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà.
Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha).
E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.)  e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.
#1085
Citazione di: Jean il 01 Luglio 2017, 16:54:44 PMViaggio di lavoro verso La Spezia. Il sole illumina ogni cosa. Fuori dal finestrino scorre il mare. Scintillante, immobile, altero nella sua bellezza. Immagino che sotto la superficie nuotino spettri inquietanti di sirene omeriche.
...............
L'unico lavoro che non si può fermare è l'estrazione delLa Spezia. Durante il viaggio, trafitto dal sole che ha reso arido il pianeta, m'immagino che fuori del finestrino scorra il mare... blu, limpido e profondo... ... invece, avvolte da sovrumani silenzi scorrono interminabili distese di sabbia arroventata, sotto la quale, incredibilmente, nuotano giganteschi, inquietanti creature simili a vermi...  Chi controlla La Spezia controlla l'Universo...   J4Y

Questo è Dune di Frank Herbert!!!... ;D ;D
#1086
Riflessioni sull'Arte / Re:Arte moderna?
29 Giugno 2017, 09:35:01 AM
Citazione di: Isfrael il 27 Giugno 2017, 18:54:08 PMLeggendo un pò in rete mi sono imbattuta in un articolo che parlava di una esposizione d' arte moderna o concettuale( ::) ) e di come una donna delle pulizie avesse scambiato per rifiuti le briciole di biscotti a terra, spazzandoli via, mentre quella era un'opera d' arte e di come un operaio abbia stuccato per sbaglio un foro dipinto nel muro, sempre ad una mostra sull' arte contemporanea. Sono inconvenienti che capitano quando non si riconosce più un'opera d' arte da oggetti di uso comune, ed anche quando questa "arte"non è capace di suscitare nello spettatore nessun tipo di emozione, messaggio, bellezza, armonia, sopratutto quando questa non comunica nulla. La povera donna e l'operaio hanno fatto solo il loro lavoro, perchè inconsapevoli del concetto intorno a quella determinata opera, ma io penso che non sia colpa loro, io penso che l'arte quando c'è si vede e si sente, si riconosce... non ci si può sbagliare, indipendetemente dalla professione della persona. Insomma, se ancora oggi guardare alla Gioconda scoprendo sempre nuovi dettagli e ammirarne l' armonia delicata ma incisiva, vuol dire che l'opera ha il valore di "resistere" al tempo e saper raccontare ad ogni osservatore, di ogni società, qualcosa di personale. L' arte moderna, probabilmente questo compito non lo assolve.

L'arte attuale vive in una specie di bolla  autoreferenziale. Ho visitato la Biennale 2017 di Venezia e la sensazione che mi ha accompagnato , dopo aver visionato i primi padiglioni, non è stata la delusione ma la noia. Una noia mortale che, nonostante il prezzo del biglietto, non mi ha permesso di terminare la visita. Ho preferito uscirmene, piazzarmi su una panchina, ed osservare la Laguna, con il suo via vai di vaporetti, imbarcazioni varie e turisti...un pò di vita insomma!
Se la filosofia sembra non godere più di buona salute, l'arte la definirei alla "canna del gas" ( parere personale ovviamente)...sempre se la Biennale può essere considerata ancora una manifestazione rappresentativa valida dell'insieme delle esperienze artistiche globali, cosa che francamente dubito.
Avendo una figlia che frequenta un liceo artistico posso capire però che non sia facile per i giovani che covano una passione autentica. Il livello di preparazione degli insegnanti è piuttosto scarso ( salvo ovviamente alcune eccezioni che si distinguono per la passione stessa che sanno trasmettere agli studenti...).
Uno dei problemi dell'arte concettuale attuale, a parte il linguaggio criptico e di non immediata lettura, è il cercare quello che si potrebbe definire come "effetto schock" o effetto sorpresa. Si segue lo stesso metodo dei media che, per catturare l'attenzione di gente ormai distratta ed assorta nella propria frenesia di vita, gonfiano, sparano,urlano la loro richiesta d'attenzione, quasi sempre anche a scapito della qualità, dell'argomentare , ecc. Si deve insomma "stupire" ...passando spesso in secondo piano il contenuto stesso.
Questo bisogno di "eccedere" si potrebbe quasi definire, a mio parere, uno dei tratti salienti e caratteristici della società umana di questo inizio di terzo millennio. E sta contagiando un pò tutti. Effetto della sovraesposizione sensoriale che richiama sempre il bisogno di qualcos'altro, qualcosa di "nuovo" da provare... e l'arte non sfugge ovviamente a ciò, ma anzi ne diventa lo specchio.
Ovviamente, quando un linguaggio perde la capacità di parlare ai più, perde anche la sua capacità di incidere nel sociale, nel vissuto del maggior numero di persone possibile che cercano un'esperienza del "bello", pertanto rischia di diventare "inutile"...e l'inutilità dell'arte attuale, fredda concettualizzazione che raramente esprime bellezza percepibile ai più, purtroppo è davanti a noi...
#1087
Personalmente trovo interessante che il forum sia uno spazio in cui si coltiva anche il solo pensiero, nel suo essere 'pura riflessione'. Non trovo affatto dimostrabile che non sia possibile pensare qualcosa di 'nuovo' ( che non sia mai stato pensato...).  Non è colpa della filosofia se non ci sono filosofi geniali in circolazione , ma piuttosto il sintomo di un generale decadimento della volontà e della passione nel pensare, specchio di un generale impoverimento della qualità riflessiva del genere umano ( dell'homo come dice myfriend... :)). D'altronde siamo in Kali Yuga no? Non possiamo aspettarci molto di più...
Per contro il pensiero legato allo sviluppo della tecnica e dei suoi gadget non è mai stato così potente...
Poi ...perché le cose devono sempre essere utili, pratiche , legate al concreto?...Semo proprio occidentali...Vorrei invece fare l'elogio di tutto ciò che è inutile ( in particolare degli esseri umani 'inutili', senza obiettivi 'concreti', che pensano per il gusto di pensare, che non ne possono proprio fare a meno...anche se non sono dei geni).
Poi, Cannata, sei sempre un pò "estremista"...perché necessariamente chi ha forti convinzioni è arrogante e fanatico? Molti lo sono, ma molti altri non lo sono...tra l'altro l'arroganza e la presunzione è equamente spartita tra tutti, anche tra chi si dichiara nemico delle forti convinzioni ( in genere costoro sono nemici delle forti convinzioni altrui, ma non taccategli le loro 'deboli' convinzioni... :) ).
#1088
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
25 Giugno 2017, 07:34:41 AM
Necessità della Presenza, del vivere in questa presenza...solo creando spazio posso permettere di vivere, in me, questo mistero. Se non mi specchio in essa, non esisto, sono un'ombra, sono solo ripetizione, sono numero...

V. ha pianto per tutta la durata del funerale. Il sacerdote, ogni tanto, le gettava uno sguardo benevolo, con un sorriso dolce.
Non è riuscita a piangere per tutta la settimana. Adesso le lacrime sono irrefrenabili: piange tutto il suo dolore.
Meraviglia della giovinezza, del sentire con tutto il cuore l'amore e il dolore.
Vorrei riavere questa capacità di essere un tutt'uno con l'amore o di piangere tutto il mio dolore, questo tesoro smarrito.
Essere tutto se stessi nell'atto d'amore gratuito o nel soffrire con tutto se stessi, senza alcuna vergogna, come un bimbo...
o come una ragazzina davanti alla bara della nonna teneramente amata.

La Presenza è necessaria per dare limite, per stabilire i tuoi confini, per riconoscerti in tutto lo smarrimento di un'identità fragile, mutevole; di una volontà incostante, infedele...
Non c'è alcuna necessità di dare un nome, basta questa unità che libera e che nobilita la pochezza del vivere, il suo passare...
Perché dare un nome al Senza-nome?

Scrivo seduto su una panchina dell'Ossario, sull'Altopiano. La calura in cui è immersa Villa Sariputra è lontana, giù nella valle.
Son tornato sui luoghi che amava e che mi ha insegnato ad amare, con tutta la sua semplicità.
Il suo cammino di dolore è terminato...
Tutto ciò che nasce è destinato a morire...come potrebbe essere altrimenti?
Tutto...anche il dolore più intenso e straziante.

Se non mi sentissi in questa Presenza, non avrei possibilità di attingere alla Bellezza.
Anche nel dolore più insensato...il fatto di averlo condiviso per cinque lunghi anni, in questa presenza, mi ha fatto scorgere il fondo di una bellezza e di una dolcezza senza fine...
Un grande insegnamento.

Che responsabilità enorme nell'educazione dei figli. Ora sento ancor più questa responsabilità, questo poter indicare, senza parole inutili, senza moralismi ipocriti, la possibilità di fare della propria vita un mistero, uno spazio di libertà per il Non-nato.
La possibilità di scoprire la Bellezza ed esserne scoperti.
Una comunione senza parole, al di là di ogni parola.
#1089
@A.Cannata scrive:

Io risolvo questo problema semplicemente ammettendo i miei condizionamenti e quindi considerando che la mia ricerca sarebbe da confrontare con i risultati di chi porta in sé condizionamenti diversi dai miei (non esistono persone senza condizionamenti). Quindi ammetto senza problemi che il mio modo di trattare la spiritualità è condizionato dal mio passato di cattolico, relativista e poi ateo. In questo contesto faccio ugualmente lo sforzo di approfondire ciò che mi può risultare condivisibile da chiunque.

Messa così appare una cosa terribilmente asettica e fredda, quando invece la spiritualità, per me, è un vissuto che parte dalle viscere stesse e che investe l'intera persona, che lo interroga, lo fa disperare e dubitare ma anche raccogliere piccole lucciole di bellezza tra le mani. Per il mio temperamento non riesco proprio a concepirla in maniera così esangue, sterile, una cosa non da vivere ma da collezionare, quasi come fanciulli che confrontano i loro album di figurine per constatare ciò che hanno in comune e ciò che invece manca...senza un reale obiettivo, in quanto ritengo già a priori che ogni obiettivo sia privo di valore, in quanto "condizionamento"...
Come figlio di una contadina ho succhiato dalla tetta di mia mamma il senso della semina in funzione del raccolto e non certo quello di far collezione di sementi... 
#1090
@A.Cannata
Non prendo le tue obiezioni punto per punto, ma mi concentro ancora su questa che, a mio avviso, è il nucleo che le riassume:

La spiritualità come vita interiore non è una visione delle cose, del mondo, dell'esistenza, non è una filosofia, non è un modo di interpretare la vita; essa è piuttosto un fenomeno presente in ogni persona. In questo senso la spiritualità non è qualcosa da abbracciare o non abbracciare, ma qualcosa che è dentro ognuno di noi, la cui esistenza è dimostrabile addirittura scientificamente: basta guardare il tracciato di un elettroencefalogramma: se non è piatto, allora quella è già spiritualità, perché vuol dire che in quel cervello c'è dell'attività neuronale.

L'attività neuronale, misurabile con appositi strumenti, è indicatore della presenza di "spiritualità" nella mente? L'attività neuronale è quello che è: attività neuronale scientificamente misurabile ( ce l'hanno anche le galline una certa attività neuronale e cosa dire dei poveri dementi, la cui attività neuronale è totalmente sconvolta, devono ritenersi "spiritualmente sconvolti"?...). Quindi ripropongo la mia obiezione: ricondurre la spiritualità a semplice definizione di attività mentale omnicomprensiva, scientificamente misurabile, mi  risulta chiamarsi  "materialismo" e non definisce nulla di cos'è in concreto la spiritualità e che cosa la definisce e delimita rispetto a ciò che non lo è. 
Infatti prima dici che la spiritualità non è questo e non è quello dei prodotti dell'attività mentale e poi invece definisci che tutta l'attività mentale è spiritualità. Necessariamente lo sono anche i primi , e quindi : moralità, etica, visione delle cose, del mondo, dell'esistenza, ecc. Altrimenti  dove possiamo trovare la paternità di questo?
Quale sarebbe a questo punto la differenza rispetto alla definizione di "attività mentale"? Appare , a questo punto, del tutto  indifferente definirsi come "maestro di spiritualità" invece che "maestro di attività mentale" o "maestro di stati mentali" piuttosto che "maestro di attività neuronale". Ma , nel momento in cui ti proponi come "maestro di spiritualità", manifestando interesse per la spiritualità, devi dare una definizione specifica  di cosa intendi con questo.  Cosa che finora non mi sembra tu abbia fatto. Capisco che stai facendo uno sforzo per uscire dai limiti del linguaggio, ma usando il linguaggio non puoi farlo. Possiamo trovare altre strade?... :-\
#1091
@A.Cannata

La definizione di spiritualità che dà Wikipedia è:
 termine che riguarda, a grandi linee, tutto ciò che ha a che fare con lo spirito, ha svariate accezioni ed interpretazioni. Il suo significato più semplice è il concetto che oltre alla materia tangibile esista un livello spirituale di esistenza, dal quale la materia tragga vita, intelligenza o almeno lo scopo di esistere; tuttavia può arrivare ad includere la fede in poteri soprannaturali (come nella religione), ma sempre con l'accento posto sul valore personale dell'esperienza. L'attribuzione di spiritualità a una persona non implica necessariamente che quella persona pratichi una religione o creda, in generale, all'esistenza dello spirito; in questo caso la spiritualità è vista piuttosto un "modo d'essere" che evidenzi scarso attaccamento alla materialità.
 Pongo l'accento sul finale: " un "modo d'essere" che evidenzi scarso attaccamento alla materialità". Questo è un linguaggio coerente ad ogni forma di spiritualità che si proponga come obiettivo un miglioramento dell'uomo ( una spiritualità che non si ponga questo obiettivo , non è a rigor di termini una forma di spiritualità. Per es., tu citi lo psicanalista e attribuisci al suo lavoro una valenza 'spirituale'. In realtà lo psicanalista sta facendo psicanaiisi...è il suo lavoro , e si fa pagare profumatamente per quello...Penso che non si debba gettare nel calderone di tutto e di più. Non tutto ciò che ha a che fare con l'attività della mente è "spiritualità" ma ciò che forma un "modo d'essere", una visione esistenziale che vada "oltre la materia" e che produca pertanto un disincanto verso di questa. Se non c'è spirito che cerca di elevarsi/liberarsi/comprendere mi sembra però che si concordi ( come per es. nel buddhismo) sulla necessità di liberarsi dall'attaccamento ( è un tratto comune a tutte le grandi esperienze spirituali apparse, a Oriente come a Occidente). Credo che la terminologia sia importante per definire con chiarezza ciò che s'intende. Non mi stupisce pertanto che tu scriva che "sei l'unico" che la intenda in maniera diversa . Credo che, umanamente, sia difficile digerire il fatto che l'odio e l'amore abbiano, nella tua visione, uguale non-valore. Si prova una sorta di naturale e istintiva ( quindi non morale, ma che ha a che fare con qualcosa di più profondo dell'educazione o del condizionamento impartito...) repulsione. Se la "vita interiore" dello stupratore , non essendoci alcuna morale o etica, ha lo stesso valore di quella di uno che magari la sacrifica per aiutare dei migranti dai narcos ( come, per es., i più di quaranta sacerdoti ammazzati dai narcotrafficanti in Messico negli ultimi dieci anni, perché davano fastidio ai loro traffici di esseri umani...) capirai che non si vede alcuna ragione per abbracciare una visione come quella che proponi, che rasenta veramente, a mio a parere, le forme più sottili e insidiose di narcisismo intellettuale, ossia quell'attitudine di ritenere come "importanti" tutte le emozioni, sensazioni, riflessioni e stati mentali che la mente produce e dissolve di continuo. Non è che l'etica  sia mera 'imposizione', ma è anche necessaria proprio per controbilanciare questa pericolosa deriva che, nelle persone sensibili e intelligenti, si manifesta portando a rafforzare l'ego e non a indebolirlo. Indebolire lo spazio dell'ego non è un fatto 'morale', ma semplicemente la necessità di liberare uno spazio, perché la qualità profonda della mente possa emergere e manifestarsi nel concreto, in atti concreti, in un amore concreto.
#1092
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 00:30:07 AMDa relativista quale sono, il mio ateismo non si pone nei termini di esistenza o non esistenza di Dio. Per me il verbo esistere, se considerato da un punto di vista fondamentale, è privo di significato. Per questo motivo non ho alcun interesse alla questione se Dio esiste o meno. Il mio ateismo è esistenziale, cioè riguarda il comportamento concreto: io scelgo di non relazionarmi con Dio con il tipo di relazione che hanno i credenti, cioè rivolgersi a lui, ascoltarlo, meditarlo. Poi, che Dio esista o non esista sono affari suoi o di chi se ne voglia occupare. Riguardo all'odio verso Dio, non penso di averne, anzi, attribuisco grande importanza alle esperienze che ho vissuto da credente e ho totale stima delle esperienze che vivono i credenti. Uccidere Dio per me non significa far sparire le religioni: non sono certo uno dell'Isis o un crociato. Uccidere Dio per me significa vivere un processo di crescita che non si fa scrupolo di eliminare dalla propria esistenza tutti quegli aspetti che hanno a che fare con la divinità e che al momento riconosco non costruttivi. In questo senso, qualsiasi credente ha il dovere di uccidere in se stesso tutti quegli aspetti falsi, sbagliati che fanno parte della sua fede: ogni fede è sempre inquinata da qualche idea sbagliata su Dio. La differenza tra me e un credente è che il credente lavora tutti i giorni per eliminare dalla sua vita preconcetti errati su Dio, déi falsi, come per esempio l'amore per le ricchezze, l'egoismo, mentre io invece ho scelto eliminare direttamente ogni mio rivolgermi a Dio. Ma il credente, ogni credente, rimane per me una fonte di spiritualità da cui ho da imparare, così come egli ha da imparare da me: tutti abbiamo da imparare da tutti. Non per nulla ho detto che per me il paradiso è avere grandi maestri, e spesso sono io che devo accorgermi dei grandi maestri che mi trovo accanto, che magari non hanno nomi altisonanti, ma hanno molto da insegnarmi. Come vedi, il mio uccidere Dio è tutt'altro che odio. Però se la metti sul piano di dibattere se Dio esiste o non esiste, non ci capiamo più: la mia spiritualità, anzi, mi permetto di dire la spiritualità, in quanto vita interiore e quindi vita interiore di tutti, di chiunque, si pone su piani diversi, altrimenti non sarebbe vita interiore di chiunque.

A parer mio, definire la spiritualità semplicemente come"vita interiore" è troppo generico. La nostra vita interiore è composta di innumerevoli elementi, spessissimo contrastanti e in opposizione uno all'altro. Se arriva una persona e ti chiede:"Maestro,cos'è la vita spirituale?" e come risposta riceve:"E' la tua vita interiore" questo non solo non lo aiuta, ma è , oltre che enigmatica, una definizione carica di ambiguità. Se questa persona, per es., ha il cuore gravido di odio potrebbe intendere che quell'odio costituisce parte della sua vita spirituale e quindi ritenersi giustificato a proseguire su una via piena di odio. Un Hitler stesso, rientrerebbe nei canoni di un essere pieno di vita interiore. In realtà la denizione di spiritualità come "vita interiore" significa tutto, e quindi logicamente anche niente... 
Questa "vita interiore" dovrebbe almeno definire l'obiettivo che si pone, perché è l'obiettivo che la qualifica. Un generico termine come "cammino", ancora, secondo me, non definisce nulla. Infatti si può tranquillamente camminare in tutte le direzioni, anche contrarie una all'altra. Il passare di maestro in maestro, di esperienza in esperienza,  di insegnamento in insegnamento, lungi dal far maturare la cosiddetta "vita interiore" ottiene invece di rendere sempre più fragile la propria volontà, perché la mente comincia a perdere "fiducia" in ogni cosa, e questo non fa progredire, se non illusoriamente, la vita spirituale.
#1093
@A.Cannata scrive:

nel mondo c'è il male perché purtroppo non abbiamo ancora ucciso del tutto Dio; Dio non si uccide semplicemente facendosi atei, bisogna stanarlo in tanti altri angoli in cui ancora persiste e chissà se ci sarà mai una sua morte totale. Gesù ha fatto la sua parte, gli ha assestato i suoi colpi, ma c'è ancora un enormità di lavoro da fare, che non sappiamo se mai finirà, perché l'intero universo è tutto avvelenato di divinità in ogni suo atomo, non siamo solo noi ad avere l'incarico di uccidere Dio, ma l'intero universo.

E che è? L'Home page di un sito satanico?  ??? Sono parole che trasudano odio verso Dio ( odio verso qualcosa che si ritiene inesistente...).
Ma davvero ritieni che l'idea di un Dio sia la causa di ogni male? Non trovi assurda questa posizione ? Se Dio non esiste, è quindi una creatura del pensiero umano, ergo tutto il male imputato a Dio non può essere che male da imputare all'uomo che l'ha concepito. A meno che...tu, in fondo, non ritenga che invece esiste, ma lo odi perché ha creato un mondo che non ti soddisfa, e non vuoi che esista e quindi deve essere "combattuto" e distrutto ( un ideale satanico cioè...).
Sei forse un maestro di spiritualità "nera" ?... :-\
Mah!...perplessità...

Citazione di: Angelo Cannata il 22 Giugno 2017, 23:10:28 PMDimenticavo: per me il paradiso è invece poter conoscere grandi maestri e maestre. Il resto viene dopo.


Oddio...il mondo è sempre stato pieno di gente che desiderava "ammaestrare", e quasi tutti ne traevano giovamento "personale" ... :( Io sono rimasto ancora alle ultime parole di Siddhartha al fido Ananda: "Sii luce a te stesso, Ananda, non avere altra luce..." pertanto...tutto sommato...'ste 27 vergini che dicono aspettino nel Paradiso...se proprio soffrono di solitudine...potrei anche sacrificarmi...anche se...non conosco perfettamente i testi, ma...è scritto per caso che età hanno?... :-[ :-[ :-[   
#1094
Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. 

Cosa significa essere "perfetti"? Per esserlo bisognerebbe essere Dio stesso, che è l'unico perfetto. Ma Dio non intendeva creare altri se stessi, voleva di fronte una creatura, un "amico" e voleva per prima cosa, crearla libera. Voleva cioè essere liberamente amato e non voleva un essere che amasse senza comprensione del "valore" di questa libertà d'amare. Ma , per essere "libero", bisogna liberamente operare scelte e, per operare una scelta, devi logicamente disporre di più opzioni.  In questo senso il male è semplicemente la scelta, libera, dell'opzione di non-amare Dio.Si potrebbe quasi dire che il dolore appare necessario per far maturare l'amore. Come il mango ha bisogno di una scorza per maturare e, quando è pronto per essere gustato, bisogna pelarlo dalla buccia, così l'amore per maturare sembra necessitare della scorza del dolore e da questa deve essere "liberato" per poter essere gustato. Il dolore che ci interroga e che spesso ci annienta,  nella sua manifestazione come "danno", spesso è anche fonte di profondo cambiamento e di ricerca di un significato. E' il dolore che interroga Siddhartha e lo spinge alla ricerca di una via di liberazione, che non è annientamento del dolore ma comprensione e non attaccamento a tutti quei fattori mentali che ci spingono a perpetuarlo. Nei monoteismi abramitici il dolore fisico non sembra aver molta importanza, non c'è quella "debolezza decadente" dell'uomo moderno, quella ipersensibilità a tutto ciò che può esserci di "danno". Era un mondo diverso, un vissuto più aspro, meno "molle" e spaventato; la morte non era nascosta, camuffata e relegata lontano, era consuetudine ordinaria. Molte delle cose che, alla nostra sensibilità attuale, appaiono come sofferenza erano semplicemente quotidianità. Anche il dolore, la sofferenza, come ogni cosa è mutato , si è trasformato, ha assunto colori e toni diversi, soggetto come tutto all'impermanenza, che ne è anche la causa profonda.
Se non credo in un Dio creatore è logicamente assurdo imputargli alcunché, come giustamente ha scritto baylham.
Se invece credo dovrei almeno interrogarmi se, il dolore che ho percepito in me e che ho visto nell'altro,sia servito o meno a cambiarmi e se questo cambiamento mi ha aperto ad una dimensione di maggior sensibilità ed empatia verso l'altro, quindi d'amore. Se è così, perché maledire la scorza che è stata necessaria per far maturare questo prezioso frutto?  Se il mondo fosse un'unica perla che valore avrebbe? Ma invece...che meraviglia quando, da una conchiglia piena di fango, pescata nell'abisso, troviamo una piccola luminosa perla. e tanto più grande sarà la bellezza quanto più ne comprendiamo la "fragilità" e il suo passare...
#1095
Citazione di: Angelo Cannata il 20 Giugno 2017, 01:41:43 AM
Citazione di: Sariputra il 20 Giugno 2017, 01:20:06 AMC'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"?
Non mi sembra che la morte di Dio, a cominciare da Nietzsche, sia stata ricercata con lo scopo di ottenere un uomo diverso, un modo di esistere diverso. Mi sembra che essa venga detta come un dato di fatto, addirittura indesiderato: come dire: non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di uccidere Dio, di sbarazzarci di lui, ma purtroppo il nostro cammino culturale ci ha condotto ad un mettere le cose in questione così radicale da farci risultare Dio incapace di resistere alle obiezioni umane. Noi non abbiamo fatto altro che ricercare, interrogarci, desiderare qualche comprensione. Che ci possiamo fare se in questa ricerca sono spuntate domande anche nei confronti di Dio e l'unica cosa che egli ha saputo fare è stata non rispondere? È come quando in classe si fa l'appello per vedere chi è presente: vieni chiamato non perché il professore ce l'ha con te, ma semplicemente perché si sta cercando di capire chi è presente e chi è assente. Che ci possiamo fare se, al momento di chiamare Dio, egli non ha dato alcun segno di presenza? "Dio, sto morendo!". Riposta: nessuna. Vuoi vedere che ora i cattivi siamo noi, rei di averlo invocato, rei di fare domande?

Ma veramente l'uomo pensava di sentire una potente voce venire dall'alto dei cieli che gli diceva: "Non temere per tutti gli accidenti che ti stanno capitando, mò ti spiego perché..."?  :)
Sarebbe semplice così ma, se io fossi Dio, creatore di questo pò pò di universo, non sarei probabilmente un tipo "semplice", e ovviamente sovrasterei le possibilità di comprensione umana in maniera così vertiginosa che non sarebbe possibile, in alcun modo, trovare un linguaggio comprensibile dall'uomo per rendere la complessità della trama e dell'ordito che vado "costruendo"...
Parabole per spiegare? Un buon sistema, con evidenti limiti legati all'interpretazione umana...
Credo che Nietzsche ( o altri pensatori), ma qui ci vorrebbero degli esperti del baffone, ritenessero che sbarazzarsi del concetto di Dio ( in particolare , ovviamente, ce l'avevano con quello cristiano...) aprisse la strada per un reale cambiamento, un ritorno alle origini o un superamento di valori ritenuti fasulli e castranti la volontà di godere dell'uomo, la realizzazione di un "uomo nuovo". Abbiamo visto che tragicamente si è avverato l'opposto, con la bestia umana che si è sentita ancor più libera di scorazzare nei campi del dolore ( anche se, oggettivamente, è impossibile capire quanta quantità di sofferenza sappiamo spartirci... :( ). Forse , da umani, si cercano delle risposte umane a cose che sovrastano infinitamente l'umano sentire?...
Tu stesso, che ti definisci spesso come un relativista, penso che concorderai che è relativa la possibilità di comprensione, da parte dell'uomo, di cose che non può contenere o immaginare.
Se sono un pesce che vive in due metri cubi d'acqua , vedendo solo le solite alghe di cui mi cibo, e mi venisse da immaginare di avere un Dio, probabilmente lo immaginerei come un grosso pesce, che vive in tanta acqua e con tante alghe. Ma come potrei immaginare che, oltre l'acqua, ci sono i monti, le vallate, l'aria e lo spazio infinito?...
In fin dei conti la fede non è il credere che, oltre la pozza d'acqua, ci sia qualcos'altro? L'uomo vuole risposte sul perché si trova nella pozza e maledice l'essere che ha immaginato lo costringa a bere l'acqua putrida, il quale però, avendo la visione dell'insieme e non solo della pozza, gli risponde solo "fidati, so quel che faccio..."
Alcuni affermano che, quando hanno cominciato a fidarsi...l'acqua della pozza stranamente non gli sembrava affatto putrida...
Saranno degli illusi?... :-\ :-\ :-\