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Messaggi - Phil

#1096
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Contrapporre bisogni primari individuali all'etica sociale è una fallacia individualistica priva di fondamento.
Non mi sembra d'aver contrapposto i bisogni primari alle etiche sociali (pur distinguendoli), ho solo (di)mostrato che i primi non fondano le seconde (@viator: che non significa certo negare che i bisogni primari siano tali per ogni uomo e che per agire eticamente dobbiamo anzitutto mantenerci vivi).
Evitata la questione del fondamento dei valori (che danno un senso ai rispettivi giudizi etici), il discorso può pure dipanarsi fra storia, antropologia e individuale interpretazione etica di fatti più o meno recenti (perché l'etica, nella prassi, è sempre individuale: nonostante mille influenze e condizionamenti esterni, sono singolarmente io a compiere ogni scelta e ad esserne responsabile... senza voler innescare qui la consueta polveriera sul libero arbitrio).

Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi [...] al delirio che antepone i principi ai fatti non si può porre alcun argine razionale, ma allora non chiamiamola etica (variamente alternativa). Chiamiamola demenza.
«Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi»(cit.) siamo ancora in piena fallacia naturalistica, confondendo descrizioni oggettive e prescrizioni soggettive, leggi della natura e leggi sociali, bisogni e valori, etc.; l'etica può considerare i processi naturali, ma non può fondarvisi (almeno fino a prova contraria, vedi p.s.). Inoltre, il «delirio che antepone i principi ai fatti»(cit.) mi pare ben rappresentato da ogni etica storicamente esistita, poiché i principi condizionano da sempre i fatti umani (basti pensare alle leggi che ci governano), individuali e sociali (ma non condizionano i bisogni fisiologici, che in quanto naturali sono innati).


P.s.
Le due simulazioni, quella dell'assetato di viator e quella del treno (come l'allusione ai migranti), richiedevano come risposta semplicemente un'applicazione esemplificativa di un'etica che si dimostrasse fondata sui bisogni primari (non la sola formulazione di un giudizio etico che lasciasse impliciti i suoi fondamenti, seppur facilmente intuibili come differenti dai bisogni primari). Comunque, secondo me, anche il non voler esporre, a chi lo richiede, il "funzionamento" della propria etica, è a sua volta una scelta di "etica del discorso" (anche questa fondata sui bisogni primari? perdonate il vizio del domandare).
#1097
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 18:46:16 PM
Secondo me non è il caso di affannarsi. Saranno i bisogni primari a confezionare le nostre etiche ed a presentarcele silenziosamente
Intendere per «etica» le modalità comportamentali di soddisfare i propri bisogni primari, significa non riconoscerle lo statuto di ponte relazionale con l'altro uomo. Il momento in cui i suoi bisogni primari confliggono con i miei, o siamo chiamati ad organizzarci per coordinare la soddisfazione dei nostri bisogni in quanto comunità, è il momento in cui l'etica filosofica diventa un fattore importante (e, appunto, l'appello ai bisogni primari, in quanto esclusivamente biologici, non fonda direttamente nessun valore etico; vedi suddetta fallacia naturalistica e vedi esempio migranti).
Detto più semplicemente: aprire il frigo se ho fame, non è una scelta di tipo etico; invece, quando uno sconosciuto mi chiede di comprargli una bottiglia d'acqua perché ha sete ma non ha i soldi, cosa mi suggerisce l'etica fondata sui bisogni primari? Non entrano forse in gioco soprattutto valori etici con differente fondamento?


Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 20:13:51 PM
... responsabilità di fronte alla procreazione in un pianeta che non ha più terre vergini - o ritenute tali a danno degli sfortunati autoctoni - da conquistare al grido di mors tua vita mea Dio lo vuole. Oggi è: mors tua mors mea e nessun autoctono è più disposto a soccombere.
Eppure, correggimi se sbaglio, la cronaca e i numeri ci parlano di popolazioni in cui si continua a procreare irresponsabilmente (spoiler: non solo al di là del Mediterraneo). Comunque, la questione di cui si parlava (in ossequio al titolo) era quella del fondamento: se un'etica è fondata sui bisogni primari, il controllo delle nascite, che nella prassi (mi si perdoni il disincanto) si traduce solitamente non con l'utopica responsabilizzazione planetaria dei singoli, ma con coercizioni governative, è un non sequitur. Non perché non sia ragionevole fare calcoli su numero di abitanti, risorse disponibili, proiezioni statistiche, etc. ma perché la lettura etica di tutto ciò non è univoca e dirimente a partire dai bisogni primari, bensì (semmai) basandosi su altri valori etici (altamente interpretabili e opinabili) come quello della procreazione, della sostenibilità, etc. (anche se Niko ha giustamente ricordato che l'istinto materno e paterno sono comunque biologici).
Semplificando con un esperimento mentale: se fossimo su un treno in corsa, non sono sicuro sarebbero i bisogni primari a mettere assolutamente d'accordo chi vuole godersi il viaggio (procreando e in altro modo) sapendo che morirà di vecchiaia prima che il treno deragli per l'eccessivo peso a bordo, e chi invece non vuole sovraffollare il treno, preoccupato che le generazioni future si trovino coinvolte nel deragliamento e consiglia quindi di "calmierare" le nascite.
Ribadisco che ne faccio un discorso sui fondamenti dell'etica, non su quale scelta sia preferibile o più giusta, secondo la propria etica (già "fondata").
#1098
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Su quale altro solido fondamento che non siano i bisogni primari, con la loro irrevocabile assolutezza, è possibile fondare ragionevolmente l'ethos, anche nel caso li vogliamo derubricare a minimo sindacale ?
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo (entrambi, concorderai, fondamenti contenutisticamente tutt'altro che assoluti). Per questo molti si sentono a disagio di fronte alla debolezza dal nichilismo, dal relativismo, etc. manca quel fondamento solido, rassicurante e, soprattutto, normativo, che una volta rendeva chiara (seppur non sempre agevole) la direzione da prendere.
Viceversa, fondare un'etica sui bisogni primari è più difficile di quel che sembra:
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire.
pianificare la procreazione (sorvolando sulla sua presunta pertinenza con la questione dei migranti) è un "valore" che già va ben oltre i bisogni primari: la sua applicazione presuppone di fatto un'ingerenza normativa del potere centrale nelle abitudini sessuali della popolazione. Calcoli della quantità di prole in base all'Isee e/o in base al contratto di lavoro? Magari risulta un ragionevole e condivisibile "interventismo etico" per il bene di tutti, ma siamo tutti "democraticamente" concordi? Per rispondere, risolvendo eventuali dissensi, fare appello all'indubitabilità dei bisogni primari non mi pare affatto sufficiente (a ulteriore dimostrazione di come la presunta "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari" si incagli, nella prassi, con le differenti prospettive etiche di coloro che, nonostante tutto, condividono gli stessi bisogni primari).
#1099
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).
Nessuno scandalo, si tratta solo di rispettare la differenza, comunemente accettata, fra i vari rami della filosofia (con le rispettive categorie): per quanto riguarda il cosmo inanimato, restando nel recinto filosofico, non si parla di etica, ma di gnoseologia/epistemologia; nel caso delle divinità, si parla perlopiù di metafisica o teologia (il tutto, inevitabilmente, da un punto di vista umano).
Sull'opinione che
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.
temo si confonda la speculazione filosofica con la narrativa (e la fanta-scienza) o con la "cattiva" abitudine di parlare senza cognizione di causa, abitudine che la filosofia stessa osteggia da tempi immemori (fermo restando che speculare filosoficamente non significa banalmente esplicitare il proprio punto di vista su qualunque argomento).
#1100
Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario
Non intendo cancellare l'assoluto, anzi, proprio partendo dal suo saldo posto (e significato) nel dizionario filosofico, mi ritrovo per ironia del destino a difenderlo da un uso inflazionato e banalizzante che non si avvede dell'inattualità su cui verte: vero che la sua etimologia ultimamente gli complica la vita, ma non credo vada necessariamente mantenuto sulla scena filosofica (in altri ambiti non è osì) svalutato a mero rafforzativo, psicologico o linguistico che sia, soprattutto se generico, colloquiale e ridondante.

Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
Fuori dalla filosofia, ho già fatto esempi parlando di record e zeri, a cui aggiungo: perché «valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno»? «Vitale» non rende meglio l'idea, se parliamo di bisogni primari? L'espressione «valore assoluto»: può essere usata in matematica, in etica, in biologia (come nel tuo esempio), etc. e la sua ambiguità va poi risolta con ulteriori dettagli e contestualizzazioni. «Valore Necessità vitale» difficilmente potrà essere usata anche in matematica e in etica (metafore a parte), mentre la biologia ce ne spiega i motivi e lo fa, da scienza esatta, senza sbandierare assoluti.
La "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari", rischia di non fare i conti con le difficoltà poste dalla complessità dei rapporti sociali: non sono i bisogni primari ad essere il problema delle etiche, ma tutto il castello di strutture e sovrastrutture in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad orientarsi per soddisfarli. Secondo me, i bisogni primari non sono il fondamento dell'etica, ne sono semmai il traguardo minimo, dai tempi delle caverne (almeno stando all'etica più empatica e diffusa). A complicare il tutto, oggi sono etiche anche molte questioni che prescindono da pane, acqua e un'ora d'aria (che non sono comunque garantiti ovunque nel mondo).

D'altronde che l'etica non si risolva in automatico con "è bene dare cibo, acqua e aria al nostro prossimo", credo lo dimostrino numerose questioni portuali che ben conosciamo (senza voler entrare nel merito, ma tutto il dibattito filosofico, non politico, sul tema in questione credo sia un buon esempio della non "facilità" della questione).



Citazione di: Jacopus il 24 Agosto 2020, 00:03:55 AM
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
In fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).



Citazione di: niko il 24 Agosto 2020, 10:11:14 AM
Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico.
Al di qua degli spunti sul transumanesimo, osserverei che l'etica stessa è una sottofunzione del pensiero-linguaggio, prima di diventare prassi sociale; per questo può essere assolutizzata solo radicandola nei cieli degli dei, per chi ci crede, o va rinvenuta nella sua frammentazione plurale dei differenti contesti culturali, fino ad annidarsi nelle prospettive individuali (il riconoscere che abbiamo tutti gli stessi bisogni e un innato attaccamento alla vita, di per sé, non fonda né il bene né il male, se non si indulge nella fallacia naturalistica).
#1101
Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
l'etica non perde di senso poichè il comportamento (ethos) non è dimensione unicamente umana od animale, ma può venir attribuito anche agli enti fisici (comportamento delle leggi naturali). La morale certo che invece non ha senso, in quanto attribuibile SOLAMENTE – quest'ultima – alle intenzioni SOCIALI UMANE. Potremmo quindi supporre l'esistenza di una ETICA COSMICA posta al di fuori del bene e della morale umani ma umanamente interpretabile dagli umani come benefica, positiva, affermativa poichè afferma e difende la nostra stessa umana esistenza).
[...]Infatti il cosmo e l'esistente racchiudono solo il bene (non importa che noi si riesca a riconoscerlo caso per caso) mentre il MALE è concetto unicamente umano consistente nella condizione di carenza (mai completa assenza) di BENE.
L'etica filosofica perde di senso perché, come detto, viene a ibridarsi con la legge di conservazione e, come confermi, con le leggi naturali. Se l'etica coincide con "comportamento dei corpi (animati e inanimati)", quindi in parte fuori dalla dicotomia di giudizio umano bene/male, siamo anche fuori dalla filosofia, di cui l'etica solitamente è una diramazione.
Il comportamento di un corpo che cade verso il basso secondo una legge fisica è un comportamento etico? Se la risposta è «sì», allora la fisica che lo studia è una disciplina che si occupa di etica (e andiamo quindi ben oltre un sincretismo fra scienze della natura e scienze dello spirito, come direbbe qualcuno. Al di là delle opinioni personali, dare una definizione di fisica che comprenda il trattare tematiche etiche, credo stupirebbe più di un fisico; i filosofi meno, sono più avvezzi a boutade del genere).

Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
Il "nessuno sottragga o distrugga....." va inteso aggiungendovi "........avendone la facoltà. Così come si intende che ciò che viene "sottratto" o "distrutto" all'interno di meccanismi natural-biologici superiori alla nostra volontà.....non può certo generare nostra responsabilità !)
Aggiungendo la postilla «avendone la facoltà» diventa problematico attribuire una responsabilità chiara, al punto che si delinea un'etica (quasi?) senza male (che ricorda «il migliore dei mondi possibili» di Candido, a parte l'intrusione della fisica): se il male è "sottrarre o distruggere, avendone le facoltà, ciò che non si è in grado di restituire o generare", mi pare diventi piuttosto difficile compierlo ed esserne responsabili. Se, come osservi, non si può badare troppo all'individualità,
Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
la vita individuale dell'organismo che stiamo sfruttando, ma qui stiamo parlando di principi i quali non possono certo venir ricondotti e rispettati ingralmente, rigorosamente, da coloro che ne sono coinvolti.
allora, come detto, posso generare figli e nutrirmene come Kronos, per motivi di sopravvivenza (e poi riprodurli); posso uccidere per difendermi perché il mio istinto non mi dà la facoltà di ragionare a mente fredda; posso mentire (in fondo non tolgo né distruggo nulla); posso violentare e seviziare perché privo di adeguate facoltà mentali per elaborare il rispetto delle regole sociali; posso derubare (sottraggo al derubato ma poi do al negoziante) perché ho bisogno di mangiare e di pagare l'affitto, etc. il tutto sotto l'egida del «bene assoluto».
Un esempio di male verso il prossimo, che mi era venuto in mente, era bruciargli l'auto e poi non ricompragliela; poi però ho notato che quel principio non intima di «restiture e rigenerare», ma allude solo all'esserne in grado. Comunque, se tutto il resto dell'elenco precedente è «bene assoluto», un danno alla proprietà altrui non risarcito mi parrebbe, per l'equilibrio di una società umana (non certo per l'equilibrio cosmico), decisamente il male minore.
#1102
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
Che questo "assoluto individuale" meriti o meno di essere definito "assoluto", che si debba definire "assoluto debole", annacquato rispetto alle accezioni di assoluto delle metafisiche, delle morali tradizionali, penso sia una questione più terminologica che sostanziale.
Sicuramente è una questione in primis terminologica, ma sappiamo che il linguaggio non è mai un medium perfettamente neutro o irrilevante per i discorsi che origina. Ad esempio, se
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM"credere nell'assolutezza di un principio etico" è un'espressione insensata,
quale verbo potremmo usare per spiegare meglio il rapporto di "vincolo" fra l'uomo e i suoi principi etici, ovvero perché si attiene proprio a quelli e non ad altri? Se non lo fa perché ci crede, allora perché confida in essi o perché li preferisce?
Affermare che crede proprio a quelli perché (se) li (im)pone, per me non spiega adeguatamente perché continua a usarli rifiutandone altri possibili, ovvero il «perché (se) li (im)pone» diventa un'ulteriore domanda.

Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
stando all'etimo del termine, assoluto, come "sciolto dai legami", indipendente da ciò che è altro da sé, questa scala di valori etici, pur posta arbitrariamente da ciascun singolo, nel momento in cui diviene regola universalmente applicabile in ogni circostanza esistenziale, mostra comunque di trascendere la particolarità di tali circostanze, di esserne indipendente, "sciolta", e dunque non così assurdamente definibile come "assoluto". L'individuo la sceglie arbitrariamente, liberamente, ma la sceglie al fine di porla come regola da rispettare nel modo più universale possibile, al netto di ogni debolezza o incoerenza che di fatto (ma non di diritto) sempre accade
Se questa "assolutezza" delle norme morali individuali deve restare fedele all'etimo, presentandosi come «sciolta-da», la questione, oltre che terminologica, qui si fa anche sostanziale: non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti) ed è dipendente persino dalle sue stesse applicazioni nei singoli casi, poiché, non avendo un'epistemologia a tutelarlo, può essere modificato in ogni momento da parte del soggetto (in base ad esperienze, riflessioni, condizionamenti, etc.). Viene quasi da chiedersi rispetto a cosa, di pertinente, sia realmente ab-solutus (salvo intendere «assoluto» come sinonimo di «astratto», ma non mi sembra questo il caso).
Definirlo "assoluto" solo perché il soggetto si propone di utilizzarlo universalmente in tutti i casi, nonostante la sua stessa biografia sia la storia del mutamento di tale "assoluto" (rendendo la sua ottimistica universalità un'utopia, più o meno consapevole), (di)mostra tale assoluto, almeno secondo me, come un rafforzativo psicologico e linguistico più che un autentico concetto filosofico (come è ad esempio il suo omonimo con la maiuscola).
#1103
Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 15:00:59 PM
Caro davintro hai infilato una serie di assoluti relativi, passando dalla verità scientifica ai valori etici, che sono la negazione lampante di un Assoluto con la maiuscola davanti. Avevo pure io affermato che dobbiamo accontentarci di assoluti relativi ad ambiti dove possono giocare onorevolmente il loro ruolo assolutistico. Ad esempio: un record mondiale in atletica, lo zero assoluto, la velocità della luce,...
Sulla scia dell'ossimoro «assoluto relativo», mi permetto di parodiare un tuo post di altro topic, che per me si presta anche a trattare dell'attaccamento, quasi materno oltre che concettuale, dell'uomo verso l'assoluto
Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 14:43:21 PML'origine, trattandosi di un concetto e non di un fatto, è più psicologica che fisica: il bambino (credente) chiama la madre (Dio) che non risponde. Da lì nasce il concetto e la psicologia, con le sue fobie i suoi desideri e aneliti, dell' nulla assoluto. Il silenzio eterno degli spazi infiniti La scommessa che atterisce attrae e rincuora Pascal è la teatralizzazione filosofica del nulla dell'assoluto.
D'altronde, se rinunciamo alla fascinazione (pulsionale, appunto) di piazzare assoluti rafforzativi in alcuni contesti (in cui l'assoluto si dimostra non sciolto-da, ma anzi relativo-a, implodendo nella sua autocontraddizione), otteniamo agevolmente una maggior chiarezza semantica, parlando di record assoluto mondiale, zero assoluto kelvin, etc. senza ridondanti nostalgie "assolutistiche".
Sintetizzando il titolo del topic e il quadro a tema nautico di Géricault che hai richiamato all'inizio, direi che oltre ai "postulanti dell'Assoluto", ci sono oggi anche gli "ammutinati dell'Assoluto", che hanno trasformato il leggendario galeone in una nave da crociera low-cost che, abbandonate le rotte circolari della teoresi oceanica, fa scalo ad ogni porto che le fornisca un punto d'approdo (i vari assoluti valori relativi).
#1104
Citazione di: viator il 22 Agosto 2020, 12:01:50 PM
Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.
Più che il principio di sopravvivenza, esiste l'istinto di sopravvivenza, che è quello che, ad esempio, spinge, biologicamente e letteralmente, a comportamenti aggressivi per legittima difesa o anche solo quando ci si sente minacciati; comportamenti lesivi che la dialettica società-potere ha culturalmente imbrigliato, istituendo forze dell'ordine e/o consuetudini del quieto vivere. D'altronde, se il «bene assoluto» è, come proponi, non sottrarre o distruggere ciò che non si è in grado di restituire o generare, allora, a livello cosmico, l'etica perde di senso e tale "bene" non è un bene morale, ma è solo la legge di conservazione della massa (nulla che comporti giudizi di valore o altri "strumenti" etici o filosofici). Secondo tale principio, sembrerebbe quasi che il cosmo sia dunque impossibilitato a fare il male (almeno per ora), quindi quello del bene etico sarebbe un falso problema (oppure stiamo sbagliando il piano in cui porlo?).

Sul piano strettamente umano, invece, non c'è un'etica praticabile secondo tale «bene assoluto», poiché l'uomo ha nei suoi bisogni primari già geneticamente inscritto il "male assoluto": sin dal primo vagito, egli sottrae ossigeno per restituire anidride carbonica (due composti ben differenti anche agli occhi di "madre natura", oltre che degli altri viventi), poi si nutre distruggendo forme di vita che non potrà restituire (allevarle non significa rigenerarle, ma solo condizionarne la riproduzione: non è l'uomo a partorire un vitello dopo averne ucciso uno; idem per l'agricoltura); si scalda consumando legna e combustibili che non potrà ricreare (v. sopra), etc. si tratta quindi di un peccato originale senza redenzione, perpetrato da tutta l'umanità giorno dopo giorno (giustificazione bio-chimica del pessimismo cosmico?).
Certo, la natura nel suo insieme è bilanciata, come il suddetto cosmo, ma se l'etica come disciplina deve occuparsi anche delle azioni umane (fra uomo ed uomo) allora servono criteri di giudizio che vadano oltre un serafico appello all'entropia co(s)mica, che ci riduce ad una risata nell'universo, dandoci pochi consigli su come comportarci con il prossimo, nel mondo, etc. Ad esempio, richiamando ancora la tua definizione, quello che l'uomo può generare è altra vita umana, per cui stando a tale principio, il «bene assoluto» prevede che una coppia uomo/donna possa, magari per motivi di sopravvivenza, uccidere e mangiare un altro essere umano perché in fondo sono in grado di rigenerare un essere umano, restituendo una vita per pareggiare quella che hanno spento... etica del cannibalismo e legalizzazione dell'omicidio in nome del «bene assoluto»? Mala tempora... relativamente parlando, ovviamente.
#1105
Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Anche se non ci sono ragioni oggettive a dimostrare la necessità della mia scala di valori morali, in ogni caso questa scala verrà da me assunta come assoluto criterio regolativo in base a cui giudicare la misura di come un'azione appaia giusta o meno.
[corsivi miei]
Domanda alla Marzullo: un principio etico è assoluto perché io ci credo, oppure ci credo perché è assoluto? Se la risposta corretta sembra essere la seconda, si tratta di indagare i fondamenti di tale assolutezza (gli esiti saranno indimostrabilità, aporie e petitio principi); se propendiamo per la prima (come suggeriscono i corsivi che ho aggiunto), assecondando l'immagine del relativista (v. sotto) che deve pur ritenere assoluti preferibili i suoi principi etici, allora abbiamo già lasciato la metafisica del trascendentale alle spalle e siamo in pieno soggettivismo debole postmoderno (terreno piuttosto sterile per ogni innesto d'Assoluto), poiché è come affermare «x è vero perché lo credo tale (post-verità)» e non «so che x è vero perché è dimostrato» (senza entrare nel merito della differenza fra verità corrispondentista/verità coerentista, etc.).

Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Il relativista etico che teme che la nozione di Assoluto sia lesiva della convivenza in una società multiculturale, composta da individui di diverse convinzioni religiose/filosofiche/etiche, implicitamente pone la condanna della violenza e della sopraffazione come valore assoluto, quindi assume, pur non potendone dimostrare una razionalità oggettiva, non riguardando la teoretica, un ideale regolativo di "giustizia" definito in un certomodo, da qui la difesa del principio di tolleranza, fosse un relativista davvero coerente non potrebbe avere nulla in contrario rispetto violenza e sopraffazione (se non un indefinito e vago disgusto estetico, al massimo), perché non avrebbe criteri assoluti a partire da cui definire il suo modello ideale di società basata sulla convivenza pacifica
Rieccomi puntuale a fare l'avvocato del relativismo (dejà vù): forse non è banale ricordare che essere un "relativista etico", in quanto essere umano, non significa essere privo di etica; ancor più credo vada tenuto presente che, almeno per quanto ne so, non esiste una etica relativista canonizzata con i suoi principi, i suoi giudizi di valore, etc. (quali sarebbero?) fra i quali il non poter "avere nulla in contrario" rispetto a prospettive differenti dalla propria (anche se lo stereotipo del relativista cieco, che non vede differenze, è ormai un classico popolare).
Per essere coerentemente relativisti è necessario avere una prospettiva relativista, ma non bisogna credere necessariamente nella tolleranza (almeno se rispettiamo la differenza fra prospettiva a contenuto della prospettiva, oltre all'evidenza che non esista prospettiva senza contenuto), così come, ad esempio, per essere coerentemente religiosi non è necessario credere al cristianesimo e ai suoi dogmi, ma basta credere in una religione, a prescindere da ciò che ne affermano gli specifici dogmi.

Se un relativista crede nella tolleranza verso ogni essere senziente oppure non ha nulla in contrario alla violenza più indiscriminata, rimane comunque dentro un orizzonte etico relativo (non assolutizza la sua prospettiva personale), con i rispettivi giudizi di valore. Non è infatti il contenuto assiomatico di un'etica a renderla relativista (entrambe le suddette posizioni potrebbero esserlo), ma l'impostazione di fondo (non assolutista, appunto). Tale presunta "coerenza" che dovrebbe orientare il relativista all'indifferentismo, lascia trapelare che in fondo non si sta parlando di un relativista, ma di un soggetto che non si interessa di etica e, lavandosene le mani, non esprime giudizi in merito né, semmai sia possibile, intravvede il giusto e lo sbagliato nelle questioni etiche.
La differenza del relativista rispetto ad altre posizioni più ecumeniche e universali, è che egli vede che la sua etica è relativa (immanente, etc.) a lui come individuo e/o al gruppo con cui ne condivide i principi, per cui non la ritiene l'unica assolutamente giusta, ma la più giusta secondo lui, né la ritiene quella assolutamente "superiore" (e qui si apre la possibilità, non la necessità, di un orizzonte di tolleranza). Per assurdo, si potrebbe avere persino un "neonazista relativista", che si attiene al suo credo discriminatorio nella consapevolezza della contingenza dei sui fondamenti, compiendo di conseguenza nefandezze perché ne sente l'interiore inclinazione, ma al contempo ne sa la valenza relativa (meno radicalmente, la figura del soldato al fronte che capisce il relativismo dei due lati della barricata, dei due ideali per cui si combatte, è forse una figura più intuitiva e verosimile). Chi crede invece in un'etica assolut(ist)a, fondata ad esempio su una divinità, suppongo non dovrebbe farne altrettanto facilmente una questione di contingenze storico-culturali o opinione personale, perché così relativizzerebbe la legge etica del dio, bestemmiandolo.

Passando dunque alla classica domanda sull'autoreferenzialità: il relativista, filantropo o sterminatore che sia, considera assoluti i principi etici in cui crede? Se credere in (e magari attenersi a) tali principi significa reputarli assoluti, allora probabilmente la risposta è «sì». Tuttavia a questo punto bisogna chiedersi che significa «assoluto»: se ognuno si "fa" la sua etica e i suoi assoluti, pur con sincera convinzione e meditazione, il fatto che siano "assoluti" per lui, li rende assoluti "reali"? Qui ritorna la domanda marzulliana e la debolezza epistemologica di ogni fondamento etico (ma non solo) assoluto.
Questa proliferazione "pandemica" di assoluti assemblati a piacere e fondati su prospettive individuali (quindi non necessariamente solide e filosoficamente ponderate) è per me la miglior dimostrazione fattuale, non teoretica, dello svuotamento di senso della parola «assoluto» (che ha una sua tradizione, soprattutto nella sezione in cui siamo), che si rivela quindi legato e vincolato, non sciolto e indipendente (come vorrebbe l'etimologia), ad ogni prospettiva soggettiva, finendo per essere un "rafforzativo" (affermare «per me quello è un principio etico assoluto» non dovrebbe suonare un po' contraddittorio, almeno per i non relativisti?).
#1106
Tematiche Filosofiche / Re:Il nulla come concetto
20 Agosto 2020, 18:53:40 PM
@viator

Due commenti rapidi:

- su cosa siano le tautologie (e sulla loro estrema vicinanza e pertinenza ai fondamenti del pensare) mi permetto di rimandarti a wikipedia o, preferendo il cartaceo, ad un qualunque manuale di logica;

- l'Essere era stato da te definito come «l'entità per la quale le cause producono i loro effetti», ora viene proposto come ciò che "giustifica"(?) «ogni e qualsiasi cosa in sé ed ogni e qualsiasi funzione»(cit.); ci sarebbe da interrogarsi circa la verificabilità o attendibilità o indimostrabilità di tali definizioni («Dio»-«Essere»-«Assoluto»-etc.) e annesse attribuzioni di "ruolo" (giustificazione, etc.) o "dimensione" (eternità, incausalità, etc.); la storia del pensiero ne è ricca, così come è ricca di ragionamenti circolari che postulano un'entità e poi ne rintracciano "con evidente successo" l'esistenza e l'efficacia nel mondo reale (come secondo la pluricitata fallacia di affermazione del conseguente).


P.s.
(rispolverando i vecchi "files mentali" di geometria scolastica) Le circonferenze di raggio infinito credo siano piani infiniti (circolari) ben distinguibili dalle rette infinite; comunque, al di là delle geometrie esemplificative e di come disponiamo la catena causale (in linea retta, curva o in cerchio), (sup)porre un'entità fuori da quel piano, così come dal piano temporale, etc. è un gesto squisitamente teologico (che non è attributo di dileggio), quasi (insie)mistico, che per me dimostra che è l'Essere-Dio-Assoluto-etc. ad essere figlio del teismo, non viceversa (così come il vero è figlio della logica, il bene è figlio della morale, etc.), almeno stando ai fatti filologicamente verificabili (anche se il teismo, sicuramente in buona fede, non può che autogiustificarsi affermando il contrario, facendo appello ad un'intuizione epistemologicamente non compatibile con la conoscenza umana, ma piuttosto con il credere, come si diceva nel tuo altro topic; ciò è inevitabile, direi, altrimenti non sarebbe teo-logia bensì gnoseologia).
#1107
Tematiche Filosofiche / Re:Il nulla come concetto
19 Agosto 2020, 23:14:04 PM
Citazione di: viator il 19 Agosto 2020, 21:24:21 PM
(spiacente, ma all'interno della logica le tautologie andrebbero accuratamete evitate)
Se non sbaglio le tautologie sono il fondamento della logica, dal principio di identità «a = a», agli altri assiomi che fondano i vari sistemi logici (e cosa c'è di più filosofico dell'interrogare i fondamenti?).
Comunque, fuori dal piano strettamente logico-formale, chiedersi ad esempio «perché l'accendino accende» (parodiando il «perché l'essere è») mi pare avere un suo senso, come accennavo, in termini di consapevolezza/comprensione, anche se di fatto ciò non cambia, almeno a breve termine, né il funzionamento dell'accendino né il modo di usarlo.

Citazione di: viator il 19 Agosto 2020, 21:24:21 PM
Per uno come me, che considera l'Essere come [...] "la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti" chiedersi il perchè l'essere sia [...] cioè il chiedersi quale sia la causa dell'essere..............è proprio da suicidio logico-filosofico.
Probabilmente chi dà un senso a quella domanda (vedendo la nascita del filosofare dove tu vedi un "suicidio") può farlo perché dà una differente definizione di «essere», magari quella generica da dizionario filosofico oppure una personalizzata (come la tua) ma che non destituisce la domanda.

Se ho ben capito, per te, «Essere» è sinonimo di «Dio», quindi Dio è definibile come «la dimensione per la quale le cause producono i loro effetti»(cit.) (quel «per la quale» non significa forse che tale dimensione è la causa per cui le cause producono effetti? se così fosse non è fuori dalla catena causale, ma in cima), dimensione che tratteggi come «priva di cause» e «posta non all'interno, bensì all'esterno della catena cause-effetto» e «fuori da ogni temporalità»(cit.), un ritratto piuttosto affine alla "eterna causa incausata" di teologica memoria (per quanto parlare di Dio in termini di «dimensione» risulta piuttosto oscuro, soprattutto se tale "dimensione" sarebbe ciò che deve causare far in modo che le cause producano effetti).


P.s.
Per una certa ironia del discorso, finché parliamo di qualcosa, sia esso un accendino o una "dimensione" o il nulla, restiamo sempre "a valle" della domanda filosofica a "monte": (in versione semplificata) «perché c'è qualcosa?». Per fortuna possiamo congetturare e creare i nostri "vocabolari filosofici" senza essere costretti prima a risponderle.
#1108
Tematiche Filosofiche / Re:Il nulla come concetto
19 Agosto 2020, 19:51:18 PM
Secondo me la "domanda delle domande" è contraddittoria o ingenua solo se la fraintendiamo, rovesciando il rapporto fra linguaggio ed esistenza, parafrasando il noto motto parmenideo: ovviamente se lo definiamo «essere», è perché c'è; se lo definiamo «non-essere», è perché non c'è (almeno empiricamente parlando e, appunto, al netto della distinzione fra linguaggio e mondo, fra significato e referente, fra concetto e oggetto, etc.). Tuttavia quella domanda ci chiede di andare ancora "un perché" più indietro, fuori dalla tautologia del dire ontologico: la domanda non ci chiede se l'essere è, ma perché l'essere è. Risponderle facendo appello alla costellazione semantica della parola «essere», significa chiudersi in un circolo autoreferenziale perdendo tutta l'apertura (vertiginosa) che la domanda interroga.
Sarebbe come rispondere alla domanda «perché c'è lo spazio?» con «perché altrimenti noi, in quanto enti spaziali, non ci saremmo» o con «perché la sua esistenza è compresa nel concetto stesso di spazio», invertendo il rapporto causale e la priorità (crono)logica, poiché la domanda non chiede cosa l'esistenza dello spazio rende possibile (corpi estesi), ma che cosa c'è a monte dell'esistenza dello spazio e/o "semplicemente" la ragion d'essere dello spazio (beninteso: di ciò che noi chiamiamo «spazio», che meriterebbe di essere problematizzato a sua volta, ma restiamo nel "semplice").

Risalire la catena delle apparenti "ovvietà" mondane, guadagnando di volta in volta, di perché in perché, o maggior consapevolezza o ("masochistiche"?) domande sempre più fondamentali, per quanto ininfluenti sulla realtà del quotidiano (come sarebbe il conoscere tutta la storia passata di tutto il cosmo: domattina ci alzeremo comunque con i nostri bisogni primari, i nostri progetti, i nostri problemi, tutte le altre domande filosofiche più urgenti, etc.), tale risalire è uno fra i percorsi possibili della filosofia teoretica, non certo un percorso obbligatorio per tutti i pensatori, né che tutti trovano comprensibile o sensato. Nondimeno, considerando la mole di riflessioni in merito, se l'uomo della strada (come me) decide proprio di confrontarvisi, forse la domanda andrebbe ponderata, magari non come Amleto, ma almeno con un'esitazione che va oltre l'evidenza che non siamo il/nel nulla assoluto (anche se Nishida Kitaro della scuola di Kyoto avrebbe da obiettare al riguardo), restando consapevoli che, come ci ammonisce proprio Amleto, tale esitazione, tale sospensione dell'assenso (epochè) sulla "banalità" dell'essere, può rallentare il nostro incedere pragmatico nel mondo:
«e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione»
(Shakespeare, Amleto, atto III, scena I)
#1109
Citazione di: Eutidemo il 18 Agosto 2020, 07:05:29 AM
Non condivido assolutamente il modo con cui vengono forniti dai media gli aggiornamenti sul contagio; ed infatti, limitarsi a fornire i numeri dei nuovi contagi, ed i numeri dei nuovi tamponi, non fornisce agli ascoltatori la benchè minima informazione sull'effettivo andamento del contagio.
Per informare veramente su tale "trend", infatti, i media dovrebbero comunicare soprattutto la tendenza matematica percentuale risultante da tale rapporto
Ormai il computer e i suoi derivati "smart" hanno scalzato (e inglobato), per qualità e quantità, la tv non solo per l'intrattenimento, ma anche per l'informazione di massa; almeno potenzialmente: se la massa impara, nel suo ricambio generazionale, a cercare nella rete e non solo ad ascoltare, può agevolmente andare oltre le informazioni dei vari tele-giornali, parola che sintetizza i due mezzi d'informazione dalla crescente obsolescenza (e per tutelarsi dalle temute fake news, in fondo, almeno per le macro-notizie, basta il sito dell'Ansa). Ad esempio, tornando in tema, credo che qui potresti trovare qualcosa di interessante sulle statistiche del Covid.
#1110
Percorsi ed Esperienze / Re:La Grotta
10 Agosto 2020, 19:05:00 PM
Una convergenza (dai possibili meandri grotteschi) fra l'arte politicamente "corretta" (in stile bar) sovvenzionata dal BAFTA, lo scanzonato rivisitatore di bandiere, il ruolo dei media e dei social, l'incombere (e l'incombenza, per alcuni) del pensiero unico nel dibattito culturale, il "sessimo tolemaico" della ricercatrice-attivista, etc. può essere rintracciata anche nella questione della «cancel culture», balzata all'attenzione della cronaca ormai un mese fa, con questa lettera firmata da 150 scrittori, giornalisti, docenti e professionisti vari (qui una traduzione in italiano).