Citazione di: daniele75 il 29 Aprile 2020, 07:36:06 AMSuggerirei di riprendere tale dualismo (struttura che ben si addice al discorso logico), per scendere sotto il manto cultuale e "populista" addobbato di varie divinità, trascendenze, verità ultime, assoluti, etc. e partendo da Nagarjuna (anche nel senso di allontanarsene) e la sua distinzione fra «realtà convenzionale-relativa» e «realtà ultima» (nel senso che non se ne vede una ulteriore; questione più di "topologia" che di mistica), ragionare secondo un "realismo alogico" che considera il concetto di sunyata (vuoto come indeterminazione logica, non come nulla ontologico) "pervasivo" di quello di svabhava (essenza dell'ente, identità), senza tuttavia indulgere nelle velleità e promesse soteriologiche tipiche di una dottrina spiritual-religiosa.
L'uomo ha due 'io': l'Io Reale immortale detto [/size]Atman[/size] o [/size]Purusha[/size] e l'Io relativo, effimero, falso, [/size]ahamkara[/size].
Questa stessa concezione del concetto di sunyata, come disillusione dalla convenzionalità logico-culturale, è a sua volta "vuota" o "piena"? Essendo formulata secondo il linguaggio logico-convenzionale non può che esser "piena" di un senso, sebbene il suo referente, ciò a cui rimanda, è un vuoto di senso. Una prospettiva che quindi indica (non «è») la soglia del valico dell'illusione convenzionale; il che significa capire e farsi carico della funzione condizionante del prospettivismo nietzchiano, dell'"illusione dell'io", del pensiero logico-calcolante, del Samsara (che, per alcuni, è il Nirvana pensato e identificato "fuori" dalla sua vacuità), etc.
Similmente, riflettendo sulle dimensioni e la funzione di una tenaglia normale (convenzionale), si capisce (non «intuisce») che non ci si può prendere né il tronco di un albero né la punta di un capello. Non c'è nulla di mistico o spirituale, solo consapevolezza del ruolo (e dei limiti strutturali) dello strumento, del medium. Ciò non significa che lo strumento non possa ottenere dei risultati concreti: infatti la tenaglia ben stringe e svita bulloni (v. la famosa abilità tecno-scientifica di mandare sonde nello spazio), semplicemente c'è anche qualcosa che tale strumento non può cogliere, anche se questo non ne inficia comunque la funzionalità. Cos'è che sfugge alla tenaglia? Anzitutto, la possibilità di afferrare il suo stesso perno o il suo stesso manico, ovvero di (com)prendere se stessa. D'altronde, una tenaglia "vede" il mondo circostante classificato secondo la sua dicotomia prospettica di prendibile/non-prendibile; sebbene, al di là dell'aporia del non poter prendere sé stessa (aporia che è connaturata al suo stesso esser tenaglia e quindi ne fonda la funzionalità), c'è stata anche qualche tenaglia che ha osservato, fenomenologicamente, che è proprio la sua stessa interazione con il mondo circostante a farlo sembrare tutta una questione di prendibile/non-prendibile (vero/falso, giusto/sbagliato, etc.). Nel momento in cui si è consapevoli di come si funziona in quanto tenaglia, è spontaneo capire che la (com)prensibilità del mondo è una prospettiva convenzionale da tenaglie, una mappatura sovrastrutturale che le tenaglie impongono sul mondo (nel loro interagire empirico con esso); e in fondo non potrebbero fare altrimenti... almeno finché si adoperano "solo" a prendere/non-prendere (attività non certo scevra da difficoltà e rischi) o, come si direbbe più ad oriente, attaccarsi/non-attaccarsi.
P.s.
In rete ho pescato il Mulamadhyamakakarika (testo integrale seguito da un commentario) purtroppo solo in inglese, qui.