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Messaggi - Phil

#1126
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
29 Aprile 2020, 21:14:33 PM
Citazione di: daniele75 il 29 Aprile 2020, 07:36:06 AM
L'uomo ha due 'io': l'Io Reale immortale detto [/size]Atman[/size] o [/size]Purusha[/size] e l'Io relativo, effimero, falso, [/size]ahamkara[/size].
Suggerirei di riprendere tale dualismo (struttura che ben si addice al discorso logico), per scendere sotto il manto cultuale e "populista" addobbato di varie divinità, trascendenze, verità ultime, assoluti, etc. e partendo da Nagarjuna (anche nel senso di allontanarsene) e la sua distinzione fra «realtà convenzionale-relativa» e «realtà ultima» (nel senso che non se ne vede una ulteriore; questione più di "topologia" che di mistica), ragionare secondo un "realismo alogico" che considera il concetto di sunyata (vuoto come indeterminazione logica, non come nulla ontologico) "pervasivo" di quello di svabhava (essenza dell'ente, identità), senza tuttavia indulgere nelle velleità e promesse soteriologiche tipiche di una dottrina spiritual-religiosa.
Questa stessa concezione del concetto di sunyata, come disillusione dalla convenzionalità logico-culturale, è a sua volta "vuota" o "piena"? Essendo formulata secondo il linguaggio logico-convenzionale non può che esser "piena" di un senso, sebbene il suo referente, ciò a cui rimanda, è un vuoto di senso. Una prospettiva che quindi indica (non «è») la soglia del valico dell'illusione convenzionale; il che significa capire e farsi carico della funzione condizionante del prospettivismo nietzchiano, dell'"illusione dell'io", del pensiero logico-calcolante, del Samsara (che, per alcuni, è il Nirvana pensato e identificato "fuori" dalla sua vacuità), etc.

Similmente, riflettendo sulle dimensioni e la funzione di una tenaglia normale (convenzionale), si capisce (non «intuisce») che non ci si può prendere né il tronco di un albero né la punta di un capello. Non c'è nulla di mistico o spirituale, solo consapevolezza del ruolo (e dei limiti strutturali) dello strumento, del medium. Ciò non significa che lo strumento non possa ottenere dei risultati concreti: infatti la tenaglia ben stringe e svita bulloni (v. la famosa abilità tecno-scientifica di mandare sonde nello spazio), semplicemente c'è anche qualcosa che tale strumento non può cogliere, anche se questo non ne inficia comunque la funzionalità. Cos'è che sfugge alla tenaglia? Anzitutto, la possibilità di afferrare il suo stesso perno o il suo stesso manico, ovvero di (com)prendere se stessa. D'altronde, una tenaglia "vede" il mondo circostante classificato secondo la sua dicotomia prospettica di prendibile/non-prendibile; sebbene, al di là dell'aporia del non poter prendere sé stessa (aporia che è connaturata al suo stesso esser tenaglia e quindi ne fonda la funzionalità), c'è stata anche qualche tenaglia che ha osservato, fenomenologicamente, che è proprio la sua stessa interazione con il mondo circostante a farlo sembrare tutta una questione di prendibile/non-prendibile (vero/falso, giusto/sbagliato, etc.). Nel momento in cui si è consapevoli di come si funziona in quanto tenaglia, è spontaneo capire che la (com)prensibilità del mondo è una prospettiva convenzionale da tenaglie, una mappatura sovrastrutturale che le tenaglie impongono sul mondo (nel loro interagire empirico con esso); e in fondo non potrebbero fare altrimenti... almeno finché si adoperano "solo" a prendere/non-prendere (attività non certo scevra da difficoltà e rischi) o, come si direbbe più ad oriente, attaccarsi/non-attaccarsi.


P.s.
In rete ho pescato il Mulamadhyamakakarika (testo integrale seguito da un commentario) purtroppo solo in inglese, qui.
#1127
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
28 Aprile 2020, 17:23:47 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
Più che «per fede» (senza offesa per la sezione in cui siamo), essendo coinvolta comunque anche una certa autopercezione (con tutto il paradosso interpretativo che si porta dietro) direi per cultura e, più pragmaticamente, anche per linguaggio (che è sempre in rapporto dialettico con la cultura). Se si ragiona usando il linguaggio o le categorie del linguaggio (concordo con l'idea di fondo della tesi Sapir-Whorf, ma senza radicalizzarla), non può essere totalmente irrilevante se, ad esempio, l'arabo ha due forme per il «tu», una maschile, una femminile, per il «voi» e il «loro» ben tre (una maschile, una femminile, una generica, o meglio, di entrambi i generi), nel senso che, ad esempio, il dibattito sulle teorie gender tenderà a scontrersi con la tradizione (cultural-)linguistica araba anche linguisticamente più di quanto avvenga per i parlanti italiani (che discrimina solo «lui/lei», considerando «essi/esse» un po' desueto). Chiaramente, fra tante criticità del dibattito sulle teorie di gender, la questione strettamente linguistica non è certo la più condizionante o cruciale (non si modificano imprinting culturali retroattivamente semplicemente mettendo un asterisco al posto di un suffisso di genere). Parimenti, il fatto che Giapponesi e Vietnamiti abbiano una gestione "plurale" della prima persona singolare piuttosto differente dalla nostra (link), non può che rappresentare una interessante risorsa di senso già preinstallata nella lingua, che probabilmente paga dazio in una traducibilità che sacrifica, come quasi sempre, qualcosa del senso originario/originale in nome della comprensibilità.
Ripesco in merito una citazione da un video già richiamato da Ipazia:
Citazione di: Ipazia il 23 Aprile 2020, 11:21:42 AM
Carlo Sini ci convive bene con questa "illusione" e, un tantino sogghignante, ce la spiega con parole alate (...l'infinito spettacolo... la stratificazione... corpi, strumenti, discorsi...) qui dal minuto 43,30 al 45,30.
Al minuto 43:03 Sini afferma:
«La filosofia non è più sufficiente per guardare il discorso, perché anch'essa è un discorso. Che ha relazioni molto forti con il tempo in cui è nata, che ha relazioni molto forti con il tipo di scrittura che ne è scaturito o da cui è scaturita. Perché... Hegel l'aveva capito benissimo: se tu scrivi con gli ideogrammi, non puoi fare filosofia; e aveva ragione. Ma questo vuol dire che la filosofia non dice la verità dell'uomo... ne dice una certa, una figura transeunte, transitante... alla fine: chi parla qui?».
Non me ne vogliano né Sini né la buon'anima di Hegel, ma sospetto non solo che si possa far filosofia a prescindere dalla scrittura, quindi oralmente (senza nemmeno porsi il problema di poterla poi segnificare in ideogrammi o lettere o geroglifici), ma inoltre che, in caso di scrittura differente da quella alfabetica, non si tratti di non poter fare filosofia (senza indugiare sulla possibile rigidità escludente insita nel termine), ma semmai di poter fare una filosofia strutturalmente differente dalla "nostra", con tutti gli annessi problemi di traduzione linguistico-concettuale.
Sulla domanda finale di Sini (che qui si traveste quasi da koan) «chi parla qui?», credo di essermi già sbilanciato adeguatamente in questo topic: essendo posta in pieno domandare logico-filosofico, essendo un "io" a porre la domanda, la risposta "da manuale" non può che essere (l')«io»; almeno finché decidiamo di "stare al gioco" (ludere) del nostro linguaggio prospettico e della nostra cultura (anche per risparmiarci il rischio di essere "inquadrati" come "cerchi" «non sani di mente», salvando così l'apparenza, per il quieto vivere e il quieto discutere).


P.s.
@Lou
Grazie per aver riportato anche la seconda citazione di Nietzsche: conoscendolo poco, non mi aspettavo una sua schiettezza così coerentemente logica con la premessa posta dal prospettivismo; anche se, come sempre, suppongo che i suoi scritti frammentari non possano essere presi semplicemente alla lettera (quindi non mi arrischio a farlo).
#1128
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
27 Aprile 2020, 16:14:29 PM
Con una probabile (auto)suggestione interpretativa, ho trovato una tanto inattesa quanto tempestiva risonanza con una citazione di Nietzsche postata oggi in altro topic:
Citazione di: Lou il 27 Aprile 2020, 14:52:50 PM
105. [...] Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]

Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)

Ebbene, salpando da questa citazione per andare lontano dal suo autore (che logicamente pone per vera la «forza che pone prospettive»), se il fulcro di tale prospettivismo è l'uomo, nel momento in cui tale prospettivismo si rivolge all'autocomprensione, l'idea che l'uomo si fa di sé stesso sarà a sua volta prospettica, ovvero una «finzione soggettiva» del soggetto che si guarda allo specchio e si identifica come tale (soggetto, io, etc.).
Al netto del concedere o meno una certa sfumatura tangente fra «finzione» e «illusione», non si ottiene forse una metafinzione in cui il soggetto stesso, nel vedersi prospetticamente come tale (soggetto, io, etc.) è inevitabilmente a sua volta una sua «finzione soggettiva»?
Da dove origina tale prospettiva, nel momento in cui si autoidentifica? Non può originare dall'io, dal soggetto, etc. perché essi sono il risultato prospettico della «finzione soggettiva». Che origini allora da uno "sguardo" non ancora soggettivizzato, ovvero privo di (auto)concettualizzazione, ovvero spontaneamente prelogico e senza identità? Tale sguardo potrebbe suggerire, non dimostrare, che l'io è un'illusione o, per dirla con Nietzche, che la finzione soggettiva non risparmia il soggetto stesso quando questi si pone nel suo stesso sguardo, inevitabilmente prospettico.


P.s.
Con questo spunto "rubato" a Nietzsche non intendo certo farne un alfiere della mia... prospettiva (appunto); anche perché notoriamente il suo pensiero presenta altrove impostazioni ben differenti dall'"illusorietà dell'io": volontà di potenza, oltre-uomo, etc. ho solo preso la palla al balzo, ma non voglio "tirare per i baffi" in questo discorso un autore che probabilmente non vorrebbe affatto entrarci e che, se non erro, non si è occupato di questa tematica.

P.p.s
@davintro
Concordo con il monito cartesiano, avevo infatti specificato che
Citazione di: Phil il 26 Aprile 2020, 17:06:31 PM
Sostenere che «l'io è illusione» [...] non equivale a sostenere che «l'io non esiste» che non equivale a sostenere che «io non esisto».
Per scorgere l'"illusione dell'io", come ben si addice alla sezione inerente la spiritualità, bisogna fare un passo indietro rispetto alla razionalità logica, come ci invita a fare il suddetto zen (rieccolo).
#1129
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
27 Aprile 2020, 12:29:03 PM
Citazione di: daniele75 il 27 Aprile 2020, 08:04:05 AM
Scusa Phil, puoi darmi una definizione dell io nella cultura zen? A parole tue, so che è difficile, ma mi sarebbe d'aiuto
Ci sono testi (come l'Abhidhamma) che scandagliano in dettaglio la concezione dell'io (e dintorni) nel buddhismo classico; nello zen ci sono poi differenti scuole (Soto, Rinzai, etc.) che ne riprendono alcune parti e ne tralasciano altre; ogni maestro è a suo modo un ermeneuta. Sarebbe onestamente il colmo se mi mettessi a dare spiegazioni sullo zen (ho già commesso in precedenza la leggerezza, citandolo, di trattarlo troppo generalisticamente), andremmo ben oltre la comicità, vista la mia impreparazione... tuttavia cosa intendo personalmente per «illusione dell'io» credo di averlo accennato nei post precedenti: (auto)identificazione convenzionale, modello interpretativo che funziona socialmente, narrazione logica delle esperienze corporee e dei vissuti, etc.
Ribadisco che considero lo zen in modo personalizzato (eterodosso, anzi, "eretico"): sicuramente non sono buddista, ma non posso negare l'influsso che alcune letture hanno avuto sulla mia visione del mondo (per questo ogni tanto cito lo zen, seppur senza scendere in dettagli che eccedono la mia competenza in materia).


Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Qui ne parla. Ne illustra la grammatica.
Non mi convince troppo nemmeno come "grammatica di base": sono un po' più all'antica per quanto riguarda lo zen, ma al contempo non lo prendo alla lettera e ne tralascio molti aspetti. Lo vedo all'antica, nel senso che non concordo con la sua ricezione all'occidentale, "esegeticamente liberale" e psicologistica, perché lo intendo come derivazione stretta del buddismo, a cui rimanda ancora nei suoi concetti cardine. Passi pure che nel link si parli del koan come un «porsi un quesito che non ha una risposta» (e già qui c'è da storcere il naso), ma che dukkha sia la prospettiva secondo cui «si può giungere al Nirvana attraverso un percorso di dolore fisico e spirituale» mi pare davvero un'interpretazione che rischia di essere fraintesa malamente, ai limiti della manomissione dell'essenza della dottrina (ad esempio delle «quattro nobili verità»).

Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Penso che anche Freud, per vie occidentali, cercasse il sè nell'io, per cui si ritorna da capo al discorso della verità del soggetto: reale fondata o illusoria ?
Domanda che ha (forse) senso per Freud, ma il «sé» di cui parla (molto ambiguamente) quell'articolo, non è il sé psicoanalitico all'occidentale (più plausibilmente si allude alla natura buddhica). Ne deriva che la domanda sulla "verità del soggetto", nello zen, per come lo intendo, ha due esiti: una bastonata o un koan (anzi, avendo usato la parola «verità», forse servirebbe una doppia dose...). In entrambi i casi, non si concettualizza nulla, restando un passo fuori dall'illusione, dal razionalismo logico, dall'attaccamento, etc.
Risposta che suona deludente e disillusa? Allora, forse, è già una buona "risposta zen".
#1130
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
27 Aprile 2020, 00:20:13 AM
Confermo che per lo zen in generale (e per me nello specifico) non vi sia uno «spirito trascendente unificante»; sull'illusione dell'io nello zen, probabilmente ci rifacciamo a due "scuole" differenti; la "mia" (seppur personalizzata, da buon postmoderno), a suon di anatta e koan, suggerisce una certa illusorietà dell'io pensante (illusorietà di cui è appunto meglio tacere).
#1131
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
26 Aprile 2020, 22:32:18 PM
Non ho parlato esattamente di livelli di astrazione del reale, semmai di un reale privo di astrazioni, dopo essersi "disillusi" da tutte le astrazioni, da intendere come modelli interpretativi che di fatto funzionano ed hanno ripercussioni empiricamente riscontrabili.
Chiaramente (spero) non concordo con chi crede nell'Uno:
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Risolvere la dualità e la molteplicità in un Uno assoluto, significa assecondare l'horror vacui e mettere un tappo, a cui appoggiarsi, per riempire tale vuoto; vuoto che tu stesso, corroborato da tutta la scienza contemporanea, hai rilevato
e non sono sicuro di negare la «distinzione fra soggetto (io) da altri oggetti "reali"»(cit.) per come la intendi tu (se non ho frainteso): il superamento della dualità a cui mi riferivo con
Citazione di: Phil il 24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
Finché restiamo nella dualità serpente/corda, soggetto/mondo, etc. stiamo al gioco della realtà convenzionale; quando non vediamo più la dualità serpente/corda, allora non abbiamo più nemmeno un linguaggio per parlarne.
va letto alla luce del precedente
Citazione di: Phil il 24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
c'è più pericolo nello scambiare la corda per il serpente oppure il serpente per la corda?
quindi il "vedere" (concordo che avrei dovuto usare le virgolette per esser più chiaro) a cui mi riferisco, non è "cecità" assoluta come "indifferenza cognitiva" (se così l'hai intesa) rispetto a ciò che viene chiamato (nel linguaggio) questo/quello, vicino/lontano, caldo/freddo, corpo-mio/spigolo, etc. l'assenza di dualismo, «il vuoto di parole» su cui ho insistito (con annesso comico paradosso), non è indiscriminazione percettiva (semmai sia possibile), ma "solo" concettuale; per questo ho citato lo zen (non teorie mistico-cosmiche).

P.s.
Non scommetterei di essermi spiegato meglio, ma forse ho potuto darti qualche indizio almeno sulle differenze rispetto a Daniele75 e Tony Parsons (se così non fosse, lascia pure scorrere, non ti perdi niente di speciale, parola mia).
#1132
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
26 Aprile 2020, 17:06:31 PM
Citazione di: Ipazia il 26 Aprile 2020, 15:47:37 PM
Anche i più fondamentalisti sostenitori di un io illusorio basta pungerli perchè tutta la loro teoresi si sbricioli. E' la solita questione che già abbiamo dibattuto: lo spirito è radicato nella carne così come il soggetto identitario (io) che quello spirito cerca di sviare, senza mai riuscirvi.
Sostenere che «l'io è illusione» (con annessi cinque post di postille) non equivale a sostenere che «l'io non esiste» che non equivale a sostenere che «io non esisto».
La «puntura» e lo «spirito» non hanno quindi pertinenza con il (mio) discorso sul linguaggio, sulla concettualizzazione convenzionale e sul realismo "alogico" che prende spunto da Veda e zen.
Come previsto, se non sono in grado di spiegarlo parlandone, meglio tacerne (pur restando convinto che non sia una questione di intuizione, ma solo di riflessione e comprensione, al di là del concordare o meno).
#1133
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
26 Aprile 2020, 15:11:44 PM
@Ipazia

Pur ritenendo che l'"illusione dell'io" sia tematica per adulti (bisogna prima costruire la torre per poterne sondare le fondamenta) forse devo spiegarmi meglio sulla fallacia metodologica del leggere il comportamento del bimbo usando categorie da adulto: intendo ad esempio il confondere un vagito infantile con il discorso indiretto da adulto «ecco, ci sta dicendo che ha fame», che è come confondere l'imprecazione di un adulto, che urta contro uno spigolo, con «mi sta comunicando che si è fatto male». In entrambi casi chi emette il suono, secondo me, non vuole comunicare nulla a nessuno, non c'è intenzionalità, né tantomeno in quell'attimo un'io concettualizzato, ma solo una reazione vocale-istintiva (alla fame e al dolore): infatti l'adulto impreca (mi si perdoni la generalizzazione e l'esempio triviale) anche se sa che non c'è nessuno a sentirlo, idem il pargolo. Resta possibile che con il tempo entrambi apprenderanno che tali suoni producono conseguenze sociali, se c'è un ascoltatore, e innescando la propria ragione impareranno a sfruttare tali vocalizzi a proprio vantaggio, solitamente per ottenere attenzione. Nondimeno, nel caso del bambino, siamo al rovesciamento del cane di Pavlov: se faccio un suono, arriva il cibo e mi passa la spiacevole sensazione (per nulla concettuale) di fame; non credo per lui sia questione di "io", autoaffermazione, bisogni primari, e altri concetti da adulto.
Da profano del mondo dell'infanzia, direi che spesso è l'osservatore/ascoltatore che si ritiene impropriamente destinatario di una "comunicazione" che in realtà è solo l'emissione istintiva di un suono connesso ad una sensazione o condizione psico-fisica (come l'«ahia!» di dolore), non una comunicazione inviata a qualcuno, non avendo il bambino il filtro sociale del quando parlare e quando tacere, come dimostra il fatto che insegnarglielo non è compito facile. Dall'altro lato, c'è il fatto che coloro i quali, da adulti, non sanno filtrare alcuni pensieri in un tacito discorso interiore, ovvero parlano da soli a voce alta (cortocircuito sociale fra assenza di destinatario e intenzionalità), vengono spesso considerati pazzi (en passant: non concordo con il primo assioma di Watzlawick, dando nel mio piccolo un peso molto rilevante all'intenzionalità del comunicare, distinguendola semanticamente dall'attività "centripeta" ricettiva del destinatario).

Sull'appello alla corporeità dell'adulto, ho già citato yoga e simili, ma ci sono ovviamente anche declinazioni meno esoteriche. Sulla «centralità, per nulla illusionale, dell'io»(cit.): chiaramente non è illusorio, finché siamo qui a parlarne (e non basta certo fare il "gioco del silenzio" per vederlo svanire); proprio come non è illusorio che io sia Phil (o che il denaro abbia valore o che esistano le stagioni, etc.) e che tale mio essere Phil produca conseguenze, reazioni e post altrui, traffico dati web e altri vari empirici "effetti farfalla"; come potrei dubitarne? D'altronde, chi è che sta scrivendo adesso?
Affermare che non sia "io" a scrivere, sarebbe un paradosso piuttosto comico... come già accennato, in fondo non sarebbe meglio tacerne?
#1134
Citazione di: giopap il 25 Aprile 2020, 22:39:47 PM
"Nella scienza si cerca di dire ciò che nessuno ha mai detto prima. Nella poesia si cerca di dire ciò che ha già detto qualcun altro, ma meglio. E' questo, in sostanza, a spiegare perché la buona poesia é rara come la buona scienza".
Ci vedo la divergenza fra: la novità scientifica presentata da scoperte e invenzioni (il «dire ciò che nessuno ha mai detto prima», perché era ancora ignoto o non ancora inventato), in contrasto con quello che è già noto (le emozioni, i sentimenti, etc.) ma che essendo difficile da dire, può esser detto, poeticamente, ancora meglio.
In entrambi i casi l'insita difficoltà rende raro (seppur fattibile) raggiungere "buoni" traguardi, siano essi l'inventare/scoprire novità scientifiche oppure il dir meglio ciò che tende a sottrarsi al dire.

Non ho letto il testo, ma credo che in una tale dicotomia la filosofia sia lasciata volutamente in disparte, in quanto trasversale ad entrambe le situazioni, spaziando dall'epistemologia all'estetica (generalizzando molto: è una disciplina che cerca di dare nuove risposte a domande antiche e al contempo rilegge le risposte antiche alla luce di nuove domande; dice novità e riformula teorie già dette).
#1135
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
25 Aprile 2020, 20:47:56 PM
@Ipazia

Note al volo:
- non sono sicuro che l'io allo specchio venga concettualizzato dal bimbo proprio come l'io di cui parlano gli adulti (che credo vada un po' oltre la mera estensione ed azione corporale, v. psicologia, etc.); non a caso, è l'adulto ad affermare «il piccolo riconosce il suo io»(cit.), proiettando sull'esperienza del piccolo categorie da grande (mossa epistemologicamente scorretta)
- l'«io» espresso in decibel è una parola acquisita, dai genitori o dal contesto culturale, siamo nel linguaggio logico, la lalangue è già scivolata quasi tutta alle spalle
- il «dialogo lalinguistico» eterna l'umano-come-animale, non come sua declinazione in humanitas (nel senso ricordato altrove da Jacopus)
- il domandare «perché?» a raffica affonda le sue ragionevoli radici nella logica, nel nesso causale, etc. siamo quindi molto lontani dalla lalangue e, secondo una certa prospettiva, in piena illusione convenzional-antropologica
- la piccola infante, dimentica della sua condizione originaria proprio come è sempre più dimentica dell'istintiva lalangue, non può concepire ancora il paradosso, né tantomeno la sua comicità; tuttavia, forse, un giorno, da adulta, filosofando magari verso oriente...
- l'illusione di cui parlavo non si oppone affatto al realismo (anzi, lo presuppone e, visto che siamo in «tematiche spirituali», lo radicalizza sino al silenzio... magari come rivisitazione adulta, fra epoché e apofatismo, della lalangue).
#1136
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
25 Aprile 2020, 19:16:48 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:06:09 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".

Eggià, con la differenza (a suo favore) che l'infante, il neonato, il suo io lo esperisce eccome, non affogando nel "vuoto di parole" grazie al suo salvagente prelogico, pre linguistico. Obbedendo solo alla lalingua genetica e corporea del suo essere non-illusionale, e non-illusionistico nelle velleità che faranno da contorno culturale (Zivilisation) alla formazione (Bildung) del suo io.
Pur non essendo esperto del settore (da cui il suddetto «forse»), credo che nessuno possa negare che l'infante abbia autopercezione, tuttavia sarei comunque cauto sul fatto che esperisca il suo "io" intendendo egli per "io" proprio ciò che noi adulti intendiamo per "io".
Il suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).
Come accennato sopra, secondo me, non andrebbe confuso il nostro ritenere che il bambino si percepisca in modo non-illusionale (il che presuppone l'uso del concetto stesso di illusione, etc.) con l'effettiva sua autopercezione (del bimbo) che, temo, non possa spiegarcela adeguatamente usando solo la sua lalangue (che suppongo si presti più a comunicazioni di servizio su bisogni primari ed emozioni, piuttosto che a dissertazioni teoretiche sull'illusione dell'identificazione logico-culturale fra pensiero orientale e socio-antropologia; e nel momento in cui il pargolo acquisisce un linguaggio atto alla dissertazione, ecco che innesca, suo malgrado, la comicità del suddetto paradosso).
#1137
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Citazione di: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:32:58 AM
secondo il Vedanta, il mondo percepibile che ci appare così reale è sovraimposto al Brahman, la realtà ultima, e persiste fino a quando sorge la luce della consapevolezza della verità.
Parlando di «Brahman», «realtà ultima», «verità», etc. si continua ad identificare; dove c'è identità c'è al contempo dualità: x e non-x. L'espediente di sostenere che "x è il tutto", l'unica realtà, omnicomprensiva, omnipervasiva, etc. rende inintelligibile tale x, e da qui deriva il ricorso al jolly dell'intuizione extra-razionale (con conseguente problematica del come indurre tale "illuminata" intuizione negli altri: se non si può usare il discorso, non ha senso discutere ed invitare ad "usare l'intuito"; ecco perché ci sono yoga, tantra, zazen, etc.).

Risolvere la dualità e la molteplicità in un Uno assoluto, significa assecondare l'horror vacui e mettere un tappo, a cui appoggiarsi, per riempire tale vuoto; vuoto che tu stesso, corroborato da tutta la scienza contemporanea, hai rilevato:
Citazione di: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:27:51 AM
La corda che sembra un serpente, una volta che il serpente scompare prendi consapevolezza della corda, della sua stessa natura illusoria, suddivisi la corda in tante fibre e troverai altro, sino alla riconnessione con il vuoto.
Nella sua "dimensione" (pre)logico-concettuale, direi che tale vuoto non è "fatto" né di verità ultima, né di realtà, né di altre categorie discorsivo-narrativo-mitologiche, proprio perché ne è vuoto.
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".
#1138
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
Affermare che l'io (per come mi pare inteso nel topic) è un modello interpretativo, una categoria di un certo paradigma di senso, non richiede particolare "intuizione" (jolly retorico di molte metafisiche pigre) ed è una conclusione piuttosto razionale (v. psicologia, antropologia, etc.), oltre che, per ora, non falsificata (lo sarebbe se avessimo trovato un io che è qualcosa di più concreto e tangibile di un concetto socialmente condiviso; se l'io esiste su altri piani d'esistenza, l'onere della prova non spetterebbe comunque ai "disillusi che ci vedono un'illusione").

I modelli interpretativi sono illusioni? In un certo senso sì, come sono illusione il valore del denaro, la scansione dell'anno in stagioni, etc. ad un livello convenzionale socio-antropologico, esistono l'io, il valore del denaro, le stagioni, con i corrispondenti referenti materiali, ovvero il soggetto senziente (e parlante), banconote e monete, determinate tendenze metereologiche. Tuttavia all'esistenza di tali referenti empirici non corrisponde inversamente la necessità del "senso" che gli viene attribuito dai suddetti modelli interpretativi. Modelli che dettano le regole del "gioco di società" di riferimento e quindi ne fondano dissimulatamente l'illusione (da in-ludere, affine a "stare al gioco").
Per dirla in soldoni: il mio essere Phil, è un'illusione? Sotto molti aspetti lo è, tuttavia nel forum e per accedere al forum è necessario che io "sia" Phil, dando "vita" a tale "identità" che, guardata da fuori del forum, è palesemente un'illusione e per nulla necessaria.

Per dirla invece parodiando i Veda (che non sono Topolino, semmai sono un topolino che fa scappare l'elefante della parabola dei sei ciechi): c'è più pericolo nello scambiare la corda per il serpente oppure il serpente per la corda?
Nel mondo empirico esterno al soggetto non esiste il "contenuto" dell'illusione; eppure, per esser tale, l'illusione deve esser "contenuta" (quindi esistere concettualmente) nell'occhio/mente del soggetto che guarda il mondo.
Finché restiamo nella dualità serpente/corda, soggetto/mondo, etc. stiamo al gioco della realtà convenzionale; quando non vediamo più la dualità serpente/corda, allora non abbiamo più nemmeno un linguaggio per parlarne. Se proviamo ad aprir bocca, ridiamo immediatamente un'identità al serpente, alla corda, all'io parlante, etc. anche se il nostro parlare consiste proprio nel dire che "in realtà" non esistono, (se non) in quanto illusioni.
Per non stare al gioco delle culture convenzionali, bisognerebbe ritirarsi nella foresta e vivere come eremiti; è altresi possibile continuare a vivere in tali culture, ma con una silenziosa consapevolezza, fra delusione e disillusione (consapevolezza che, per me, non ha nulla di "spirituale", essendo appunto basata su constatazioni e osservazioni linguistico-socio-antropologiche).
#1139
Attualità / Re:Il valore della libertà
23 Aprile 2020, 18:06:59 PM
Citazione di: Ipazia il 23 Aprile 2020, 09:18:31 AM
Aggiungerei pure queste riflessioni di un filosofo doc: Giorgio Agamben.
Dall'articolo traggo una risposta di Agamben (che a sua volta cita Blangiardo):
«Cito le parole del dottor Blangiardo: "Nel marzo 2019 i decessi per malattie respiratorie sono state 15.189 e l'anno prima erano state 16.220. Incidentalmente si rileva che sono più del corrispondente numero di decessi per Covid (12.352) dichiarati nel marzo 2020". Ma se questo è vero e non abbiamo ragione di dubitarne, senza voler minimizzare l'importanza dell'epidemia bisogna però chiedersi se essa può giustificare misure di limitazione della libertà che non erano mai state prese nella storia del nostro Paese, nemmeno durante le due guerre mondiali. Nasce il legittimo dubbio che diffondendo il panico e isolando la gente nelle loro case, si sia voluto scaricare sulla popolazione le gravissime responsabilità dei governi che avevano prima smantellato il servizio sanitario nazionale».

Non so se, riguardo ai numeri citati, sarebbe il caso di computare anche le morti per malattie respiratorie non causate dal Covid: se ogni anno a marzo ci sono circa 15-16 mila morti per tali patologie, quest'anno i morti per Covid hanno "sostituito" tali morti preventivate (mi scuso per la freddezza nel trattare così la vita di migliaia di persone), oppure si sono integrati ad esse, o addirittura sommati? Se anziché i soliti 15-16 mila ci sono stati "solo" i 12 mila morti "grazie" al Covid, il "bilancio della sopravvivenza" è persino positivo; se invece, per esempio, per malattie respiratorie, fra decessi per Covid e non-Covid, si è arrivati a (numero casuale) 20 mila, nonostante l'attuazione di restrizioni per il contenimento del contagio, allora tali restrizioni non dovrebbero sembrare uno «scaricare sulla popolazione le gravissime responsabilità dei governi»(cit.).
Una risposta laconica pare fornirla lo stesso Blangiardo che, proprio in quelle dichiarazioni, citate da Agamben ha anche detto: «Quando affermiamo che nei primi 21 giorni di marzo al Nord i decessi sono più che raddoppiati rispetto alla media 2015-19 non è una impressione, ma un dato. Quando scriviamo che a Bergamo i decessi sono quasi quadruplicati passando da una media di 91 casi nel 2015-2019 a 398 nel 2020, riferiamo delle evidenze».
Di "sintomatico" c'è stata quindi la diffusione mediatica e social di un'affermazione di Blangiardo, quella riportata anche da Agamben, glissando sulla seconda che gli fa problematicamente da contraltare.

Se è vero che «il sonno della ragione genera mostri», è anche vero che la paura ne produce altrettanti; tanti più quanto tale paura attecchisce su un terreno per lei fertile, la cui storia lo ha già concimato con cadaveri di altri mostri e orrori.
Pensiamo all'11 settembre, o meglio, al subito dopo 11 settembre in USA: controlli sempre più invasivi e ubiqui, potenziamento dei settori di intelligence, militari e telecamere ovunque, etc. occasione ghiotta per instaurare uno stato militare o una dittatura con l'alibi della difesa della nazione? Qualcuno, ragionando sui fantasmi europei (che non sono quelli americani), avrebbe probabilmente temuto di sì. Quasi un ventennio dopo possiamo (momentaneamente?) concludere che quello non è stato il primo passo per l'avvento di un regime dittatoriale o della legge marziale (nonostante pare ci siano ancora dubbi e sospetti sulla "natura" dell'evento terroristico e per quanto siano presenti ripercussioni permanenti anche nelle prassi governative, almeno leggendo qui).
Nel caso del virus, non c'è un mandante "doloso", il numero di morti non è paragonabile, l'estensione del problema è ben differente e le limitazioni delle libertà sono state molto più condizionanti e invasive; a prima vista, nel paragonare i due eventi emergono più le differenze che le affinità. Nondimeno, credo possa essere interessante notare la differente reazione psicologica ai due eventi: nel caso del virus il nemico non è un uomo o un gruppo estremista, non lo si può attaccare con i missili, ma è prioritario sottrarglisi (in attesa del vaccino), per cui il fare un passo indietro nel campo delle libertà, anche se comporta due passi indietro nell'economia (tanto cara ai potenti quanto ai poveri diavoli), ha una sua plausibile ragion d'essere. Eppure da qualche parte serpeggia la paura che ci sia qualcosa sotto, che poi non riavremo più le nostre libertà, che le nostre case diventino il nostro carcere, etc. Di fronte al comprensibile shock della limitazione di movimento, per associazione mentale (ri)emergono concetti come «coprifuoco», «ronde di controllo»,  «dittatura», l'imperituro zombie del «fascismo», etc. fenomeni che alcune generazioni hanno visto solo nei film, pur sapendo che si tratta di storie vere, non fantascienza, che hanno fatto la storia del vecchio continente.
Alla luce, anzi, all'ombra di questi fantasmi, evocati dalle "Cassandra da youtube" e dalle fake news che rimbombano nelle rispettive echo chamber ma anche fuori da esse, è normale che i timori più atavici dell'animo di noi europei inizino a bisbigliarci all'orecchio storie, non tanto di distopie future, ma di "ritorni al passato" attualizzati nella forma e nei contenuti.
Secondo me, ogni narrazione, anche quella giornalistica o d'attualità, (com)porta sempre con sé un "doppio fondo" psicoanalitico di fobie, pulsioni, desideri e rimozioni; più il tema della narrazione è maestoso e più nel doppio fondo psicoanalitico c'è "energizzazione", come credo si dica in gergo; in questo contesto pandemico, casi di nevrosi e paranoia sono dunque, a tutti i livelli, inevitabili e, a loro volta, "virali".
#1140
Attualità / Re:Il valore della libertà
22 Aprile 2020, 15:51:25 PM
Citazione di: Andrea Molino il 22 Aprile 2020, 13:57:06 PM
Concludo con l'opinione di un personaggio che inizialmente mal sopportavo, ma che ultimamente ho dovuto rivalutare.
Non concordo sempre con le sue analisi, ma per ora, ne rispetto l'onesta intellettuale.
https://www.youtube.com/watch?v=HeF_JDOdtto
Dalla mia ignoranza politica e dalla mia ignavia apartitica, alcune osservazioni estemporanee sul discorso di Fusaro:

- la sua profezia (magari condivisibile per «solidarietà antitetico polare», come direbbe lui citando Lukacs) che dopo la "fase 2" saranno nuovamente strette le maglie delle libertà di movimento incolpando l'inaffidabilità degli italiani, sembra preconfezionare, volente o nolente, un alibi vittimista che assolve a priori le eventuali scorrettezze della popolazione (giustificazione demagogica dal sicuro successo di massa, politicamente trasversale), vessata da un governo che ha pianificato uno schiavismo che, se non sbaglio, coincide anche con un (semi)suicidio economico, considerando la situazione di partenza pre-virus, i vari sussidi da erogare e l'impossibilità di ridurre ogni attività a smart-working; da profano, l'implosione economica mi pare un'insolita dinamica di pianificata autoaffermazione per un regime (turbo)capitalista, tecnoliberista, etc.

- l'appello alla Costituzione per "libertà di movimento" e "libertà di proprietà privata", da opporre alle restrizioni vigenti, non tiene forse adeguatamente presente come abbia fatto il virus a viaggiare e diffondersi per l'Italia; ovvero quando la libertà di spostarsi diventa libertà di contagiare, seppur in buona fede, mi sembra legittimo (opinione mia) mettere in discussione (che non significa rinnegare) anche le libertà costituzionali (non divago sul rimarcare la disfunzionale aleatorietà del concetto di «libertà», che spesso aizza i cuori a slanciarsi lontano da ogni raziocinio)

- temere che ostacolare gli assembramenti tramite norme sul distanziamento, possa compromettere «discussioni critiche sull'operato del governo»(cit.), probabilmente non considera la differenza fra le risorse organizzative dei moti carbonari e la comunicazione sociale nel 2020 (da whatsapp e telegram al "dark web"). Sull'eventuale incremento della distanza di sicurezza da uno a due metri, vederci i prodromi di un allontanamento fisico sempre crescente, credo mischi indebitamente precauzione e aggiornamento della tutela sanitaria con allarmismo "panopticista" (a prescindere dal fatto che si tratti di una tutela eccessiva, testata o solamente sperimentale: fare del distanziamento solo una questione politica e non anche sanitaria mi pare un po' fazioso oltre che sganciato dall'emergenza reale... oppure crede davvero che sia "solo una semplice influenza"?)

- accostare l'autocertificazione a mezzi di controllo nazisti o stalinisti, pur restando nella battuta (che, come lui ben sa, a qualcuno potrebbe anche sfuggire, soprattutto a chi si sente riscattato ed assolto da ogni "appello allo schiavismo") offende, al di là della sua nota preparazione in ambito storico, soprattutto la differenza piuttosto rilevante tra il richiedere un certificato ad un'autorità (dispotica, corruttibile, etc.) e il poterselo scrivere da soli (con annessa assunzione di responsabilità). Per amor di battuta si rischia di fomentare la confusione fra chi era in un lager non metaforico e chi deve/dovrebbe stare in casa, ma ne ha comunque le chiavi (il numero delle segnalazioni e i fatti di cronaca sono eloquenti), magari con tanto di connessione internet, frigo pieno, consegne a domicilio, etc. non direi che siano due esperienze intercambiabili a cuor leggero (pur considerando i parametri di "valore esistenziale" dell'uomo contemporaneo, molto più sensibili, fragili e confusi di quelli di un secolo fa)

- apprezzo che non abbia indugiato sul «si sarebbe dovuto fare...» o sull'italico «c'è la pandemia... governo ladro!»; un po' meno che, nella piena convinzione della sua critica, non si sia lasciato sfuggire almeno uno spunto propositivo sul «si dovrebbe/potrebbe fare...», perché sarebbe stato di certo un plus-valore nel suo discorso critico (probabilmente lo avrà fatto in altri video... e se non lo ha fatto, va riconosciuto che in fondo non è suo il compito di fare proposte migliorative, già l'essere aedo che scuote le coscienze dei dormienti è attività impegnata ed impegnativa, a prescindere che si concordi o meno con le sue conclusioni).


P.s.
Per chi ragionasse dualisticamente e semplicisticamente, preciso che se ho mosso considerazioni critiche a Fusaro, non significa automaticamente che sia sostenitore del governo o convinto che stia andando tutto bene o che abbia le soluzioni vincenti in tasca, ma solo che non condivido il taglio da lui dato ad alcune questioni, proprio a tutela della complessità delle stesse (che rende difficile essere seriamente propositivi con adeguata cognizione di causa).