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Messaggi - Sariputra

#1156
Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 10:01:24 AMCaro Sari, innanzitutto cercherò di seguire il saggio consiglio circa il vino di molte osterie (é meglio, almeno per me, impiegare il mio tempo libero in interminabili risposte e obiezioni a Maral, approfittando poco sportivamente del fatto che lui ne ha certamente meno per replicare; ma anche in questo una certa moderazione sarebbe comunque preferibile, se non altro perché la pazienza degli amici del forum ha un limite e rischio di scoraggiare chiunque a prendere in considerazione i miei troppo lunghi sproloqui; anche se esagerare col vino -anche col vino buono e con quello ottimo purtroppo!- é molto più dannoso per la salute che esagerare con le elucubrazioni metafisiche o epistemologiche). Sul non attaccamento alla vita cosciente mi ritrovo in quella situazione contraddittoria cui altre volte ho accennato. Sono ottimista e (almeno per ora; non faccio scongiuri perché me lo impedisce il mio razionalismo...) fortunato e mi sento attaccato alla vita e alle sensazioni (per lo più gradevoli, interessanti, "positive" che mi da); anche se mi propongo di seguire gli antichi stoici ed epicurei nel cercare di trovarmi pronto a rinunciare a ciò che é irraggiungibile e ad accontentarmi di ciò che mi posso permettere (e anche questo in fondo é "ottimismo"). Però non posso non considerare la coscienza e soprattutto l' autocoscienza un pericolo (di infelicità) cui trovo inammissibile esporre altri senza il loro ovviamente impossibile consenso "mettendoli al mondo", procreandoli.

Si può essere relativamente ottimisti, per l'oggi ( e per noi stessi)...ma assolutamente pessimisti riguardo l'esistenza ( in generale e per tutti)... :)
In effetti, oggi è proprio una mervavigliosa giornata primaverile e mi accingo ad un'amena passeggiata nella natura, mi sento moderatamente bene e sono ottimista sul fatto che la giornata mi riserverà anche degli attimi di serenità e di godimento della bellezza, almeno lo spero e quindi sono ottimista. Sono però consapevole che questa stessa giornata passerà come un lampo e mi ritroverò, stasera, con dei ricordi e delle altre aspettative riguardo la giornata di domani. La stessa consapevolezza di questo inafferrabile passare di tutte le cose mi rende pessimista riguardo alla mia vita in senso generale e al valore dell'esistenza in senso 'ultimo'. E' chiaro che la natura non stabilisce dei valori e del tuo personale ottimismo o pessimismo non sa che farsene, ma l'uomo è un essere che giudica e stabilisce pertanto dei valori, giudizio che determina gran parte del suo necessario agire. E che giudizio , alla fine, si può dare dell'umano vivere, se persino la bellezza non la puoi trattenere che per brevi attimi?
Visto che questa discussione, aperta da bluemax, parla di concezioni filosofiche buddhiste, non si può negare che lo stesso dia , alla fine, un giudizio negativo dell'umano passare in questa vita. E non lo si può negare , come molti che si definiscono buddhisti fanno, se pensiamo che il fine ultimo a cui tende tutto il cammino spirituale e umano del buddhista è la "Cessazione" (Estinzione o Nirvana che dir si voglia), ossia "cessare" di vivere in questo continuo mutare e aggrapparsi della coscienza agli oggetti e alle impressioni sensoriali, che ci illudiamo ci rendano felici ( moderatamente ottimisti per l'oggi personale...) ma che non riescono mai ad appagare la sete d'esistere, vista come inestinguibile, l'arsura della vita stessa...
#1157
@Sgiombo scrive:
Soprattutto mi risulta inverosimile la possibilità di annullare (attraverso al meditazione) la realtà (fenomenica, percepita?) per il fatto di non essere qualcosa di in sé, di indipendente dalle sensazioni coscienti stesse

Non si tratta di annullare la realtà ma di annullare l'attaccamento alla tempesta di percezioni sensoriali e stati mentali conseguenti che incessantemente sorgono e svaniscono nella mente e di cui la coscienza si 'nutre'.
La coscienza stessa , secondo la visione buddhista, è un nutrimento della sete d'esistere . La condizione della coscienza ( di sensazioni coscienti e di rappresentazioni mentali) viene  visualizzata in una similitudine:
Un criminale è colpito da cento lance tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, e vive per sperimentare il dolore.
Ogni giorno, in ogni momento,, la consapevolezza della coscienza ci apre a questo impatto con il mondo degli oggetti, nei quali la coscienza stessa proietta il suo desiderio intervenendo nel processo di costruzione mentale degli stessi ( realtà 'condizionata'). Questa dura e impressionante immagine della coscienza che ci mandano gli scritti filosofici buddhisti ricorda un tema ricorrente nelle opere di Kafka, quello della coscienza come 'punizione'. Quello di un senso di colpa strano, ignoto...un senso di colpa segreto e inafferrabile, apparentemente non dovuto a nessuna ragione morale, che è nell'uomo e si può dire come intrinseco al fatto stesso di esistere e, a causa del quale, viene impenetrabilmente 'punito', mentre, nel fondo del suo essere, egli accetta come giusta tale punizione (lo troviamo , a mio parere, in diverse opere di Kafka come Il processo, Il castello e N.ella colonia penale).
Il desiderio della coscienza ha lo stesso carattere di quello per le impressioni sensibili: ossia il desiderio di vivere, di sentirsi vivi nel costante incontro con il 'mondo'; 'mondo' presente alla coscienza.
In questa particolare visione buddhista la coscienza , essendo nutrimento della sete d'esistere, cresce, prolifera nella mente , incessantemente alimentata dal proprio desiderio di sensazioni. Possiamo immaginarla come un polipo che se ne sta in agguato, ma un polipo non di otto ma bensì di mille e più tentacoli, pronti ad aggrapparsi e ad afferrare ogni sensazione, emozione, stato mentale ogni volta se ne presenti l'occasione...( ovviamente è solo un'immagine descrittiva...).
Coscienza pronta poi a procreare una nuona generazione di esseri, ognuno dotato di un proprio apparato di tentacoli...pronti ad afferrare.  :(
Non hanno un'immagine "nobile" della coscienza , i pensatori buddhisti, come di solito la intendiamo noi che riteniamo la coscienza una cosa 'alta' e le impressioni sensoriali e i desideri una 'bassa' o 'materiale' ( almeno inconsciamente penso che la maggior parte di noi 'bianchi' la intenda  così...)...
Il problema qui è anche di interpretazione e traduzione . Ossia: cosa intendevano "esattamente" con il termine vinnana ( tradotto oggi da noi occidentali come 'coscienza') i primi pensatori buddhisti e il Buddha stesso?...Bella domanda... che ci ricollega al discorso fatto da InVerno...

P.S. auguri per il tuo nuovo stato di pensionato . Attenzione alle osterie però...di solito il vino è pessimo!  ;D
#1158
@ InVerno scrive:

Il tema della comunicabilità (e della validità del rapporto maestro-discepolo) rimane per me un grandissimo punto interrogativo riguardo ogni filosofia, orientale o meno. Sono sempre stato affascinato dall'idea ebraica della parola "incomunicabile"...
Ci adagiamo sulle parole come se fossero strumenti perfetti, invece sono quanto di più labile e arbitrario la nostra mente abbia mai creato, a tal punto che non ho idea di che cosa tu abbia realmente letto in questo momento.

Concordo e aggiungo: non solo tu non hai idea di cosa io abbia realmente letto ma io stesso non so se ho realmente inteso cosa intendi veramente esprimere. E' un grosso problema l'uso del linguaggio, soprattutto nella comunicazione di esperienze 'spirituali' che in definitiva sono delle esperienze "assolutamente solitarie".
Sono talmente d'accordo che sono andato a ritrovare un passo dal sutra di Vimalakirti sull'argomento e sul rapporto maestro-discepolo:

Seicento anni dopo il nirvana del Buddha, ci fu un uomo che all'età di sessant'anni ( Hai capito Sgiombo? Non sei vecchio... ;D) uscì dal mondo. In pochissimo tempo recitò le Tre Ceste ( i tre canestri, o ceste, in cui si divide il canone Pali...nota del Sari ) e in seguito scrisse dei trattati su di esse. Quando ebbe concluso fece questa riflessione:"Nella legge del Buddha, che cosa c'è in più? C'è solo questo in più: la legge della meditazione. Io la praticherò e finchè non avrò ottenuto la Via il mio fianco non toccherà terra". Per questo motivo venne chiamato Monaco Fianco (Parsva). E allora ottene il frutto del santo. Acquisì un prodigioso talento nella parola e si distinse nelle discussioni.
C'era a quel tempo un monaco eretico chiamato Nitrito-di-Cavallo ( Asvaghosa), dotato di un'acuta intelligenza era in grado di spiegare chiaramente tutte le opere sacre e profane.Inoltre, anche lui, aveva un prodigioso talento nella parola che gli consentiva di confutare qualunque avversario in una discussione.
Sentì parlare di Monaco Fianco e lo interpellò:"Io posso confutare tutte le teorie in discussione. Se non riuscirò a confutare la teoria che voi sosterrete, mi dovrà essere mozzata la testa in segno di umiliazione".
Monaco fianco lo ascoltò discutere e si mantenne in silenzio senza dire nemmeno una parola.
Allora Nitrito-di-Cavallo lo considerò con disprezzo:" Quest'uomo, in realtà,ha una reputazione ben vana, egli non sa assolutamente nulla". E , accompagnato dai suoi discepoli, se ne andò.
Sulla strada, riflettè. Rivolgendosi ai suoi discepoli, disse loro:" Quell'uomo ha una saggezza molto profonda: sono io che ho subito l'umiliazione della sconfitta". I suoi discepoli gli dissero: "Cosa significa questo?" Egli rispose:" Ogni parola che ho pronunciato può essere confutata e io mi sono confutato da solo. Lui non ha detto nulla e non c'è stato nulla da confutare".
Allora ritornò da Monaco Fianco e gli disse." Sono io che ho subito l'umiliazione della sconfitta e non sono che uno stolto. Non so che farmene della testa di uno stolto come me. Mozzatela. Se voi non la mozzerete, dovrò farlo io stesso." Monaco fianco gli disse." Io non la mozzerò, ciò che bisogna fare è mozzare i vostri legami. Nei riguardi del mondo, la tonsura è come la morte. Non c'è differenza."
Nitrito-di-Cavallo abbassò la testa, ricevette la tonsura e divenne il discepolo di Monaco fianco.

Il rapporto maestro-discepolo (tipico dell'Oriente, ma che ha avuto le sue esperienze anche nel monachesimo cristiano, o nel sufismo, per es.) può essere un aiuto, ma non è necessariamente indispensabile ( lo stesso Monaco fianco del racconto raggiunge la saggezza senza essere discepolo di nessun maestro vivente...) e questo rapporto è così particolare che si è prestato e si presta a qualunque strumentalizzazione ed è un ottimo sistema per arricchire...i furbastri!  >:( ( penso sempre ad un certo Osho, quando entro in una libreria e, nella sezione 'spiritualità ed esoterismo", che non capisco perché mettano sempre insieme nell'angolo più introvabile del negozio, riempie con i suoi libri mezza sezione...e mi si materializza davanti l'immagine di una fila lunghissima di fiammeggianti Rolls Royce o Mercedes...mah!...).
#1159
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2017, 18:31:48 PM
Citazione di: bluemax il 27 Aprile 2017, 16:27:32 PMPenso che la realtà ultima sia quella che ogni neonato sperimenta... e man mano che cresce la inquina facendola diventare realtà convenzionale. Necessita di vedere gli oggetti come realtà intrinseche, uniche, distinte da altri oggetti, spesso raggruppate per la loro funzione.[...] La mente inquinata è duale, la mente di un neonato no. [...] Un neonato favorisce la funzione primaria della mente che è quella di APPRENDERE (infatti si dice che la mente ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere conoscitiva).
Il punto archimedeo, secondo me, è proprio tale "apprendimento": iniziare ad apprendere, per il neo-nato (o ri-nato ;D ) comporta inevitabilmente (ri)iniziare a discriminare (questo/quello), ad attaccarsi (piacevole/spiacevole), a desiderare (bene-buono/male-cattivo) e a illudersi (io/non-io), aprendo così le porte alla sofferenza, alla brama, all'ignoranza, al karma negativo etc. Più il neonato apprende (assorbendo la cultura in cui cresce) più muove i primi passi nella realtà convenzionale (forse eccezion fatta per i neonati che crescono in un monastero buddhista... ma ce ne sono? Non saprei :) ). La "realtà convenzionale" forse può servire da viatico, da indicazione per la "realtà ultima" (se c'è), proprio come risalendo lungo l'ombra possiamo ritrovare il corpo che la proietta; parimenti credo che il discorso convenzionale del buddhismo sia una sorta di punto di tangenza fra ombra e corpo, che invita a farsi superare per approdare (con la famosa zattera) ad un altro piano (passando dal bidimensionale ombroso dei dualismi convenzionali alla pienezza del vuoto tridimensionale...).

Sul fatto che un bambino( e ancor di più un neonato) abbia una sorta di approccio più "vero" alla percezione di quella che viene definita come "realtà ultima" troviamo una interessante analogia nel pensiero cristiano, quando si parla della beatitudine dei piccoli perché "di loro è il Regno dei Cieli..." e "Se non tornerete come questi piccoli, non entrerete nel regno dei Cieli..."
Questi passi sono stati portati spesso come riflessione per delle analogie tra mistica cristiana e buddhista ritenendole alla fine come, ambedue, siano anti-cultura...ma è un altro discorso da fare.
Se il 'mondo' è (anche) un processo di costruzione mentale si potrebbe dire che nel neonato ci sono le solide fondamenta, ma l'edificio concettuale non è ancora stato costruito e perciò la vista del 'paesaggio', non limitata dall'imponente grattacielo che verrà costruito con gli anni e l'educazione, sia più "sgombra" e che così possa vedere 'più lontano'...
#1160
@ Sgiombo

Non hai "sparato delle gran cazzate", non temere...anzi.
Non aggiungerei molto ai punti I e II del tuo scritto. Il punto I, in particolare, è perfettamente compatibile con la visione buddhista.
Voglio solo aggiungere qualche riflessione , riesumata qua e là nella memoria, su cosa intendeva il primitivo pensiero buddhista sulla percezione.
Solitamente la scienza e il pensiero occidentale cercano di stabilire una differenziazione tra realtà materiale e psicologica. Esiste cioè , secondo questa concezione, un mondo materiale assolutamente indipendente dai nostri sensi. Tarando i sensi, per mezzo di appositi strumenti, si può accertare l'esistenza "oggettiva" di questo mondo fisico. Scoprire poi la natura fondamentale di questi oggetti materiali è un'altra storia, di diverso genere e, mi sembra, non ancora risolta, ma , ora come ora, noi siamo certi che quello che chiamiamo "mondo materiale" non sia una semplice illusione. Almeno questo è il "senso comune" attuale del pensiero occidentale. "Lì fuori" esiste qualcosa di indipendente da noi...
Il disegno di un oggetto rappresenterebbe, invece, un genere diverso di realtà. Si tratta di un oggetto materiale ma non del tutto indipendente da noi. La foto di Villa Sariputra non è Villa Sariputra , ma non è nemmeno del tutto indipendente da essa. E' cioè una realtà in 'relazione'.
L'immagine, che si forma nella mente, di Villa Sariputra, non è la Villa, ma non è nemmeno indipendente da questa. L'immagine percettiva è sicuramente una rappresentazione profondamente incompleta, una specie di trasposizione degli stimoli visivi ricevuti. La mente però dà per scontata una corretta corrispondenza. Siccome poi questi stimoli sensoriali li percepiamo, più o meno, tutti nello stesso modo abbiamo una corrispondenza tra le nostre immagini percettive e quelle altrui e creiamo il "mondo"...
Per il pensiero nostrano l'immagine è un fatto "cosciente", mentre i processi nervosi sono un fatto 'materiale'. Sono come due dimensioni inconciliabili. Un'immagine prodotta dalla memoria, dal sogno o dalla fantasia sarà ritenuta ancora più 'cosciente', dato che in questi casi non c'è stimolo nervoso ma si ritiene vi siano 'tracce' conservate o prodotte all'interno del sistema nervoso ( infatti di solito queste immagini sono meno chiare e dettagliate di quelle ottenute attraverso la percezione, anche se non sempre...).
Secondo il pensiero buddhista antico questa dicotomia tra 'realtà materiale' e immagini mentali è esagerata o addirittura falsa.
Siccome tutti i fenomeni vivono in relazione dipendente, pensano i buddhisti, anche il processo di percezione e immaginazione è una 'relazione' tra tre elementi principali condizionati e condizionantisi a vicenda: la forma-l'occhio-la coscienza. Ma non è solo la forma che, attraverso l'occhio, condiziona la formazione dell'immagine del mondo nella coscienza; anche la coscienza interagisce con la forma, determinandola . Per questo si afferma che il 'mondo' è (anche) un prodotto della coscienza. Il 'mondo' viene cioè visto come un processo dinamico in alcun modo esistente di per sé, ma sempre e solo in relazione e la coscienza è componente essenziale di questa relazione. Il 'mondo' diventa quindi un prodotto dei nostri sensi, dei nostri pensieri e, soprattutto, dei nostri desideri o paure. Noi costruiamo il 'mondo'. Questo però non vuol dire che noi e il mondo siamo irreali o una specie di illusione. Gli oggetti ci sono, ma la percezione che di essi noi abbiamo è parte essenziale e costituente. Il mondo va preso dannatamente sul serio. Per il buddhismo, tutte le nostre costruzioni di idee ( vale a dire percezioni e immagini) sono veri e propri processi, ed è enormemente difficile controllarle o rendersene indipendenti ( particolarmente in una mente adulta direi...). L'ottenere l'indipendenza da questo continuo processo di creazione, viene definito come Cessazione, Nibbana (Nirvana che significa letteralmente "estinzione" di questo incessante processo di creazione, visto alla fine come Dolore...), ossia la "distruzione del mondo" ( costruito dal soggetto ovviamente...). Per il Buddha ci si può giungere attraverso la meditazione e la comprensione ( panna o prajna in sanscrito). Per il buddhismo il soggetto ha un ruolo importante nella formazione dell'immagine e che l'immagine fa parte dell'oggetto. Non c'è una vera e propria scissione tra 'soggettivo' e 'oggettivo' in quanto , quelli che si potrebbero definire come processi esclusivamente mentali, sono anche proiettati come oggetti reali.
Riflettendo, per esempio, su un fatto 'reale' come la morte fisica noi occidentali diremmo che "la coscienza non può farci nulla, se non sparire ". Nel Buddhismo invece la morte fisica è (anche) proiettata e costruita dalla coscienza stessa che interviene nel processo essendone in relazione  e quindi deteminando la successiva ri-nascita ( o re-inizio del processo incessante di costruzione...).
Ciao  :)

P.S. Per questo, per semplificare, si parla di "realtà convenzionale" od ordinaria e di "realtà ultima". La prima come comune costruzione di un mondo fatto di processi percettivi che si danno come scontati per la coscienza che è, a questo livello, totalmente inconsapevole che ne è lei stessa uno degli attori ( ma non l'unico...) e la seconda, come il momento in cui si prende consapevolezza che si è semplicemente all'interno di un processo ( vuoto in sè) che agisce in dipendenza delle parti che lo costituiscono. Questa "visione" del processo ( che si potrebbe pensare come essa stessa una semplice costruzione come le altre...) non è importante in sè, ma lo diviene per lo scopo per cui è cercata, ossia per ottenere un "distacco" dall'attaccamento a questo processo di costruzione e così diminuire la carica dolorosa che lo stesso porta con sè.
#1161
@bluemax
Capisco cosa intendi... però nel neonato può esserci percezione , ma non c'è ancora comprensione e neppure visione intuitiva  ( prajna). La sua mente è come un diamante puro , ma totalmente inconsapevole di esserlo. E' uno stato di in-nocenza ma pure di in-consapevolezza. Altrimenti, se non vi fosse questa comprensione, dovremmo dedurre che tutte le forme di vita che non sviluppano un pensiero fatto di designazioni convenzionali e soprattutto che non sviluppano un ego, sono nella buddhità...
Questa mente-di-neonato però porta in sè , ben radicata, l'innata tendenza a sviluppare questo ego, e questo processo di sviluppo serve per differenziarsi e poter meglio sopravvivere nell'ambiente in cui si trova gettata. Se non avesse in sé questa innata e potente sete di esistere (tanha) la coscienza non sarebbe di certo ri-nata, secondo la visione buddhista.
Hai ragione senz'altro quando dici che la mente del neonato e poi del bimbo percepisce in maniera più diretta che non quella, ormai compromessa dall'attaccamento ai concetti, dell'adulto. Percepisce soprattutto la Bellezza in modo più intenso e da questa percezione nasce la Meraviglia ( che poi è la stessa Bellezza e Meraviglia che, consapevolmente, percepisce la mente-di-buddha, ossia la mente sgombrata dagli ammassi e dalle macerie concettuali...). 
La comprensione è fondamentale , nel buddhismo, anche per stabilire un'etica ( cioè una necessità di prendersi cura del proprio e dell'altrui dolore...). Cosa che la pura percezione, come quella del neonato, non può certo realizzare. Se vediamo la 'realtà convenzionale' come un nemico e la 'realtà ultima' come una meta, operiamo sì un perverso dualismo che non ci porterà da nessuna parte.
Per prenderci cura del nostro e dell'altrui dolore dobbiamo prenderci cura proprio della 'realtà convenzionale', rimanendo consapevoli che non dobbiamo attaccarci ad essa per non far sorgere continuamente il senso dell'io-mio che, come giustamente osservi: "...difende queste SUE e solo SUE bellezze creando avversione o attrazione..."
#1162
Mi intrometto "in punta di piedi" in questo interessante topic che l'amico Garbino porta avanti con una meticolosità e attenzione così profonda che merita solo elogi...
Premetto che conosco poco e male il pensiero di Nietzsche. Conoscenza data dalla lettura veloce di alcuni suoi libri che, lo ammetto, non mi hanno entusiasmato, ma questo non è importante...
Prendo spunto da una frase estrapolata dal discorso di Garbino: 

 Ma, a mio avviso, la testimonianza più rilevante che Nietzsche metta la parola fine alla Metafisica Classica è in un aforisma che Heidegger reputa importantissimo e che risale al 1888 e perciò uno degli ultimi:
-Ricapitolazione:
-Imprimere al divenire il carattere dell' essere - è questa la suprema volontà di potenza
Sempre a mio avviso, qui non ci possono essere dubbi, a discapito dell' argomentazione successiva che fa Heidegger, reinserendo l' argomento Giustizia. E non possono esservi perché il divenire a cui viene impresso il carattere dell' essere può significare che soltanto ciò che diviene è.


Ora, nella mia ignoranza della filosofia occidentale, avevo sempre pensato che la metafisica di questa parte del mondo avesse messo, da sempre, l'essere al centro della sua riflessione. Perché allora si sostiene che Nietzsche abbia messo fine a questo fulcro di riflessione quando, mi sembra, sia proprio la teorizzata volontà di potenza che vuole imprimere sul divenire questo marchio ( dell'essere) ?
A prima vista sembrerebbe l'apoteosi dell'essere. Oppure ho frainteso lo scritto?
Caro Garbino, se hai tempo e voglia di rispondere alla domanda...giusto per "illuminare" ( non so se è il caso di usare questo termine visto gli "illuminati" che circolano per il forum... :) ) un angolo buio del mio conoscere.
Ciao
#1163
@ Inverno scrive:
Se questi due saggi se ne fosse affrancati, non avrebbero forse dovuto stare innanzitutto zitti?


Concordo con te sul fatto che stare zitti è saggio, a prescindere...Qui forse ci troviamo di fronte ad una sorta di diatriba filosofica interna al linguaggio descrizionale usato dai due maestri buddhisti. Voglio dire: è possibile che ambedue , partendo da una medesima pratica , con medesimi frutti, all'atto pratico di doverla trasmettre con uno strumento inadeguato come il linguaggio, diano peso e significato diverso alle parole. Tuttavia ambedue possono esser stati ottimi maestri di Dhamma...e sicuramente lo erano.
In generale la speculazione buddhista tende a non avere una posizione assoluta, ma è profondamente dialettica e questo, nella storia, è stato anche all'origine delle divisioni interne che hanno dato inizio ai vari "veicoli". Il buddhismo più recente tende a superare queste divisioni, che sono più speculative che pratiche ( inerenti alla pratica meditativa).

 ...sotto quale aspetto si può considerare come "ultima" (accezione progressiva) la realtà percepita dal nascituro?..

Infatti non può essere considerata "realtà ultima" perché nel nascituro non vi è alcuna comprensione dell'intero processo di costruzione mentale, che richiede la consapevolezza dell'intera catena di produzione condizionata ( la famosa paticcasammupadha...). In generale usare termini come "realtà convenzionale" o "realtà ultima" è fuorviante nella pratica buddhista, essendo il termine stesso "realtà" vuoto di esistenza intrinseca o indipendente. Lo si usa normalmente per semplificare e rendere accessibile, ma è anche pericoloso, perché la mente tende a impadronirsi del termine e costruire il concetto che esistano due realtà...
Non so se bluemax vuole chiarire in che senso intendeva usarlo...

 Non abbiamo motivo di chiamare un "albero" albero, e attriburgli una realtà convenzionata e codificata se non per indicare ad un amico che se continua a correre in quella direzione troverà un albero ove sbattere la faccia, l'uso della parola è una strumentalizzazione ancora più pesante e incisivo della "realtà ultima".

Infatti se ci vai a sbattere contro ti accorgi immediatamente dell'esistenza dell'albero. Quando si parla di vacuità dell'albero non si mette in dubbio la sua esistenza ben concreta ( e dolorosa nel caso di andarci contro... :)), in questo il buddhismo è realista. Si parla della vacuità di esistenza indipendente, ossia che non c'è alcun albero come entità distinta dalle cause, condizioni e componenti che lo determinano ( ossia che non c'è alcun "albero" se non come designazione convenzionale).
La designazione è assolutamente necessaria...anche un Buddha deve usare termini convenzionali per spiegarsi...importante per il buddhismo è non prendere come "sostanziale" la designazione mentale stessa ( questa pratica serve per non "aggrapparsi" alla designazione mentale...).

Ciao :)

Scusa il grassetto ma non riesco a toglierlo, ho pasticciato un pò...
#1164
Penso che dobbiamo aver chiaro che, per la filosofia buddhista, niente esiste in senso assoluto. Nemmeno l'elemento Nibbana è un assoluto, in quanto è proprio nella comprensione della vacuità ( o esistenza dipendente) di tutti i fenomeni che si realizza la Cessazione. Per questo Nagarjuna afferma: "I confini del Samsara sono i confini del Nibbana".. Nessun fenomeno manca della qualità di essere un evento che sorge dipendentemente. Tuttavia, istintivamente, tutte le cose ci appaiono come se esistessero indipendentemente le une dalle altre ( quella che si può definire come "esistenza convenzionale" dei fenomeni...). Se prendiamo, tanto per cambiare  :) , come esempio una montagna: eccola ergersi davanti a noi, maestosa e solenne, imponente, indipendente da qualsiasi condizione e concreta, ma se riflettiamo capiamo che deve la sua esistenza ad un'infinità di cause e condizioni e a innumerevoli particelle atomiche nemmeno visibili. E' solo l'unione di tutte queste 'parti', a loro volta dipendenti una dall'altra, a formare quella che noi designamo come 'montagna'. Ecco quindi che abbiamo la vacuità di esistenza indipendente ( o intrinseca) della designazione convenzionale 'montagna'. Non c'è un'entità 'montagna' che esista separata dalla cause, condizioni e componenti che sono la base della sua esistenza. Il buddhismo però non nega che queste cause, condizioni e componenti siano reali, ciò che non è reale è la designazione 'montagna'. O meglio...la montagna ha una esistenza convenzionale e stabilita da un giudizio di valore espresso dal soggetto che la percepisce istintivamente come "un qualcosa a sé"; così la montagna diventa 'alta' , 'antica', 'imponente', ecc.
Quando si afferma l'esistenza vuota dei fenomeni bisogna portarsi anche sul piano della vacuità stessa della mente che li percepisce. Infatti anche la mente, per il buddhismo, è vuota di esistenza indipendente. Ogni stato mentale sorge in dipendenza da numerosi momenti di coscienza e da svariati fattori mentali...
Dopo un'ora di meditazione, per es., la mente sembra possedere un'identità propria e indipendente, ma se la analizziamo vediamo che dipende da diversi singoli pensieri, sentimenti e percezioni, sperimentati in quell'ora , oltre che dall'oggetto di meditazione ( per es. il respiro). Persino la coscienza ( vinnana) , vista dal buddhismo come elemento che migra da una vita all'altra sino al raggiungimento della buddhità, non esiste in modo indipendente. Ossia anche la coscienza è soggetta al sorgere dipendente ( ed è abbastanza evidente se riflettiamo che non ci può essere coscienza senza oggetto della coscienza...). Quindi tutta la persona è dipendente, mente e corpo.
Ciò che viene negato dalla vacuità è pertanto qualsiasi cosa ci appaia come dotata di esistenza indipendente, intrinseca. La vacuità non è altro che l'assenza di ciò che si nega.
Ma perché non si può operare una dualità tra 'verità convenzionale' e 'verità ultima' ? Perché la vacuità è vacuita di esistenza intrinseca sia della fantomatica 'verità convenzionale' che della 'verità ultima'...
Anche il Nibbana, per il madhyamika, è vuoto. E perché è vuoto?  Perché, essendo cessazione, è vuoto di sofferenza data dalla vacuità dei dhamma concepiti come esistenti intrinsecamente ( la 'verità' del Nibbana non è altro che la terza Nobile verità, ossia la verità della cessazione del dolore...). Se esistesse qualcosa di più alto da realizzare che il Nibbana, ancora si dovrebbe definire vuoto di esistenza intrinseca. Questo serve per togliere dalla mente l'idea che il raggiungimento del Nibbana sia un eternalismo, un entrare in un 'paradiso' o cose simili e altresì togliere anche l'idea opposta che sia un semplice annichilimento. Il Nibbana è...cessazione del dolore, nient'altro...("Esaurita è la vita, non vi sarà più ri-essere").
Direi che Tsongkhapa è più in sintonia con le madhyamika-karika...
Il saggio chiama vacuità la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni. Ma egli aggiunge che anche questa vacuità è vuota dell'essere una vacuità esistente intrinsecamente. Questa vacuità della cosiddetta vacuità viene considerata la vacuità della vacuità. Buddha ha parlato di essa per neutralizzare la tendenza della mente ad apprendere la vacuità come intrinsecamente esistente.
( Guida alla Via di Mezzo- sesto capitolo del Madhyamakavatara di Chandrakirti-185-186)
Ciao  :)
#1165
Citazione di: myfriend il 26 Aprile 2017, 13:31:41 PM@sgiombo Dov'è o dove sarebbe il "nulla" nella Realtà? :D Dov'è o dove sarebbe "l'asino che vola" nella Realtà? :D

L'asino che vola è nel foglio disegnato, nella scultura, nel sogno, nell'immaginazione, ecc. Ovviamente sono realtà diverse da quella di un asino effettivamente vivo, ma sempre di realtà si tratta. O vorresti dire che un asino volante sognato, dipinto, scolpito, ecc. non-è? Come fa a non-essere se ne facciamo l'esperienza nel sogno, nella rappresentazione grafica o scultorea? Si tratta di rappresentazioni nella realtà di un asino immaginato come volante. A meno che non vogliamo ritenere arbitrariamente, come penso intendi tu, che "realtà" sono solo i fenomeni della natura che seguono determinate leggi ...ma non è un fenomeno pure una bella scultura di un asino volante ( anche se non un fenomeno "naturale") ?  :)
L'asino vivo è generato da un'asina, l'asino volante è generato dall'immaginazione della mente dell'uomo.  Ambedue sono generati da qualcosa...
Dove sono? L'asino vivo nella stalla, l'asino volante in una mostra d'arte.  Realtà è la stalla , ma Realtà è pure la mostra d'arte. Sono semplicemente due piani di realtà diversi, che non confliggono l'uno con l'altro. L'esistenza dell'asino vivo non impedisce ( ostruisce) l'esistenza dell'asino volante immaginario. Basta saperli distinguere...
E ogni "mondo" che l'uomo crea è anche un prodotto dell'immaginario mentale e non solo della necessità. 
Se tu che affermi sempre.: "LA VERITA' è la Realtà", escludi l'intera dimensione immaginativa dell'essere umano, escludi automaticamente un piano della realtà stessa; quello che non ha molto a che fare con i fenomeni di cui si occupano le scienze naturali...
Non ti sembra limitativo? A me parrebbe proprio di sì...
Ma, ad ognuno il suo, giusto?... :)
#1166
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
26 Aprile 2017, 12:07:04 PM
A volte mi chiedo dove tu viva...

A Villa Sariputra, sotto il Monte, di là della Contea. Ma non è necessario che passi a trovarmi... ;D Ho già le botti occupate e una  "piena di sé" come la tua non saprei proprio dove sistemarla...
#1167
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
26 Aprile 2017, 09:15:02 AM
@Maral scrive:
Il successo della medicina soprattutto in merito alla mortalità infantile, resta un successo misurato da noi con le nostre pratiche di conoscenza, dunque è ancora soggettivo. Che non vuol dire né arbitrario, né falso, è vero nel contesto interpretativo che definisce cosa si deve intendere per vita media e come la si calcola e la si misura. E' vero nella nostra mappa del mondo che non è il mondo, ma ne dà un'interpretazione.

Infatti la valutazione che la mortalità infantile è molto diminuita è un "successo" solo se consideramo un "valore" che la mortalità infantile diminuisca. E questo valore è stabilito da una soggettiva interpretazione etica e morale dell'essere umano, non è certo qualcosa che ha a che fare con la realtà, la quale appare del tutto indifferente che gli infanti  vivano più o meno a lungo o che i farmaci prolunghino di molto la durata della senescenza.
L'utilizzo del termine 'razionalità' va inserito e inquadrato nel contesto. Per un uomo del 2017 è sicuramente razionale affidarsi ad un urologo per curare una calcolosi renali e non ad uno sciamano. ma per un primitivo è razionale affidarsi ad uno sciamano ( che magari qualche volta riesce a curare la calcolosi usando appositi preparati di erbe medicinali) piuttosto che...appendersi a testa in giù sperando che i calcoli se ne escano dalla bocca!... ;D. Se poi il Sari si trovasse sperduto nella giungla amazzonica riterrebbe più razionale affidarsi ad uno sciamano per uscirne e ritrovare la "civiltà", mentre sarebbe del tutto irrazionale affidarsi ad un urologo per ritrovare la via... :) Se poi il povero Sari venisse pure morso da un serpente nell'intrico della giungla ( e succederebbe senz'altro vista la fortuna del soggetto...) sarebbe veramente nel dubbio se farsi curare dall'urologo presente o dallo sciamano che cura morsi di serpenti velenosi da sempre...mah! In quel frangente la razionalità sarebbe in difficoltà...( se l'urologo ha un ospedale vicino sembra convenire questi, se non ce l'ha ...conviene affidarsi allo sciamano  ;) ).
Sì...sono tutte ovvietà naturalmente, ma il "successo" della razionalità è sempre inquadrabile a riguardo del soggetto umano. Se il Sari viene guarito dal morso del serpente è un "successo" per lo stesso e la medicina umana , ma è nello stesso tempo un "insuccesso" per tutti quegli esseri che avrebbero potuto cibarsi e sopravvivere "più a lungo" divorando la carcassa del Sari nel folto della giungla...
Perché e "più giusto" che sopravviva il Sari e non invece tutte quelle creature?... :-\
"Mors-o tuo vita mea"?
#1168
@Maral scrive:
C'è sempre un oggetto, ma è sempre insieme a un soggetto, non c'è mai l'oggetto da solo, in sé, separato dal soggetto che può anche non esserci tanto l'oggetto, che egli ci sia o non ci sia, non cambia.

Secondo me invece ci può essere tranquillamente un oggetto anche in mancanza di un soggetto che lo percepisce. Quando un soggetto "incontra" un oggetto sorge un "mondo". La mente crea il "mondo" nel contatto con l'oggetto di cui si fa una rappresentazione . . E' chiaro che poi l'oggetto ("comunemente" inteso) diventa una semplice convenzione condivisa e in comune con la maggior parte dei soggetti appercipienti. L'oggetto designato convenzionalmente dall'uomo come "montagna" non è la stessa rappresentazione che, di quell'oggetto, se ne fa un'aquila e quella dell'aquila non è la stessa dello stambecco( la "montagna" esiste solo nella mente dell'uomo, in quella dello stambecco non ci sarà certo la "montagna" ...). Però ( di fronte) a tutti e tre i soggetti diversi (uomo-aquila-stambecco) c'è "qualcosa" di reale. A mio parere questo "qualcosa" che si pone di fronte esiste indipendentemente dall'esistenza dell'uomo, dell'aquila o dello stambecco.In questo senso sono un "realista", consapevole e cosciente che di questo "qualcosa" posso farmene la semplice rappresentazione che compete alle possibilità dell'essere "uomo" ( e trovo che la rappresentazione non manchi di Bellezza... :)).

Il discorso è tutto umano, perché gli asini non sanno cosa vuol dire un "asino che vola o no", solo l'essere umano può intendere il significato, può vedere in questo significato un fatto e nel fatto un significato che solo un matto (sempre e solo umano) può negare.

Sono d'accordo che il discorso è tutto umano ( infatti io e te siamo "umani" e non "asini"... ;D). Anche i significati sono umani ed è la negazione di un significato del tutto umano che fa di un umano un "matto", il quale non apparirebbe certo tale allo sguardo privo di significati umani di un asino, di un'aquila o di uno stambecco...

Se un essere umano, un bambino, sogna un asino che vola occorre che ci sia un altro essere umano che gli dica: "tu hai sognato" affinché sappia che il suo era solo un sogno

Ecco, su questo punto, sono incerto perché è vero che ci vuole un altro essere umano che dica al bimbo "tu hai sognato" ma non sono così sicuro che il bimbo non percepisca naturalmente una "qualità" di coscienza diversa tra uno stato di sogno e uno di veglia. Certo..ci vuole poi un altro che gli insegni la definizione comunemente intesa di "sogno" ( un misto di istinto ed educazione forse?...).

... il nostro mondo ripetibilmemte sicuro per tutti.

Che è soprattutto una necessità biologica per la sopravvivenza. Non è che ce lo costruiamo ripetibilmente sicuro per sfizio o perché odiamo l'insicurezza ( c'è anche questo ovviamente, ma non è la molla originaria...)
#1169
Citazione di: maral il 24 Aprile 2017, 22:59:19 PMDetta in altre parole ci sono esperienze soggettive non condivise ed esperienze soggettive condivise. Chiamare le seconde oggettive si può anche farlo, basta intendere che vi è sempre un soggetto comune a giocarsele e non il puro oggetto per come è. L'esperienza artistica è comunque a parte, apparentemente nasce come soggettiva nel primo senso, ma a monte di questa ci sta una esperienza di una soggettività originaria che trascende l'individuo ed è la vita stessa che si rappresenta a mezzo di quel soggetto individuale. Ogni esperienza artistica autentica è un'epifania.

'Oggettive' in quanto è presente un 'oggetto' ( in questo caso l'asino) di cui tutti possono fare comunemente e soggettivamente esperienza e questa esperienza è comune ( in quanto tutti possono constatare che l'asino non vola...). Se uno affermasse :"Per me quest'asino vola" lo si riterrebbe comunemente insano di mente, a meno che non dimostrasse ( mettendo l'asino sotto un poderoso deltaplano a motore per esempio)  che in realtà l'asino vola ( e allora lo si riterrebbe comunemente astuto di mente... ;D ).
Oggettivo anche inteso come non vi sia necessità di un soggetto che lo sperimenta perchè possa definirsi reale. Ossia l'asino non vola sia che un miliardo di soggetti lo osservino non volare, sia che non vi sia alcun soggetto che lo possa osservare. La 'natura' dell'asino è quella ( tra le altre) di non volare nella realtà comunemente intesa ( quindi non solo la realtà percepita dall'uomo ma in generale, visto che sicuramente anche l'aquila non si preoccupa di trovarsi sopra la testa un asino... :) ), ma spesso di poter volare nella realtà "interiore" dell'uomo, che però lo potrà veder volare come soggettivamente preferisce.
L'asino dipinto o ritratto...è vero che sembrerebbe un ponte tra due piani diversi di realtà ma si tratta di una rappresentazione che esegue l'autore che , a differenza del sogno o del fantasticare, si fa segno concreto e visibile e che interroga la rappresentazione personale di chi la osserva. L'opera d'arte però richiama un'assenza ( dell'asino 'vivo'...) che viene colmata solo dalla presenza del ricordo dell'asino...
Ovviamente la presenza di un bell'asino con le ali scolpito in marmo, per esempio, è una cosa concreta e 'oggettiva' ma non si può certo definire 'un asino', semmai sempre solo come una rappresentazione personale in marmo di un asino immaginato come volante. ( E non intendo dire che si tratti di una realtà di grado inferiore o superiore, bensì di un piano diverso del reale).
E' un discorso complesso che richiederebbe discussione apposita...tenendo presente che l'opera d'arte nasce anche dal sogno e dal fantasticare ...
Non so se sono riuscito a spiegare bene cosa intendo...l'ora è tarda e il sonno incombe... :-\


P.S. Intendo il termine 'oggettivo' come la definizione classica del Treccani: Oggettivo come contrapposizione di soggettivo. Che si fonda sull'oggetto, ossia su fatti o cose concrete, sull'esperienza diretta. Che vale per tutti i soggetti e non soltanto per uno o per alcuni individui,ed è quindi universale e non condizionato dalla variabilità o particolarità dei punti di vista.
Che poi la filosofia non sia molto d'accordo è un'altra storia...purtroppo bisogna pur utilizzare qualche forma di linguaggio...

P.S:II  I piani del reale ( "oggettivo", onirico, artistico, ecc.) si compenetrano a vicenda senza ostruzione. Il fatto oggettivo che gli asini non volano non ostruisce la possibilità di scolpire un asino con le ali.
Ogni "mondo" entra nell'altro senza ostruzione e senza invalidarlo. E' funzione del pensiero definire la distinzione.
#1170
Citazione di: sgiombo il 24 Aprile 2017, 22:20:32 PM
Citazione di: myfriend il 24 Aprile 2017, 17:22:59 PMAffinchè un concetto abbia un senso esso deve avere una definizione formale e deve avere una sua rappresentazione nella Realtà. Se io enuncio il concetto "asino che vola", posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi quel concetto non ha senso. La stessa cosa vale per il "nulla". Posso darne una definizione formale, ma non posso darne una rappresentazione nella Realtà. Quindi, il concetto di "nulla" non ha alcun senso. E' un po' come l' "asino che vola". Quindi, impostare una filosofia sul concetto di "nulla" è un po' come impostare una filosofia sull' "asino che vola". Lascio a voi trarne le debite conclusioni. ;)
CitazioneSensatezza =/= realtà. Un asino che vola é sensatissimo, solo che di solito non é reale (ma credo che per esempio tasportandoli su aerei o elicotteri anche gli asini, come gli uomini, possano benissimo volare e dunque affermarlo é (di solito) falso. Ma insensato é casomai un asino-elefante o un cerchio-quadrato, cioé (pseudo-) concetti autocontraddittori; mentre non necessariamente sono insensati concetti privi di denotazione reale, cioé predicare i quali essere reali (accadere realmente) sia falso. Un asino che vola, come una zebra a pois o una chimera metà leonessa e metà donna non denotano alcunché di reale, ma sono comunque sensati, ovvero hanno una connotazione non autocontraddittoria (non assurda) e quindi ben sensatamente intelligibile. E così il nulla (assoluto: nulla di reale), che realmente non si dà (non accade) ma è pensabilissimo sensatissimamente. Insensato, cioé assurdo, autocontraddittorio sarebbe casomai il "nulla implicante qualcosa" o magari il "nulla assoluto" con qualcuno (reale!) che lo sa (che sa che nulla in assoluto esiste realmente).

Un asino che vola è assolutamente sensato, per esempio, dipinto in un bel quadro.  Si può tranquillamente provare in sogno di volare in groppa ad un asino volante e si può immaginare un asino volante nei minimi dettagli. Si tratta di definire quale piano di realtà s'intende. C'è la realtà 'concreta', diciamo così, dove gli asini, non avendo ali non possono volare e c'è la realtà fantastica, quella onirica, quella artistica, ecc. La prima si definisce 'oggettiva' perché ( normalmente) la maggior parte degli agenti conoscenti comunemente definiti 'sani di mente' constatano che un asino non vola e c'è quella dell'esperienza soggettiva fantastica, onirica, artistica, in cui l'esperienza che si vive è relativa al solo soggetto, il quale ,se "comunemente sano di mente", sa distinguere e tenere separati i diversi piani della realtà..finchè non inizia la demenza  :( e allora non si distingue più nulla e i piani si intersecano tra loro...