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Messaggi - sgiombo

#1156
Citazione di: Jacopus il 17 Dicembre 2018, 11:46:34 AM
Ipazia@. Non sono del tutto d'accordo con il tuo ultimo intervento. L'homo sapiens non fa più parte del mondo animale da quando ha lasciato dei dipinti sulle pareti delle grotte di Lascaux. Lo sviluppo culturale dell'uomo è stato così intenso in qualità e quantità da non poter più essere considerato facente parte della natura. Tuttavia rispondiamo ancora parzialmente alle leggi di natura. Abbiamo quindi una doppia identità.
Citazione
Dissento profondamente.

La cultura non nega affatto le natura, e nemmeno ne prescinde (non può farlo) in alcun senso, in alcun modo.
Ne é piuttosto un sviluppo peculiare ma non contraddittorio, né trascendente rispetto al resto di essa (della natura).
L' homo sapiens fa parte al 100% del mondo animale (e se continuerà a illudersi di poterlo ignorare farà presto una naturalissima gran brutta fine).

"(...) l'animale si limita a
usufruire della natura esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l'uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: la domina. Questa è l'ultima, essenziale differenza tra l'uomo e gli altri animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza.
Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, imprevisti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi dell'umidità. Gli italiani della regione alpina, nel consumare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all'industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno quell'acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle piogge. Coloro che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al tubero farinoso. Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato.
E, in effetti, comprendiamo ogni giorno più esattamente le sue leggi e conosciamo ogni giorno di più quali sono gli effetti immediati e quelli remoti del nostro intervento nel corso abituale della natura. In particolare, dopo i poderosi progressi compiuti dalla scienza in questo secolo, siamo sempre più in condizione di conoscere, e quindi di imparare a dominare anche gli effetti naturali più remoti, perlomeno per quello che riguarda le nostre abituali attività produttive. Ma quanto più ciò accade, tanto più gli uomini non solo sentiranno, ma anche sapranno, di formare un'unità con la natura, e tanto più insostenibile si farà il concetto, assurdo e innaturale, di una contrapposizione tra spirito e materia, tra uomo e natura, tra anima e corpo, che è penetrato in Europa dopo il crollo del mondo dell'antichità classica e che ha raggiunto il suo massimo sviluppo nel cristianesimo.
Ma se è stato necessario il lavoro di millenni sol perché noi imparassimo a calcolare, in una certa misura, gli effetti naturali più remoti della nostra attività rivolta alla produzione, la cosa si presentava come ancor più difficile per quanto riguarda i più remoti effetti sociali di tale attività. Abbiamo citato il caso delle patate e della scrofola, diffusasi col loro diffondersi. Ma cos'è la scrofola di fronte agli effetti che provocò sulle condizioni di vita delle masse popolari di interi paesi il fatto che i lavoratori fossero ridotti a cibarsi di sole patate? di fronte alla carestia che colpì l'lrlanda nel 1847 in conseguenza della malattia che distrusse le patate, e fece finire sotto terra un milione di irlandesi che si nutrivano di patate e quasi esclusivamente di patate, altri due milioni al di là del mare? Quando gli arabi impararono a distillare l'alcool non si sognavano neppure di aver creato la principale tra le armi destinate a cancellare dalla faccia della terra gli aborigeni della ancor non scoperta America. E quando Colombo scoprì questa America non sapeva che, così facendo, risvegliava a nuova vita la schiavitù già da lungo tempo superata in Europa e gettava le basi per il commercio dei negri. Gli uomini, che con il loro lavoro produssero la macchina a vapore, tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, non avevano affatto il presentimento di costruire lo strumento che più d'ogni altro era destinato a rivoluzionare la situazione sociale di tutto il mondo, a procurare in particolare alla borghesia, in un primo tempo, il predominio sociale e politico, attraverso la concentrazione della ricchezza nelle mani della minoranza e la totale espropriazione della stragrande maggioranza, per generare poi tra borghesia e proletariato una lotta di classe, che può aver fine solo con l'abbattimento della borghesia e l'abolizione di tutti i contrasti di classe. Ma anche in questo campo noi riusciamo solo gradualmente ad acquistare una chiara visione degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva, attraverso una lunga e spesso dura esperienza, e attraverso la raccolta e il vaglio del materiale storico; e così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti.
Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso".

(Friederich Engels, Sulla parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, giugno 1876)




#1157
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Dicembre 2018, 12:49:35 PM
Citazione di: simo il 17 Dicembre 2018, 09:11:35 AM
Lo scopo esiste e ignorarlo significa andare contro noi stessi.
Tu stesso dici che saresti più felice se non  ci fosse uno scopo.
Quella felicità è lo scopo, il problema non è quale esso sia ma raggiungerlo e il modo per farlo di certo non è dettato dall'ego.
La felicità non è l'appagamento e se per molti di noi lo è il motivo è che abbiamo un senso della felicità malato.
CARLO
Sono d'accordo. Per noi umani la ricerca di senso (di significato, di scopo) non è un'opzione, ma una inclinazione innata, un istinto; e dove c'è un istinto, esiste anche il suo oggetto. Si tratta "solo" di cercarlo, in ogni cosa che facciamo o che conosciamo. E chi cerca trova: "Cercate e troverete; bussate, e vi sarà aperto"!

SCusate, ma (in buona compagnia di Epicuro, degli Stoici e di tanti altri) sono convinto proprio che la felicità, il benessere consista nell' appagamento delle proprie aspirazioni, l' infelicità, il malessere nella loro frustrazione.

E non credo proprio di essere (mentalmente né fisicamente) malato (se fossi superstizioso farei gli scongiuri. Ma non lo sono).

Purtroppo la vita reale é piena (anche; per fortuna non solo) di casi nei quali chi cerca non trova.
Specialmente (ma purtroppo non solo) se cerca male, evitando di analizzare razionalmente quali aspirazioni sono avvertite come più forti e quali meno, nonché quali insiemi di esse possono essere realisticamente soddisfatti a scapito di (al prezzo della rinuncia a) quali altri insiemi (chi cerca sia la botte piena che il coniuge ubriaco col cavolo che li troverà entrambi, e dunque sarà sempre in maggiore o minor misura insoddisfatto; id est: infelice).
#1158
Citazione di: altamarea il 17 Dicembre 2018, 14:46:43 PM
Nel mio precedente post ho scritto: "Una bella donna d'oggi sarebbe stata giudicata bella anche nei secoli scorsi".

Ed anche un bella donna dei secoli scorsi anche oggi sarebbe giudicata bella.

Per esempio, la fulva modella che posò per Sandro Botticelli per raffigurare la "Nascita di Venere" nel 1482 circa,  nel nostro tempo sarebbe considerata una donna brutta ?

A prescindere se sono più belle le donne "in carne"  raffigurate da Tiziano.

Non c'è canone che tenga. La bellezza corporea sfida i secoli ed è continuamente apprezzata.

E quando argomentiamo di bellezza cerchiamo di dimenticare le opinioni di Platone, Aristotele, Plotino, Agostino, Tommaso d'Aquino ed altri.

Parliamo della bellezza oggi, dell'attrazione fisica. L'Eros non vuole pensieri, né riguardo al "bene" né al "vero".

p. s. Bravo Viator, ti sei ricordato di rispondermi senza iniziare il tuo post con "Salve" e non l'hai concluso con "Saluti". :)  

Nemmeno io (e -se posso- nemmeno Viator, credo) ho scritto che un bella donna dei secoli scorsi non sarebbe giudicata bella anche oggi; credo però che nei secoli (soprattutto nell' ultimo) si sono avuti relativi, limitati cambiamenti del gusto di fatto prevalente (per lo meno in Occidente).

Il gusto estetico é qualcosa di istintivo: non "dimostra" chi e che cosa é bello e chi e che cosa é brutto, ma lo fa "avvertire", sentire.
Il che non toglie che si possa fare oggetto di più o meno interessanti considerazioni teoriche (per lo più meno interessanti, certamente meno piacevoli -per definizione- dell' abbandonarsi al godimento estetico della bellezza).
Per gustare il bello non é certamente necessario disprezzare Platone, Aristotele, Plotino, Agostino, Tommaso d'Aquino ed altri filosofi (per la cronaca quelli qui menzionati non sono fra i miei preferiti, salvo -moderatamente- Aristotele).
D' altra parte per capire il gusto estetico e il suo evolversi storico (tutt' altra cosa del provare il piacere estetico!) possono essere utili e interessanti (per coloro cui importa farlo, ovviamente).

L' Eros non "vuole" (non implica necessariamente) pensieri, né riguardo al "bene" né al "vero", di per sé, in quanto semplicemente si avverte.
Ma una considerazione critica (e autocritica) razionale, anche dell' eros (che ovviamente non va confusa con una sua negazione o frustrazione), come di qualsiasi altro istinto o sentimento, non può fare che bene e aiutare a vivere (in generale; e in particolare a vivere l' eros) complessivamente meglio da un punto di vista etico ed anche estetico.
Perché, come ben sapevano sia gli Epicurei che gli Stoici (e tanti altri), spesso i desideri e le aspirazioni umane sono in varia misura reciprocamente contraddittorie e incompatibili (botte piena e coniuge ubriaco), e cercare per quanto possibile di calcolare quanto di meglio si possa realisticamente conseguire complessivamente e con quali mezzi e a quali prezzi aiuta ad evitare di trovarsi frustrati e delusi in quanto di più caro si avverte.
#1159
Ho anch' io l' impressione, come Viator, che i canoni della bellezza femminile hanno subito un sia pur limitato, relativo mutamento nel tempo: prima generalmente si preferivano donne "più in carne" (basta vedere le opere d' arte dal rinascimento almeno fino a Goya compreso).

Ma variazioni (limitate ovviamente) di gusto avvengono anche nella vita delle singole persone.

Io stesso, con tutto il mio quasi maniacale anticonformismo (e non senza un minimo disappunto), mi sono accorto che da adolescente preferivo ragazze più formosette che in età matura, allorché probabilmente ero stato in qualche modo influenzato (molto mio malgrado!) dai gusti correnti (oggi mi limito a valutazioni alquanto "distaccate" per causa di forza maggiore dal momento che, essendo convinto, col sommo maestro in materia Epicuro, che ciò che dà benessere e serenità sia la soddisfazione dei desideri, trovo sciocco incrementare con farmaci desideri che fisiologicamente si indeboliscono e presentano meno esigenze -non sempre concretizzabili; anzi, nella fattispecie tendenzialmente sempre meno- di soddisfazione. Se usassi il Viagra mi sentirei un po' come l' avaro che fa della ricchezza un fine anziché un mezzo: ad ogni età i suoi piaceri).

Sulla bruttezza dei filosofi ho sentito dire (non provando personalmente alcuna attrazione per i maschi, e dunque essendo un giudice ben poco attendibile) che Diego fusaro é generalmente considerato un gran bell' uomo (qualcuno, in mancanza di argomenti, glielo rinfaccerebbe pure come penosamente pretesa obbiezione o preteso motivo di debolezza delle sue tesi).
#1160
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Dicembre 2018, 19:50:50 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Dicembre 2018, 16:18:54 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Dicembre 2018, 15:47:49 PM

Io l' ho invece l' ho sempre inequivocabilmente inteso (inequivocabilmente, per chi correttamente si confronti con le mie opinioni, ovviamente) come "(molto ma molto) diversamente felice".
CARLO
Come no! ...La felicità di stare in galera!   :)

Tentativo disperato di farti capire:
Un malvagio é felice, molto ma molto diversamente da un magnanimo (e non affatto diversamente virtuoso come mi ha falsissimamente, scorrettissimamente attribuito), se si procura quanto desidera (malvagiamente) e dunque non se sta in galera (a meno che si tratti di un improbabile malvagio masochista a cui piaccia essere detenuto).
#1161
Percorsi ed Esperienze / Re:Primo ricordo
15 Dicembre 2018, 19:07:13 PM
https://www.youtube.com/watch?v=_YDKxJcgPEE

E' un po' lunga e a chi non ha vissuto quei tempi (io personalmente controcorrente, come sempre: quelli che ora si sono da gran tempo sputtanati come reazionarissimi arrivisti mi additavano al pubblico ludibrio come "moderato", "socialdemocratico", "riformista", ecc.) può apparire forse noiosa, ma esprime bene certe atmosfere.
#1162
Citazione di: Phil il 15 Dicembre 2018, 16:25:43 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Dicembre 2018, 12:06:39 PM
Non intendo incartarmi sulla felicità che si manifesta come ciliegina psicologica su una torta assai più consistente di contenuti
Capisco; eppure se aspettiamo di avere tutta la torta per gustarci la ciliegina... rischiamo di morire di fame (e far ammuffire la ciliegina); forse se (ci) incartiamo (sul)la ciliegina, magari eviteremo di "non vederci più dalla fame" (messaggio non promozionale!  ;D ) .
Chiaramente, lo dico sempre partendo dalla liceità del «de gustibus» individuale.

Citazione di: Ipazia il 15 Dicembre 2018, 12:06:39 PM
la libertà. La quale, anche nella felicità più illusoria, decreta la sua debordante facoltà di trascendere ogni limite  :D Il che, per dei supposti automi, è semplicemente fantastico  ;D
Concordo sul «fantastico» (in tutti i sensi ;) ): è infatti la fantasia a distinguerci dagli automi meccanici che stiamo creando in laboratorio.

Ma credo che in linea teorica, di principio (non di fatto) se ne potrebbero creare anche di dotati di fantasia ...ivi compresa l' illusione del libero arbitrio.
#1163
Citazione di: sgiombo il 15 Dicembre 2018, 15:47:49 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Dicembre 2018, 13:46:13 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Dicembre 2018, 12:32:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Dicembre 2018, 11:56:16 AM
Citazione di: sgiombo il 14 Dicembre 2018, 08:18:43 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Dicembre 2018, 22:42:30 PM
CARLO
Vuoi dire che la felicità di un sadico serial killer subito dopo un agognato assassinio, e la felicità di un appassionatoricercatore che scopre la agognata cura di una malattia straziante, stanno sullo stesso piano? La felicità del primo è (soggettivamente) piena e profonda quanto lo è quella del secondo?

Voglio dire che sono cose ben diverse (come é chiarissimo, evidentissimo da numerosi miei interventi nel forum): due ben diversi (sostanzialmente contrari) motivi di essere felici.
La pienezza o profondità di una gioia é proporzionale alla "grandezza" dell' aspirazione soddisfatta (a quanto fortemente la si sente), indipendentemente dalla natura dell' aspirazione stessa (che può essere diversissima: eticamente ottima, pessima o in una delle infinite gradazioni fra questi due estremi): tanto la virtù (per il magnanimo e generoso), quanto il vizio (per il gretto, egoista e malvagio) é premio a se stessa -o.

Ma non vedo perché mai dovrei invidiare e men che meno ammirare un malvagio felicissimo.
CARLO
...E io non vedo perché non dovresti invidiare/ammirare un "malvagio", se - come dici - la malvagità può renderci felici quanto la nobiltà d'animo.
Perché dovrebbe essere preferibile coltivare la virtù? Per far piacere a Dio?

SGIOMBO
E' semplicissimo.
...
Se mi piace il cioccolato e mi fa schifo la marmellata, non invidio di certo chi, amando la marmellata, ne dispone in gran quantità.

CARLO
E' ben triste, in un forum di filosofia, veder considerare l'alternativa "virtù/crimine" in analogia con "cioccolata/marmellata" e non, invece, per esempio, con "cibo/veleno". Il criminale inteso come "diversamente virtuoso" è tipico dell'aberrazione relativista.

Ben triste, in un forum di filosofia, é piuttosto che qualcuno scorrettamente ignori una chiarissima, evidentissima, inequivocabile precisazione (nella fattispecie: Esempio banalissimo per cercare di farti capire; che spero non prenderai alla lettera confondendo estetica ed etica) di un interlocutore circa una sua affermazione che quest' ultimo, non essendo scemo e prevedendo la possibilità di una critica tendenziosa, aveva preventivamente messo in evidenza esplicitamente, mettendo chiarissimamente in guardia da fraintendimenti.

<<Il criminale inteso come "diversamente virtuoso">> è tipico dell'aberrazione (da parte tua) consistente nel deformare deliberatamente e scorrettamente (anche nell' esatto contrario!) le affermazioni degli interlocutori malgrado i loro espliciti, inequivocabili, più volte ripetuti caveat.

Io l' ho invece l' ho sempre inequivocabilmente inteso (inequivocabilmente, per chi correttamente si confronti con le mie opinioni, ovviamente) come "(molto ma molto) diversamente felice".
#1164
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Dicembre 2018, 13:46:13 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Dicembre 2018, 12:32:35 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Dicembre 2018, 11:56:16 AM
Citazione di: sgiombo il 14 Dicembre 2018, 08:18:43 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Dicembre 2018, 22:42:30 PM
CARLO
Vuoi dire che la felicità di un sadico serial killer subito dopo un agognato assassinio, e la felicità di un appassionatoricercatore che scopre la agognata cura di una malattia straziante, stanno sullo stesso piano? La felicità del primo è (soggettivamente) piena e profonda quanto lo è quella del secondo?

Voglio dire che sono cose ben diverse (come é chiarissimo, evidentissimo da numerosi miei interventi nel forum): due ben diversi (sostanzialmente contrari) motivi di essere felici.
La pienezza o profondità di una gioia é proporzionale alla "grandezza" dell' aspirazione soddisfatta (a quanto fortemente la si sente), indipendentemente dalla natura dell' aspirazione stessa (che può essere diversissima: eticamente ottima, pessima o in una delle infinite gradazioni fra questi due estremi): tanto la virtù (per il magnanimo e generoso), quanto il vizio (per il gretto, egoista e malvagio) é premio a se stessa -o.

Ma non vedo perché mai dovrei invidiare e men che meno ammirare un malvagio felicissimo.
CARLO
...E io non vedo perché non dovresti invidiare/ammirare un "malvagio", se - come dici - la malvagità può renderci felici quanto la nobiltà d'animo.
Perché dovrebbe essere preferibile coltivare la virtù? Per far piacere a Dio?

SGIOMBO
E' semplicissimo.
...
Se mi piace il cioccolato e mi fa schifo la marmellata, non invidio di certo chi, amando la marmellata, ne dispone in gran quantità.

CARLO
E' ben triste, in un forum di filosofia, veder considerare l'alternativa "virtù/crimine" in analogia con "cioccolata/marmellata" e non, invece, per esempio, con "cibo/veleno". Il criminale inteso come "diversamente virtuoso" è tipico dell'aberrazione relativista.

Ben triste, in un forum di filosofia, é piuttosto che qualcuno scorrettamente ignori una chiarissima, evidentissima, inequivocabile precisazione (nella fattispecie: Esempio banalissimo per cercare di farti capire; che spero non prenderai alla lettera confondendo estetica ed etica) di un interlocutore circa una sua affermazione che quest' ultimo, non essendo scemo e prevedendo la possibilità di una critica tendenziosa, aveva preventivamente messo in evidenza esplicitamente, mettendo chiarissimamente in guardia da fraintendimenti.

<<Il criminale inteso come "diversamente virtuoso">> è tipico dell'aberrazione (da parte tua) consistente nel deformare deliberatamente e scorrettamente (anche nell' esatto contrario!) le affermazioni degli interlocutori malgrado i loro espliciti, inequivocabili, più volte ripetuti caveat.

Io l' ho invece l' ho sempre inequivocabilmente inteso (inequivocabilmente, per chi correttamente si confronti con le mie opinioni, ovviamente) come " (molto ma molto) diversamente felice"
#1165
Citazione di: and1972rea il 15 Dicembre 2018, 12:57:09 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Dicembre 2018, 21:39:36 PM
Citazione di: and1972rea il 11 Dicembre 2018, 21:06:19 PM
Quindi, affermare che fino ad oggi 1+1 abbia fatto sempre due , non vuol dire che lo farà anche in futuro, sempre e comunque, indipendentemente da qualsiasi riferimento a singoli fatti determinati, quali che siano gli assetti sociali e la quantità e qualità dell'impiego di questo operatore logico...; mah..., io , invece, sono dell'avviso che fra evidenze ed inferenze si debba leggere una qualche distinzione. L' evidenza constatata è che l'interazione fra umanità e motore a combustione produce inquinamento letale per la vita sopra il pianeta terra , quindi, non potendo esistere il motore a combustione senza la presenza dell'Uomo, questo significa che questo dispositivo contiene in sè stesso quella letale relazione con gli uomini e che esso risulta quindi bastevole a sè stesso nell'essere per noi intrinsecamente nocivo. Un esempio di inferenza vera , invece, potrebbe essere l'affermazione che il sistema termodinamico terrestre sia un sistema aperto la cui entropia sia suscettibile di poter diminuire più di quanto il sistema Uomo-motore termico possano farla aumentare, perchè non vi è alcuna evidenza che  constati questa possibilità.


Non devi confondere induzioni con deduzioni, giudizi sintetici a posteriori con giudizi analitici a priori, verità logico-matematiche (di concetti e relazioni fra concetti) con conoscenze fisiche (di fatti reali e relazioni fra fatti reali).

L' induzione riguarda (si applica a-) i giudizi sintetici a posteriori, i quali predicano circa la realtà empiricamente rilevabile, e non le verità matematiche, che invece sono giudizi analitici a priori, e come tali sono certi logicamente (indipendentemente dall' empiria), ma non dicono nulla (di per sé, se non applicati a conoscenze empiriche derivanti da giudizi sintetici a posteriori) su come é o non é la realtà (ma solo su come devono essere correttamente pensate le relazioni fra concetti arbitrariamente definiti, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno una denotazione o estensione reale).

L' evidenza empirica constata che i motori termici sono stati usati in diversi modi, con diversi rapporti costi/benefici nei vari casi.
Ma anche ammesso e  non concesso che finora siano sempre, puntualmente stati più dannosi che utili, il ricavarne la conclusione che sempre e comunque sono più dannosi che utili é un' induzione (come quella dei tacchini di Bertrand Russell).

Che in un sistema termidinamico aperto (qualsiasi; compresa la terra), almeno in teoria, l' entropia complessiva possa diminuire é una verità scientifica che presuppone comunque -se ne sia consapevoli o meno- il divenire naturale secondo modalità generali astratte universali e costanti (affermazione indimostrabile; ed é proprio per la sua indimostrabilità che qualsiasi induzione é in linea teorica insuperabilmente dubbia; e nel caso fosse vera, allora le induzioni potrebbero anche essere certamente vere).
Diverso (non essendo un' induzione né implicando necessariamente la verità di alcun altra induzione) é affermare la singola, particolare verità empirica constatabile a posteriori che la comparsa ed evoluzione della vita sulla terra  nè ha ridotto l' entropia, cosa possibile per l' apertura termodinamica del nostro pianeta stesso.





Be', a mio parere , invece, un certo grado di compenetrazione fra le due dovrebbe sussistere. Infatti,riguardo all' antica distinzione aristotelica e kantiana fra deduzione analitica e sintesi induttiva, personalmente , nutro parecchie perplessità ; allo stesso modo nei riguardi della certezza logica e dell'attributo di verità conferito ai giudizi analitici e alla loro evidenza( e un certo Godel argomentò efficacemente a riguardo...)
Citazione
No!

Goedel dimostrò "soltanto" che in un sistema assiomatico almeno una tesi é indecidibile in senso positivo o negativo, e non affatto che un numero indefinito (ma in generale grandissimo) di altre tesi non sono (non sarebbero, ammesso e non concesso) certamente vere (o affermativamente oppure negativamente circa i rispettivi soggetti).



vi sarebbe da sindacare in altre discussioni più a tema; lasciando , quindi, da parte le ormai superate convinzioni di Kant ed Aristotele,
Citazione
Personalmente lo faccio "da sempre" ("cum grnu salis", criticamente, e non mediante una pretesa presuntuosa e ridicola liquidazione assoluta): per esempio -contrariamente a Kant- non credo possano esistere giudizi  sintetici a priori ma solo analitici a priori (certi ma "sterili" circa la conoscenza della realtà) e sintetici a posteriori ("fecondi di conoscenza circa la realtà" -se veri- ma -per l' appunto- di verità insuperabilmente degna di dubbio, come sostenuto da Hume).


noi, oggi,possiamo trovare un riscontro reale della sussistenza logica delle obiezioni scettiche di Hume rispetto alla immaginazione umana dei rapporti di causa ed effetto. L'uomo inventa relazioni che la realtà confuta di continuo , poichè esse interessano solo una piccolissima e circoscritta porzione del reale, astratta , sradicata cioè dal contesto infinitamente complesso dell'universo in tutta la sua totalità.
Citazione
Questa la ritengo un' interpretazione errata del pensiero del grande David Hume (mi ricorda casomai qualcosa di ben diverso: il cosiddetto "paradigma della complessità" tanto di moda e tanto caro (fra i numerosi altri) ai per me pessimi Ilija Prigogine e Marcello Cini).

Secondo me Hume non pretese mai (perché sicuro della sua impossibilità) che si potesse ottenere un "reale riscontro (empirico)" della sua critica della causalità.
Semplicemente osservò (genialmente) che le relazioni causa-effetto possono essere spesso ipotizzate ma mai dimostrate logicamente né constatate empiricamente.
E non che (e non perché) necessariamente debbano interessare solo una piccolissima e circoscritta porzione del reale, astratta , sradicata cioè dal contesto infinitamente complesso dell'universo in tutta la sua totalità, ma semplicemente perché tutto ciò che non é autocontraddittorio (che é logicamente corretto) può essere sempre sensatamente pensato, ipotizzato essere reale, considerato possibile (anche che la prossima volta alla -presunta- causa "a" cui finora sempre, quante che siano le osservazioni disponibili in proposito, é puntualmente seguito  il -presunto- effetto "b" non seguirà affatto l' evento "b"; ma invece un qualsiasi effetto "x" =/= "b" o magari nulla).



Ecco che , quindi,  quando in un certo intorno del reale pensiamo di aver trasformato una congettura in una relazione essenziale ed assoluta, noi troviamo invece un poco più in là nel tempo e nello spazio ineluttabilmente la conseguente confutazione.
Citazione
Non sempre necessariamente.

Come ben ben rilevato da Popper, questo é sempre possibile (in linea di principio); e, aggiungo sommessamente io, mai necessario "a prescindere".



Interessante è notare con Hegel come le nostre congetture in ordine al reale possano descrivere "veramente" la realtà soltanto in quanto razionali, e il fatto che la natura delle nostre inferenze sia tutt'altro che corrispondente alla realtà della natura ci fa hegelianamente concludere che le nostre inferenze non sono  affatto razionali, che i rapporti di causa effetto sono , cioè, pradossalmente ,un prodotto irrazionale del nostro intelletto.
Citazione
Lungi da me l' intento di volere ad ogni costo sminuire Hegel, ma che le nostre congetture circa il reale per essere (eventualmente) vere debbano innanzitutto essere razionali (logicamente coerenti) mi sembra molto ovvio e banale.

Il fatto che la natura delle nostre inferenze sia [senza ulteriori precisazioni; cioé sempre e comunque necessariamente,N.d.R.] tutt'altro che corrispondente alla realtà della natura Hegel dovrebbe innanzitutto dimostrarlo (cosa secondo me impossibile).
Ma il fatto genialmente rilevato parecchi decenni prima da Hume che ciò può (e non: deve) sempre darsi non comporta affatto che le nostre inferenze non sono affatto razionali; anche se  (é vero che) i rapporti di causa effetto sono (ma non vedo in che senso "pradossalmente") un prodotto irrazionale del nostro intelletto (o, per dirlo con Hume, della nostra abitudine).
#1166
Citazione di: Ipazia il 15 Dicembre 2018, 12:06:39 PM
Non intendo incartarmi sulla felicità che si manifesta come ciliegina psicologica su una torta assai più consistente di contenuti, tra cui la libertà. La quale, anche nella felicità più illusoria, decreta la sua debordante facoltà di trascendere ogni limite  :D Il che, per dei supposti automi, è semplicemente fantastico  ;D


Non per il gusto di "incartarsi" su questioni di lana caprina, (che nemmeno io provo), ma la felicità, il benessere interiore é (a mio parere per definizione) "proporzionale" all' appagamento delle aspirazioni di ciascuno (che possono essere ben diverse e reciprocamente contrarissime, caro Carlo Pierini, da persona a persona).

Dunque più uno ama la libertà (o analogamente la giustizia sociale, l' equità, la fratellanza universale, ecc.; o anche il contrario di tutto ciò) e più la consegue, più é felice; meno la consegue, meno é felice.
A meno che la sua aspirazione massima sia piuttosto il comportarsi da uomo amante la libertà (anche indipendentemente dal conseguirla o meno), nel qual caso il conseguimento di quest' ultima suprema aspirazione (al comportarsi da amante della libertà, a lottare per essa, quale che sia l' esito della sua lotta) sarà comunque per lui motivo di felicità (al limite anche in galera o sotto tortura).

Non sto a linkare un' altra volta le ultime parole di Salvador Allende "in articulo mortis" (già fatto), ma non credo le si possano in alcun modo o senso considerare -anche per il tono straordinariamente tranquillo e sereno della voce, salvo qualche sacrosanta stigmatizzazione ad personam- parole di un infelice (Per Carlo Pierini: non credo proprio sia pensabile che avrebbe invidiato Francisco Franco, il quale pochissimi anni dopo sarebbe morto a tarda età, al potere, "servito e riverito"; anch' egli felice, ma ben altrimenti!).

"La virtù é premio a se stessa" (Severino Boezio, considerazione ripresa dallo stoicismo, ma da lui eroicamente vissuta in prima persona, testimoniata "sulla sua pelle")

P. S.: la Consolazione della filosofia é la straordinaria testimonianza di un uomo sommamente magnanimo di fronte alla morte, subita per ingiusta condanna; credo che l' unico altro esempio all' altezza sia costituito da Scritto sotto la forca, del comunista cecoslovacco Julius Fucik (anch' esso stilato -quindici secoli dopo! in un campo di concentramento nazista- in attesa dell' ingiusta esecuzione).

P.P.S.: Se qualche idiota mi dileggiasse quale "cattocomunista" non me ne potrebbe fregare di meno!
#1167
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Dicembre 2018, 11:56:16 AM
Citazione di: sgiombo il 14 Dicembre 2018, 08:18:43 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Dicembre 2018, 22:42:30 PM
CARLO
Vuoi dire che la felicità di un sadico serial killer subito dopo un agognato assassinio, e la felicità di un appassionatoricercatore che scopre la agognata cura di una malattia straziante, stanno sullo stesso piano? La felicità del primo è (soggettivamente) piena e profonda quanto lo è quella del secondo?

Voglio dire che sono cose ben diverse (come é chiarissimo, evidentissimo da numerosi miei interventi nel forum): due ben diversi (sostanzialmente contrari) motivi di essere felici.
La pienezza o profondità di una gioia é proporzionale alla "grandezza" dell' aspirazione soddisfatta (a quanto fortemente la si sente), indipendentemente dalla natura dell' aspirazione stessa (che può essere diversissima: eticamente ottima, pessima o in una delle infinite gradazioni fra questi due estremi): tanto la virtù (per il magnanimo e generoso), quanto il vizio (per il gretto, egoista e malvagio) é premio a se stessa -o.

Ma non vedo perché mai dovrei invidiare e men che meno ammirare un malvagio felicissimo.
CARLO
...E io non vedo perché non dovresti invidiare/ammirare un "malvagio", se - come dici - la malvagità può renderci felici quanto la nobiltà d'animo.
Perché dovrebbe essere preferibile coltivare la virtù? Per far piacere a Dio?


E' semplicissimo.

Non invidio né tantomeno ammiro il malvagio felice perché evidentemente non sono malvagio e dunque non posso desiderare ciò che desiderano i malvagi, né conseguentemente, a maggior ragione, essere soddisfatto dalla realizzazione di (== felice) tali desideri o insoddisfatto e invidioso dalla loro frustrazione.
(Esempio banalissimo per cercare di farti capire; che spero non prenderai alla lettera confondendo estetica ed etica:) Se mi piace il cioccolato e mi fa schifo la marmellata, non invidio di certo chi, amando la marmellata, ne dispone in gran quantità.

Per chi sia "virtuoso" é preferibile coltivare la virtù perché (per definizione) é la sua massima aspirazione, ciò che più desidera: e infatti -per lui, ovviamente!- é "premio a se stessa"!

Infatti non dico affatto -indiscriminatamente- che la malvagità può renderci felici quanto la nobiltà d'animo, ma invece -discriminatamente- che può tendere felici i malvagi (se soddisfatta), quanto invece i generosi e magnanimi possono essere resi felici dal soddisfacimento delle loro buone aspirazioni (tutt' altre, contrarie rispetto a quelle dei malvagi!).
#1168
Citazione di: Ipazia il 15 Dicembre 2018, 08:13:54 AM
Citazione di: Phil il 14 Dicembre 2018, 20:55:52 PM
CitazioneGli aborigeni si sono dati all'alcool appena hanno incontrato un mondo diverso dai loro dei.

Suppongo che il "filantropo" che li ha tirati fuori dalla loro grotta sia fiero e felice di tal risultato... e magari affermerà orgoglioso che "la verità rende liberi" («liberi di» sbronzarsi: in vino veritas ).
...
Non discuto il valore di alcuni ambiziosi percorsi personali, né voglio sottovalutare la rilevanza umana degli aspetti socioevolutivi, tuttavia parlare di «felicità» è altro tema (almeno secondo me).



è (...) indubitabile (...) che le gabbie ideologiche siano più efficienti, insidiose e mascherabili della gabbie fisiche. Quindi il discorso si sposta sugli accrediti del "liberatore" e del suo "progetto". A tal proposito penso basti andare in qualche fatiscente deposito di carne umana da lavoro nero per capire che non occorrono voli metafisici per inquadrare il problema del liberatore, libertà e connessa "felicità".

E anche questo é verissimo.

Quella della pura e semplice (maggiore o minore) felicità (che ripeto: secondo me é ottimamente definibile, in buona sostanza, come "soddisfazione di aspirazioni") e quella della (maggiore o minore) realizzazione personale di ciascuno sono due distinte questioni, anche se con evidenti "intrecci", coimplicazioni e condizionamenti reciproci.
E quella della giustizia sociale  e del progresso civile una terza.
#1169
Citazione di: Phil il 14 Dicembre 2018, 20:55:52 PM

Il «miracolo metafisico da autentico mondo delle idee» (cit.) è essere felici per la propria condizione (come insegnano alcuni monaci, aborigeni e perpetue anziane) oppure vincolare la felicità a mitici traguardi metafisici ideali che trascendono la propria condizione?
Non discuto il valore di alcuni ambiziosi percorsi personali, né voglio sottovalutare la rilevanza umana degli aspetti socioevolutivi, tuttavia parlare di «felicità» è altro tema (almeno secondo me).


Dipende da quelle che sono le aspirazioni di ciascuno (condizionate biologicamente, soprattutto nella loro "uniformità conformistica", e socialmente soprattutto nelle loro "originali variazioni personali"): si può essere più o meno felici o infelici, a seconda dei casi, (fra l' altro anche) da monaci, da aborigeni australiani, da perpetue anziane e pure vincolando la felicità a mitici traguardi metafisici ideali (ma molto meglio, con molta più probabilità di successo, se realistici, scientificamente fondati, secondo me) che trascendono la propria condizione.

"ho visto anche degli zingari felci in piazza Maggiore" (Caludio Lolli)

https://www.youtube.com/watch?v=_BMsIOe2ryI


Citazione
Non discuto il valore di alcuni ambiziosi percorsi personali, né voglio sottovalutare la rilevanza umana degli aspetti socioevolutivi, tuttavia parlare di «felicità» è altro tema (almeno secondo me).


Anche secondo me.
#1170
Ma per favore!

Evitiamo di far rigirare nella tomba il compianto Stephen Jay Gould e di denigrare Niels Eldredge, entrambi serissimi biologi evoluzionisti darwiniani particolarmente conseguenti (molto più di Dawkins, Wilson e compagnia "bella"; si fa per dire); che per la cronaca non significa "pedissequi ripetitori", anche degli aspetti deboli delle sue teorie, ma casomai "critici sviluppatori".

In merito alla questione non entro, restando fedele al proposito di non perdere tempo con i negatori della scienza biologica (per lo stesso motivo per cui ignoro la discussione sui "terrapiattisti"); ma la reputazione di Gould e di Eldredge non potevo non difenderla!

Mi aspetto le solite ridicole accuse di dogmatismo alle quali non risponderò perché non le leggerò nemmeno.