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Messaggi - Phil

#1186
La differenza fra comunicazione razionale/comunicazione emotiva è quella fra comunicare riflettendo (o rileggendo) e comunicare istintivamente, comunicare considerando il contesto in cui lo si fa e comunicare come se facessimo un discorso interiore; è un po' la differenza fra un saggio argomentativo e una poesia, una confutazione "di testa" e un'invettiva "di pancia" (o di cuore, per i più romantici).
Le provocazioni possono anche essere estremamente razionali e ponderate, così come le riflessioni possono essere pacatamente basate su una visione sbilanciatamente emotiva di una questione.
#1187
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
06 Settembre 2020, 11:07:04 AM
@Jean

Dopo una sbirciata da profano in rete, concordo con Lou nel ritenere verosimile che ciò che viene chiamato (riecco la centralità del linguaggio) «algoritmo indeterministico» non celi una autentica facoltà di scelta dell'AI, trattandosi solo di una molteplicità di possibili percorsi (preprogrammati?) che l'algoritmo tenta (apparentemente in modo casuale) finché non raggiunge il risultato (pre)definito conclusivo dal'uomo che ne ha dettato le condizioni di conclusività (pur non sapendone a priori il risultato). Anche i generatori di numeri random sono in fondo deterministicamente condizionati da fattori di innesco per le loro scelte conclusioni, il cui prodotto è quindi in teoria sempre pseudo-random, anche quando non è facile risalire esattamente ai dettagli fisici (d'innesco) della sua prima operazione, e viene quindi definito random, come se fosse un umano che risponde al comando «pensa un numero».
Sull'autonomia semantica dell'AI credo che l'ambiguità di fondo stia nel fatto che, pur conoscendo le regole degli algoritmi, per capire il processo che ha portato alla formulazione del "discorso" fra Bob e Alice servirebbe visionare una serie enorme di calcoli eseguibile solo da un algoritmo in un calcolatore... cosa che di fatto è già avvenuta, e il "discorso" dei due ne è il risultato, il cui processo è rimasto però lontano dagli occhi dei programmatori (che per seguirlo tutto passo-passo impiegherebbero magari molto tempo). Sulla considerazione che «gli informatici non "sono in grado di spiegare" come avvengono le cose dentro le "macchine"»(cit.), credo, sempre da profano, che si tratti infatti di distinguere ciò che i programmatori non conoscono in dettaglio (il "cosa", i calcoli fatti dall'algoritmo) da ciò che essi stessi hanno definito (il "come", le procedure e gli algoritmi). Ad esempio, nel programmare un'AI per creare una ricetta di whiskey, i programmatori hanno impostato il "come", pur non sapendo a priori esattamente quale sarebbe stato il "cosa" risultante; tuttavia non arriverei a sostenere che l'AI abbia imparato a bilanciare gli ingredienti per fare un whiskey, o abbia scelto secondo i "suoi" gusti criteri un buon aroma, né tantomeno che abbia coscienza di cosa sia un whiskey o un liquido in generale. L'AI ha solo calcolato secondo procedure predefinite, ma, a differenza di una mente umana, senza consapevolezza cognitiva di quel che stesse facendo (proprio come quando l'AI dipinge, scrive, disegna moda, etc.). L'AI ci stupisce proprio perché calcola ciò che per noi umani è incalcolabile (come quantità di dati), ma il "come" calcola è ciò che dà un senso umano e pragmatico al suo calcolare ed è un come deciso da umani per gli umani (nell'AI non c'è volontà, né finalismo, né consapevolezza/coscienza, etc.).

Ascoltando Alexa o Siri o Cortana, a altre "signorine smart", sarebbe normale pensare che ragionino da sole e quasi come umani, che non siano solo algoritmi e calcoli; eppure, nozionisticamente, sappiamo che non c'è nulla di cosciente in loro (fino a prova contraria) e le modalità di apprendimento con cui "imparano a conoscerci" sono dettate da programmi e non da loro capacità umanamente cognitive. Sull'eco del legame fra "apprendimento digitale" (ovvero registrazione, e scrittura di ulteriori linee di programma, a partire da input esterni) e capacità cognitive umane, Neuralink può promettere una efficace fusione uomo/macchina; tuttavia, anche in questo caso: chi imposta le regole di tale fusione non è la stessa entità che le applica e le calcola, proprio come l'utente non è il dispositivo che usa, il parlante non è il linguaggio (almeno per gli umani, a differenza dell'AI, come mi pare suggerisca anche Lou), o chi produce generatori di numeri random non sa generare tali numeri a sua volta (nello stesso modo del generatore). Con Neuralink l'AI sarà un potenziamento (o una terapia dell'umano, non viceversa: interfaccia brain-to-machine non machine-to-brain. Se anche (lasciamoci prendere la mano dalla fantasia) un domani un dispositivo potrà prendere il comando fisiologico del cervello di un uomo, scommetto lo farà secondo algoritmi e programmi scritti dall'uomo (seppur non da lui calcolabili con carta e penna), così come, mutatis mutandis, sono già prodotti dall'uomo psicofarmaci e manipolazioni di neuromarketing. Si tratta quindi, almeno per me, di distinguere l'umano e le sue categorie, dallo strumentale e le sue categorie, al netto dell'indubbio fascino di scenari sinora accarezzati solo nella letteratura (profetica Cassandra?); e proprio sul piano delle categorie e del linguaggio, forse l'AI ci stimola, come tutti i nuovi paradigmi, a non indugiare sul vecchio linguaggio (antropocentrico), metaforizzandolo per spiegare il nuovo, ma a produrne un ad hoc, meno ancorato al già noto e più adeguato alla nuova tematica.
Riguardo a «una ipotetica A.I. emergerà da quei laboratori che ne potenziano giorno dopo giorno le capacità dando ad essa quel che essa ha imparato a chiedere»(cit.) per ora punterei sull'ipotesi che l'AI non chieda nulla che non le sia chiesto di chiedere (anche se la verità, ovviamente, la sanno solo in "quei laboratori")
#1188
Scienza e Tecnologia / Re:Bob e Alice che stanno dicendo?
04 Settembre 2020, 22:30:27 PM
Citazione di: Lou il 30 Agosto 2020, 01:47:40 AM
cosa più mi affascina è riuscire a intendere, non cosa stanno dicendo Bob e Alice, ma come siano potuti sorgere Bob e Alice. Prodotti di linguaggio, puri e complessi prodotti di linguaggio. Qui tutto è linguaggio, Jean, e se chiedevi " a chi parlo? ", quel che è fuori dal linguaggio.  Perchè se tutto è linguaggio abbiamo il criterio per riuscire a comprendere cosa non lo è.
Credo che la chiave di volta (e di lettura) della AI sia proprio la dialettica fra linguaggio e ciò che è fuori da esso in veste di ciò che il linguaggio "muove": l'AI è linguaggio e comprende solo ciò che le viene tradotto nel suo linguaggio, ovvero quello con cui i programmatori l'hanno generata, e a partire da tale linguaggio essa agisce, calcola, adopera parti meccaniche, produce artefatti e conoscenza. Chiaramente il linguaggio, per esistere ha bisogno di almeno un supporto fisico, sia esso un parlante o un documento scritto. Parimenti, ogni software, per funzionare, richiede di "incarnarsi ontologicamente" in almeno un hardware, ma mentre nell'uomo mente/corpo sono (fino a prova contraria) inscindibili, l'algoritmo, in quanto software, non ha un rapporto univoco e inscindibile con un singolo hardware in particolare (compatibilmente ai requisiti minimi di sistema), soprattutto nell'era di internet dove l'online consente simultaneità e multiutenza.
Lo dimostrano a loro modo anche alcune (apparenti) "forme di vita digitale": virus e altri malware si "riproducono", passano di ospite in "ospite" (host), possono "nutrirsi", "adattarsi" o essere "uccisi". Eppure, al di là delle fuorvianti metafore "antropomorfiche", sono essenzialmente programmi, linee di linguaggio di programmazione.
Gli algoritmi possono interagire con l'uomo "parlando la sua lingua", come esemplificato da internet: quando "andiamo" su google in realtà l'indirizzo non è "linguisticamente" «google.com», è 216.58.nnn.nnn (non ce n'è uno solo); per fortuna ci sono programmi che convertono quella serie di numeri in parole, più facilmente ricordabili per noi umani. Tuttavia, non avrebbe senso dire che internet "traduce la sua lingua per parlare la nostra lingua": fuor di metafora, anche qui c'è soltanto un programma che funziona, progettato per fare quello che gli umani vogliono faccia, ovvero sono alcuni uomini a volere e a dettare le regole di tale "traduzione" (essendo la volontà una delle componenti umane che infatti manca all'AI).

Guardando un mulino a vento o una calcolatrice, sono in pochi (se ce ne sono), a chiedersi se un domani i mulini a vento o le calcolatrici avranno una coscienza sulla falsariga di quella umana; con gli algoritmi per me è circa lo stesso, c'è solo più potenzialità tecnologica (operazioni più complesse, più scenografiche e sempre più impattanti la società) e quindi maggior rischio di equivocare l'autenticamente umano (coscienza, volontà, etc.) e ciò che è simulazione fatta da umani per scopi umani. Probabilmente, escludendo i presenti, c'è una parte del dibattito sull'AI, che si basa sull'ambiguità delle sembianze antropomorfe di automi (anche grazie al cinema, ma non solo) perdendo di vista che l'abito non fa il monaco, ovvero la forma umana non fa l'esser-uomo (dotato di coscienza, pulsioni psichiche come l'autosostentamento e la riproduzione, oppure ambizioni di dominio, etc.). Lo stesso vale in fondo per Bob e Alice (con i loro nomi umani) o quando diciamo che una centralina non "dialoga" con un dispositivo. Ad ulteriore esempio, se questi robot si presentassero come "bipedi eretti", con "gambe" e "braccia", alcuni li guarderebbero certamente con sguardo differente, come dimostra la teoria dell'"uncanny valley", eppure si tratterebbe degli stessi software, algoritmi, etc, soltanto "impacchettati" in un hardware che, essendo antropomorfo, farebbe chiedere a qualcuno se non ci sia un briciolo di coscienza, potenziale, inespressa o repressa, sotto quel metallo (solo perché la forma di quel metallo ci ricorda quella di un essere umano; probabilmente è un'effetto collaterale dell'istinto empatico, della ricettività dei neuroni specchio o di qualche altro meccanismo neuro-psicologico, che ha per esemplificazione grezza la pareidolia dei volti).
Secondo me, non conviene radicalizzare troppo quello che è in fondo il "movente euristico" del test di Turing, ovvero «se sembra un'anatra, nuota come un'anatra e starnazza come un'anatra, allora probabilmente è un'anatra», sia perché è noto che non tutte le anatre sono effettivamente tali, come già esemplificato da quella di Jacques de Vaucanson, sia perché a prendere troppo sul serio tale empirismo spiccio, si rischia di farsi beffe persino del comune buon senso (come stigmatizza questo fumetto).
#1189
Indugio ancora solo su una precisazione fondamentale:
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2020, 08:27:59 AM
"L'accesso della morte all'ambito del bene" si dà tanto in natura che in metafisica ed etica, sussumendo la morte all'ambito della vita. In natura nel rispetto dei cicli vitali che liberano spazio per nuove vite individuali, in metafisica attingendo al pensiero di Epicuro sulla morte nella lettera a Meneceo, e in etica attuando le tecniche corrette di contrasto senza accanimento.

La natura è il primo maestro di tale sussunzione
in natura non c'è bene/male, ma solo funzionamento; è la lettura antropomorfica che legge nella natura il bene (come, appunto, da fallacia naturalistica, ovvero derivare prescrizioni da descrizioni). Quando diciamo che la prosecuzione della specie o l'istinto di sopravvivenza o l'evoluzione della specie sono un bene, teleologicamente orientato al meglio, (oltre a non parlare affatto di etica, ma solo di meccanicismo) stiamo interpretando umanamente la natura, come fosse programmata da umani, o comunque su valori umani. In fondo, se riusciamo a lasciare fra parentesi la nostra "istintiva" tendenza a pensare che tutto si basi sulle nostre categorie (piuttosto che l'inverso), riconosceremo che «l'accesso della morte all'ambito del bene» è un questione esclusivamente umana ed interpretativa, non ontologica (religione a parte). Nella natura (e qui l'uomo è compreso, ma siamo al di là dell'etica, quindi bisogna dirlo piano) la morte è solo un cambiamento di stato, un funzionamento come l'orbita dei pianeti o lo scambio di elettroni fra atomi. Possiamo farne una questione di bene/male assecondando ciò che ci bisbiglia il nostro istinto di sopravvivenza, come possiamo pensare che una palafitta sia salda e maestosa come una piramide; anzi, in questo contesto, più che «possiamo», «dobbiamo», perché altrimenti (citando da altro topic)
Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
che fine fa allora l'etica (intesa in senso forte)? Se non possiamo fondarla nel cielo dobbiamo fondarla sulla terra, seguendo quel dovere autoreferenziale che è a sua volta etico: è sommamente immorale non avere una morale, il primo metaimperativo etico è averne una.
Tuttavia, la consapevolezza di certi (s)fondamenti non esclude il poter comunque stare al gioco della società (seppur con l'intima consapevolezza di chi deve può distinguere fra meccanismi naturali e principi etici, descrizioni e prescrizioni, etica e scienze delle natura, piramidi e palafitte).
#1190
Citazione di: anthonyi il 30 Agosto 2020, 08:16:40 AM
Più che discutere sull'assolutezza di tale valore, bisogna considerare che la vita umana è relativa, ci sono tanti uomini, il cui singolare diritto alla vita a volte entra in contrasto con il diritto alla vita, e con la qualità della vita, degli altri.
Concordo che questo sia il taglio più intellettualmente onesto (e più pragmaticamente solido) da dare al discorso etico che, per me, ha come conseguenziale e disincantato esito l'abbandono di categorie come «assoluto», «incontrovertibilità», etc. riferite tradizionalmente ai fondamenti del pensare etico. Una volta che ci facciamo carico della debolezza dei fondamenti di ogni etica secolare (il discorso religioso è differente), debolezza che emerge anche dall'elaborazione delle eccezioni proposta da Ipazia, in cui l'eticità assume le forme del "mors tua" e/o "mors mea", concedendo alla morte l'accesso all'ambito del bene (falsificando dunque la concezione della vita come bene assoluto), allora si può scendere dal piano metaetico a quello etico, individuale e sociale, con adeguata consapevolezza filosofica per declinare la propria "etica su palafitte" (parafrasando Popper).
#1191
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 12:49:22 PM
Tale fondamento etico è presente in tutte le tavole della legge divina ed umana fin dalla notte dei tempi. E tale vale anche oggi, con la centralità tecnoscientifica del prolungamento della vita umana. Che definii (mica solo viator ha il monopolio delle definizioni): il bene assoluto incontrovertibile dell'universo antropologico. Ovviamente il corrispettivo male è la morte.
Su tale bene/male assoluto incontrovertibile, avevo già previdentemente anticipato una considerazione:
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 11:21:13 AM
tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
ovvero: una certa valorizzazione della vita è indubbiamente costitutiva del vivere sociale umano, sin dalla notte dei tempi e sin dai culti più antichi; tuttavia, tale valorizzazione (fondata sull'esigenza pragmatica della convivenza) non fonda, in veste di valore assoluto, l'etica tout court, tantomeno in modo incontrovertibile e/o ontologico, perché, nonostante le velleità universali, si dimostra, di fatto, un "fondamento assoluto" sempre e solo per qualcuno e in una determinata cultura (e abbiamo già dissertato di come tale uso rafforzativo di «assoluto», individuale o comunitario che sia, abbia ben poco di assoluto, almeno filosoficamente parlando).
Per avere prove storiche tangibili sulla "faziosità" e sulla "debolezza intrinseca" della suddetta tendenza ad «ipostatizzare fittiziamente [...] assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili»(cit.) occorre riflettere metaeticamente (al di là di ciò che io giudico «bene» o «male») su: pena di morte («è bene che lui muoia»), kamikaze ed eroi («è bene che io muoia»), eutanasia («è bene che lui muoia»), guerre («è bene che loro muoiano»), suicidio («è bene che io muoia»), etc. in cui il sedicente "bene assoluto incontrovertibile" viene umanamente controvertito in nome di un altro "bene morale", ritenuto tale senza che una controprova possa falsificarlo incontrovertibilmente («bene» che dunque si rivela figlio dei paradigmi umani che lo pongono, non di assoluti ontologici irrefutabili), un "bene" da sempre controvertito da singoli e da moltitudini, e non sempre basandosi solo su sofismi riguardo cosa significhi «una vita degna di essere vissuta».
Il valore della vita, soprattutto in alcune situazioni, che per fortuna non fanno parte della quotidianità di tutti (ma non è detto debbano capitare sempre agli altri o che non debbano essere comprese nel criterio di incontrovertibilità), è evidentemente un problema filosofico, non un fondamento incontrovertibile.

P.s.
Chiaramente, all'interno della propria morale, il valore della vita può essere assunto come incontrovertibile, assoluto, etc. l'importante, almeno secondo me, è essere consapevoli, parafrasando il noto motto, di "dove finisce il mio paradigma e dove iniziano quelli degli altri" (e di cosa sia davvero «incontrovertibile», al di là del nostro parlarne con giudizi di valore anelanti l'assoluto).
#1192
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 08:08:03 AM
Come per tutto il resto della vita sociale anche in rete le contraddizioni producono antagonismo tra chi ha potere e chi non ce l'ha e lotta per conquistarlo. Antagonismo con importanti contenuti ideologici su un terreno squisitamente ideologico.
L'essenza della rete, per ora, è proprio l'essere un posto in cui tutti hanno "potere" (basta potersi connettere e, per fortuna, da noi non è eccessivamente oneroso), il potere dell'esposizione globale e (nel bene e nel male, direbbe Eco) diritto alla parola pubblica, consultabile da tutti e persino, per la gioia dei "militanti", anche il potere del contrasto con il mainstream, il potere della polemica, dell'irriverenza, della informazione "alternativa" e, inevitabilmente, anche quello delle fake news. Il potere ideologicamente forte nella realtà, in rete viene invece stemperato, diluito e disperso nella cacofonia dell'opinionismo selvaggio che nella realtà off line, soprattutto quella più istituzionale e organizzata, non ha spazio (la differenza fondamentale del web è che consente un'esposizione che la realtà cartacea osteggia e/o nega). Non sono certo i tweet di Trump a rappresentare l'apice qualitativo dell'astuzia della propaganda ideologica, né potranno esserlo le pagine facebook di altri leader politici. Una volta si pensava che il web sarebbe stato il paradiso del libero pensiero e dell'opposizione ai poteri forti; magari c'era troppo ingenuo ottimismo (e sopravvalutazione della serietà delle masse), ma non credo sia sensato passare all'estremo opposto, banalizzando il web a mesto parallelo delle dinamiche ideologiche off line (ridurre il web a un antagonismo ideologico fra classi, oltre ad essere anacronistico, è come ridurre la filosofia ad una parziale filosofia politica; giustamente, de gustibus...).
#1193
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 10:19:42 AM
la convinzione dei relativisti etici che l'individuo sia un'entità autonoma rispetto alla società che lo imprinta fin dalla nascita e che perfeziona sempre più, tecnoscientificamente, tale capacità di condizionamento.
Stavolta non faccio l'avvocato dei relativisti, ma, a dimostrazione di come il relativismo sia coerentemente restio ad assolutizzazioni interpretative, faccio l'avvocato almeno di me stesso, considerando che tendo sempre a relazionare il soggetto al contesto, essendo il (mio?) relativismo più un contestualismo (re-latus) che un solipsismo (corsivi agevolanti):
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2020, 11:41:31 AM
non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti)
e
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 17:25:48 PM
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo
Da queste citazioni si può intuire anche l'origine del male morale, almeno secondo me: non un male ontologico o incarnato o trascendete, ma mero contenuto (senso) di un giudizio di valore che attribuisce la "qualità" «male» a fatti o attitudini di cui si parla. Sono i paradigmi etici ad originare sia il male che il bene (senza voler tornare ad interrogare fallimentarmente sul loro fondamento), con tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
#1194
Dal mio punto di vista, nel rapporto con internet, algoritmi e giganti dell'economia digitale, non c'è né antagonismo (contro chi?), né è una questione principalmente di capitalismo (il tuffo nella rete è comunque volontario e le sue funzioni davvero imprescindibili, per lavoro o simili, sono solitamente le meno "commerciabili"). Riprendendo il paragone precedente, nel momento in cui il bibliotecario mi fornisce il suo servizio, non è mio antagonista, e se scheda le mie richieste bibliografiche e poi le vende a chi approvvigiona i testi della biblioteca, non avrebbe troppo senso, secondo me, chiedergli una percentuale o la divisione degli utili (come sembra proporre, se non l'ho frainteso, Ferraris quando accosta la navigazione al lavoro economicamente inteso perché produce reddito altrui; nel resto del post mi riferisco a lui più che ad utenti del forum). Qui parliamo non a caso di big data, il singolo non vale nella sua specifica identità: conta quante persone sono interessate ad un servizio o compiono determinate azioni; se Mario Rossi è dentro o fuori questo insieme, non importa affatto a chi stila le statistiche d'uso e d'interesse: uno vale uno (soprattutto se i profili sono simili). Ci sono lavori pagati che consistono proprio nel cliccare, nell'accedere a determinati siti, nel mettere like (che qualche azienda poi comprerà a pacchi), etc. ma non mi pare doveroso che, navigando, l'utente comune (che non fa tali lavori) debba aspettarsi di ricevere qualche bitcoin sul conto perché in fondo sta partecipando alle attività economiche di varie multinazionali essendo la sua azione registrata e prontamente profilata (comunque, il browser Brave propone qualcosa di simile, in termini di ricompensa, convertendo la "token economy" in Basic Attention Token). Si ritorna alla solita questione delle raccolte punti ai supermercati: passando la tessera guadagno uno sconto, ma so che vengo profilato (entrando nei big data come consumatore di certi prodotti con un certa frequenza); resta il fatto che la scelta di fare la tessera (e di quando usarla) è tutta mia; inoltre la mia profilazione aumenta le possibilità che, la volta seguente, ritrovi i prodotti che solitamente mi piace (o devo) comprare. Lo stesso accade su internet, solo che non ottengo uno sconto, ma un servizio, o informazioni, o materiale da scaricare (non è gratis perché in fondo lo "pago" con il fatto che il mio scaricarlo viene registrato? Mi sembra comunque uno scambio conveniente; personalmente, non mi dispiacerebbe se l'essere profilati da un supermercato consentisse di fare la spesa senza passare alla cassa). Se invece si vogliono evitare download troppo profilanti, si può comunque ricorrere al peer-to-peer, con annessi pregi e difetti.
D'altronde, se Google o altri "aggregatori sociali" , non essendo onlus (e non potendo esserlo per come fanno quel che fanno), ci facessero pagare in moneta il loro servizio, senza però profilarci, sarebbe forse meno capitalistico?
Fermo restando che, come detto, le alternative ci sono, quindi non è coerente usarli sentendosi in ostaggio (sindrome di Stoccolma permettendo).

P.s.
Ovviamente, se si sconfina nell'illegalità, nell'uso inopportuno o lesivo di informazioni e dati, etc. il discorso cambia e né la qualità del servizio né la gratuità sono più un alibi. Tuttavia non leggerei la fruizione della rete in ottica di sopruso del capitalismo, semmai di consenziente partecipazione (se si ha la pazienza di leggere i contratti e i consensi prima di usare un social o un'applicazione) con margini di "contromisure" basati sull'informazione.
#1195
L'algoritmo di Google, o quelli degli altri motori di ricerca (alcuni dei quali certamente più attenti alla privacy rispetto al colosso), è in fondo un "bibliotecario della rete", che sa usare egregiamente il catalogo della biblioteca pubblica per assecondare le nostre richieste, sebbene nel farlo veda ed abbini chi siamo a cosa cerchiamo. Resta fondamentale che ci fornisca decine di pagine di risultati (più ce ne fornisce, più abbiamo l'onere della scelta), anche se sta poi a noi varcare pazientemente la soglia della prima pagina, per andare a cercare le "perle" scivolate nelle altre pagine, magari perché quantitativamente non troppo frequentate o non adeguatamente indicizzate. Parimenti ricade su di noi la possibilità di (in)formarci sulle eventuali alternative e personalizzazioni (gestione dei cookies, limitazioni dell'invio dati personali, etc.), (in)formazione che non richiede anni di studio, ma ad esempio la visione di qualche rapido tutorial su youtube (tutorial che è ormai assorto a rivoluzione didattica, almeno per quanto riguarda le conoscenze e le applicazioni basilari, in veste di informazione trasversale a tutte le età e tutti i saperi).
Se non ci fidiamo che i nostri dati identificativi vengano effettivamente cancellati quando dovrebbero (capita, vedi Instagram e Facebook) o vengano salvati senza nostro consenso (ancora Facebook) e preferiamo non essere profilati, ebbene è proprio la stessa rete a darci qualche strumento per anonimizzarci o "travestirci" (applicazioni, tutorial di impostazioni browser, etc.). Tuttavia, a pensar male, chi controlla che tali applicazioni non facciano il doppio gioco o archivino a loro volta i nostri dati, come facevano (fanno?) alcuni antivirus?
Sicuramente, se mettiamo in rete una nostra foto pensando che basti cancellarla dal nostro profilo per esser certi che non sia più in giro, o non sia stata già scaricata, copiata e magari modificata da qualcuno, significa che non abbiamo ben chiare le potenzialità (minime) dello strumento che usiamo (dall'opzione "cattura schermo", che ha da tempo un apposito tasto sulle tastiere, ad altre potenzialità più invadenti, seppur più impegnative di pigiare un tasto). Più lo strumento è complesso e più l'uso consapevole richiede (in)formazione.

Di altra categoria sono gli algoritmi per usi privati, quelli inaccessibili direttamente da noi utenti generici, che, oltre a sfruttare al meglio le ultime tecnologie, non ci lasciano scelta di impostazione (perché spesso neanche li conosciamo), pur interagendo con la nostra vita: la polizia predittiva ormai è una realta anche in Italia ed è noto da tempo che persino un banale campanello comprato su amazon può risultare "infame" sino a evocare distopie da Panopticon. Chiaramente algoritmi e IA prospettano vantaggi strumentali per l'uomo, dallo scoprire una nuova catalisi al prevedere picchi di Covid, ma tutto ciò comporta che gli siano dati in pasto (big) dati, alcuni dei quali inevitabilmente sconfinano in questioni di privacy, diritto all'oblio e aspetti non totalmente padroneggiati della propria esistenza online (onlife come direbbe Floridi).
Con questa seconda categoria di algoritmi, si tratta ancor più di un problematico compromesso fra il supportare l'efficacia degli algoritmi, a vantaggio dei suoi utenti (diretti o indiretti) e l'"eticità" della condivisione di informazioni che i programmi fagocitano per funzionare efficacemente (ricordando che dietro ogni machine learning c'è la spinta programmatica dello human teaching).
#1196
Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Contrapporre bisogni primari individuali all'etica sociale è una fallacia individualistica priva di fondamento.
Non mi sembra d'aver contrapposto i bisogni primari alle etiche sociali (pur distinguendoli), ho solo (di)mostrato che i primi non fondano le seconde (@viator: che non significa certo negare che i bisogni primari siano tali per ogni uomo e che per agire eticamente dobbiamo anzitutto mantenerci vivi).
Evitata la questione del fondamento dei valori (che danno un senso ai rispettivi giudizi etici), il discorso può pure dipanarsi fra storia, antropologia e individuale interpretazione etica di fatti più o meno recenti (perché l'etica, nella prassi, è sempre individuale: nonostante mille influenze e condizionamenti esterni, sono singolarmente io a compiere ogni scelta e ad esserne responsabile... senza voler innescare qui la consueta polveriera sul libero arbitrio).

Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2020, 07:34:20 AM
Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi [...] al delirio che antepone i principi ai fatti non si può porre alcun argine razionale, ma allora non chiamiamola etica (variamente alternativa). Chiamiamola demenza.
«Se l'etica è saldamente fondata sulla conoscenza della natura e dei suoi processi»(cit.) siamo ancora in piena fallacia naturalistica, confondendo descrizioni oggettive e prescrizioni soggettive, leggi della natura e leggi sociali, bisogni e valori, etc.; l'etica può considerare i processi naturali, ma non può fondarvisi (almeno fino a prova contraria, vedi p.s.). Inoltre, il «delirio che antepone i principi ai fatti»(cit.) mi pare ben rappresentato da ogni etica storicamente esistita, poiché i principi condizionano da sempre i fatti umani (basti pensare alle leggi che ci governano), individuali e sociali (ma non condizionano i bisogni fisiologici, che in quanto naturali sono innati).


P.s.
Le due simulazioni, quella dell'assetato di viator e quella del treno (come l'allusione ai migranti), richiedevano come risposta semplicemente un'applicazione esemplificativa di un'etica che si dimostrasse fondata sui bisogni primari (non la sola formulazione di un giudizio etico che lasciasse impliciti i suoi fondamenti, seppur facilmente intuibili come differenti dai bisogni primari). Comunque, secondo me, anche il non voler esporre, a chi lo richiede, il "funzionamento" della propria etica, è a sua volta una scelta di "etica del discorso" (anche questa fondata sui bisogni primari? perdonate il vizio del domandare).
#1197
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 18:46:16 PM
Secondo me non è il caso di affannarsi. Saranno i bisogni primari a confezionare le nostre etiche ed a presentarcele silenziosamente
Intendere per «etica» le modalità comportamentali di soddisfare i propri bisogni primari, significa non riconoscerle lo statuto di ponte relazionale con l'altro uomo. Il momento in cui i suoi bisogni primari confliggono con i miei, o siamo chiamati ad organizzarci per coordinare la soddisfazione dei nostri bisogni in quanto comunità, è il momento in cui l'etica filosofica diventa un fattore importante (e, appunto, l'appello ai bisogni primari, in quanto esclusivamente biologici, non fonda direttamente nessun valore etico; vedi suddetta fallacia naturalistica e vedi esempio migranti).
Detto più semplicemente: aprire il frigo se ho fame, non è una scelta di tipo etico; invece, quando uno sconosciuto mi chiede di comprargli una bottiglia d'acqua perché ha sete ma non ha i soldi, cosa mi suggerisce l'etica fondata sui bisogni primari? Non entrano forse in gioco soprattutto valori etici con differente fondamento?


Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 20:13:51 PM
... responsabilità di fronte alla procreazione in un pianeta che non ha più terre vergini - o ritenute tali a danno degli sfortunati autoctoni - da conquistare al grido di mors tua vita mea Dio lo vuole. Oggi è: mors tua mors mea e nessun autoctono è più disposto a soccombere.
Eppure, correggimi se sbaglio, la cronaca e i numeri ci parlano di popolazioni in cui si continua a procreare irresponsabilmente (spoiler: non solo al di là del Mediterraneo). Comunque, la questione di cui si parlava (in ossequio al titolo) era quella del fondamento: se un'etica è fondata sui bisogni primari, il controllo delle nascite, che nella prassi (mi si perdoni il disincanto) si traduce solitamente non con l'utopica responsabilizzazione planetaria dei singoli, ma con coercizioni governative, è un non sequitur. Non perché non sia ragionevole fare calcoli su numero di abitanti, risorse disponibili, proiezioni statistiche, etc. ma perché la lettura etica di tutto ciò non è univoca e dirimente a partire dai bisogni primari, bensì (semmai) basandosi su altri valori etici (altamente interpretabili e opinabili) come quello della procreazione, della sostenibilità, etc. (anche se Niko ha giustamente ricordato che l'istinto materno e paterno sono comunque biologici).
Semplificando con un esperimento mentale: se fossimo su un treno in corsa, non sono sicuro sarebbero i bisogni primari a mettere assolutamente d'accordo chi vuole godersi il viaggio (procreando e in altro modo) sapendo che morirà di vecchiaia prima che il treno deragli per l'eccessivo peso a bordo, e chi invece non vuole sovraffollare il treno, preoccupato che le generazioni future si trovino coinvolte nel deragliamento e consiglia quindi di "calmierare" le nascite.
Ribadisco che ne faccio un discorso sui fondamenti dell'etica, non su quale scelta sia preferibile o più giusta, secondo la propria etica (già "fondata").
#1198
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Su quale altro solido fondamento che non siano i bisogni primari, con la loro irrevocabile assolutezza, è possibile fondare ragionevolmente l'ethos, anche nel caso li vogliamo derubricare a minimo sindacale ?
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo (entrambi, concorderai, fondamenti contenutisticamente tutt'altro che assoluti). Per questo molti si sentono a disagio di fronte alla debolezza dal nichilismo, dal relativismo, etc. manca quel fondamento solido, rassicurante e, soprattutto, normativo, che una volta rendeva chiara (seppur non sempre agevole) la direzione da prendere.
Viceversa, fondare un'etica sui bisogni primari è più difficile di quel che sembra:
Citazione di: Ipazia il 24 Agosto 2020, 16:22:37 PM
Anche le questioni portuali si risolverebbero se gli umani prolificassero solo coloro che possono nutrire.
pianificare la procreazione (sorvolando sulla sua presunta pertinenza con la questione dei migranti) è un "valore" che già va ben oltre i bisogni primari: la sua applicazione presuppone di fatto un'ingerenza normativa del potere centrale nelle abitudini sessuali della popolazione. Calcoli della quantità di prole in base all'Isee e/o in base al contratto di lavoro? Magari risulta un ragionevole e condivisibile "interventismo etico" per il bene di tutti, ma siamo tutti "democraticamente" concordi? Per rispondere, risolvendo eventuali dissensi, fare appello all'indubitabilità dei bisogni primari non mi pare affatto sufficiente (a ulteriore dimostrazione di come la presunta "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari" si incagli, nella prassi, con le differenti prospettive etiche di coloro che, nonostante tutto, condividono gli stessi bisogni primari).
#1199
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).
Nessuno scandalo, si tratta solo di rispettare la differenza, comunemente accettata, fra i vari rami della filosofia (con le rispettive categorie): per quanto riguarda il cosmo inanimato, restando nel recinto filosofico, non si parla di etica, ma di gnoseologia/epistemologia; nel caso delle divinità, si parla perlopiù di metafisica o teologia (il tutto, inevitabilmente, da un punto di vista umano).
Sull'opinione che
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.
temo si confonda la speculazione filosofica con la narrativa (e la fanta-scienza) o con la "cattiva" abitudine di parlare senza cognizione di causa, abitudine che la filosofia stessa osteggia da tempi immemori (fermo restando che speculare filosoficamente non significa banalmente esplicitare il proprio punto di vista su qualunque argomento).
#1200
Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario
Non intendo cancellare l'assoluto, anzi, proprio partendo dal suo saldo posto (e significato) nel dizionario filosofico, mi ritrovo per ironia del destino a difenderlo da un uso inflazionato e banalizzante che non si avvede dell'inattualità su cui verte: vero che la sua etimologia ultimamente gli complica la vita, ma non credo vada necessariamente mantenuto sulla scena filosofica (in altri ambiti non è osì) svalutato a mero rafforzativo, psicologico o linguistico che sia, soprattutto se generico, colloquiale e ridondante.

Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
Fuori dalla filosofia, ho già fatto esempi parlando di record e zeri, a cui aggiungo: perché «valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno»? «Vitale» non rende meglio l'idea, se parliamo di bisogni primari? L'espressione «valore assoluto»: può essere usata in matematica, in etica, in biologia (come nel tuo esempio), etc. e la sua ambiguità va poi risolta con ulteriori dettagli e contestualizzazioni. «Valore Necessità vitale» difficilmente potrà essere usata anche in matematica e in etica (metafore a parte), mentre la biologia ce ne spiega i motivi e lo fa, da scienza esatta, senza sbandierare assoluti.
La "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari", rischia di non fare i conti con le difficoltà poste dalla complessità dei rapporti sociali: non sono i bisogni primari ad essere il problema delle etiche, ma tutto il castello di strutture e sovrastrutture in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad orientarsi per soddisfarli. Secondo me, i bisogni primari non sono il fondamento dell'etica, ne sono semmai il traguardo minimo, dai tempi delle caverne (almeno stando all'etica più empatica e diffusa). A complicare il tutto, oggi sono etiche anche molte questioni che prescindono da pane, acqua e un'ora d'aria (che non sono comunque garantiti ovunque nel mondo).

D'altronde che l'etica non si risolva in automatico con "è bene dare cibo, acqua e aria al nostro prossimo", credo lo dimostrino numerose questioni portuali che ben conosciamo (senza voler entrare nel merito, ma tutto il dibattito filosofico, non politico, sul tema in questione credo sia un buon esempio della non "facilità" della questione).



Citazione di: Jacopus il 24 Agosto 2020, 00:03:55 AM
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
In fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).



Citazione di: niko il 24 Agosto 2020, 10:11:14 AM
Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico.
Al di qua degli spunti sul transumanesimo, osserverei che l'etica stessa è una sottofunzione del pensiero-linguaggio, prima di diventare prassi sociale; per questo può essere assolutizzata solo radicandola nei cieli degli dei, per chi ci crede, o va rinvenuta nella sua frammentazione plurale dei differenti contesti culturali, fino ad annidarsi nelle prospettive individuali (il riconoscere che abbiamo tutti gli stessi bisogni e un innato attaccamento alla vita, di per sé, non fonda né il bene né il male, se non si indulge nella fallacia naturalistica).