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Messaggi - Kobayashi

#121
Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2022, 21:24:29 PM
Fatte le debite attenzioni va, però, nuovamente ribadita la distinzione fra verità "fisica" e verità "etica". Infatti nel primo caso è difficile trovare argomenti a contrario rispetto al fatto che la forza di gravità è una realtà "vera". Anche nel caso in cui non vi fosse condivisione e gli scienziati pensassero che la gravità sia causata da una potente calamita posta sotto il monte Bianco, sarebbe sempre la massa del pianeta Terra a determinare la forza di gravità. Quella realtà esiste indipendentemente da come viene descritta.
Qui ritorni però alla tendenza all'oggettivazione della scienza.
L'unica cosa che esiste e continuerà a esistere è il fenomeno della caduta di una cosa.
La spiegazione scientifica di tale fenomeno, ovvero che la massa della Terra esercita una forza di attrazione, è un'interpretazione che nel futuro sarà sostituita da altri racconti, in concomitanza con cambi di paradigma della fisica.
Ciò che conta per la scienza è la validità operativa della formula. Questa rimarrà anche dopo eventuali cambi di paradigma. Ma una formula non è una spiegazione, non è l'esposizione del significato del fenomeno che si sta studiando.
Questo per dire quanto la scienza sia contemporaneamente potente nel calcolo e ottusa nella comprensione.

Secondo me il problema dell'ambiguità del concetto di verità sta nel fatto che tradizionalmente la ricerca del sapere si è svolta cercando di capire che cos'è un certo fenomeno, che cos'è la sua essenza.
E i fenomeni apparentemente permanenti dovevano avere per forza un'essenza altrettanto permanente. Quindi eterna, universale etc.
I greci, che hanno sviscerato la cosa fino alla follia, avevano però una concezione del tempo ciclica. Erano ossessionati dal rapporto divenire-essere, cioè dal rapporto tra il continuo processo di trasformazione della natura e il fatto che da essa continuino a venir fuori cose identiche (o meglio simili).
Con la tradizione giudaico-cristiana ci siamo abituati alla concezione lineare del tempo, e all'idea di sviluppo, di evoluzione.
Questo ha avuto un impatto sia per quanto riguarda il modo di interpretare la storia che la natura. Ora "sappiamo" che i modi di vivere hanno subito radicali cambiamenti, e non c'è nulla che faccia pensare che non possano continuare a mutare.
Ora "sappiamo" che la natura stessa, le sue forme, sono cambiate nel corso dei millenni, e che continueranno a farlo.
Ma nello stesso tempo abbiamo a che fare con un concetto di verità che nel tempo ha accumulato varie stratificazioni, e continua a mantenere in se' quel rimando alle essenze eterne accanto all'accezione relativamente recente di interpretazione (personale o genericamente pubblica, convalidata dal sapere pubblico).
#122
Tematiche Filosofiche / Astrazione.
19 Gennaio 2022, 08:44:40 AM
Ma comprendere non è "rendere noto ciò che è ignoto"?
E come si fa a trasformare qualcosa di ignoto in qualcosa di noto, appunto di comprensibile per noi?
Se ci imbattessimo in un manufatto alieno potremmo descriverlo attentamente con le nostre percezioni sensoriali o con le minuziose misurazioni scientifiche, ciò non toglie che quella cosa rimarrebbe ignota, incomprensibile.
A meno di riuscire ad interpretarla attraverso i concetti della nostra civiltà. Una traduzione, o se vogliamo, un mascheramento.
La scienza procede nella sua storia dalle metafore più semplici ai modelli astratti più complessi, e con ciò mostra di preferire alla comprensione umana del fenomeno il suo calcolo, la sua manipolazione.
Pensare che un maggiore controllo e calcolabilità di un fenomeno tramite un modello super-astratto significhi di conseguenza essere più vicino alla verità di quel fenomeno, è semplicemente sbagliato.
#123
[Non sono un discepolo di Nietzsche, è green demetr in apertura di questo topic ad aver dichiarato che N. è il suo maestro e che solo lui è in grado di comprenderlo appieno.
In attesa quindi che il discepolo prediletto prenda le sue difese, propongo alcune argomentazioni più o meno in linea con il pensiero di N. per contrastare gli assalti metafisici di Paul]


Cit. Paul: "Se la ragione non è extra naturale dovete spiegarne l'origine, tu e Nietzsche...
io i ragionamenti non li trovo come i fiori e animali, nei prati"


Invece credo che dovresti essere tu a spiegarne l'origine, se ritieni che la ragione trascende la natura... Ma comunque se è vero che i ragionamenti non si trovano sugli alberi, è anche vero che non sono un prodotto angelico, ma sono intrisi di desiderio, di passioni, di interessi.
Il metafisico deve mettere in scena una complessa finzione, solo così può creare il suo sistema: deve fingere di essere un soggetto permanente, che non subisce cambiamenti, deviazioni di giudizio, deve fingere che la ragione non è uno strumento utile paragonabile all'istinto dell'animale ma qualcosa che porta a verità universali che trascendono la vita (ma le verità che cinquemila anni fa erano considerate tali ora ci fanno ridere... fra altri cinquemila anni probabile che si riderà di ciò che oggi consideriamo certo).
Se questa messa in scena è la filosofia, allora sì, Nietzsche non è un filosofo...

cit. Paul: "Tutti hanno vita nei regni vegetale e animale, non si capisce all'ameba o ad un protozoo o al covid-19 dove si trovi la ragione. O c'è o non c'è e se c'è allora significa che la natura è teleologica, cioè ha uno scopo interno, in quanto la conoscenza è togliere ignoranza".

Beh, la ragione è un prodotto del cervello degli uomini, che ha offerto loro i vantaggi straordinari che li hanno resi gli animali più potenti e pericolosi. Sono poi gli stessi uomini a inventarsi la storia mitologica del logos, come se fosse possibile trascendere il proprio punto di vista umano e guardare tutto dall'alto come gli dei.

Cit. Paul: "E' un paradosso che colui che ritiene di non avere morale giudichi la storia umana. Quale mai sarebbe il parametro di giudizio giudicante di Nietzsche?".

A N. interessa spiegare la storia e la vicenda fisiologica di un valore, di un precetto morale, in modo che si realizzino due cose:
a) liberazione da quel valore che è sentito come un peso, come un meccanismo di assoggettamento (e va notato che la ricostruzione storica di tale valore può avvenire solo se già ci si sente distanti da tale valore, e lo si guarda come un problema);
b) e dopo l'epurazione ecco il momento positivo, cioè creare il proprio ideale, diventare legislatore di se stessi. La presenza di una positività, di un'offerta filosofica, diciamo così, secondo molti interpreti è un punto debole del pensiero di N., il quale non sarebbe andato al di là di una critica distruttiva. Invece bisogna capire che N. proprio in coerenza con il suo pensiero può essere al massimo l'"accompagnatore spirituale" di coloro che vogliono liberarsi dai precetti delle morali tradizionali e, arrivando a conoscere realmente se stessi, diventare quindi i legislatori di se stessi. Ma queste legislazioni non possono essere che singole, non possono che valere solo per il singolo individuo [su tutto ciò, il brano n.335, "Lode alla fisica!", in "La gaia scienza"].
#124
Interpretazione molto interessante quella di Severino ma devo dire che la prima impressione è che esprima qualcosa di opposto allo spirito dei due brani più noti in cui Nietzsche parla dell'eterno ritorno ("Il peso più grande" [341] in "La gaia scienza" e "La visione e l'enigma" dello "Zarathustra").
Mi riferisco all'aspetto dell'eterno ritorno in quanto prova per capire fino a che punto si è pronti a dire sì alla vita. Prova che naturalmente se viene meno la "maledizione" della ripetizione all'infinito dello stesso istante perde completamente di senso, anzi, nell'ipotesi di poter cambiare la storia, e quindi anche la propria vicenda umana passata (ma poi come?), la singola azione non diventa troppo leggera?
Se poi il cambiare il passato viene inteso come semplice reinterpretazione della propria storia non mi sembra che la cosa abbia grande profondità filosofica: è infatti qualcosa che facciamo continuamente...
Ma devo leggere il testo di Severino per capirci qualcosa... mi riprometto di farlo nei prossimi mesi.
#125
Citazione di: paul11 il 11 Gennaio 2022, 00:45:25 AM
1) Nietzsche non si pone il problema di come l'universo si sia costituito, lo prende come dato di fatto ,da non considerare l'origine dell'universo.
2) E' la ragione, la facoltà intellettiva il discrimine che origina la morale. L'uomo "ragionevole" per Nietzsche non è morale: e questo è un enorme errore. Si dice infatti che la natura ,gli animali privi di ragione ,non siano morali, l'uomo non è identico alla natura e Nietzsche daccapo non capisce la differenza fra natura e cultura.Non la supera affatto ,non avendola compresa.
3) l'irresponsabilità nasce dalla considerazione che non essendovi morale l'uomo non è responsabile degli effetti delle azioni, ma non solo l'uomo non ha una libera volontà.
Apre al concetto utilitaristico moderno che surroga la morale. Nietzsche è un conformista, altro che profeta rivoluzionario.
4) l'uomo saggio di Nietzsche è un vaneggiamento privo di fondamenta ragionevoli. Cosa significa saggio? Socrate e Platone lo definiscono al contrario di Nietzsche, in quanto uomo di conoscenza, di morale e di responsabilità.
5) Nietzsche è convinto di una evoluzione progressista, daccapo questo è conformismo positivista, in cui sono caduti tutti gli pseudo rivoluzionari moderni (che infatti non sono riusciti a cambiare di un niente il sistema cultur tecnico moderno), compreso lui stesso.
6) sono d'accordo sull'innocente se Nietzsche lo interpretasse come originaria condizione umana.
L'uomo non soffre sulla Terra per un peccato  originario di disobbedienza, è privo di senso, è illogico il racconto di un Adamo che espierà con tutto il genere umano futuro, la condizione di disobbedienza.
L'uomo è innocente, poichè non ha creato le sue condizioni esistenziali: su questo sono d'accordo se Nietzsche intendesse questo.
L'uomo sula Terra non deve espiare nulla, l'uomo non ha colpe.

Dal momento che non indichi la numerazione dei brani da cui trai le citazioni, risponderò alle tue osservazioni riferendomi in generale al pensiero di Nietzsche, non specificatamente al testo di "Umano, troppo umano".

1) A parte il fatto che ci si potrebbe chiedere se non sia il caso di smetterla di farsi domande sull'Origine visto che non possono avere risposta, domande che vengono fatte al solo scopo di recuperare qualcosa della tradizione metafisica e religiosa, la risposta di N. all'interrogativo cosmologico è ovviamente l'ipotesi dell'eterno ritorno: un eterno processo di creazione e distruzione di mondi, che nei tempi infiniti non potrà che "rivomitare" questo mondo tale e quale, perché nei tempi infiniti ogni cosa possibile, anche se fortemente improbabile, finisce per trovare compimento.
Una concezione quindi ciclica del tempo e una concezione del divenire inteso come processo perpetuo, che continua a produrre cose, creature, generazioni di creature, senza un perché.

2) La cultura (e la morale in quanto cultura, in quanto costumi, convenzioni che si formano nello sviluppo delle civiltà) è prodotta dalla natura dell'uomo essenzialmente per effetto della tendenza di ciascuno al rafforzamento, all'incremento di dominio (volontà di potenza).
La ragione per N. non è qualcosa di extra-naturale. Non esiste conoscenza disinteressata. Non esiste un soggetto puro della conoscenza.
La conoscenza all'inizio produce errori in funzione della vita. Lavora per la vita. Essere diventati veritieri, e quindi scettici (per effetto di una certa rettitudine nell'analisi minuziosa di ogni idea alimentata soprattutto dal cristianesimo), apre la fase dell'umanità (gli ultimi secoli) in cui il pensiero va contro la vita.

3) N. pensatore conformista? Questa mi mancava...

5) L'utilitarismo viene confutato da N. nell'aforisma 4 de "La gaia scienza", e nella prima dissertazione della "Genealogia della morale".
L'idea di progresso intesa come processo di miglioramento è radicalmente criticata da N. C'è sì evoluzione, cioè trasformazione, ma non c'è nulla che faccia pensare ad un miglioramento, se non il giudizio di valore positivo che si dà istintivamente al punto in cui è colui che giudica.
Non confondiamo un certo atteggiamento illuministico (finalizzato essenzialmente a separarsi definitivamente dall'ambiente neo-romantico di Wagner e discepoli) con la fede nell'idea illuministica e positivista di progresso, di crescita, miglioramento dell'umanità.
#126
Da notare quanto sia paradossale l'argomentazione secondo cui si potrebbe dimostrare la realtà di una dimensione spirituale partendo dall'ipotesi che il contenuto di un delirio psicotico abbia un valore conoscitivo.
Cioè, la verità di un certo mondo spirituale viene dimostrato dai contenuti della follia...
Assurdo, ma in fondo coerente con la nostra tradizione.
Basta pensare al sogno, da sempre considerato come un'esperienza che può dire qualcosa di vero, perché non sono io che scelgo il contenuto del sogno, e venendo da un altro luogo (dagli dei o dall'inconscio, in ogni caso non dalla creatività del mio Io) è come se avesse, almeno potenzialmente, un'intimità con la verità, o con i luoghi in cui si produce la verità.

Ma esiste un'altra possibile relazione tra delirio e religione. Si deve tornare a ciò che ha scritto daniele22: la psicosi come liberazione dalle menzogne delle convenzioni, come sincerità che stravolge il nostro modo di vivere, che spesso nasconde l'essenziale dietro ad abitudini più o meno vigliacche o finalizzate ad uno stato di narcosi così da poter vivere come se non si fosse vivi, e quindi al riparo dal dolore.
È quello che si vede nei "pazzi in Cristo", figure bizzarre della Russia spirituale, oppure in Francesco d'Assisi (prima che fosse costretto a diventare simbolo della Chiesa) quando era un giullare di Dio, un buffone, un mentecatto (perché così era considerato dai cittadini di Assisi).
Ma anche qui ancora il paradosso: una liberazione di se' che si realizza tramite la religione. La religione che non viene vissuta come un legare (="religio") se stessi ad una dottrina, ad una sapienza, ma come uno strumento di liberazione dagli assoggettamenti della società, dalla menzogna.
#127
Citazione di: viator il 06 Gennaio 2022, 19:20:07 PM
Non sono però d'accordo sul fatto che tu debba scegliere ed impegnarti nel- e per- MOSTRARE caritatevolezza.
La scelta dovrebbe essere basata sull'etica (il comportamento deciso personalmente all'interno della propria intimità coscenziale) e non sulla sua possibile aderenza ad una morale

Ma tu, nel quesito iniziale avevi chiesto proprio questo. Infatti si legge:

Citazione di: viator il 05 Gennaio 2022, 18:02:03 PM
Secondo Voi, ai fini dell'esercizio della carità cristiana o laica, sarebbe più meritorio salvare un singolo parente non comunque lontano dal termine naturale della propria esistenza.........oppure assicurare un futuro vitale a 300 giovanissime esistenze ?

Io ho risposto in base ad una certa concezione di carità. Credevo che tuo interesse fosse mettere alla prova l'esercizio della carità, non la nostra coscienza.
Nella carità cristiana si deve tenere in considerazione l'invito di Gesù a dimenticare (rinnegare) i legami familiari. Invito che impone l'importanza del disinteresse, del fatto che mostro di avere cura per chi non può darmi nulla, anche a livello affettivo, o al limite che può darmi solo odio (l'invito ad amare i propri nemici).
#128
Leggendo gli ultimi post mi è tornato in mente il lungo brano 55 della "Volontà di potenza" di Nietzsche.
Più o meno ecco il suo ragionamento.

Ogni morale, ogni concezione religiosa, servono a rafforzare coloro che hanno meno potere e sono quindi più soggetti alle ingiustizie. In certi periodi della storia dell'umanità la miseria e la disperazione sono state così intense che l'unico modo per sopportare l'esistenza era quello di attaccarsi a idee estreme, ardite, impossibili.
C'è in questa creatività qualcosa di notevole. Ma questa creatività ha la stessa natura della forza che spinge i più forti a combattere per predare e appropriarsi di ciò che desiderano: sete di dominio, volontà di aumentare la propria potenza.
Cosa rimarrebbe alla vittima se smettesse di sentirsi dalla parte della giustizia, del bene comune, e si rendesse conto invece di non essere su un piano diverso da quello dei potenti, fino a quel momento giudicati come i malvagi per eccellenza?
Sarebbe annientata. Esposta al pericolo di forze che non può dominare vedrebbe l'esistenza solo come un nauseante ed eterno processo privo di senso.
Per questo motivo la tendenza rimane quella di difendersi tramite le idee di morale e religione.
Oppure ci si difende attaccandosi alle proprie piccole sicurezze, alle proprie abitudini, al proprio benessere. A parole si è scettici, nichilisti, nel concreto si è piccoli uomini, uomini di paglia.
Ma chi riuscirà a dire sì alla vita senza cadere nella tentazione di morale e religione (nelle forme più diverse come quelle del progresso, dello scientismo etc.), o in quella del rimpicciolire l'esistenza?
L'uomo capace di ammettere, anzi accettare con gioia che nella vita ci sia una bella componente di casualità, assurdità, non senso.

Ora, il mio dubbio: un uomo del genere è stato veramente messo alla prova nel dolore? Non si tratta semplicemente di un uomo fortunato, che quindi può permettersi di affrontare le sfide della vita con una certa leggerezza e con il gusto per l'esperimento?

L'oltre-uomo nietzscheano è un'immagine limite che ha la funzione di aiutarci a non indietreggiare per cercare conforto nelle idee di morale e religione, e di spingerci a perseverare nel tentativo di dire sì alla vita.
Da questo punto di vista Nietzsche stesso ha dovuto, in un certo senso, estremizzare il suo ruolo di filosofo, l'importanza per se stesso della conoscenza, per poter sopportare la sua di vita, per poter dire sì al suo di destino, per non essere travolto dalla nausea.
Un sotterfugio, una maschera, diciamo così...
#129
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 06 Gennaio 2022, 08:21:23 AM
Io credo che l'evoluzione abbia avuto inizio e quindi perché mai non dovrebbe avere un punto di arrivo? Perché mai non potrebbe esserci tra x anni una perfezione? In ogni caso io mi riferisco alla perfezione come umanità e non come singolo. Su Kasparov non mi pronuncio, visto che non ho letto il libro.

Se lasciamo perdere l'evoluzione biologica dell'uomo e ci riferiamo all'umanità nel senso di insieme di popolazioni, allora bisognerebbe chiedersi quale sia la forza che dovrebbe indurre alla compensazione dei propri limiti tramite le virtù dell'altro, e viceversa.
A che cosa si dovrebbe questa spinta?
L'essere umano dimostra in ogni circostanza di non avere naturalmente una propensione all'equilibrio e a questo genere di compensazione "altruistica".
Solo l'indottrinamento di un'ideologia o di una religione o di una morale può condurre per esempio il ricco a dividere le proprie risorse con i poveri, o spingere una persona a fare lo sforzo di mettere in comune le proprie capacità.
Quindi si tratterebbe di un processo di perfezionamento (se questa tendenza all'equilibrio viene intesa come perfezionamento) che andrebbe guidato, alimentato in qualche modo.
Si dovrebbe verificare un cambiamento radicale dell'umanità. E questo proprio in un periodo in cui l'individualismo domina, e dove anche morale e religione non sono più in grado di scalfire l'idolatria del benessere...
#130
Citazione di: Jacopus il 04 Gennaio 2022, 21:45:13 PM
Ti consiglio un libro e un autore molto interessante. Telmo Pievani, Imperfezione, Cortina editore. La sua tesi è che l'imperfezione è il motore dell'evoluzione della vita. Non può esserci vita senza imperfezione, perchè l'imperfezione trasmuta i viventi e prova nuovi modi vitali. Non è propriamente la tua tesi ma è comunque interessante concepire la nostra vita cosiddetta "perfetta", dipendere dalle imperfezioni. Ascolta l'esempio iniziale che riguarda lo scontro fra Kasparov e il Computer intelligente.


https://www.youtube.com/watch?v=j7Nu01PuT_I

Con i termini perfezione-imperfezione a me sembra che l'evoluzionista faccia rientrare dalla finestra ciò che aveva cacciato a calci dalla porta: ovvero il finalismo.
A meno di intendere "perfezionamento" come passaggio ad una maggiore capacità di sopravvivenza.
Ma l'insistenza su un termine come "perfezione", che implica un'immagine di modello completo, compiuto nel suo sviluppo, è sintomatico del fatto che si vuole rifuggire da una visione scientifica dell'evoluzione (un processo puramente casuale risultante dall'incontro di pressioni ambientali con le mutazioni genetiche casuali) per introdurre qualcosa di più umano.

Ambigue anche le osservazioni che fa su Kasparov-deep blue. Kasparov avrebbe sfruttato le sue imperfezioni di calcolo? È un'imperfezione non essere un computer?
In realtà l'uso che fa Kasparov di strategie di gioco imprevedibili sono lo sfruttamento non di imperfezioni ma di armi che la mente umana ha a disposizione: perché dovrebbero essere viste come compensazioni di limiti se non di fronte all'immagine della macchina presa come espressione della perfezione?
#131
In realtà il quesito è abbastanza semplice.
Tu chiedi che cosa fare "ai fini dell'esercizio della carità", se salvare i bambini o aiutare il parente malato.
L'esercizio della carità implica sacrificio di se' e vantaggio massimo per gli altri.
Nell'ipotesi che il parente malato fosse in realtà per me una persona lontana, quasi un estraneo, la scelta sarebbe dettata dall'aritmetica: 300 bambini contro un adulto, quindi i bambini.
Se il parente malato invece fosse una persona per me molto importante, scegliendolo non sacrificherei nulla di me, non si potrebbe nemmeno parlare di azione altruistica, perché ovviamente sarebbe come aiutare qualcosa che sconfina con la mia vita.
Dunque anche in questo caso (soprattutto in questo caso!), per essere veramente caritatevole, e quindi per mostrare abnegazione, disinteresse, sacrificio di se', dovrei scegliere i bambini.
#132
Citazione di: green demetr il 31 Dicembre 2021, 19:49:21 PM
Citazione di: Kobayashi il 26 Dicembre 2021, 07:13:47 AM
o pratiche sanitarie di evidente e ovvia ragionevolezza.


Evidente? Ovvia?  ???


Vedi è quello il punto: è inutile porsi delle pratiche per un pensiero sovversivo (fatto di passegiate in montagna?) senza porsi il problema di quale sia il tuo soggetto, e per quale motivo consideri ovvie ed evidenti pratiche sanitarie, evidentemente di carattere politico (e non il contrario come tu affermi, denotando senza paura di smentita qualsiasi accezione di ragionevolezze, ma una semplice mimesi, la tua, del potere).


E' inutile dirsi contro il potere e poi sostenerlo come anche Focault (o Zizek etc..) faceva (e lo faceva frequentando Sartre e co.)


No prima è necessaria, una pratica della desoggetivazione, la cui etica conseguente, è appunto la genealogia.
Non esiste una genealogia senza una pratica della de-soggetivazione.
Ossia senza una cura emotiva della ragione, ed è questo che si evidenzia come errore fondamentale della filosofia in toto.
Mi chiedo se qualcuno ci abbia mai pensato.(intendo filosofi, essendo la letteratura il tentativo verso quella forma di cura, laddove è grande chiaro, e quindi in pochissimi autori).


Foucault dal 1979 fino alla morte si è occupato del potere non come forza esercitata dall'esterno ma come dispositivi che agiscono nell'interiorità, come autocontrollo che l'individuo stesso mette in atto sentendo che una verità condivisa pretende da lui l'esercizio di una certa performance.
Dalla pratica cristiana della continua riflessione su di se', della continua confessione, fino alla figura dell'imprenditore di se stesso che cerca di migliorare la propria efficienza, o degli individui che in continuazione cercano di programmare miglioramenti etc.
Analizzare ciò, farne delle genealogia minuziose, serve ad essere poi in grado di prendere distanza da questi dispositivi per essere più liberi.
Nietzsche direbbe: conoscere queste strategie, queste potenze, in modo da rendere possibile lo spirito libero.
Si tratta di un atteggiamento che si può definire politico, o etico, quello che si vuole, l'importante è capire che in questa ermeneutica del soggetto, che appare all'inizio come profondità, come spiritualità, bisogna saper vedere il dispositivo di controllo che ti impone di cambiare, di migliorare.
Nell'antichità greco-romana invece, secondo Foucault, non è presente questa ossessione della riflessione su di se' finalizzata al raggiungimento della propria verità, alla propria autenticità, ma si tratta piuttosto soltanto di addestrarsi per essere più autonomi, più forti, e quindi più liberi.
Una differenza importante tra cristianesimo e antichità pagana dal punto di vista degli esercizi spirituali.

Detto questo, mi sembra talmente insensato quello che dici su una presunta tendenza di Foucault a riappropriarsi di un qualche potere, per non parlare dell'idiozia di averlo messo nella cricca di Sartre (quando alcuni critici hanno valutato la direzione del suo pensiero proprio come una reazione al moralismo di Sartre), che non c'è molto da dire se non che alla lunga una discussione che si basa sui fraintendimenti generati dall'ignoranza di uno che costringono l'altro a continue spiegazioni si rivela essere spiacevole.
Come è spiacevole e meschino mettere insieme un riferimento attinente le possibilità di sovvertimento della filosofia con la normalità o banalità della mia vita privata.
Ma avendoti conosciuto la cosa non mi sorprende.
#133
Sia gli argomenti a favore che quelli contrari si basano su un vuoto di conoscenza.
Quelli a favore sul vuoto attinente la comprensione umana della natura e della materia vivente.
Quelli contro sul vuoto attinente l'essenza di Dio, la sua natura.
In pratica se siamo portati a interpretare le religioni arcaiche come il frutto di ingenuità scientifiche, di errori della conoscenza, non si vede perché le nostre congetture, che nascono esse stesse, come evidenziato, da ignoranza, dovrebbero essere prese maggiormente sul serio.

La meno felice delle ipotesi contro Dio è quella della presenza della sofferenza nella vita. Si vede proprio il processo interpretativo umano che prima si affida a un Dio buono per trovare una salvezza materialmente impossibile, e poi, nelle successive epoche più potenti e più insofferenti al dolore, incapaci del martirio, rinnegare tutto, e cambiare fede, e rivolgersi alla scienza e alla sua farmacologia.   

Naturalmente fare congetture è legittimo. Ma avere un approccio razionalista su tali congetture porta, come è accaduto storicamente, ineluttabilmente all'ateismo.
Ma l'esercizio di una spiritualità religiosa non deve necessariamente dipendere dal peso delle argomentazioni a favore dell'esistenza di Dio. È sufficiente un'affinità personale con i contenuti di questa spiritualità.
#134
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
31 Dicembre 2021, 09:58:46 AM
Ma se facciamo la storia di questa polarizzazione, ci rendiamo conto che all'inizio non c'era alcun veleno. Da un certo punto in poi, dalla critica dei rimedi messi in atto per cercare di arginare la diffusione del virus, si è passati ad un esercizio assurdo: ovvero pensare che anche sui fatti, sui dati (più o meno accurati) ci possano essere versioni completamente alternative.
Per esempio un conto è dare una valutazione radicalmente divergente rispetto all'informazione mainstream su un personaggio come Putin. Un conto è mettere in evidenza come l'informazione sistematica contro Putin sia di fatto propaganda dell'Occidente anglosassone, e ricordare che il capitalismo americano, prima della salita al potere di Putin, si stava per appropriare delle risorse della Russia, che grazie agli esperti di Harvard e Oxford mandati dalle istituzioni finanziarie mondiali a facilitare il passaggio dal sistema socialista al libero mercato, quasi metà della popolazione russa era piombata al di sotto della soglia di povertà.
Questa è vera e sana controinformazione.
Altra cosa è negare un determinato fenomeno, un evento specifico, un fatto che per quanto misurabile per approssimazione non può avere una versione altra, alternativa e più o meno sovversiva.
Dopo un anno che si sentono certe falsità (espresse con frasi sempre più stereotipate, dando l'impressione di avere a che fare con gente cha abbia subito il lavaggio del cervello, tipo terroristi islamici preparati nelle peggiori scuole coraniche...), direi che è abbastanza normale che scatti il nervosismo.
Ma la cosa peggiore è che questa propensione alla negazione impedisce anche il semplice esercizio alla critica, un qualsiasi abbozzo al dialogo, perché se uno ti dice che la malattia da covid è come un raffreddore, che cosa puoi rispondere? Ti trattieni a stento dall'augurargli quello che magari ha passato un amico o un familiare, crisi respiratorie da mettere i brividi, e vai oltre, cerchi solo di non farti coinvolgere, di non sprecare energie, di non essere contagiato dalla più assurda ideologizzazione della storia recente.
#135
Tematiche Spirituali / Etica nel regno animale
31 Dicembre 2021, 09:13:32 AM
Se c'è ripetizione, addestramento, significa che c'è un potere che lavora a questa trasformazione, sia nella forma esterna più evidente che in quella interiorizzata dove è proprio il singolo ad autocontrollarsi e a verificare i risultati della disciplina che sente come verità auto-evidente da incarnare.
Il che fa pensare che forse l'etica intesa in questo senso è proprio ciò da cui il singolo deve difendersi per esprimere ciò che resta della propria libertà.
Ovvero essere consapevoli di ciò che ci accade a più livelli (esteriori e interiori) per riuscire, nei giorni migliori, a vivere senza l'ossessione dell'imperativo "tu devi cambiare! tu devi migliorare! tu devi essere più empatico, socievole, compassionevole!".

Del resto se l'empatia è la base organica delle morali tradizionali, che cosa dire della crudeltà? Che è psicopatologia? Mi sembra un modo comodo per salvarci dal disgusto di noi stessi e mettere in scena ancora una volta l'infondato ottimismo per un processo di perfezionamento della specie.
Praticamente non c'è classe scolastica al mondo senza un rinnegato, uno "sfigato", perseguitato da quasi tutti gli altri. Prendere il debole, sfogarsi su di lui, farne un capro espiatorio etc..
Ad ogni generazione, la stessa cosa: ragazzini disgustosi che fanno sempre le stesse cose disgustose, dalla notte dei tempi. Unico rimedio: più controllo, maggiori interferenze del potere esterno, onnipresenza di adulti, educatori, psicologi etc.
Ovvero, meno libertà.

C'è da domandarsi se sia preferibile la vita del bravo cane-guida, sicuro di avere sempre cibo e un posto caldo dove dormire, o quella del lupo...