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Messaggi - Aumkaara

#121
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
22 Ottobre 2020, 17:57:42 PM
Kephas: chissà... a cosa potrebbe servire un corpo? Nel messaggio di apertura, nella parte finale, avevo scritto:
"A meno che non si stabilisca in qualche modo che ci voglia un corpo simile al nostro anche per tendere all'assolutezza di Dio."
Sì può infatti davvero trovare il "puro spirito", oppure si può solo tendere ad esso? Se lo spirito viene visto come una forma più sottile del corpo che abbiamo ora, allora esso sarebbe solo un corpo meno denso, meno opaco. Sarebbe più libero e meno limitato da alcuni vincoli particolarmente grossolani, ma sarebbe ancora un qualcosa di definibile. In fondo, potrebbe essere identificabile con il corpo risorto, né troppo materiale né completamente privo di qualificazioni, oppure può essere identificato con uno dei vari corpi sottili delle scienze occulte o delle tradizioni orientali.
Uno spirito veramente puro, invece, è un assoluto, è talmente privo di contaminazioni da essere incondizionato. Non lo si potrebbe toccare, raggiungere, non potremmo rapportarci ad esso, o perderebbe la sua purezza.
Si potrebbe voler aggirare il problema dicendo che possiamo raggiungerlo solo purificandoci noi stessi, ma se fosse possibile vorrebbe dire che a quel punto non ci sarebbe più bisogno di raggiungerlo, perché lo saremmo noi stessi, puri; anzi, scopriremmo che lo siamo sempre stati: l'acqua è impura solo nel senso che è mescolata con altro, non nel senso che non è acqua quando non è pura.
Il problema è che qualcosa di completamente purificato può solo fare una cosa: sporcarsi di nuovo.
Un corpo (magari più "sottile" di quello attuale, da intendere anche solo come minore attaccamento al corpo rispetto all'attaccamento attuale) potrebbe essere quindi sempre necessario per mantenere un certo grado di tensione verso l'Assoluto, verso il puro spirito, senza mai purificarsi del tutto: altrimenti saresti talmente perfetto da perdere anche quei pochi riferimenti (quel poco di "contaminazione", quel poco di attaccamento) che ti ricorda di non sporcarti troppo, e non avendo in questo modo niente che possa impedirti di riprendere un corpo (come direbbero i teorici della reincarnazione), di tornare alle condizioni precedenti che hanno permesso la Caduta nel peccato (come direbbe certa teologia), di tornare ad attaccarti eccessivamente al corpo non avendo trovato niente oltre di esso (come direbbero i materialisti che vedono il corpo-mente come un tutt'uno) o comunque non trovando altro che corpi, anche se più sottili (come direbbero alcuni ricercatori esoterici).
Andando fino oltre la cima, puoi solo cadere. Staccandoti troppo da terra e vagando nello spazio dimenticandoti di cosa è la materia, vieni prima o poi attirato da qualche altro corpo celeste. Cercando troppo lo spirito, la corporalità ti reclama.
Un po' di corpo per fare equilibrio ci vuole.


Dante: pensa che molti direbbero che sono stato fin troppo spirituale! 😉 (Ma sarebbe meglio dire troppo religioso.) Visto che ho parlato (anche se usandoli come simboli) di angeli, diavolo, Dio, amore, ecc.
Comunque, mi permetto una precisazione che considero importante: sono stato molto intellettuale (sarebbe meglio dire cerebrale, lasciando il termine "intellettuale" agli studiosi di professione) invece che sentimentale, e non intellettuale invece che spirituale.
Non credo infatti che la spiritualità sia l'opposto dell'intellettualità, semmai sono i sentimenti ad essere l'opposto dell'intellettualità (o, per meglio dire, sono complementari, più che opposti).
La spiritualità, quando non viene identificata con la religione o la teologia (al massimo può essere identificata con certa filosofia "pratica", non solo teoretica), non ha contrari, ma usa qualunque strumento, intellettuale, sentimentale, fisico, ecc.
Comunque tu avevi ben chiarito la posizione della teologia della Resurrezione, sono io che ho tentato di portare un passo oltre la formulazione religiosa e oltre l'attesa salvifica della fede.
#122
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
22 Ottobre 2020, 13:39:20 PM
Dante: forse sarebbe meglio continuare ad ascoltare solo quel personaggio, perché se la tua strada è l'approfondimento ortodosso (nel senso di rigoroso) della teologia cristiana (cattolica?), qui puoi trovare solo distrazioni. Ma, visto che sei qui, e che qualche spunto puoi prenderlo (anche solo per decidere che le interferenze poco rigorosamente cristiane non sono necessarie o rilevanti), porto comunque avanti quello che hai appena detto.
Il problema di spazzare via le cose, invece di integrarle, è che tornano comunque, e in modi non controllabili, a differenza di quando sono integrate. Infatti, se spaziamo via la morte, invece di integrarla, la ritroveremo in qualche altro modo, a meno che non si voglia continuare a tenerla lontana forzatamente, quindi inautenticamente.
Così come spazzare via la logica ce la farà ritrovare ad agire indisturbata in forme diverse (con tutti i suoi rigidi ed incatenanti dettami). E dire, come hai appena fatto, che non avranno più senso le categorie "assoluto" e "relativo", ma che contemporaneamente ci sarà una relazione tra creatura e Dio, significa spazzare via la logica, invece di ampliarla con logiche differenti e coerentemente integrate con quella corrente (quella che utilizza le due categorie suddette e che hai continuato ad usare anche tu pur negandole).
O meglio, hai provato a dare una giustificazione ad un possibile mantenimento della relazionabilità pur in assenza di relatività e assolutezza, cercando di portare su di un altro piano quella che si ha con Dio qualificandola con l'aggettivo "autentica".
La relazione tra Dio e creatura sarà autentica, a differenza delle relazioni che abbiamo ora.
"Autentico" però cosa significa? Nel senso in cui lo usiamo, vuol dire che qualcosa è valutata più di un'altra. Un Rolex è autentico perché è valutato maggiormente quando è prodotto dalla stessa casa di produzione che li ha fatti per prima. È una valutazione arbitraria, perché un altro produttore potrebbe fare orologi identici, o migliori.
Per uscire dalle considerazioni arbitrarie, dobbiamo amplificarle in assoluto (anche la categoria "assoluto", finché non è integrata in qualche modo, spunterà sempre fuori a trasformare i punti fermi che crediamo di aver trovato): in che modo l'autenticità può essere assoluta? Quando perde ogni possibilità di paragone. E quand'è che i paragoni non sono possibili? Quando non ci sono più reali differenze tra le cose paragonate. La relazione con Dio, per essere autentica, non può essere paragonata alle altre, e per non essere paragonata alle altre deve essere sostanzialmente identica alle altre. Può variare in intensità e durata (categorie altrettanto limitate, altrettanto non autentiche, quindi prima o poi altrettanto soggette ad alti e bassi), ma sostanzialmente non è differente da quelle attuali. Sono tutte autentiche, pur se differenti in intensità di espressione, oppure tutte non autentiche, nel senso che nessuna avrà mai quella stabilità e perfezione sperata, non importa quanto intense si sperimenteranno per un po'.
Inutile aggirare il problema dicendo "non è paragonabile perché è la migliore": vorrebbe dire averla già paragonata (appunto definendola la migliore), e quindi significherebbe non averla posta in assoluto, nella vera autenticità (in cui però abbiamo appena visto che perde la sua specificità, portandoci prima o poi a guardare comunque di nuovo altro, perché non diverso se non per la minore intensità, e perché tale diversa intensità è necessaria per continuare a valutare come migliore la relazione con Dio). Un circolo virtuoso e vizioso senza fine, come tutte le dualità e polarità.
Il fatto che anche la relazione con Dio sia qualche cosa di relativo vuol dire rinunciarvi per forza? No, si tende sempre a cercare condizioni migliori, e tale relazione può esserlo. Ma non può essere definitiva. Infatti vi avevamo rinunciato, secondo il cristianesimo. E ciò che si ottiene di nuovo perché giudicato migliore dopo aver assaggiato il peggiore (ad esempio il mondo, la caduta, la mela del tentatore, per usare immagini cristiane), può essere perduto di nuovo assaggiando un nuovo "peggiore" anche questa volta creduto migliore di Dio (il tentatore potrà anche essere sconfitto, ma gli angeli sono infiniti, altri potrebbero prendere il suo posto, e trovare modi più subdoli per tentarci; i non cristiani leggano "possibilità di sperimentazione duale" al posto di "angeli").
L'unico aspetto definitivo e assoluto è la "sostanza" di cui sono fatte tutte le relazioni e i relazionanti. Puoi chiamarla amore: la spazialità che accoglie tutto, in cui accadono relazioni e relazionanti; spazialità accogliente in cui persino Dio è compreso e quindi limitato (in alternativa puoi chiamare "Dio" direttamente questo spazio, ma allora non è "quel Dio" con cui puoi relazionarti).
Questo spazio-amore l'abbiamo già, è irriducibile (qualunque cosa sia riducibile presuppone uno spazio che l'accoglieva; persino lo spazio-tempo della fisica einsteiniana o lo spazio granulare e composito delle teorie di fisica fondamentale presuppongono, che i fisici se ne rendano conto o meno, una matrice preesistente in cui possono essere accolti ed in cui possono annichilirsi gli spazi deformabili e compositi).
Ed in quanto sostanza, matrice, spazio irriducibile, è identica a se stessa in qualunque forma appaia: di una forma (ad esempio una relazione, o la qualità di una relazione) possiamo averne tanta o poca (quindi possiamo avere tanto o poco amore formale, fisico o psichico), ma della qualità di una sostanza non puoi averne tanta o poca, se c'è l'hai, c'è l'hai (e ce l'hai, o le forme, comprese le relazioni, non sussisterebbero). Ricorda questo (ricorda che l'amore l'hai già) e avrai l'autenticità senza dover fare o aspettare altro, neanche Dio. Il problema è ricordarlo il più possibile, ma c'è la vita con i suoi alti e bassi (e, volendo, c'è anche la relativa assenza di Dio, visto che chi lo desidera non lo ha mai abbastanza neanche quando lo sente) a spingerci a ricordarcelo.
#123
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
22 Ottobre 2020, 10:41:08 AM
Dante: concordo, il problema è non accontentarsi di quello che appare in un dato momento. Ma paradossalmente quel che appare non permane, e anche questo genera problemi (anche un corpo trasfigurato sarebbe soggetto a mutamenti: per quanto subliminali, avrebbero un peso, a meno che non li si voglia ignorare forzatamente, e quindi snaturando la spontaneità e la naturalità che dovrebbe avere un tale corpo).
La soluzione, per quanto anch'essa relativa, sta nel comprendere nel modo più profondo possibile (quindi con qualche alto e basso anch'esso) la vera natura sia del relativo permanere che del relativo mutamento.
...e un eterno "essere creatura dinanzi a Dio" non può essere questa natura da ricercare, non può essere la soluzione, perché non si riferisce a qualcosa di stabile, ma ad un'ulteriore condizione di cui accontentarsi (se così non fosse non avremmo cercato altro, la sperimentaremmo tutt'ora), e anche perché presuppone ulteriormente un movimento: un rapporto implica una tensione, per quanto piacevole possa essere.
Non sto negando che tale rapporto non possa relativamente permanere, cioè che non possa essere ritrovato dopo essere stato perso, ma avrà i suoi sviluppi, i suoi alti e bassi. Idealizzarlo in un "rapporto assoluto", cioè in un illogico relativo assoluto, in una permanenza inamovibile che non è propria dei rapporti e delle relazioni, significherebbe ottenere qualcosa di artificiale.
L'unico assoluto, l'unica nostra natura, è quello "spazio" consapevole in cui avvengono tutti i rapporti. Non possiamo ottenerlo (lo siamo già), possiamo solo formare, in tale spazio, un'ulteriore relazione: quella tra tutti gli oggetti relazionanti già presenti in tale spazio (compresa la relazione Dio-creatura) e un nuovo oggetto che ci ricordi che tutte le relazioni dipendono da tale spazio che è la nostra vera natura.
#124
Tematiche Spirituali / Re:Quanto importa?
22 Ottobre 2020, 00:28:39 AM

Viator: ciò che hai secondo me ben colto, cioè l'impossibilità di credere che "le cose possano esistere senza di me", è una "sindrome" quando è riferita al senso di individuazione (la sensazione di poter trovare qualcosa, per quanto vaga, che sia "me"), che, come ho detto altrove, per me è solo un costrutto. Viceversa, è il segno di un'intuizione di realtà, quando è riferita non al senso di "me" ma a quello spazio di consapevolezza in cui le cose appaiono, spazio che, di per sé, non è e non ha un senso di sé, ce l'ha solo appunto attraverso il suddetto costrutto, che però è solo uno dei tanti "oggetti" che compaiono in tale spazio.
Non è quindi sbagliata la tendenza a credere ad una continuazione indefinita dell'apparire di un mondo (o di ciò che chiamiamo mondo), perché questo spazio consapevole non può annichilirsi (il perché tralasciamolo, almeno per il momento). È invece sbagliata (meglio: è fonte dell'alternarsi di agitazione e abbattimento) la tendenza ad aspettarsi un prolungamento indefinito dell'apparente senso di sé, e persino un prolungamento del modo con cui esso si sostiene attualmente (un corpo, o per lo meno un corpo in particolare, ricordi specifici, ecc.), che invece, come minimo, hanno alti e bassi di varia natura (basta il sonno ad affievolire e distorcere grandemente la situazione di tutti loro).
Sono ovviamente discorsi troppo sottili per distogliere l'attenzione dalla "pubblicità plurimillenaria" su di un corpo rinnovato ma simile al precedente. Però volevo appunto fare un sondaggio, tra coloro che nell'argomento precedente sembravano interessati alla Resurrezione classica, su come vedono quest'ultima rispetto alle forme "superiori" della dottrina cristiana (e che un minimo conosceranno, se scrivono qui e non - o non solo - sul forum cattoliciromani).


Dante: ecco appunto, in riferimento a quello che ho appena detto a viator, qualcuno che ha informazioni superiori al catechismo medio: hai ben descritto la non banalità di una concezione più elaborata della Resurrezione, che avevo quasi dimenticato. Che ne siano stati consapevoli o meno nel formularla, messa così ha punti di contatto con concezioni esoteriche di varie tradizioni, anche lontane. Ed ha tutto un altro significato rispetto a come viene intesa di solito la Resurrezione. Tanto da avere un suo valore, anche "terreno", cioè rispetto al corpo, poco importa se i racconti evangelici sulla Resurrezione non descrivessero un evento storico. Per lo meno nel modo in cui intendo io una "resurrezione" che unifica ciò che appare diviso: l'uomo riunificato per me è lo spazio consapevole (di cui parlavo sopra a Viator), che prima è abitato da oggetti opachi (che sembrano distinguersi dallo spazio, identificando così quest'ultimo come "spirito") che in questo modo esprimono separazione (sia che si tratti di oggetti di percezione che oggetti psichici, quindi sia corpo che psiche, diversi solo per il grado di opacità), ma poi, quando gli oggetti si fanno più trasparenti, diventa evidente che essi sono solo "zone" dello stesso spazio, arbitrariamente circoscritte da differenti gradi di attenzione.
La chiave di volta per favorire la trasparenza di tutti gli oggetti di coscienza è rendere trasparente il senso di individuazione, che è un oggetto come gli altri, ma che si pone in una prospettiva in cui gli altri oggetti sembrano gravitare intorno ad esso.
Ovviamente Gesù, se mai è esistito in un modo anche solo simile ai modi in cui è stato descritto, potrebbe non avere niente a che fare con quello che ho detto. Ma visto che non tutto quello che diceva era lineare, chissà ... diceva appunto "chi ha orecchie per intendere, intenda".
PS: e tutti gli altri in camper. Per quanto me ne debba vergognare, non ho resistito, anche se va a controbilanciare la seriosità dell'argomento (ora capisco perché, se non ricordo male, nell'apocrifo di Tommaso Gesù critica le burle e il non prendere le cose sul serio...).


Anthoniy: come puoi vedere da quello che ho detto a Dante, non sono convinto neanche io che sia più importante una resurrezione fisica rispetto ad altro. Se mi fosse proposta di fatto e non come speranza in cui aver fede (nei limiti in cui qualcosa possa avvenire "di sicuro"), forse accetterei, ma solo sapendo che non sia davvero a tempo illimitato e continuo: per quanto ci siano aspetti nella vita ordinaria che sono desiderabili, reiterarla senza mai avere accesso ad "altro" lo trovo assurdo. Ovviamente, do per scontata l'irriducibilità di ciò che siamo (quello "spazio" di cui ho parlato agli altri), a differenza della momentaneità degli oggetti, psichici e fisici, che crediamo di essere.
#125
Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2020, 12:20:26 PM
Proprio come per chi ha ancora oggi un approccio metafisico classicheggiante (non solo etimologico), nel postulare un assoluto religioso si tratta di rispondere ad una certa istanza di senso; la medesima che anima le grandi ideologie politiche (e anche qui siamo comunque nell'anacronismo). Quando Aumkaara parla di «un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi»(cit.) probabilmente si riferisce alla suddetta istanza.
Direi di sì. In forme anche più semplici, quotidiane, o, viceversa, in forme che aiutano ad avere visioni d'insieme anche in ambiti frazionato per principio, come la scienza, che, se lasciata completamente orfana della visione d'insieme, dell'istanza di senso, va alla deriva per poi svilupparne una con logiche particolarmente erratiche (e non semplicemente poco lineari, come in tutte le visioni d'insieme).
#126
Tematiche Spirituali / Quanto importa?
21 Ottobre 2020, 12:28:41 PM

Vedendo quante pagine ha suscitato qui di recente il problema resurrezione, viene da chidere: quanto importa, ad un devoto pervaso dall'amore di Dio, di come, se e quando risorgere fisicamente?
Comprendo che per un devoto cristiano "medio", che crede alla resurrezione fisica, la questione come minimo incuriosisce (o lo fa sperare tantissimo e la pone a fondamento della sua fede).
Persino ad uno ancora più mediocre, come me, se gli venissero a proporre di riavere il corpo che già conosce, e in una vita migliore, direbbe di sì (magari dopo aver chiesto tutto ciò che comporta, e se ci sono clausole nascoste o condizionalità inespresse, ovviamente poste a fin di bene trattandosi di Dio...).
Leggendo queste parole del 1453 del teologo e cardinale Nicola Cusano ("La Pace della Fede", Jaca Book, 1991):
<<Dio, in quanto creatore, è trino e uno; in quanto infinito, né trino né uno; né nulla di quello che si può dire, poiché i nomi che si attribuiscono a Dio sono formati dalle creature. Egli stesso è ineffabile in sé ed è al di sopra di tutto quello che si può nominare o dire.>>
Per coloro che tendono verso Dio (ma sul serio, "infiammati" da questa tensione) non in quanto creatore (quindi come mezzo per avere un mondo di cui godere) ma in quanto ciò che è di per sé, quanto potrà mai interessargli di avere un particolare corpo simile al precedente ma più perfezionato, con cui guardare al resto del creato, fosse anche un creato migliorato dopo la Resurrezione? Certo, anche per questi amanti supremi il creato non è (o non dovrebbe essere) da disprezzare, ma non lo pongono in primis, e quindi non credo pongano in primis anche il corpo che vi abiterà. Lasceranno fare a Dio, senza pensarci troppo, non certo dicendo "senza la Resurrezione la nostra fede sarebbe vana" come sento dire (anche da Paolo, o sbaglio?).
A meno che non si stabilisca in qualche modo che ci voglia un corpo simile al nostro anche per tendere all'assolutezza di Dio.
#127
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2020, 23:03:03 PM
Come dicevano i vecchi compagni comunisti: non gettiamo via il bambino con l'acqua sporca. In quel caso il bambino era il socialismo reale e l'acqua sporca le sue malefatte. Nel nostro caso il bambino è l'universale platonico e dell'acqua sporca parliamo dopo.

Il bambino ontologizza. Lo fa fin dai tempi delle caverne per distinguere la mamma dalla capra. Ontologizzare è specifica antropologica irrinunciabile, come afferma il più ispirato degli evangelisti che, fatta la tara dell'acqua sporca, proclama: en archè en o logos. L'acqua sporca non è ontologizzare, ma reificare, ovvero imporre ontologie fantastiche come reali. Finchè ontologizzo la mamma, capra, gatto, clava, non falsifico la realtà ma mi limito a darle un nome. Ed anche su questo il testamento ebraico ha le idee chiare. "Qualcosa" fa le cose e l'uomo dà loro un nome.

Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.

Platone no. Vi era così immerso da avere inventato l'armamentario strumentale e retorico saccheggiato poi dalle religioni occidentali ancora attive. Ma se lo confrontiamo con la spiritualità e l'intelletto della sua epoca, gli si possono perdonare molte cose che oggi sarebbero imperdonabili e prendere atto al contempo che la sua intuizione degli universali è la prima approfondita elaborazione del modo sintetico in cui opera la razionalità umana, innocentemente al di qua del bene e del male.

L'accortezza d'uso è conservare l'universale nelle condizioni onto-epistemologiche corrette, atte ad evitare che si adulteri in tossico feticcio reificato.
Io non ci sono neanche mai entrato in una religione, e mi sono liberato anche dalla ricerca filosofica di un qualcosa di non duale, eppure non si può sradicare la tendenza a trasformare in realtà ontologica (anzi, assoluta) ciò che per noi è sempre epistemico, e a volerla imporre agli altri (oggi tramite politica, economia e guerre, un tempo con evangelizzazione e guerre, ma è lo stesso, anzi, sono appunto aumentati i mezzi, anche come quantità di impatto; ma si ridurranno inevitabilmente, cambieranno, dopo aver fatto altri danni magari con l'aggiunta di ulteriori mezzi). Si può solo tenere questa tendenza sotto controllo, o persino incanalarla in altre "distrazioni". I più fortunati possono al massimo renderla quasi subliminale, ma solo se non la dimenticano (altrimenti cade nel cosiddetto inconscio, che è semplicemente una minore attenzione, e da lì fa più danni). In ogni caso, prima si deve sapere che non è sradicabile, altrimenti significa che nell'inconscio c'è già andata.
#128

Citazione di: Ipazia il 19 Ottobre 2020, 23:04:09 PMHomo sapiens è animale assai immaginifico. Di fronte alle difficoltà della sua condizione reale si inventa una dualità tra bene e male, paradiso e inferno, nirvana e samsara. Gli è difficile accettare il mondo così com'è, come appare nella sua assoluta evidenza di vita e morte... Vi è una differenza sostanziale tra gli inferni/paradisi dell'immaginario e della pratica religiosa rispetto alle figure omologhe generate dalla tecnoscienza: l'immaginario che anima la religione, postulando l'assoluto, non ha limiti, ed ogni crimine in nome di Dio, viene legittimato. Cosa che nessun despota o regime dispotico immanente si può concedere: i dittatori passano, inquisitori e tagliagole restano.
Sì, tagliagole e inquisitori restano, e si adattano alla situazione: se trovano laicità e tecnoscenza, proseguono la loro opera in esse. Magari più sottilmente, o meno direttamente (gli schiavi in città non sono più accettabili? Schiavizzano altri paesi. Non sarà poi sufficiente che siano lontani? Li deportano qui chiamandoli immigrati e "risorsa umana". Ecc.).
Strano però come bene-male, paradiso-inferno, ecc. siano considerate immaginifiche, mentre vita-morte no. Se la dualità è un'invenzione umana, anche questa non può essere definita evidenza o dato di fatto, non importa quanto i sensi si lascino convincere quando hanno un neonato o un cadavere davanti a sé: se dovessimo basarci sulle evidenze dei sensi, il sole girerebbe ancora intorno a noi.


CitazioneSpannometria fenomenologica, non degna di chi disdegna le apparenze. Per giunta farlocche come in questo bias.
Cioè non è vero che c'è in tutti una propensione agli stessi sentimenti dei religiosi? Al contrario, è dimostrato continuamente, da me quando ad esempio cercavo in qualche modo un Assoluto, da te ogni volta che ti fermi ad un dato di fatto ontologizzandolo.


Citazione
Altro non sequitur. Ciò che appare ha una sua legittima, anche quando è ingannevole, dignità ontologica. Ci voleva una ideologia specifica, appunto religiosa, per trasformare il moto apparente del sole in una guerra di religione. Le ideologie immanenti sono un tantino più razionali anche nella cattiveria.
È la giustifizione degli inquisitori: "la nostra visione è più giusta di quella delle altre regioni, giustifica anche la nostra violenza". Stavolta invece di essere posto come degno un trascendente più o meno costruito a tavolino, è posto come degno un immanente illogico, perché pone come ontologica l'apparenza del sole che gira intorno a noi. Di nuovo viene proposto un universo a scaglioni tutti reali: la sezione in cui la Terra gira intorno al Sole e la sezione del Sole che gira in torno alla Terra. Una pluralità tutta reale, invece che una serie di punti di vista. È molto platonico: tutti i nostri punti di vista avrebbero un fondamento ontologico, sarebbero simulacri di Idee con un loro essere reale.


CitazioneE' vero: non si tratta di coraggio, ma del suo precursore, l'innocenza:


Citazione di: F.Nietzsche - La gaia scienza 1886«Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!»


Profondità limpida come una superficie, non mostro abissale che brama le, indubbiamente solide, fondamenta di una prigione. O di una caserma, dove si allevano shahid educati a perinde ac cadaver secondo l'insegnamento del loro primo generale che recitava: "Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l'uomo". Da cui hanno tratto insegnamento anche le madrase islamiste, sempre a rimorchio dei primi della classe in fatto di inumanità...postulante l'Assoluto.
Non è ancora chiaro che neanche io cerco un Assoluto? E che quindi sono molto più lontano di te da un integralista (di una qualunque religione), anche se riesco a parlare il suo linguaggio, visto che non credo assurdamente che la base dei sentimenti che anima lui/lei sia diversa da quella che animava il mio cercare una condizione assoluta, e che anima il tuo credere a punti di vista considerati come dati di fatto ontologici, che neanche la scienza considera tali (per essa sono dati elaborati e sempre confutabili). Infatti riesco a parlare anche con te all'infinito cercando di evitare di contrapporti un qualche punto di vista mio: cerco solo di seguire la tua logica, che mi porta sempre ad analisi di un realismo pluralistico (con una ontologia criptoplatonica, abbiamo appena visto), analisi interrotta da un "fatto bruto" (dogma, quindi) e mai più ripresa (possiamo riprenderla o ricominciarla quando vuoi).

Sono forse più simile io a questi greci descritti da Nietzsche, anche se non mi sono mai molto considerato greco o nietzschiano: per avere l'innocenza di non trincerarsi in una posizione ma sapersi muovere in ogni ambito della superficie, si deve prima (come  lui ha detto fecero i greci) essere profondi. Superficiali per profondità di veduta. E l'unica profondità che non sia mera seriosità o sdegno (verso le religioni, ad esempio) è data dal non ontologizzare (o meglio, non assolutizzare, che sono due cose un po' diverse) nessun punto di vista: non quello della propria cultura etnica, ché altrimenti si diviene fondamentalisti, e non quello delle esperienze sensoriali e scientifiche, perché altrimenti si cade in un platonismo mascherato (sbaglio o il platonismo è uno dei fondamenti, dichiarati o meno, del cristianesimo? Non ci sarebbe da stupirsi: si vive in altra forma le proprie radici culturali, quando le si disprezzano invece di integrarle senza per questo aderirvi). Che non è neanche male, l'ontologia platonica, solo che, oltre a stare attenti a non assolutizzarla, andrebbe applicata ad ogni idea (anche alle più opposte), non solo alla propria.
#129
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2020, 22:17:58 PM
La religione non è solo satanica, ma l'inferno l'ha inventato lei e alcune religioni hanno fatto, e fanno, di tutto per realizzarlo in terra. Nietzsche e Weinberg, ma pure Rushdie hanno detto cose importanti e meritevoli di riflessione su questo argomento.

Non capisco cosa significa "un certo grado di religiosità esiste in tutti" ? Affermazione impegnativa che esige una dimostrazione. Nel mio caso ho chiuso con la religione nella prima adolescenza, trovandola incompatibile non solo con la razionalità, ma pure, visto che ne parli, con una gioiosa sessualità.

Il richiamo alla virilità è una ironica chiamata in causa del coraggio per accettare il fatto che non esiste nessuna cosa in sè, nessuna maya, nessuna quintessenza e nessuna divinità. Esiste solo ciò che appare e su questo bisogna lavorare per renderlo sempre più, come insegnarono gli antichi greci, a misura d'uomo (ma pure di donna e bambino). Ci vuole molto coraggio per costruire sul nulla, inventandosi giorno per giorno, epoca per epoca, i propri fondamenti di valore. Senza Ricettari Unici e caramelle finali.
La religione ha postulato un inferno e lo ha anche realizzato. Le società che lo hanno negato e hanno abbracciato scienza e tecnologia pensando che bastassero o che comunque rivelassero l'essenziale, lo hanno realizzato molto meglio. Solo in parte, per ora, per una piccola fetta di mondo (che può appena trovarsi contenta di lavorare quasi solo per acquistare), e quasi totalmente per il resto dei popoli, quelli colonizzati militarmente prima ed economicamente ora.
Io non ho mai iniziato una religione, ma so che ho un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi. E ho visto che tutti quelli che negano tale aspetto lo vivono comunque, scambiandolo per qualcos'altro: non hanno senso le analisi psicologiche su internet, ma hai insistito abbastanza su di una visione di un mondo in cui sono reali solo le apparenze (?!), per vedere che si può arrivare a credere all'incredibile, quindi a credere ideologicamente. Come con le religioni, ma senza saperlo.
Capirne l'assurdità, anche solo linguistica, capire che una cosa che appare è appunto apparenza di altro, e che se invece è l'unica realtà allora non è un'apparenza, non significa aspettarsi una caramella finale: significa continuare a costruire il mondo, perché è inevitabile, perché, in quanto apparenza, appare necessariamente, per sua natura, ma non per questo è qualcosa di fondamentale. E ciò che non è fondamentale non ha bisogno di grande coraggio. E quindi neanche di grande paura, con tutto quello che consegue l'averla, soprattutto se non si sa di averla, e in ogni caso dovendola costantemente compensare con il coraggio e le ideologie (o con le appropriazioni "infernali" di spazi altrui di cui sopra).
#130
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
17 Ottobre 2020, 19:45:10 PM
CitazioneNon importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno.
Mi auto-cito per fare una specificazione, quasi una, correzione: è ovvio che se aggiungo per due volte, ad esempio, 0,5, ho già ottenuto 1. Ma il punto è che affidarsi agli infinitesimali rende arbitrario a quale ordine di grandezza (anzi, di piccolezza) bisogna guardare per determinare da dove comincerebbe l'1, l'intero. È arbitrario perché non si potrà mai trovare il "numero più piccolo", negli infinitesimali. Questo in matematica.
Nella fisica si potrebbe pensare che le cose stanno diversamente. Ma, per poter dire che è così, bisognerebbe trovare il "mattone fondamentale", e, a meno che non abbia ragione la teoria delle stringhe, che pone come mattone dei filamenti di poco più grandi della misura di Plank (senza però saper dire, credo, quale sarebbe la causa dell'esistenza di tali oggetti), alla scala di Plank non c'è più la possibilità di trovare una unità fondamentale con una misura stabilita, a causa del ribollimento quantistico. Il risultato è quindi simile a quello della matematica: non c'è una unità fondamentale, una "unità più piccola di tutte", se si va nell'infinitesimo.
#131
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2020, 08:24:03 AM
Che la religione stessa sia nata per altri fini (potere, affrancamento dal duro lavoro) sono la prima a sostenerlo. Ció non toglie che essa funzioni come valore aggiunto satanico (S.Weinberg) nel processo di civilizzazione e perciò ne vada analizzata rigorosamente la "coerenza logica e filosofica" nell'ethos.

Altrettanto, spostandosi verso la metafisica, va fatto per le numerologie fondative della realtà e per la metafisica dell'apparenza. Assumendosi "virilmente" il rischio di scoprire che di maya esistono solo i veli. Da curare, abbellire e migliorare.
Valutare la religione solo da un punto di vista di coerenza e logica, sempre e comunque (tra l'altro considerandola solo "satanica", come se qualcosa potesse avere solo un aspetto: il che è paradossalmente una considerazione molto religiosa e poco logico-razionale), rischia di snaturarla e renderla inservibile nei momenti in cui può essere utile, e, visto che un certo grado di religiosità esiste in tutti, per quanto non convenzionale o irriconoscibile possa essere, è bene lasciarle un minimo di spazio sia collettivamente che personalmente: sarebbe come voler analizzare la sessualità (visto che è stata accennata la virilità nella seconda parte del discorso, e anche su quella torneremo) fino a ridurla a dei componenti oggettivati e spersonalizzati inutilizzabili (nonostante essa, come tutto il resto, non sia formata da componenti, per quanto essi siano formulabili e utilizzabili come concetto per rendere fruibile la sessualità - e qualunque altra cosa - anche dalla ragione): se anche un individuo non la utilizzasse più nella sua vita (perché è un eremita, troppo anziano, troppo debilitato, ecc.), sarebbe bene che ne conservasse l'organicità e l'interezza per lo meno nella sua psiche, riducendola solo quantitativamente, integrandola o incanalandola eventualmente in qualche aspetto più ampio o perlomeno alternativo. Analizzare fino a distruggere, invece che analizzare solo per favorirne un certo utilizzo o una qualche integrazione o trasformazione, non porterebbe a niente di equilibrato, al massimo a qualcosa di freddo e asettico le cui conseguenze prima o poi porterebbero a risvegliare la propria sensibilità (sessuale o, fuor di esempio, religiosa) in modi più traumatici e a volte poco riconoscibili, tanto da rendere poi anche difficile un recupero della funzione "asetticamente smembrata".


Tornando invece alla citata metafisica: strano che la conclusione descritta sia anche la mia: di Maya abbiamo solo i veli, la "sostanza" dei veli non possiamo averla e neanche possiamo manipolarla, perché è quello che siamo (la creta può solo cambiare forma scontrandosi con altra creta, non può cambiare di natura solo mutando forma). Il problema è che per fare "virilmente" questo (senza dimenticare l'aspetto più "femminile", o incorriamo nei problemi descritti prima) dobbiamo prima penetrare, appunto virilmente (aiutandosi con tutta la sensibilità necessaria sia verso se stessi sia verso l'argomento), tutto quello che ci dimostra che maya è un velo, una forma, e non una realtà fondamentale, una sostanza. Altrimenti sarebbe come piegarsi di fronte ad una resistenza, ad un dogma considerato impenetrabile, ad una posizione frigida per partito preso, e non per incapacità o insensibilità connaturata.
#132
Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2020, 21:05:10 PM

La molteplicità é autoevidente: . . le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche. Cervelli e stomaci distinti che pensano e si cibano distintamente.

Averne di dogmatismo, se fosse sempre dipendente dai dati di fatto ! Ci saremmo risparmiati almeno le guerre di religione !
Di guerre ce ne sono di più oggi, e più gravi e pericolose di prima (grazie alla scienza e alla tecnica, ma senza averne colpa), la maggior parte promosse da motivazioni per niente religiose, per quanto in alcuni casi la religione venga usata per mascherare altri fini.
E anche il sole che si muove nel cielo mentre la Terra è ferma è autoevidente, se non si indaga.
Proviamo a seguire il buon esempio della scienza, quando non si ferma ai dogmi, e riprendiamo o ricominciamo ad analizzare la coerenza logica e filosofica di una molteplicità fondamentale?
#133
Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PM
Una filosofia che non tragga il proprio nutrimento dai dati di fatto (ad es: ivg) che valore può avere ?
A non trasformare in dogmi non solo le opinioni, ma neanche i dati elaborati con metodi e tecniche, ad esempio? Per riflettere senza dover per forza contare e misurare? Per agire c'è già altro: appunto la scienza, le emozioni, gli istinti, le necessità fisiche.

Citazione di: Ipazia il 15 Ottobre 2020, 23:08:27 PMCi sono lasciti e lasciti. Alcuni immortali, ma molti più sono Holzwege, sentieri interrotti che hanno smarrito la strada, impiccandosi ad un ramo con su scritto: "ipse dixit"
Lasciamoli stare gli Immortali, non crediamo alle favole, e lasciamo stare i morti, impiccati agli ipse dixit. O magari ai "dati di fatto". Perché invece non riprendiamo, o ricominciamo sistematicamente, stavolta senza deviazioni nel mezzo, una catena logica che possa dimostrare la fondatezza della molteplicità, visto che le dimostrazioni delle percezioni ingannano, e quelle della scienza sono, secondo le basi della scienza stessa, perennemente rivedibili e non definitive?
#134
Citazione di: Ipazia il 14 Ottobre 2020, 22:37:40 PM
Tutto ciò che abbiamo scoperto lo dobbiamo alla scienza, non certo alla metafisica. Per cui rimando la critica "filosofica" al mittente. Compito della filosofia in effetti non è scoprire ma inventare il modo di vivere bene. Mi pare che anche in questo campo arranchi ben più della scienza, vivendo, al contrario di quest'ultima che continuamente si rinnova, dei lasciti di qualche millennio fa.
Io la riprendo volentieri una critica filosofica, se è quel tipo di filosofia che pone domande, come avevamo fatto e poi interrotto, e che possiamo riprendere appena verrà messo in dubbio qualunque dato considerato come fatto, che è ciò che interrompe questo tipo di filosofia.
Quelle filosofie che invece vivono dei propri lasciti sono quelle che fanno da supporto ad altre discipline, ad esempio alla scienza, fornendogli quei parametri, non scientifici, da cui parte per le sue continue innovazioni (ottima definizione, molto più appropriata di "scoperte", nel caso della scienza).
#135
Phil: trovo le tue due definizioni, "l'esser-per-l'uomo" e "la realtà-così-com'è-per-l'uomo" tra le più efficaci per sintetizzare una distinzione che, ancor più che alla scienza (anche se anch'essa ha il suo peso nella questione), sarebbe utile far comprendere ad una società che si ritrova ad essere sempre più tecnica; che non è una posizione negativa, ma che in mancanza di riflessione la rende ancor più pericolosa per il futuro rispetto ad altre società poco riflessive ma meno tecniche.

Viator: effettivamente non avevo mai pensato molto ai lettori esterni, a causa del fatto che i forum li ho sempre visti come un terreno utile quasi solo ai singoli scrittori coinvolti.
È positiva l'impressione di civiltà che hai avuto, e un tempo rispondevo soltanto che è merito di famiglia e insegnanti "spirituali", mentre oggi potrei aggiungere che non si tratta più soltanto di educazione positiva, che di solito aiuta al controllo ma non attenua di per sé le reazioni istintive (quelle che i meno educati e civili rispondono senza freni), ma si tratta anche dell'effetto dell'abitudine (mai abbastanza frequente) di porre attenzione (e così attivare) quella condizione di cui stiamo parlando: se non c'è "nessuno" che può provare il risentimento che di riflesso le polemiche o a volte anche solo le osservazioni più ponderate possono suscitare, diventa facile valutarle e conseguentemente adattarcisi se utili, ignorarle se inadeguate, o, nei casi in cui obiettivamente si nota che l'unico motivo per cui vengono dette appartiene più che altro alla sfera che condividiamo con gli animali, rispedirle indietro in una forma che fa "disattivare" al mittente la parte animale (anche solo per non renderla ancora più evidente) che gliele aveva fatte proferire.
Il bello è che la forma con cui vengono valutate è sempre la medesima, quindi il mittente delle critiche o delle polemiche non si ritrova a sentirsi a sua volta criticato o polemicizzato anche nel caso in cui appartenga a coloro che sono influenzati dagli istinti animali più degli altri. E, se ne ha le capacità, è in questo modo persino spinto ad autovalutare la propria azione, mentre, se non ne ha le capacità, si ritroverà a riutilizzarle prima o poi con qualcuno di più polemico ed anche più animale di lui (e, forse, trarrà qualcosa dalla differenza delle reazioni ricevute).
Ne ho approfittato per arricchire l'argomento di partenza viste le affinità, non per fare una contro-osservazione polemica più sottile e insidiosa di quella che sarebbe stata una "reazione meno civile".