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Messaggi - Koba

#121
Voglio dire che un conto è criticare con forza un'idea che si ritiene pericolosa oltre che scientificamente errata, altro è censurarla appellandosi alla legge.
Cioè fino a quando non si dichiara l'inferiorità di una razza rispetto ad un'altra (presupposto di discriminazione, ghettizzazione e condotte violente), ma si insiste solo sulla loro differenza, si rimane all'interno di un dibattito culturale – per quanto scientificamente superato.
#122
Citazione di: Jacopus il 18 Febbraio 2025, 11:12:07 AMLegge 13-10-1975 n. 654. DL 26 aprile 1993 n. 122.
Non mi pare proprio.
Sostenere l'idea di una differenza tra razze e che sia cosa buona mantenere tale differenza, non significa incitare alla discriminazione.
 
#123
Citazione di: Jacopus il 17 Febbraio 2025, 19:47:57 PMLe differenze genetiche tra bianchi, neri o altre differenze fisiche sono irrilevanti in homo sapiens ed eventualmente le differenze comportamentali sono riferibili alla loro storia culturale. Ovvio che chi ha in casa una biblioteca, sarà mediamente più curioso intellettualmente di chi vive in un ghetto di zingari. Ma non esiste una predisposizione razziale, semplicemente perché non esistono razze umane. Homo sapiens è stato sempre così mobile nella sua storia da aver sempre mescolato i suoi geni. Hanno fatto studi dai quali risultavano geneticamente più simili soggetti lontani come giapponesi e brasiliani rispetto a due vicini di casa italiani (digitare Barbujani su YouTube). Se insisterai con queste scemenze chiudo la discussione, visto che stai anche violando la legge.
E quale sarebbe la legge che Pastore starebbe violando?
#124
Percorsi ed Esperienze / Dick Laurent è morto
17 Febbraio 2025, 14:01:09 PM
Questa mattina ho ripreso la vita di Francesco d'Assisi scritta da Tommaso da Celano. Prima di iniziare la lettura, attinente i brani sui miracoli, stavo pensando a come un tempo fosse radicata l'idea della divinità come forza guaritrice che attraversa la materia, quasi fosse un fluido ristoratore che si comunica dalla sua origine misteriosa agli oggetti inanimati fino alla creatura bisognosa, salvandola.
Così tutti attorno al santo premono da ogni parte per toccargli un angolino della veste perché fiduciosi che la potenza che si trasmette attraverso la stoffa possa raggiungerli e risanarli.
Stavo pensando a questo, e a come ai nostri giorni sia più probabile trovare credenti che applicano la stessa idea di forza risanatrice alla sola interiorità, alla sola dimensione spirituale, come se la potenza dei santi oggi non fosse in grado di mutare direttamente la materia.
Tant'è che nel caso di una malattia del corpo il miracolo sarà forse reso più comprensibile come una forza che si diffonde dal centro dell'anima del malato, dalla sua fede "resuscitata", e in questo appunto consisterebbe il miracolo, da cui seguono poi gli effetti visibili sull'organismo, come sintomi psicosomatici benevoli.

Proseguendo nella lettura arrivo al capitolo 2 della Parte Seconda in cui Tommaso racconta di Francesco – siamo nel suo penultimo anno di vita – quando si ritira in solitudine e pregando cerca di capire che cosa deve ancora fare per unirsi a Dio. Cosa deve fare per raggiungere quella perfetta unione con il Padre che tanto desidera.
Anche se è considerato da tutti come un santo, Francesco continua ad avere su se stesso parecchi dubbi. "Disconosceva la propria perfezione, e si stimava davvero imperfetto" scrive Tommaso. E pur avendo vissuto tante gioie spirituali rimaneva come un dubbio di fondo: infatti "era pronto a soffrire [...] ogni dolore corporeo, purché alfine gli fosse concesso che in lui si adempisse misericordiosamente la volontà del Padre celeste".
Così nell'Eremo, dove si trova in quei giorni, prende il Vangelo, prega a lungo e chiede a Dio che gli venga mostrata la sua volontà attraverso una pagina del libro: aperto a caso, il brano trovato dovrà mostrare il segno definitivo. Il brano "estratto" da Francesco è quello della Passione.

Ogni cosa ha un significato specifico, e se lo ignoriamo è perché tale significato affonda negli spazi misteriosi e profondi dell'anima (qualcuno direbbe l'inconscio).
Il fatto che io questa mattina abbia trascurato la lettura del testo che avevo in programma e che abbia messo le mani sul libro di Tommaso da Celano, ha un significato, non è l'effetto del caso.
Ripenso ai sogni della notte. Tra tutti, quello che ricordo meglio è questo: mi trasferisco in una grande città e mi iscrivo alla facoltà di medicina. Trovo un posto dove stare, mi organizzo, poi però mi rendo conto, quando ormai è troppo tardi, dell'assurdità dell'idea di ricominciare gli studi a 50 anni.
Il sogno sembra descrivere lo stato confusionale in cui mi trovo da qualche mese.
Sono vivo o si tratta solo di un pregiudizio?

Decido allora di fare come Francesco, di aprire il Vangelo per avere un segno.
Tutto ciò che è avvenuto nelle ultime settimane – i dubbi, l'angoscia, le crisi melanconiche – mi appare ora come una catena di fatti che doveva condurmi ineluttabilmente fino a questo istante, alla mia mano che scorre tra le pagine del Vangelo, gli occhi chiusi, una timida preghiera...
Il brano è Luca 6,17-19: descrive Gesù che predica a grandi folle, tutti accorrono per essere guariti, "tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti".
Proprio così! Esattamente il tema su cui riflettevo questa mattina ancora prima di iniziare a leggere Tommaso!
Che cosa può voler dire?
Non lo so, limitiamoci per ora a vedere come tutto sia inestricabilmente legato: pensieri (le riflessioni del mattino sui meccanismi del miracolo), sogni (la mia iscrizione a medicina – cosa che rimanda appunto all'evento della guarigione, su cui riflettevo a inizio giornata), fatti (l'estrazione casuale del brano evangelico che sembra essere il segno di una conferma: "non ti stai perdendo, come vedi io sono qua, una presenza reale!").
#125
Scusa Eutidemo, non pensi che quei tatuaggi possano essere un fotomontaggio?

Sul testo che citi in apertura non si capisce come l'Fbi, che ha indagato su Trump praticamente per tutto il mandato Biden, non sia riuscito a incastrarlo quando invece secondo l'autore del libro è praticamente sicuro che gli affari immobiliari di Trump siano una copertura per ripulire i soldi della mafia russa.
#126
Una regola elementare di strategia militare è: cercare sempre di confondere il nemico. Usare ogni mezzo per creare subbuglio.
Ma se il nemico è dentro di noi, come dicevo sopra, che fare?
Il dott. Benway, noto per essere "un manipolatore e un coordinatore di sistemi simbolici, esperto di interrogatori, lavaggio del cervello e controllo" (W. Burroughs, Naked Lunch, p. 32), negli anni '50 proponeva tecniche che conducevano il soggetto a convincersi di avere qualcosa di spaventosamente sbagliato e di meritare quindi severe punizioni.
L'accettazione del controllo, delle varie manipolazioni del corpo, delle più diverse forme repressive – da una burocrazia misteriosa e complessa a perquisizioni tanto arbitrarie quanto invasive –, diventavano concretamente possibili tramite l'assioma della colpa.
Una colpa originaria che nasce – questo è il punto – dal convincimento di avere in sé un nemico. Qualcosa di oscuro da cui necessariamente difendersi.

La psicoanalisi, come scriveva Elvio Fachinelli, "dopo lo squarcio iniziale ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare..." (E. Fachinelli, La mente estatica, p. 15).
"L'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno" (E. Fachinelli, p. 16).
Percezione generale di un pericolo, quindi ricerca di sicurezza, quindi accettazione del controllo.
Così possiamo dire che l'opera di ingegneria sociale del dott. Benway si basava su un luogo comune "deviante" che viene dalla psicoanalisi stessa: una rappresentazione della mente in cui al centro c'è la necessità della difesa anziché la spinta all'apertura, all'abbandono.
L'inizio politico di questo topic andrebbe così rimesso in discussione da queste conclusioni: non è soltanto il monoteismo a spingere verso una società regressiva e paurosa, ma anche la psicoanalisi, o almeno una sua versione, che è poi quella probabilmente maggioritaria.
#127
Ma ammettiamo ora che il Padre sia in verità il nemico: il primo Padre innanzitutto, quello celeste, e poi a seguire tutti gli altri, creature più o meno inadeguate che ne hanno incarnato l'autorità, esercitando su di noi la loro sovranità tossica.
In effetti Laio, padre di Edipo, è la causa di tutta la tragedia familiare i cui effetti si faranno sentire fino alla terza generazione con Antigone e i suoi fratelli.
La colpa di Laio non è quella di avere abbandonato nella foresta il figlio neonato, condannandolo a morte (cosa che a quanto pare nella Grecia antica era una pratica legittima, un po' come per noi l'aborto), ma di averlo generato.
La maledizione si scatena nel momento in cui Laio si abbandona al desiderio sessuale per la moglie Giocasta, mettendola incinta.
Pur avendo avuto dagli dei, attraverso l'oracolo, il messaggio di non fare figli – secondo le parole di Eschilo: "non avere figli, salverai la patria", un'alternativa quindi: se vuoi essere un buon Re non devi fare figli – Laio, il lussurioso, responsabile qualche anno prima dello stupro del giovane figlio del suo amico e benefattore Pelope, non riuscendo a dominarsi si accoppia con Giocasta, che darà alla luce il piccolo Edipo.
Si può quindi presupporre che anche se il piano di Laio di sbarazzarsi per sempre del figlio fosse andato a buon fine, sarebbe stato comunque soggetto alla maledizione (ma in questo caso almeno il destino avrebbe colpito solo lui, non i suoi eredi che appunto non sarebbero mai esistiti).
Il peccato insomma era ormai stato commesso. Il classico peccato della tracotanza nei confronti degli dei. Non avere accettato i limiti.
Dunque Laio riesce nell'impresa di trasgredire per ben due volte la legge del Padre: per primo nei confronti degli dei, non volendo accettare l'imposizione degli dei a non generare, poi nei confronti del figlio, che una volta nato viene trafitto alle caviglie in modo che non sia in grado di camminare e poi abbandonato nella foresta per una morte certa.
In pratica Laio una volta commesso un crimine preferisce commetterne un secondo piuttosto che rischiare la vita (la minaccia dell'oracolo).
Ma se Freud può vedere nelle gesta di Edipo una verità nascosta (l'odio per il padre e l'amore incestuoso per la madre), noi possiamo vedere in Laio un complesso altrettanto inconscio: l'odio per il figlio che minaccia di prendersi ciò che gli appartiene, a cominciare dalla moglie.
Un complesso che precede cronologicamente quello di Edipo e che quindi ne influenza inevitabilmente le dinamiche.
La verità della Legge del Padre, che sul piano esplicito consiste in un equilibrio tra castrazione e iniziazione alla vita, è sul piano inconscio invece una minaccia di morte. 
Il figlio si vedrebbe così costretto o a rinunciare alla vita, vivendo nell'ombra e nella sottomissione al Padre – e solo così mi spiego come ci si possa adattare alla vita meschina del lavoratore moderno – o a farsi largo nel mondo a bastonate (come fa appunto Edipo all'inizio della sua carriera).
Il problema non sta tanto nel fatto che alcune declinazioni del Padre siano più simili a Laio che al buon Dio. Il problema sta nella possibilità di un assorbimento inconsapevole della verità di fondo. Il figlio finisce per assomigliare al padre, sempre. Fisicamente certo, ma anche nella sua eventuale pazzia.
Così, è questa la conclusione: in ognuno di noi alberga il nemico, che è la parte selvaggia del Padre, unica eredità sicura per tutti i figli.
#128
[Rispondo a Duc e a Phil con lo stesso post, prima a Duc poi a Phil, più o meno...]

Come ha già spiegato Pio si entra nella vita, si diventa veramente umani, solo accettando il limite. Solo accettando un certo grado di castrazione. Non si può insomma avere tutto, non si può diventare come Dio.
Quindi si può andare in giro per il mondo proprio perché si riconosce l'esistenza della Legge.
Ma il fine di questo aggirarci per il mondo è la ricerca di ciò che abbiamo perso all'inizio. Ricerchiamo versioni minori di quell'Uno a cui abbiamo dovuto rinunciare.
Il senso delle cose non siamo noi a stabilirlo a tavolino, non è opera dell'Io. Quello che possiamo fare, qualsiasi sia la nostra fede sulla natura dell'Origine del senso, è accoglierlo. Che venga da Dio, dall'inconscio, dalla cultura, è lo stesso: trascende la vita reale.
Così cercare Dio è paradossale quanto cercare il senso delle cose della vita. Infatti cercando Dio non si cerca un oggetto reale, così come il senso della vita non è un aggregato di fenomeni.
Sono d'accordo sul fatto che il rifiuto di questa trascendenza porti al fallimento. E noto che tale fallimento è appunto analogo a quello di chi voglia possedere e controllare il mistero dell'arte. Anche qui, ci si può solo abbandonare alla creatività.
Ma l'ascetismo non implica necessariamente la separazione dagli altri per una vocazione esclusiva verso Dio. Se il mistico sceglie di isolarsi lo fa perché gli altri sembrano essere solo portatori di desideri mondani. Parlano di beni terreni e non capiscono come ci si possa rifugiare in una grotta a pregare perdendosi tutto ciò che il mondo può offrire. Da questo punto di vista la scelta più opportuna è la solitudine. Che nella storia di tanti santi si ribalta poi nella vita comunitaria, una volta trovati dei compagni di strada adatti.
#129
La tesi iniziale di questo topic, secondo cui la vicenda cristiana comporterebbe una certa staticità basata sul fatto che di fronte all'indiscutibilità della Legge del Padre non resta che la devozione, e quindi la permanenza nello status di figlio, può essere messa in discussione anche riflettendo sull'esperienza del mistico.
Il mistico, come abbiamo visto da qualche accenno sulla vita di Francesco d'Assisi, si imbatte a un certo punto nella chiamata, nell'irruzione dell'Altro. A cui segue una caduta dell'interesse per le cose del mondo. La rinuncia, almeno all'inizio, è completamente spontanea. Poi, in un secondo momento, diventa un metodo.
Metodo per che cosa? Per avvicinarsi a Dio, per farne "esperienza", per interagire con Lui, per viverne la presenza.
Il mistico dirà di se stesso: sono uno che cerca Dio, tutto qua, non molestatemi con i vostri dubbi teologici!
È questo il punto: qui non c'è devozione della Legge del Padre, ma piuttosto ricerca del senso che sta alla base di essa. C'è uno sforzo, a volte persino disumano, di decifrare la Parola di Dio, la sua volontà.
Ma il figlio che rimane per sempre tale non si interroga sul senso delle disposizioni paterne: si limita a eseguirle con la maggiore precisione possibile (come si vede nel fariseo, oggetto non a caso di un'intensa polemica evangelica).

L'ascetismo, che è la prima risposta naturale all'irruzione dell'Altro, può diventare però nel tempo una fuga e una soluzione completamente controproducente.
In pratica l'ascetismo anziché essere un indebolimento dell'Io in funzione di un abbandono al divino, può nascondere il suo opposto, ovvero il miraggio di un volontaristico controllo del cammino verso l'Altro. Che però, proprio a causa di questo rafforzamento dell'Io finisce per ritirarsi.
Nell'anoressia per esempio il digiuno diventa tecnica sopraffina per tenere a distanza di sicurezza l'Altro e per chiudersi in un godimento di cui si ha il pieno controllo.
#130
Citazione di: Duc in altum! il 08 Febbraio 2025, 14:52:42 PMSe tutto fosse già stato fatto, Gesù già sarebbe ritornato.
Finito il tempo del noviziato, ognuno deve percepire, incontrare la propria vocazione, che non è più far quel che si vuole o quel che personalmente si crede sia il da farsi, ma divenire il progetto di Dio su di lui.
Quindi concordo pienamente il tuo: missione dopo missione, digiuno dopo digiuno, ma la chiamata può essere anche di restare - con fede in quel segreto ormai rivelatosi - nel commercio, tra le persone, con la violenza.

Ma nessun cristiano sa con certezza se un proprio desiderio viene da Dio o dal Nemico.
"Sei dei nostri?", si chiedevano i monaci del deserto, esperti in questioni demoniache.
O, in termini psicoanalitici, nessuno può essere certo che una voce venga dall'inconscio, dalla propria singolarità, e non piuttosto dai maneggi compensatori del proprio Io – il traditore per eccellenza –, o dal sadismo di una morale esterna o di un Padre beffardo.
Così Francesco vive gli stessi dubbi di noi dilettanti.
Improvvisa. Si mette a fare il muratore, poi l'infermiere, quindi il predicatore vagabondo e via dicendo. E intanto si precisa lo stile di vita di questi "pezzenti". Ed entra in scena la tentazione dell'ascesi.
Infatti liberarsi dalla proprietà delle cose, dalle preoccupazioni materiali, a un certo punto non sembra più bastare.
Così come pregare un po', quando prima ci si limitava a biascicare qualche formula durante la messa della domenica, non sembra cosa sufficiente.
Di più, sempre di più.
Tommaso da Celano ci vorrebbe convincere che Francesco, ricevendo un segno dallo Spirito, arriva a concludere che la sua missione debba consistere nella predicazione: "infatti – scrive Tommaso – eran tutti caduti in profondo oblio del Signore e in torbida noncuranza dei suoi comandamenti".
Mentre dopo, grazie alla sua opera: "tutta la regione si mutò e divenne più ridente, perdendo il suo orrore".

Ma non è così. C'è sempre stato bisogno di piegare l'uomo allo spirito. Di umanizzare l'uomo, se così si può dire. Il punto non è questo.
Il problema è che non siamo capaci di vivere e mai lo saremo.
Manchiamo di qualcosa di fondamentale. E anche se arriviamo a capire che questo vuoto non si colmerà mai con i beni terreni, rimane il fatto della sua presenza e della necessità di inventarci un cammino – sempre illusorio – attraverso cui sanarci dal niente che ci abita.
Ecco perché la povertà arriva a trasformarsi da strumento di consapevolezza in un vero e proprio fine, qualcosa che ha valore di per sé, mentre il suo unico significato dovrebbe essere quello di mostrarci che senza beni terreni siamo più liberi e tranquilli. E a quel punto dovremmo allora iniziare a vivere, ma appunto, come ho detto, questo ci risulta semplicemente impossibile.
#131
Qualche pensiero su Francesco d'Assisi e sulla sua trasgressione alla Legge del Padre.
In questa faccenda qualcosa non torna. Ammettiamo pure che il ragazzo si sia ammalato gravemente, che sia dovuto rimane a letto a lungo, tanto a lungo da doversi aiutare con un bastone per muoversi una volta alzato. E una bella mattina di sole, uscendo di casa, passeggiando fino ai prati e i campi che circondano Assisi, non sente più nulla.
Tommaso da Celano, l'unico biografo decente, dice che tutto quanto c'è di bello, i vigneti e la campagna curata, ora a lui "non dava più alcun diletto", e che da quel giorno "cominciò a disprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato".
Ecco il crollo melanconico e la verità del mondo che appare nuda, deserta, insapore, una volta ripulita da illusioni di avventure e scherzi e prosperità.
Dopodiché inizia la fase del tira e molla, della mania e del nulla, dell'eccitazione folle e dello svuotamento, fase che ogni alchimista che si rispetti conosce fin troppo bene: dall'ipnotica tristezza in un pomeriggio giallo d'inverno, arrotolato senza memoria in un fosso accanto alla strada volendo essere solo pietra, si risveglia al sogno della produzione dell'oro. Si alza a fatica e inizia a barcollare fino al proprio laboratorio.
Anche Francesco, nei giorni che precedono la spedizione di guerra verso Sud a cui avrebbe dovuto partecipare, fa un sogno da alchimista: la propria casa piena di armi di fattura pregiata, di metallo indistruttibile.
Sogno che Francesco interpreta come un buon auspicio per la spedizione militare, a cui però decide di non partecipare. Qualcosa non va. Fino a qualche giorno prima era entusiasta di questa avventura, ora lo annoia.
Allora cambia avventura. Si dà a quella religiosa. Perché? Ma perché perdendo ogni interesse per questo mondo, volendosi salvare dalla tristezza, non c'è nulla di più naturale che buttarsi in una materia che dichiara la realtà terrena bella che morta per corruzione, e rivela che un'altra vita è possibile.
E i suoi primi passi nella preghiera li compie in una grotta. Tommaso racconta che accompagnato da un amico si recava spesso in questa grotta vicino la città. L'amico resta fuori. Lui, dentro, sprofonda nell'oscurità materna della terra, in una beata regressione.
"Gioiva che nessuno sapesse che cosa facesse là dentro", scrive Tommaso. "Era in preda ad una vivissima agitazione", "pensieri di ogni specie si succedevano nella sua mente, turbandolo molto con la loro insistenza".
Fase maniacale, a quanto pare.
E gioiva del fatto che era il suo segreto. Che aveva un segreto, e che questo segreto era il suo tesoro nascosto.
Da qui in poi sarà un iperbolico viaggio verso l'impossibile.
Sì, va bene, questa vita fa schifo, i suoi commerci, l'ostilità delle persone, la violenza, tutto ciò che è terreno sembra essere l'opposto di ciò che ciascuno desidera veramente, ma allora, una volta abbandonato tutto, che cosa fare?
La domanda fatidica di ogni pellegrino dello spirito. Di ogni religioso, finito il tempo misterioso e sognante del noviziato.
Predicare? Andare nel deserto? Lavorare con i più poveri? Rifugiarsi in un monastero? Organizzare un nuovo ordine religioso?
Tutto è già stato fatto. Eppure qualcosa bisogna fare, non si può soltanto vivere, non ci si può fermare, che altrimenti la melanconia potrebbe tornare. Bisogna continuare a correre. Missione dopo missione, digiuno dopo digiuno.
#132
È ovvio che carità e gioia sono già presenti nella Legge giudaica, nella tradizione biblica in generale, il punto però è che attraverso di esse, in una loro versione eccedente la Legge stessa, fino alla sua apparente trasgressione, si prova a dare forma a un mondo nuovo.
È tenendo presente questo tentativo più o meno allucinatorio che si comprendono le numerose esperienze mistico-ereticali cristiane, in cui accanto al sacrificio della propria vita per la Legge (un ascetismo kantiano, diciamo così) si possono individuare (questa è la mia ipotesi di lavoro) dei percorsi fatti di rinunce radicali che se è vero che prendono avvio dalla devozione per la Legge poi finiscono per trascenderla, soprattutto quando essa si presenta nelle sue declinazioni umane, come norme civili generate in ultimo dalla Parola. E la trascendono in un eccesso che è il godimento per il dissolvimento di questo mondo.
#133
Seguendo Al di là del principio di piacere, dobbiamo ammettere, in base all'evidenza clinica su cui il testo freudiano si interroga, che il desiderio sconfina in una pulsione di morte. Il soggetto vuole il proprio male. Non c'è alcuna ricerca dell'omeostasi: non avviene una scarica seguita da un ritrovato equilibrio. Piuttosto, si persegue un eccesso, un'ottusa ripetizione, un dissolvimento. Qualcosa spinge contro la vita. È in questa direzione che troviamo la nozione di godimento di Lacan, così come quella di dépense (dispendio) di Bataille.
Se le cose stanno così, e cioè se accanto a una versione "costruttiva" del desiderio, a un edonismo progressista, vi è sempre anche una tendenza all'eccesso distruttivo, da questo punto di vista, cos'è il cristianesimo? Il cristianesimo inteso come esperienza, e non come favola teologica?
Sviluppiamo la seguente ipotesi: nel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Si fonda piuttosto sul godimento di un altro mondo, già in questa vita, che comporta un consumo di sé volto a spezzare la logica dominante del mondo attuale: la logica dei bisogni, dei piaceri, la devozione ai decreti paterni, ai limiti, ai sani confini. Un eccesso che non si muove nella direzione dell'etica kantiana, ma piuttosto verso quella di De Sade, sostituendo però alla vocazione per la perversione sessuale e per l'omicidio quella per l'amicizia.
#134
Suvvia, esagerato, Recalcati non è affatto il male assoluto...
Beh, io continuo sul tema, più o meno...

Sul desiderio si contano un certo numero di teorie:
1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard). Il proprio desiderio è diretto verso una cosa non per le sue caratteristiche intrinseche ma perché è oggetto del desiderio di un altro (vedere come tra i bambini il giocattolo più desiderato è sempre quello usato da qualcun altro); alla base del desiderio ci sarebbe insomma l'imitazione; il che però comporta invidia, aggressività, conflitto.
2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio. Quindi un desiderio destinato al fallimento ma che comunque alimenta la spinta verso il mondo.
4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.

Ora, come sottolinea Recalcati nel suo ottimo Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Antigone, per lo psicoanalista francese, incarna il simbolo del desiderio puro — un desiderio che sconfina nel desiderio di morte. Antigone rifiuta qualsiasi compromesso con le leggi della città, che impongono il divieto di sepoltura per i traditori, come suo fratello Polinice. Non fa alcun passo indietro, pur essendo pienamente consapevole delle conseguenze della sua trasgressione: la condanna a morte. A differenza del padre Edipo, che appare come un burattino in balia del destino, Antigone sa cosa l'attende, ma non può agire diversamente. Non è spinta da un cieco narcisismo nelle proprie convinzioni, ma dall'intolleranza verso l'idiozia della realtà.

L'esito di questa analisi del desiderio orientato verso la pulsione di morte e un godimento distruttivo sembra mettere in crisi la visione edificante del Padre come promotore del desiderio del figlio verso le cose del mondo. Separando il figlio dalla madre, imponendo la Legge che vieta la loro "fusione" e orientando il desiderio in una direzione costruttiva, il Padre sembra in realtà svolgere un ruolo ideologico: ingannare il figlio facendogli credere che la realtà abbia un senso e che valga la pena vivere. Il suo compito inconscio è dunque garantire la continuità di questo inganno, necessario affinché la vita e la civiltà possano esistere. Tuttavia, tale inganno si svela sia nell'eccesso mortifero del desiderio, come in Antigone, sia nella sua dissoluzione e perdita, come nello sguardo melanconico.
#135
Tematiche Culturali e Sociali / Re: TIMORE e SPERANZA
02 Febbraio 2025, 13:44:58 PM
Capisco il timore, non capisco però la speranza. Infatti le ingiustizie del mondo non sono dovute a buone intenzioni che poi per deficit di razionalità finiscono in disastri, deficit di razionalità che si potrebbe pensare superabile tramite intelligenza artificiale, da cui un possibile ottimismo.
No, niente del genere. Noi sappiamo fin troppo bene cosa dovremmo fare per rendere il mondo un bel luogo abitabile per tutti. Manca la decisione. Che del resto, anche a livello di singola vita, si verifica raramente tanto da utilizzare, quando si verifica, termini religiosi come "grazia"...