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Messaggi - Visechi

#121
Citazione di: Visechi il 02 Dicembre 2024, 22:10:58 PMVerse-nous ton poison pour qu'il nous réconforte!

Versaci la pozione, perché ci riconforti!
Versaci il tuo miele perché ci riconforti!

anche questa è una traduzione, tutto va bene per messieur.
#122
Citazione di: PhyroSphera il 04 Dicembre 2024, 19:35:01 PMNon ritengo ci sia da spiegare sul piano in cui tu poni il discorso.

MAURO PASTORE
Difficile spiegare quel che con ogni evidenza neppure tu che scrivi hai compreso.
#123
Citazione di: PhyroSphera il 04 Dicembre 2024, 20:18:35 PMNon sai cosa è la traduzione di una poesia. Non si può restare fedeli, inoltre in poesia le parole si usano diversamente. Ancora: in italiano, in specie quello letterario, la parola "pozione" si usa anche per dire "veleno".
"Visechi" dovrebbe usare attenzione diversamente. Ciò che non capisce, dovrebbe lasciarlo perdere. Così si fa in filosofia, nei casi in cui lui si mette.

MAURO PASTORE
Quanto isterismo, come mai?
Utilizzando l'inappropriato vocabolo 'pozione' in luogo di 'veleno' gli muti arbitrariamente il senso (ci può anche stare). Ad ogni buon conto, ho solo domandato la ragione di questo tuo volontario svarione, nient'altro. 
#124
Ultimo libro letto / Re: Legge del desiderio
03 Dicembre 2024, 21:29:08 PM
Citazione di: doxa il 24 Novembre 2024, 14:24:34 PML'ultimo libro scritto dal psicoanalista Massimo Recalcati e pubblicato la scorsa estate  è titolato: "La legge del desiderio. Le radici bibliche della psicoanalisi". Il testo unisce psicoanalisi e spiritualità.

L'autore riflette sulle parole di Gesù e propone una nuova lettura del messaggio cristiano.

"Non abbiate paura !" è il monito di Jesus per sottrarre gli individui dall'interpretazione solo moralistica e sanzionatoria della cosiddetta "Legge divina" e per affermare l'esistenza di un'altra "Legge" che tramite il desiderio serve la vita, li autorizza ad assecondare il proprio desiderio, la propria vocazione, i propri talenti. E' l'eredità del messaggio cristiano, ripresa dalla psicoanalisi di Freud e del cattolico Lacan.

La Legge divina non incute più il timore della punizione, non esige lo zelo del rispetto formale, per divenire una Legge che non annulla il desiderio, ma, al contrario, lo sostiene.

Gesù seppe unire la Legge all'amore.
È questa l'eredità essenziale assunta dalla psicoanalisi: la Legge non è nemica del desiderio, ma il suo fondamento. I riferimenti alle parabole, ai miracoli, alle guarigioni, a Pietro e a Giuda, alla notte del Getsemani, alla resurrezione e al pensiero di Paolo di Tarso sono rivisitati da Recalcati in modo sorprendente. Egli sfida luoghi comuni e stereotipi della lettura psicoanalitica del cristianesimo e con audacia mostra come la testimonianza di Gesù sia testimonianza della vita e del desiderio.

Le parabole, come è noto, sono la narrazione di un fatto immaginario ma appartenente alla vita reale, con il quale si vuole dire una verità o illustrare un insegnamento morale o religioso; nell'ebraismo rabbinico la parabola era molto comune nella predicazione e nell'insegnamento e fu questa la forma originale dell'insegnamento di Gesù.

L'argomentazione di Recalcati si sviluppa in una reinterpretazione del pensiero cristiano, abolendo l'opposizione tra virtù e peccato con l'introduzione del dualismo fede-peccato.

La differenza risiede nella visione del peccato non in quanto disobbedienza, ma come repressione della creatività e della produttività: "Nella Parabola dei talenti – esemplifica l'autore – due uomini su tre incrementano il numero di talenti a loro disposizione, mentre il terzo conserva l'unico talento in suo possesso seppellendolo per la paura di perderlo. I primi due vengono elogiati, mentre il terzo è invece condannato per aver messo la paura prima del desiderio, principio oggi di molti disagi psichici, soprattutto nei giovani".
Testo molto intenso che va assimilato e meditato.
#125
Citazione di: Koba II il 03 Dicembre 2024, 20:12:37 PME Pasolini, come sempre, aveva ragione.
I privilegiati che giocano alla rivoluzione: che pena!
Mi dispiace Eutidemo ma bisogna ammetterlo: la tua generazione è stata senz'altro la peggiore. Prima a godersi le avventure del ribelle, poi attaccati ai privilegi come dei parassiti lasciando a chi arrivava solo un paese allo sfascio.
Giudizi un tanto al chilo... quella è la generazione dell'impegno, la generazione dello statuto dei lavoratori, dell'aborto legalizzato, del divorzio... insomma, prima di sparare giudizi tranchant, bisognerebbe sviluppare una corretta analisi dei tempi, contesti e società.
En passant, è la stessa generazione che nel mondo si battè contro la guerra nel Vietnam e, in USA, contro l'apartheid.... A qualche altro centinaio di cause civili.
#126
Verse-nous ton poison pour qu'il nous réconforte! 

Versaci la pozione, perché ci riconforti!


Versaci il VELENO...

Poison va reso con veleno. Pozione è potion.


Perché utilizzi pozione in luogo di veleno?
Il resto ad altra occasione...
#127
Citazione di: InVerno il 02 Dicembre 2024, 08:26:02 AMQuesti sono e due estremi dello spettro politico attuale, quello che intendevo dire è che sono manifestazione di un dualismo che è sempre esistito ma manifestato diversamente in passato. Sono d'accordo che siano entrambi da evitare,  esistono per essere messi in discussione più che per essere attuati, nessuno riuscirebbe a gestire un paese comunista o anarcocapitalista, sono posizioni più teoriche e di bandiera che realistiche, ogni comunità ragionerà a sé stante partendo dalla sua condizione attuale in che direzione è meglio andare. Quello che intendevo dire con gli esempi che ho fatto è che trovo sempre abbastanza curioso trovare critici del liberismo in Italia, perchè sebbene siamo certamente una nazione capitalista non siamo certamente tra le più liberiste in termini economici, più familistici che liberisti. Eppure secondo alcuni il problema in italia sarebbero i "liberisti". Magari in america o in Uk ma sono anche sistemi diversi.. oppure sono tutti "capitalismo" e a tutti va data la stessa ricetta per guarire? Purtroppo ciò che sta invecchiando male non è il "capitalismo" che invece va alla grande e ha commodificato ogni cosa, ma la democrazia parlamentare che dovrebbe regolarlo, centocinquamila discussioni sul problema del capitalismo, nessuna sulla democrazia, siamo destinati al fallimento.
Il problema qui in Italia è essenzialmente dovuto ad incapacità manageriale, sia pubblica che privata.
#128
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
02 Dicembre 2024, 20:53:00 PM
Citazione di: taurus il 02 Dicembre 2024, 18:43:41 PMVeramente ?

E' credibile che il Gesù della storia, il pio giudeo vissuto al tempo di Tiberio.. si auto-proclamasse come avente la stessa "essenza" del divin-Abbà ?

Come ben si sa _ la consustanzialità tra il divin-Abbà e il RI-tornato vivente e divinizzato dal tarsiota.. fu sancito nel travagliatissimo 1.o concilio di Nicea (325) !
E ciò anche a seguito di quel famoso prologo del tardivo Giovanni (o chi per esso) _ redatto alla fine del I secolo _ ove riporta il "nuovo dio" della croce era già della stessa/medesima essenza del divinVasaio (tramite la celeberrima incarnazione..

Detto autore "spirituale" scrisse il suo testo alla fine del I secolo _ quando ormai la dottrina del Tarso aveva prevalso su tutte le altre "concorrenti".
Come la piu' famosa chiesa di Gerusalemme dei giudei-cristiani (guidata da Giacomo il Giusto) / Da osservare che questa fu "azzerata" durante i fatti di Vespasiano-Tito.. che distrussero Gerusalemme !

Come ben si sa _ questi irriducibili "giudei-cristiani" assolutamente contestavano le bizzarrie tarsiote.. che avevano lo scopo di presentare il RI-tornato vivente (avente un' entità pneumatica) come addirittura Nuovo "signore", colui che sarebbe disceso dal cielo e partorito da una donna-mortale (Gal. cap.4) -
I granitici credenti nel SOLO/Unico Abbà.. _ così come tanti autori biblici gli attribuivano il titolo di Signore _ Adonai ( e/o Eterno) proprio per non pronunciare il suo sacro nome !

Ma si sa le stravaganze del Tarso _ reduce da quel devastante incidente.........   

Orbene in detto concilio si esaltava Solamente il "duetto" divino !
Sarà poi nel 2.0 concilio di Costantinopoli (381) fu aggiunto il celeberrimo spirito.. formando così la trideità di questa religione _ sorta dal rigido monoteismo giudaico / quello MAI contestato dal Gesù somatico.   
Del resto i vari vangeli NON sono libri storici MA apologetici.. miranti a infondere la FEDE Nell' uomo(dio) divinizzato dal Tarso !

Prima di "accettare" come oro colato.. i dogmi sanciti dai padri (illuminati ?)  conciliari _ molto utile è leggere la (stravagante) storia del Primitivo cristianesimo, le varie "interpretazioni" dei diversi componenti della setta gesuana.. fino all' avvento del tarsiota, colui che si auto-beatificava come:

- super esperto architetto dottrinario (1 Cor. cap.3)
- ministro del Nuovo-signore (Rm. cap. 15 + 2 Cor. capitoli 3 - 4)
- Mandato/Chiamato (1 Cor. cap. 1 - Gal cap. 1)
- Incaricato ( Col. cap. 1 - Efes. cap. 3)
- PRE-scelto (Gal. cap.1)..............  e  e 

- apostolo (sic !) _  nei primi capitoli della sue "sublimi" lettere.....
----------------------------------------------------------

Tanta filosofia ed altrettanta teologia son passate sotto i ponti per confondere ancora oggi fede in Dio, cioè spiritualità, e religione, cioè riti, liturgia e commemorazione organizzati.
#129
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
01 Dicembre 2024, 21:27:02 PM
La fede è sostanza di cose sperate, ed argomento di quelle che non appaiono.

Mi ha sempre affascinato questa locuzione attribuita a Paolo.
#130
Ma è sempre stato così, sin dai più antichi insediamenti umani, piazza del tempio e piazza del mercato sono lo yin e lo yan di una comunità umana, in perpetua tensione alla ricerca di un migliore equilibrio.
No! Non sempre è stato così. Esistono due scuole di pensiero predominanti: l'una ipotizza l'autoregolazione affidata al mercato, senza che lo Stato governi alcunché in materia economica. È la filosofia che nutre il liberismo puro. L'altra ipotizza l'intervento diretto dello Stato anche in ambito produttivo, non solo giuridico ed organizzativo. Entrambe sono mortifere: l'una tende all'ipertrofia, soffocando qualsiasi altra iniziativa che non riesca a sostentarsi attraverso economie di scala. È il problema del trust e del dumping, per esempio. L'altra, sostituendosi all'iniziativa privata, tende a deresponsabilizzare e disincentivare la partecipazione emotiva del singolo. Sono entrambe da evitare.

E' piuttosto tragicomico come molti ancora abbiano fiducia nelle doti dei dirigente pubblici...
No, non intravedo grandi manager pubblici: non li abbiamo proprio perché il manager pubblico è diventato tale non per doti professionali ma in virtù di un ombrello protettivo offerto loro dalla politico.  Mancano quelli pubblici, ma difettano ancor più quelli privati: troppo abituati a far propri i guadagni, negandoli agli investimenti produttivi, e a socializzare le perdite attraverso cassa integrazione e iniezioni di pubblico denaro. Così non può nascere e neppure crescere un'adeguata imprenditoria privata.

Nobili le lotte sindacali,
In fesi congiunturali complesse e di riflusso il lavoro del sindacalista (spesso una vera passione espletata con assoluto spirito di servizio) è complesso, difficile e difficilmente premiante. Negli anni di lotta il sindacato ha comunque costruito una rete di diritti e garanzie che copre una quota preponderante del mondo del lavoro subordinato, ed ha opposto la propria forza collettiva ai reiterati tentativi di smantellarla. Poi si capisce... criticare è sempre più facile che costruire.

tra le altre cose hanno anche prodotto i baby pensionati che i very "Baby
Questa dei baby pensionati è una favola che va sfatata. No, il sindacato non ha prodotto i baby pensionati, e neppure le pensioni d'oro, che sono un parto della politica in un'epoca in cui le condizioni complessive del mondo del lavoro permetteva lussi che oggi non ci possiamo più permettere. Mi puoi, invece, dire che il sindacato ha cercato di perpetuare un regime pensionistico che oggi avrebbe determinato il fallimento dell'ente pensionistico... vista corta e difficoltà a gestire il malumore. Il sindacato ha smesso da qualche decennio a pensare che 'il salario sia una variabile indipendente rispetto alla produzione" (cit.). Più spesso, fra battaglie di retroguardia, ha imparato – forse ob torto collo – ad assumersi anch'esso la piena responsabilità della vita del Paese e della singola azienda.
#131
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2024, 22:56:53 PMSu questo siamo pienamente d'accordo io aborro l'oriente politico.

Ma se uno vuole trattare il sociale come categoria, allora ne deve derivare le sue cordinate.
Anzitutto a colui che queste cordinate le ha scoperte.
Esso ha nome di capitalismo.
La socialità è una categoria del capitalismo (Marx).
E dunque non esiste una politica dell'economia (come i comunisti hanno travisato, estinguendosi e rinchiudendosi nei recinti dei forum e dei gruppi vari social),
Ma una ECONOMIA politica.
Non è la politica che determina l'economia, ma l'economia che determina la politica.
E' questo il messaggio di Marx, ancora oggi inascoltato.
Dunque quel che rimane dei socialisti veri dovrebbe immediatamente parlare dell'economia, lasciando da stare le stoltezze della tassazione.
La tassazione è di per sè ininiqua. E' il pizzo che l'amministratore chiede al produttore per lasciarlo lavorare. E' mafia legalizzata.
Il nichilismo in questo non c'entra niente: è proprio la base della teoria.
Marx si è sempre raccomandato di non dirsi filosofo, fino all'esaurimento.
E invece qui ancora a menare il can per l'aia, non c'è trippa nemmeno per i gatti.

Io non avendo ancora tutta l'opera, mi baso su quelle prime venti pagine circa che ho letto.
Non è che che queste pagine non dicano niente, anzi!
Marx impiega buona parte delle pagine per far capire all'operaio il concetto di uguaglianza.
Uguaglianza dei diritti? Ma nemmeno per sogno!
L'uguaglianza fra lavoro e valore.
Alla base delle teoria sta la teoria del valore, ossia della differenza tra valore d'uso e valore di scambio.
Il liberismo la teoria ignorante che precede l'arrivo rivoluzionario di Marx, non ragiona sul primo, ma solo sul secondo instaurando come dice Marx in avvio del capitale, una teoria merceologica.
La merce riguarda ESCLUSIVAMENTE la merce di fabbrica.
In quanto l'agricoltura è esente dalla teoria, infatti è la terra che dà i frutti.
Ciò che conta in Marx è la teoria aziendale.
Oggi come oggi l'economia è passata da un modello industriale ad uno finanziario.
Oggi il capitale si è trasferito nel digitale.
L'investimento non sta più nei prodotti, ma nel capitale che produce capitale.
E' la via più veloce al profitto.
In questo senso la teoria marxiana è diventata obsoleta.
Peccato che Marx ne avesse parlato di questa possibilità liquidandolo come irriproducibile non solo nel lungo, come il capitalismo, ma anche nel breve periodo.
Sappiamo benissimo che questa bolla, come la chiamano loro, i capitalisti, è esplosa nel 2008 con il caso Lehman brother.
Ci avviciniamo al ventennale, e da allora le politiche di austerity e di raccoglimento del capitale dei privati nelle tasche delle elites economiche, sottoforma di asset creditizi finanziari ha creato tutte le condizioni per cui l'Europa deve necessariamente tornare ad una politica aziendale, o finire in banca rotta.
Nel frattempo nessuno si è attrezzato o si sta attrezzando a che questa caduta dalla bolla economica, non lasci segni indelebili su ogni cosa, dalle aziende che a stento rimangono aperte, a quelle degli operai, sempre più sottopagati.
Purtroppo per noi le nicchie economiche, compresa l'ideale spostamento del commercio su piattaforme digitali, sono occupate già o anche dalla Cina.
Io veramente non capisco come fanno a non capire cose di una banalità così evidente.
Non è che siccome il commercio non si fa più nei mercatini, allora il commercio non dipenda dalla solita cara vecchia dottrina della domanda e offerta.
L'offerta cinese è infinitamente più allettante.
L'Europa deve decidersi tra scegliere se investire nella produzione o diventare il consumatore stesso.
Cosa che non decide l'Europa essendo il consumatore il re della catena alimentare, ed avendo nome di USA.

Le coordinate a che si torni a ragionare sul valore d'uso, ossia sul valore SOCIALE della merce, ci sono già tutte.
Ma qualcuno le sta pensando?

Oppure si accettano le teorie fuse di testa delle coop?
La gente si può permettere l'auto elettrica?
La gente ha bisogno dei lavori pubblici contro l'emergenza climatica, o di cambiare l'intero paradigma di consumo?
Domanda abnorme rispetto all'emergenza reale.

Salve.

Tutto veramente molto chiaro, interessante ed imprescindibile.
#132
Al di là delle farneticazioni...
È evidente che una programmazione economica ben calibrata, che produca benefici effetti nei riguardi di un'area geografica o un territorio più o meno vasto (questo è il mio angolo di visuale, la collettività, la comunità prima dell'individuo) possa sviluppare al meglio le sue potenzialità di sostegno allo sviluppo economico e sociale se il contesto ambientale e giuridico è il più favorevole e vantaggioso possibile. Questa è a dir poco una tautologia. Non si costruisce alcunché in un deserto. Ma quale può essere questo contesto, che caratteristiche deve avere, quali aspetti deve curare con maggior attenzione? Può, infine, esistere un methodos codificabile e che sia valido in tutte le situazioni? Il tema della corretta collocazione del methodos e della sua strutturazione è assolutamente dirimente. Va anche considerato che sebbene la politica rappresenti certamente uno degli attori principali della messa in scena, poiché a lei è richiesta la predisposizione di un coerente quadro normativo imprescindibile per i diversi players che si avvicenderanno sul terreno di gioco, da sola non può creare le condizioni. Ma chi sono questi players?
Parliamo prima di tutto del contesto generale. L'esperienza ed il buon senso tendono ad escludere che il liberismo puro possa offrire le giuste coordinate per lo sviluppo armonico di un territorio. Il Capitalismo, se lasciato agire senza regole o parametri ferrei da rispettare, tende all'ipertrofia solipsistica, ovverosia a gonfiarsi avendo come unico fine quello della remunerazione, sempre crescente, dei possessori del capitale. Massimizzazione del profitto, questo è il suo must. Tende all'ipertrofismo omnifagocitante, uccidendo qualsiasi altra possibilità di iniziativa economica. Le leggi antitrust son nate per ovviare a questo rischio. Nel libero mercato non può dunque essere il liberismo il basamento su cui possa poggiare un'efficace programmazione economico, dovere imprescindibile di chi governa. Però, osservata dall'altro versante, neppure la programmazione declinata in stile sovietico, con i suoi piani quinquennali che tanto danno hanno prodotto, può rappresentare il modello da adottare. Entrambe, liberismo e pianificazione statale (non scrivo comunismo perché di fatto quella sovietica fu tutto tranne che applicazione delle dottrine marxiste), tendono a inaridire il territorio, soffocando la libera imprenditoria e dissanguando l'ambiente. Il libero mercato non può dunque essere declinato nella formula del liberismo, come pure non può svilupparsi in un contesto di assoluta totalizzazione statale.
Se lo Stato ha il precipuo compito di predisporre le necessarie infrastrutture, svolgere pienamente il proprio ruolo d'indirizzo (anche attraverso la leva fiscale e contributiva) e di mettere a punto un quadro normativo fruibile (regole anti duping ed anti trust, per esempio), l'imprenditoria privata deve svolgere appieno il ruolo che più gli si attaglia: convogliare il capitale privato – liquido o finanziario - in attività economiche 'autosostentanti', intendendo con ciò attività che siano armoniche rispetto al mercato ed all'ambiente in cui vanno ad inserirsi, senza che siano prefigurate, fin dal piano d'impresa, situazioni e condizioni in cui il sostentamento dell'attività economica sia affidato all'aiuto pubblico. Ad ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica. Il terzo giocatore è impersonato dal complesso sistema distributivo che affianca la produzione.
Il discorso è lungo e complesso. Non intendo esaurire tutti gli argomenti in un unico post.
#133
Son stato sindacalista per lunghi anni ed ho riscontrato più volta l'enorme difficoltà da te segnalata.
Tempo fa, a proposito di questo tema – mercato – scrissi uno sproposito presentato ad un convegno, riguardante tematiche di interesse regionale.

PROGRAMMARE IL FUTURO PER NON MORIRE.
Euroallumina! (Forse puoi anche leggere Ilva di Taranto, Monsanto di Brescia etc...)


Leggevo un commento: "Se non ci fosse il problema del lavoro". Mi è venuto spontaneo pensare che invece c'è! Ed essendo questo dramma incombente, anzi conclamato, il problema deve essere affrontato con grano salis. La chiusura di una qualsiasi attività, se non compensata da altre iniziative che garantiscano l'assorbimento dei lavoratori e purché queste non rappresentino un palliativo temporaneo per tacitare animi esacerbati, è sempre, qui in Sardegna, un autentico dramma, e di questa tragedia non si può non tener conto.
Io sto con gli operai!
Sto con gli operai significa semplicemente che per quelle persone e per le loro famiglie parteggio. In questo senso sono partigiano. Il lavoro è sacro. 
 
Una volta dichiaratomi partigiano e guardatomi attorno, mi viene anche da pensare se il diritto sacrosanto di questi uomini possa essere considerato prioritario rispetto all'altrettanto sacrosanto diritto alla salute del territorio che ospita quelle attività e a quella degli altri abitanti presenti e futuri.
Nel bordeggiare fra queste due sacralità non è certo semplice propendere per l'una o l'altra soluzione: lavoro o salute (delle persone e del territorio)? La politica – non molto quella sindacale che è sicuramente e, aggiungo io, sovente insensatamente schierata a prescindere - è sempre stata preda di questo dilemma: preservare il territorio o dar momentanea soddisfazione alle disperate paure dei lavoratori?
Come uscire da questa impasse? 
Forse provando ad immaginare quale dei due possa essere il diritto più sacro, quello che sopravanzi la sacralità dell'altro, o quale dei due sia più durevole e guardi al futuro con un respiro da maratoneta e non con quello da centometrista. Se si tiene presente la storia dell'industria in Italia e, soprattutto in Sardegna, si ottiene con immediatezza un elemento di riflessione. 
L'industria e i suoi sistemi di produzione sono transeunti. Un tempo si modificavano e bruciavano nell'arco di mezzo secolo, oggi, con l'avanzare della tecnologia, variano (se non addirittura muoiono) nell'arco di pochi anni, forse un decennio, ma neppure. 
Le speranze di vita di una tecnologia o di un processo produttivo sono sempre più destinate a ridursi, per cui ciò che vediamo oggi sarà completamente diverso un prossimo domani; qui in Sardegna quel che è disponibile oggi è già morto e sepolto in altre zone d'Europa (un tempo l'attitudine a scaricare attrezzature obsolete e processi produttivi desueti verso le estreme periferie dell'Impero era tipico del colonialismo, ma oggi mica si può parlare di quella vetusta ed anacronistica era geologica). 
Nessuno può scordare quanto fossero definitive le installazioni dell'industria chimica a Portotorres e nelle altre aree geografiche dell'isola. Esisteva un detto: "entri alla Sir e ti sistemi per tutta la vita!". Le stesse cose le abbiamo sentite anche per l'ex Fiat, e, in tempi assai più recenti, per le banche. Poi abbiamo deciso di scuoterci dal torpore ed abbiamo visto che Sir licenziava, Fiat chiudeva stabilimenti e le banche soffrono di serissimi dissesti finanziari e strutturali. Il risveglio è stato amaro e triste e ci ha avvertito che niente è più labile e fugace delle certezze fondate sugli auspici e sui desiderata.
Ebbene, se i processi produttivi e le fabbriche sono provvisori, è sensato immaginare che anche l'occupazione a questi collegati lo sia in grado direttamente proporzionale. Ma se l'occupazione è fuggevole e caduca, i danni correlati e rivenienti non son tali: danni alla salute delle persone e dei territori. Ora, fra una perenne condizione di precarietà lavorativa sempre incombente e una permanenza del danno, suppongo che, gioco forza, anche il meno accorto dei nostri amministratori dovrebbe propendere per evitare il secondo dei due termini di confronto, anche se ciò dovesse comportare il sacrificio del primo.
Ma non si era detto che anche il lavoro fosse sacro? Certo! Lo confermo. Io, infatti, sto con i lavoratori, e, conseguentemente, con il lavoro. Ma quale lavoro? Non certo quello che, pur precario, assicura guasti permanenti.
Come la giriamo la frittata adesso?
Premetto che in assenza di attività industriale sarebbe logico programmare il risanamento dell'ambiente ed in questa attività occupare i lavoratori in CIG.
Esistono due termini, anzi un'unica locuzione che fornisce una risposta al quesito, secondo me più che adeguata. "Programmazione sostenibile" significa semplicemente voler finalmente rinunciare a fare la guardia al 'bidone vuoto', per impiegare risorse, energie intellettuali, esperienze professionali e tempo per fare seria programmazione avendo cura di non infierire sull'ambiente circostante.
Altro vuoto che si aggiunge al parlare arioso dei politicanti succedutisi in questi decenni sugli scranni di Palazzo Chigi e di via Roma?
NO! E lo asserisco in maniera più che perentoria.
Cosa vuol dire fare programmazione seria?
Cercherò di essere il più sintetico possibile, perché il tema è vasto e complesso... giusto un'infarinatura.
Siamo abituati a vedere l'Ente regionale distribuire contributi, incentivi, sussidi, risorse economiche e finanziarie senza un vero e proprio discernimento, senza discrimine e senza aver prima programmato che fare di quelle risorse. Si dice, in questi casi, 'contribuzioni a pioggia'. Questo modus operandi, alla lunga, oltre a fornire un minimo e transitorio riparo economico alle aziende beneficiate dalla 'pioggia', agevola ed incentiva quella che è nota essere l'economia assistita, che tanti danni ha prodotto e continua a produrre nei territori in cui si fa ancora affidamento su questo tipo d'intervento pubblico: la Sardegna, senza dubbio, è proprio uno di questi territori. 
Come ovviare al problema e iniziare ad investire i fondi pubblici in iniziative che siano produttive? Non è un lavoro semplice, ma, se e quando ben organizzato, non tarda a dare i suoi frutti. 
Una preventiva analisi del territorio, anche circoscritto per aeree geografiche, se ben condotta, dovrebbe far emergere non tanto e non solo quali siano le necessità e le istanze che da lì promanano, quanto, invece, le potenzialità di sviluppo economico/produttivo dello stesso. 
Non tutte le zone geografiche sono adatte per il turismo, come non tutte lo sono per l'agricoltura e non tutte si adattano bene ai distretti agroalimentari. Mille e uno fattori concorrono a fornire il segno e la cifra delle potenzialità. Difficilmente una zona geografica priva o con carenti comunicazioni interne può essere proficuamente sviluppata dal punto di vista turistico, anche se fosse ricca e traboccante di bellezze naturali. 
In questo caso le cose da fare potrebbero essere due, anche in combinazione fra loro: programmare a lungo termine la realizzazione di moderne vie di comunicazione interne, al fine di prospettare in un futuro non troppo prossimo un modello di sviluppo a vocazione turistica, e, nel frattempo sviluppare altri modelli a più immediata 'cantierazione': agroindustriali, artigianali e di allevamento, per esempio. 
In ambito agroindustriale, un'oculata e preventiva analisi di mercato (locale, nazionale ed estero) dovrebbe consentire di presagire un equilibrato sbocco ed assorbimento delle produzioni, perché non è più ammissibile confidare esclusivamente sui consumi interni. 
La predetta analisi di mercato potrebbe far emergere grandi potenzialità d'espansione per una coltura o un tipo di allevamento a scapito di altre iniziative imprenditoriali. Una conseguente analisi merceologica dovrebbe fornire, sempre in anticipo rispetto al piano di realizzazione degli investimenti, un buon livello di certezze circa l'economicità dell'investimento produttivo. 
Sarà stato, infatti, analizzato l'impatto dei costi fissi e di quelli variabili sul costo finale per ogni singola unità di prodotto, e determinato quale debba essere il break even point (fa figo - il punto di pareggio produttivo, al disotto del quale si lavora in perdita e oltre cui si inizia a guadagnare qualcosa) per massa di prodotto (sia monocolturale o genericamente inteso come prodotto orticolo). 
Contestualmente sarà stata valutata l'incidenza dei costi di produzione, raccolta, trasformazione, trasporto e della fiscalità. Per ciascuno di questi componenti sarà stato pure stabilito il livello percentuale di contribuzione al costo. Non mancheranno neppure gli studi adeguati sulle capacità di assorbimento da parte della domanda interna, nazionale ed estera, anche se queste valutazioni sono fortemente interferite da fattori contingenti dovuti alla stagionalità ed altre questioni che sarebbe troppo lungo e tedioso trattare qui. 
L'analisi complessiva sarà dunque in condizione di stabilire quante unità di prodotto dovranno essere messe in vendita per ottenere la giusta remunerazione dell'investimento; quante di queste potranno essere assorbite dalla domanda e quanta forza lavoro si dovrà impiegare per raggiungere i livelli previsti. In definitiva, quante aziende possono sostentarsi grazie a questa attività. 
Avuta nozione di tutti questi elementi imprescindibili, si potrà così stimare quali risorse (come modularle) e investitori attivare (consorzi di comuni, regione, stato e/o fondi comunitari), in concorso con i capitali privati e con il sistema delle banche private (noi pare ci siamo giocate prima 'La banca di casa che cresce con te', ora pure quella 'Ovunque nell'isola', non so se si potrà rimediare). Se l'investimento vale il risultato ipotizzato, si procede con il processo attuativo, diversamente è necessario un ripensamento complessivo che preveda un combinato di iniziative.
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata in maniera tale da mettere in campo più strumenti, che, in combinato fra loro, diano il giusto respiro all'intera iniziativa: agenzie di tuttoraggio, incentivazione all'associazionismo, formazione, informazione e comunicazione, leva fiscale e contributiva, riduzione della burocrazia, incentivazione al reinvestimento di quote di utili, pressione nei confronti degli altri protagonisti del processo (anche e soprattutto in direzione comunitaria) affinché si riconosca all'isola uno status che affranchi l'intervento pubblico dalle stringenti maglie delle complesse e cogenti norme esistenti in materia di aiuti di stato.
Evidente che a questo punto una buona programmazione dovrà aver ben chiaro come strutturare gli interventi: finanziamenti per la gestione, per gli investimenti, per le start up e/o un mix dei tre; a fondo perduto, in conto interessi o sempre un mix dei due.
In pratica, a grandi linee, invece di limitarsi alla valutazione, spesso interessata, di un business plan (anche questo fa figo... piano d'impresa) di una singola o più aziende valutate sempre singolarmente, l'ente pubblico dovrà mettere in cantiere la progettazione di un vero e proprio 'piano economico di zona', avendo particolare cura di tener conto anche dei vincoli comunitari in materia (De minimis, ESL).
Lo stesso processo, con le varianti che le molteplici e differenti condizioni esigono, potrà essere replicato anche per altre attività produttive.
Bravo! Hai scoperto l'acqua calda.
So bene di non aver proposto alcunché di nuovo. 
In soldoni è questa la metodologia utilizzata dalle grandi banche d'investimenti per sviluppare i propri affari: una preventiva analisi settoriale per comparti merceologici intrecciata con una del mercato locale, di quello internazionale, della capacità di assorbimento da parte della domanda (in questo caso non spontanea, bensì spesso indotta artificiosamente) e della remunerazione dell'investimento complessivo, è in grado di fornire agli istituti di credito un ottimo livello di conoscenza circa le prospettive commerciali del prodotto da immettere su quel mercato. 
Ma se è tutto così facile perché la Regione non ci ha ancora pensato? Io credo che la Regione sappia bene che gli interventi che per comodità chiamiamo a pioggia (non tutti sono tali) non assolvono al compito per cui sono erogati... non fanno rinascere il tessuto produttivo della regione. Credo, invece, che non siano attrezzati sia culturalmente che professionalmente a pensare in termini di programmazione economica a lungo respiro.
Una cosa c'è da dire: il sistema economico che per sopravvivere si basi prioritariamente sull'assistenza pubblica è destinato a permanere in una condizione di sudditanza (mi stava scappando schiavitù) nei confronti di chi quell'assistenza la somministra e fintanto che la Sardegna non sarà in condizione di camminare sulle proprie gambe, i mali atavici che l'affliggono continueranno a perpetuarsi, con buona pace delle velleità indipendentiste, autonomiste e di qualsivoglia altro contenitore cui volessimo far riferimento.
 
#134
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
25 Novembre 2024, 15:21:12 PM
"La prospettiva adatta per eliminare le premesse della violenza che ho indicato non è a sua volta quella medica né quella terapeutica bensì quella che fa riferimento a una alterità al mondo, dato che tali crisi umanitarie e sociali accadono quando non è più possibile ricorrere ai poteri dello stesso mondo. L'assenso, inevitabile, dello psicologo serio e competente a tale prospettiva, non va scambiato per una sostituzione a chi di questa alterità misteriosa si occupa".

Curare l'uomo con la preghiera: occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio!
Qui davvero il nostro maraja del marasma concettuale ha toccato il parossismo del delirio fideistico... 
#135
Premetto che io non sono avversario di nessuno, perlomeno non mi sento tale: ("Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione..."), che eccesso di sussiego: guarda che non ci legge nessuno!
 
Il tuo preambolo assomiglia tanto alla saggezza del 'senno del poi', che comunque non può porti al riparo dalla ben fondata accusa di aperta ignoranza sul tema della mimesi e del paradigma della vittimizzazione dell'innocente nelle comunità arcaiche. Ovvio che il medesimo processo in epoca coeva rappresenterebbe un obbrobrio etico inaccettabile, ma essendo l'etica e i valori di cui è testimone soggetti entrambi al divenire e al connesso mutar di forme, la contestualizzazione nel corretto ambito sociale ed il recupero antropologico (qui parrebbe dovremmo essere nel tuo campo d'interesse, ma dubito capisca qualcosa) del significato e del ruolo svolto nelle comunità dal processo vittimario e di mimesi potrebbero indurti a scrivere meno ovvietà e a meditare meglio, senza inutili barocchismi ed ampollosità, su quest'aspetto seminale del mondo arcaico.
 
Ti assicuro che non avverto nessuna necessità di difendermi da alcunché, tantomeno dai tuoi scritti ("'Visechi' ha tentato di difendersi"). "Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende...": questa è fede e nei confronti della fede nulla può e deve essere opposto, sarebbe come opporre razionalità ad un innamoramento. Non c'è una ragione per cui ci si innamora di quella determinata persona, non esistono motivi razionali... solo emozione e fede. Che vuoi che possa opporre io alla tua sentimentale convinzione che Dio sia presente nel mondo (ad Auschwitz l'hanno più volte invocato) e che lo trascenda? Nulla, se non un semplice e per nulla animoso monito: quel che incontri tu non è rappresentativo della totalità delle esperienze umane. Evidente che qualsiasi altra esperienza in materia, anche di segno opposto, non può che essere una dichiarazione del soggetto che esperisce, ma ciò non coinvolge, e non può farlo, altri individui in tale dichiarazione. L'ateismo, a differenza della religione, non pretende d'imporre la propria visione del mondo a chi avverte altre urgenze e differenti chiamate.
 
"...così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso)" evito di dilungarmi llimitandomi ad invitarti a cercare una buona definizione del termine trascendenza, che non coincide con Dio. Di più non posso fare per aiutarti a colmare le lacune che emergono copiose e ampie. Non è un compito che intendo assumermi.
 
Per il resto bye.