Faccio alcune considerazioni in ordine sparso, nell'ottica del paradigma materialistico.
1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.
2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?
3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela?
4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.
1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.
2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?
3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela?
4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.