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Messaggi - Loris Bagnara

#121
Faccio alcune considerazioni in ordine sparso, nell'ottica del paradigma materialistico.
 
1) Se si assume valido il paradigma materialistico, non è possibile parlare di responsabilità etica nell'agire umano: il libero arbitrio non esiste, l'agire umano è totalmente determinato dai condizionamenti interni ed esterni (anzi, solo esterni, poiché la dimensione interiore è solo un'illusione); e pertanto un uomo non è responsabile di ciò che fa, più di quanto lo sia una bicicletta per la strada che si trova a percorrere. Di conseguenza, anche il mettere al mondo dei discendenti non può essere né una colpa né un merito: semplicemente avviene, senza valore né significato.
 
2) Non sono i genitori a stabilire l'individuo che viene al mondo. I genitori al massimo possono decidere di mettere al mondo un essere umano, ossia un corpo, ma non sono loro a decidere qual è l'individuo che "entrerà" nel corpo che essi hanno deciso di generare. Anche se i miei genitori decisero, a suo tempo, di generare il loro primogenito, non c'è nulla che leghi necessariamente la loro decisione alla mia presenza qui, in questo corpo. Io potrei ancora essere nel Nulla, qualche altra individualità potrebbe trovarsi nel corpo che ora io sento di occupare. Perché dunque i genitori dovrebbero essere responsabili dell'eventuale infelicità dei loro figli, se il vero responsabile della nostra presenza in questo mondo è in Grande Nulla da cui inesplicabilmente siamo tratti?
 
3) Se mi guardo intorno, vedo più gente che apprezza la vita, rispetto a gente che non l'apprezza. Vedo più voglia di esistere, che voglia di morire o di non essere mai esistiti. Dare un nuovo essere umano l'opportunità di vivere, può anche essere un'imposizione (nel senso che non è stata scelta dal soggetto), ma un'imposizione più gradita che sgradita. Perché dunque precludersela? 

4) La civiltà che dovesse giungere al punto di ritenere preferibile non esistere, per non rischiare l'infelicità, sarebbe una ben trista (sic) civiltà, la quale, se non ritrova la voglia di vivere, è davvero meglio che si estingua.
#122
Citazione di: maral il 22 Maggio 2016, 00:10:36 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Maggio 2016, 09:28:50 AM
L'osservatore che sta al centro della sfera di Dyson può osservare il treno in una condizione di perfetta simmetria (simmetria polare): ogni punto del treno è equivalente all'altro. Ma se vige questa condizione di perfetta simmetria polare, non è possibile individuare alcun punto in cui il treno dovrebbe disintegrarsi. O meglio, tutti i punti dovrebbero essere punti di disintegrazione, altrimenti la simmetria polare sarebbe incomprensibilmente violata. Ma che significa che il treno si disintegra in tutti i punti contemporaneamente, continuando a percorrere il suo binario che è di lunghezza stabilita? Significa solo che non può disintegrarsi...
Il fatto che l'osservatore veda il treno secondo una perfetta simmetria, non significa che tutti i punti del treno, se il treno è reale, siano perfettamente equivalenti. Il punto di vista dell'osservatore, pur modificando lo spazio, non modifica il rapporto delle singole strutture componenti il treno. Se il treno è una circonferenza geometrica allora sì che tutti i punti sono in essa perfettamente equivalenti, ma in questo caso puramente astratto, possiamo ammettere che la conferenza si disintegri simultaneamente nei sui punti.

Citazionein ogni caso io non saprei come calcolare gli effetti di un campo gravitazionale del genere...
Nemmeno io, ci vorrebbe un esperto del calcolo delle formule della relatività generale.
CitazioneC'è anche da dire che è solo il viaggiatore sul treno a sperimentare l'effetto gravitazionale (equivalente), secondo il suo punto di vista. Ma per l'osservatore al centro della sfera di Dyson, non esiste alcuna gravità, esiste solo un oggetto che si muove di moto circolare e soggetto ad accelerazione.
Sì, il campo lo sperimenta il viaggiatore con i suoi sensi, ma c'è anche per l'osservatore come entità fisicamente descrivibile e reale, se il treno si muove sul binario è comunque soggetto alla forza centrifuga inerziale.
CitazioneInfine c'è un'ulteriore considerazione da fare. Mettiamoci nei panni di un viaggiatore sul treno, il quale ha tutto il diritto di descrivere ciò che accade secondo il suo sistema di riferimento. Egli vede le rotaie scorrere sotto di sé, mentre sente di essere soggetto ad un'ordinaria forza gravitazionale (equivalente).
Ora, per quale motivo, dal suo punto di vista, il treno su cui sta viaggiando dovrebbe disintegrarsi?
Non c'è alcun motivo, dal suo punto di vista.
In realtà c'è, perché proprio dal suo punto di vista il viaggiatore non vede il treno muoversi, il treno per lui è fermo ed è presente una certa forza di gravità, mentre è il binario sotto che si muove a una velocità relativisticamente significativa. Per lui quindi è il binario che ruotando si contrae e contraendosi causa la disintegrazione del treno fermo su di esso. Alla fine il viaggiatore e l'osservatore vedono lo stesso fenomeno, la disintegrazione del treno, anche se lo spiegano in termini diversi


CitazioneIl paradosso di Ehrenfest era stato formulato proprio suggerendo l'idea paradossale che il disco si sarebbe frantumato, arrivando ad una certa velocità. Sono passati più di cent'anni e gli scienziati ne stanno ancora discutendo, il che significa che non è proprio tutto così chiaro...
Sono d'accordo che in realtà la cosa non sia così semplice da risolvere.
Maral, il treno non può disintegrarsi simultaneamente in tutti i suoi punti. Pensa a cosa significa disintegrarsi: significa che ogni segmento di lunghezza infinitesimale dovrebbe distaccarsi da quelli adiacenti. Ma come fa a distaccarsene se la lunghezza totale di tutti i segmenti infinitesimali è comunque fissa, cioè pari alla lunghezza delle rotaie (= lunghezza totale del treno)? L'unico modo per avere una contrazione complessiva del treno è che il treno formi un circolo di diametro inferiore, ma questo significherebbe avere il treno distaccato dalle rotaie, un po' più all'interno della sfera di Dyson. Assurdo.

Inoltre, dev'essere chiaro che la contrazione di Lorentz non dev'essere intesa come l'effetto di una forza che insorge all'interno della materia e la comprime, fino al limite a disgregarla. Non è questo che dice la relatività. La relatività ci dice che è lo spazio-tempo a deformarsi insieme alla materia che "ospita", ma senza alcuna considerazione per le caratteristiche della materia e senza che insorgano tensioni interne aggiuntive di alcun genere nella materia stessa. Faccio un esempio: la contrazione di Lorentz è un po' come osservare un oggetto distante con una lente deformante che "schiaccia": mi aspetto forse che l'oggetto si schiacci realmente?

Infine, riguardo al rovesciamento di situazione, mettendosi nei panni del viaggiatore... Tu dici che è la rotaia a comprimersi schiacciando il treno. Non può essere, per lo stesso motivo già detto per il treno. La rotaia potrebbe comprimersi solo se potesse ridurre il suo diametro, ma non può farlo, perché la contrazione di Lorentz non si applica in direzione del raggio, ma solo nella direzione di moto. E restando fisso il diametro, resta fissa la rotaia, e resta integro il treno.

Da quel che ho letto, sono state date molte interpretazioni di questo paradosso, e nei primi tentativi di soluzione si parlava appunto di disintegrazione, ma mi pare che poi quest'idea sia stata abbandonata per altre soluzioni più esotiche (a abbastanza incerte...), proprio perché la disintegrazione non può sussistere.
Secondo me la soluzione, se esiste, dev'essere qualcosa del genere: la "matematica" della relatività deve implicare l'insorgenza di un effetto uguale e contrario alla contrazione di Lorentz, in modo tale che il treno resta di lunghezza invariata e nulla succede...
#123
Citazione di: maral il 20 Maggio 2016, 22:55:09 PM
CitazioneLB è perplesso: i calcoli gli dicono che il treno, nella sua interezza, dovrebbe essere più corto di quasi 17 milioni di vagoni... ma non può esserlo, perché se fosse più corto non riuscirebbe a completare la circonferenza, cioè si dovrebbe "aprire da qualche parte"; ma egli vede bene, col telescopio, che non è così: il treno, naturalmente, è ancora integro, ogni vagone collegato al successivo e al precedente.
non capisco perché dovrebbe vedere il treno ancora integro: se l'effetto è fisico il treno non potrà che disintegrarsi dato che il suo spazio si è ristretto per effetto relativistico, mentre il binario su cui corre necessariamente vincolato, poiché è fermo, è rimasto della medesima lunghezza.
Però, ora che ci penso, qui ci troviamo non in presenza di un moto rettilineo uniforme, come quello trattato nella relatività ristretta, ma il treno è sottoposto all'azione di una forza inerziale determinante l'equivalente di un campo gravitazionale che deforma lo spazio tempo  che comprende treno e  binario per cui si rientra nella relatività generale complicando le cose.
L'osservatore che sta al centro della sfera di Dyson può osservare il treno in una condizione di perfetta simmetria (simmetria polare): ogni punto del treno è equivalente all'altro. Ma se vige questa condizione di perfetta simmetria polare, non è possibile individuare alcun punto in cui il treno dovrebbe disintegrarsi. O meglio, tutti i punti dovrebbero essere punti di disintegrazione, altrimenti la simmetria polare sarebbe incomprensibilmente violata. Ma che significa che il treno si disintegra in tutti i punti contemporaneamente, continuando a percorrere il suo binario che è di lunghezza stabilita? Significa solo che non può disintegrarsi...

Tu accenni alla forza inerziale generata cui è sottoposto il treno nel suo moto circolare.
E' vero, ma io ho scelto appositamente i valori per ridurre tale effetto a dimensioni "ordinarie". Infatti, nell'esempio che ho formulato sul treno si sperimenta una forza centrifuga equivalente alla gravità terrestre. Quindi un effetto molto piccolo, probabilmente del tutto trascurabile.
in ogni caso io non saprei come calcolare gli effetti di un campo gravitazionale del genere...
Oppure, forse, l'effetto è proprio quello contrario all'accorciamento, e quindi tale da ripristinare la lunghezza originale del treno, come vorrebbe il senso comune...

C'è anche da dire che è solo il viaggiatore sul treno a sperimentare l'effetto gravitazionale (equivalente), secondo il suo punto di vista. Ma per l'osservatore al centro della sfera di Dyson, non esiste alcuna gravità, esiste solo un oggetto che si muove di moto circolare e soggetto ad accelerazione.

Infine c'è un'ulteriore considerazione da fare. Mettiamoci nei panni di un viaggiatore sul treno, il quale ha tutto il diritto di descrivere ciò che accade secondo il suo sistema di riferimento. Egli vede le rotaie scorrere sotto di sé, mentre sente di essere soggetto ad un'ordinaria forza gravitazionale (equivalente).
Ora, per quale motivo, dal suo punto di vista, il treno su cui sta viaggiando dovrebbe disintegrarsi?
Non c'è alcun motivo, dal suo punto di vista.

Ma il viaggiatore e l'osservatore al centro della sfera di Dyson, poiché vivono nello stesso universo, non possono constatare due fenomeni diversi: devono necessariamente vedere lo stesso fenomeno, pur descrivendolo in termini diversi a seconda del rispettivo punto di vista...

Il paradosso di Ehrenfest era stato formulato proprio suggerendo l'idea paradossale che il disco si sarebbe frantumato, arrivando ad una certa velocità. Sono passati più di cent'anni e gli scienziati ne stanno ancora discutendo, il che significa che non è proprio tutto così chiaro...
#124
Salve a tutti.
Vorrei proporre alla vostra attenzione una situazione apparentemente paradossale che ho concepito io stesso, e che poi ho scoperto essere una variante del celebre paradosso del disco rigido, presentato da Ehrenfest nel 1909.

La situazione è la seguente.
Immaginiamo che nel nostro sistema sistema solare, in un lontano futuro, l'umanità giunga a costruire una sfera di Dyson (https://it.wikipedia.org/wiki/Sfera_di_Dyson) del diametro di poco maggiore dell'orbita di Plutone: diciamo poco più di 14 miliardi di km, così da risultare una circonferenza di 44 miliardi di km esatti.
La sfera è abitata da miliardi di individui, e per facilitare i trasporti si decide di costruire una specie di metropolitana ad alta velocità lungo tutto l'equatore della sfera. Costruita la linea, si dispongono poi i vagoni del "treno": 44 miliardi di vagoni della lunghezza di un km ciascuno, così che la linea è interamente occupata dal treno, senza soluzioni di continuità. Ogni vagone è collegato al successivo e il primo all'ultimo.
Il treno viene messo in funzione. La sua velocità si servizio è di circa 8287 km/s, molto alta ma non propriamente relativistica. Peraltro, a questa velocità si genera un'accelerazione centrifuga che corrisponde esattamente alla forza di gravità della natia Terra, cosa che rende il viaggio più confortevole e naturale per gli esseri umani.

Ora però consideriamo il punto di vista di un osservatore in quiete rispetto alla sfera di Dyson, e situato in prossimità del suo centro (non troppo vicino al Sole, naturalmente; magari proprio sulla Terra, poiché il leggero decentramento non fa alcuna differenza). Questo osservatore, che si chiama LB e conosce la relatività ristretta, si aspetterebbe di osservare un accorciamento di ciascun vagone dello 0,04% circa, data la velocità del treno: poco meno di 40 cm... ma questo vale per ciascun vagone, il che significa 40 cm moltiplicato per 44 miliardi, vale a dire una lunghezza equivalente a quasi 17 milioni di vagoni!

LB è perplesso: i calcoli gli dicono che il treno, nella sua interezza, dovrebbe essere più corto di quasi 17 milioni di vagoni... ma non può esserlo, perché se fosse più corto non riuscirebbe a completare la circonferenza, cioè si dovrebbe "aprire da qualche parte"; ma egli vede bene, col telescopio, che non è così: il treno, naturalmente, è ancora integro, ogni vagone collegato al successivo e al precedente.

Allora LB pensa che il treno forse gli appare più vicino, cioè a distanza minore rispetto a quella della sfera... Ma è assurdo, perché dove potrebbe correre il treno, se non sulla linea che è costruita lungo l'equatore della sfera stessa? La sfera è fissa, il suo diametro è noto e non è soggetto ad alcun effetto relativistico... Inoltre, se il treno gli apparisse più vicino, i vagoni gli dovrebbero apparire più larghi, ma ancora, non è così, lo vede bene al telescopio, i vagoni hanno la medesima larghezza iniziale.

D'accordo, il treno corre sempre sull'equatore della sfera, e quindi la sua lunghezza totale è fissa: forse che, allora, l'effetto relativistico è tale da creare quasi 17 milioni di vagoni in più?... Ma no, stiamo scherzando? E dove li infilerebbe quei vagoni nuovi, un po' qui e un po' lì, a caso? Oppure tutti in fila in un punto, magari proprio alle sue spalle, dove non sta guardando in quel momento, eh? E poi, si trattasse solo dei vagoni... ma la gente che c'è sopra? Si inventa anche i passeggeri, quel diavolo di effetto relativistico, oppure crea solo vagoni vuoti?

A LB comincia a girare la testa.
Sempre più perplesso, decide di scrivere a questo forum.
#125
Citazione di: maral il 19 Maggio 2016, 09:53:26 AM


CitazioneMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Il problema dell'identità permanente è stato affrontato in termini neurologici, ad esempio  da Damasio. La sua ipotesi è che questa identità corrisponde all'immagine che le strutture corticali elaborano a partire dalla biostaticità che l'organismo variando deve mantenere sempre invariata per sopravvivere. Il compendio di tutte le informazioni necessarie a questo mantenimento dell'unità stabile del corpo si trova nel midollo allungato. Il discorso è interessante, come tentativo di dare conto del fenomeno coscienza di sé su base neurologica. Lo introduco nella sezione "Scienza e tecnologia" per chi volesse commentarlo e approfondirlo.
Mi fa piacere vedere che anche la scienza riduzionista cerca di dare una soluzione al problema della permanenza dell'identità.
In questo forum c'è chi nemmeno avverte l'esistenza del problema...
E' interessante quel che riporti, maral, ma un po' troppo sintetico :-\ ... Ci sai indicare dove trovare maggiori informazioni sul tema?

P.S. Pardon, come non detto. Ho visto solo ora che hai aperto un altro 3D sul tema. Comincerò col leggere quello. Grazie.
#126
Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 16:10:55 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 12:51:32 PM
Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità.
CitazioneNo, scusa, questo non é affatto riduzionismo.

Questo é una banale (e maligna) deformazione caricaturale che con l' autentico riduzionismo non ha nulla a che fare!

Per l' autentico riduzionismo il tutto é uguale alla somma delle parti poste in determinate relazioni reciproche.
La somma degli organi del corpo umano reciprocamente separati (tagliati gli uni dagli altri e semplicemente giustapposti) é complessivamente uguale al "tutto" costituito da un cadavere (sezionato).
Invece la somma degli organi del corpo umano fra loro uniti e funzionanti regolarmente, in rapporti reciproci tali da realizzare un' unità anatomica e fisiologica (funzionante senza l' aggiunta di alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" o "animistico" misteriosamente scaturente dalla loro somma) é complessivamente uguale al ben altro "tutto" costituito dal corpo umano vivente.



Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

CitazioneA parte la metafora delle "nuvolette" che personalmente trovo alquanto infelice (ma é questione di gusti), a me pare non vi sia nulla di problematico: é ciò che si constata quotidianamente.


A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

CitazioneE a me non riesci proprio a far comprendere nulla di sensato con questa metafora: io ci sono e il fatto desta meraviglia, d' accordo.
Ma tutta la faccenda delle nuvolette e del palloncino che c' entra?
L'avevo detto che sarebbe stato difficile.

Sgiombo, hai dimostrato ancora una volta di essere totalmente privo d'intuito.
Refrattario al linguaggio simbolico e metaforico, che è l'unico a poterti portare oltre.
E totalmente appagato delle tue risposte, ma soprattutto delle domande che non ti fai.

Sono felice per te.
#127
Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 08:18:54 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PMMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?[/size]
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

Rispondo (anche se non direttamente chiamato in causa; me ne scuso, ma non sono riuscito a trettenermi oltre).

Non vedo alcun problema (dal punto di vista dei monisti materialisti, quale io peraltro non sono).

Tanto dell' esperienza personale cosciente (dell' "io", se così ti piace chiamarla) quanto del cervello (vivo) si può dire tranquillamente che iniziano e finiscono di esistere sostanzialmente insieme (con qualche limitata sfasatura; con buona approssimazione insieme se il cervello si intende in quanto pienamente sviluppato e regolarmente funzionante: non nel feto e primissimi giorni di vita extrauterina, non se in coma); e che si trasformano durante la loro esistenza, cioé che persistono relativamente, parzialmente, per certi aspetti e caratteristiche, continuando ad essere se stessi (ciascuno se stesso), pur mutando relativamente, parzialmente, per certi altri aspetti e caratteristiche (per esempio tu continui ad essere te stesso pur cambiando relativamente: non sei esattamente il bambino che eri qualche anno fa; esattamente come il tuo cervello continua ad essere il tuo cervello e a funzionare in quanto tuo cervello, pur non essendo esattamente quello di quando eri bambino e non funzionando esattamente nello stesso modo):

ma dove starebbe mai il problema?
Ci mancherebbe, non si trattava di una conversazione privata...

Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità. Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.
#128
Ok HollyFabius, lasciamo da parte i reciproci fraintendimenti e andiamo avanti.
Tanto più che tutto è partito da un tuo post che ho ripreso per fare una considerazione generale, e che non riguardava specificamente te, ma una corrente di pensiero...

Ha scritto nel tuo ultimo post:

CitazioneRispondo alla tua questione, ovvero: cosa c'è (se c'è) di stabile nel corpo/cervello umano a cui si possa riferire il senso di permanenza e stabilità del proprio io-sono, che ciascuno di noi sperimenta?

Ammetto che non mi è perfettamente e completamente chiaro cosa stai chiedendo, reagirei di rimbalzo: c'è qualcosa di stabile nel nostro corpo/cervello umano?
Se per stabile intendi che perdura nel tempo, nulla perdura in noi. Da quando nasciamo a quando moriamo vi è una continua trasformazione sia nel corpo che nel cervello. 
Questo però non esclude che per molti periodi quello che osserviamo come 'coscienza' permanga in forme sufficientemente stabili da fornire quella che è la nostra impressione di unità.
Se pensi ad un formicaio, la morte e nascita di formiche è continua ma le funzioni del formicaio permangono. E' un po' come una squadra di calcio dove un componente viene sostituito ma la squadra continua a giocare e dall'esterno continui a vedere la partita.
E' proprio questo il punto da afferrare.
Mi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...
#129
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 15:45:30 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 15:24:00 PM
Mi sto sforzando di capire quale sia la differenza fra il "mio" modo di intendere la coscienza e il "tuo".
Io ho sempre usato questo termine nel senso dell'io-sono, cioè la consapevolezza di esistere come essere pensante individuale, che è proprio il tema che hai introdotto tu ponendo la questione delle intelligenze artificiali, e che è collegato al discorso dell'emergere della coscienza come autoreferenzialità etc etc.
Dov'è la differenza? Se qualcun altro la vede, è pregato di chiarircelo.

E ora che ho chiarito (si fa per dire, era già chiarissimo) il senso del termine coscienza, come lo intendo io,  è possibile avere una risposta in termini riduttivisti al problema che ho posto?
Ossia: cosa c'è (se c'è) di stabile nel corpo/cervello umano a cui si possa riferire il senso di permanenza e stabilità del proprio io-sono, che ciascuno di noi sperimenta?

P.S Quoto l'ultimo post di Davintro, che ha capito benissimo ciò che intendevo.
Mi spiace ma tu relazioni il tuo io-sono all'anima, la tua coscienza vive in un mondo del quale non ho esperienza.
La mia coscienza finirà con la mia dipartita.
Tu colleghi questa 'anima' che io ignoro ad un Dio che suppongo razionale. Io non credo a nessuna entità razionale intellegibile collegata alla coscienza.Stiamo parlando di cose diverse.
Ps ho letto solo ora la modifica. Dopo rispondo
In attesa della tua risposta, noto solo che mi attribuisci pensieri che non ho mai espresso: non ho mai parlato di Dio né di anima, ma ho solo inteso porre un altro punto di vista sulla coscienza, che io ritengo altrettanto razionale (anzi, più razionale) di quelli main stream, diciamo così.
E' un chiaro esempio di quel pregiudizio a cui accennavo: non appena uno parla della coscienza in termini non riduttivisti, scatta automaticamente l'attribuzione di quel pensiero al mondo dell'irrazionale e della fede.

E io non posso fare altro che ribadire:
- non sto parlando di fede
- non sto parlando di anima
- non sto parlando di Dio
- invece, stiamo proprio parlando della stessa cosa.

Mi sono semplicemente posto, ai fini della discussione, nell'ottica riduttivista, e ho evidenziato un problema che dev'essere risolto se si vuole sostenere quella posizione.
Non sono partito da nulla e non ho collegato nulla a null'altro, men che meno l'io-sono all'anima.

Tu puoi rispondere quello che ti pare, ma non attribuirmi pensieri che non ho espresso, e tanto meno etichette pregiudiziali.
#130
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 14:33:45 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 13:03:30 PM
Io non sono partito con l'affermare la coscienza come principio primo, per fede, come lasci intendere tu ad una lettura disattenta del mio post.
Ci sono arrivato dopo averci ragionato e dopo aver escluso la ragionevolezza delle altre posizioni, esattamente come dici di voler fare tu. E se davvero lo vuoi fare, dovresti rispondere alla questione che pongo in conclusione del mio post precedente: cosa che né tu né altri hanno ancora fatto, nonostante l'abbia già posta in precedenza, più volte.
Io ho risposto solo al tuo ultimo post, dove non hai un atteggiamento dialettico e dove hai un evidente tono affermativo, privo di qualunque forma di analisi del discorso altrui. Non importa, mia mancanza non aver letto i tuoi post precedenti dove evidentemente avrai parlato di quello che mancava in questo.
Ti rispondo sull'ultima frase che tra l'altro non è posta in forma di questione come qui dici ma in forma di convinto giudizio, è normale non rispondere perché è evidente la mancanza di un dialogo possibile.
In ogni caso, visto che qui lo richiedi direttamente posso dirti che quando parliamo di 'coscienza' stiamo parlando di due cose completamente diverse, usiamo lo stesso termine, la stessa parola ma l'ambito, le motivazioni, le implicazioni, le conseguenze sono completamente diverse. Dovremmo usare parole diverse ed evitare questa ambiguità.
Mi sto sforzando di capire quale sia la differenza fra il "mio" modo di intendere la coscienza e il "tuo".
Io ho sempre usato questo termine nel senso dell'io-sono, cioè la consapevolezza di esistere come essere pensante individuale, che è proprio il tema che hai introdotto tu ponendo la questione delle intelligenze artificiali, e che è collegato al discorso dell'emergere della coscienza come autoreferenzialità etc etc.
Dov'è la differenza? Se qualcun altro la vede, è pregato di chiarircelo.

E ora che ho chiarito (si fa per dire, era già chiarissimo) il senso del termine coscienza, come lo intendo io,  è possibile avere una risposta in termini riduttivisti al problema che ho posto?
Ossia: cosa c'è (se c'è) di stabile nel corpo/cervello umano a cui si possa riferire il senso di permanenza e stabilità del proprio io-sono, che ciascuno di noi sperimenta?

P.S Quoto l'ultimo post di Davintro, che ha capito benissimo ciò che intendevo.
#131
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 12:14:03 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 11:34:56 AM
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 08:30:10 AM
Si mi è chiara questa tua posizione, però non sono soddisfatto dell'idea che pensiero e mente siano 'altro', siano principi operanti su un livello realmente separato dal resto della realtà materica. E' una ipotesi ma senza una spiegazione convincente. Accetto e mi pare naturale farlo che esistano dei principi, il rifiuto di principi porta a evidenti contraddizioni, ma mi aspetto che la natura i questi principi sia intellettualmente più chiara (in realtà più astratta) rispetto al pensiero e mente. Vedo pensiero e mente derivati non principi.
Trovo singolare come quasi nessuno si chieda che cosa siano in realtà la materia, l'energia, le leggi fisiche, perché esista l'universo, e perché esistendo si è manifestato proprio così come appare e non altrimenti.
Tutte queste cose (che ci sono essenzialmente sconosciute) vengono prese per buone, per scontate, con la massima tranquillità, senza discussioni, senza sentire alcuna esigenza di spingere lo sguardo ancora più in là. Anzi, se si fanno domande del genere, di solito si risponde che "la domanda è mal posta", o "che non ha senso".

Invece, quando si parla di coscienza, l'atteggiamento è completamente diverso. Pur di evitare, a tutti i costi, di assumere la coscienza come un principio irriducibile (cioè quel che si fa tranquillamente con materia ed energia etc), si compiono tutti gli sforzi possibili per ricondurre la coscienza alla materia. Ecco allora il riduzionismo su base strettamente materiale (la coscienza è un'espressione dell'attività neuronale) oppure il riduzionismo su base logico-relazionale (la coscienza sorge come conseguenza dell'autoreferenzialità del linguaggio con cui opera la coscienza stessa).

Qualcuno ha già fatto notare la demenzialità dell riduzionismo logico-relazionale (che semplicemente ribalta i termini della questione), e quindi su questo sorvolo.
Concludo invece riproponendo un'argomentazione contro il riduzionismo materiale, a cui nessuno ancora ha dato una risposta.

Ogni con di noi sperimenta la stabilità nel tempo della propria percezione di sé, o autocoscienza. Ha poca importanza ora stabilire se questo io-sono sia reale o illusorio. Mettiamo pure che sia illusorio: sta di fatto che questa illusione ciascuno di noi la percepisce costantemente, stabilmente, continuamente uguale a se stessa. Ripeto, parlo della percezione di sé, non dei contenuti mentali, che ovviamente cambiano ad ogni istante. Parlo dell'osservatore, come l'ho più volte chiamato.
Nell'ipotesi riduzionista, l'osservatore dev'essere necessariamente il risultato dell'attività della base materiale, cioè del corpo, e in particolare del cervello. Quindi, per spiegare la stabilità dell'osservatore è necessario individuare qualcosa che sia altrettanto stabile nella base materiale.
Purtroppo, nella base materiale non c'è nulla di stabile, né nel corpo né nel cervello...

Il riduzionismo materiale non sta chiaramente in piedi, eppure molti continuano a preferirlo, inorridendo all'idea di dover postulare la coscienza come principio primo e irriducibile. Forse perché sa troppo di anima, e l'anima sa troppo di Dio.
Semplicemente un pregiudizio, perché la coscienza come principio primo non significa necessariamente mettere la religione davanti alla scienza...

Ti stai confondendo, la mia non è una posizione riduzionista e la tua esposizione pecca di superficialità.

Se in un discorso logiche le possibilità sono A,B,C,D posso operare affermando A oppure negando B,C,D e lasciando A come unica alternativa valida.
In entrambi gli approcci non hai la certezza che A sia la corretta posizione.
La posizione che tende ad affermare A lo fa con un atto di fede, non attraverso un processo cognitivo.
Chi afferma A lo ritiene principio base e non accetta di porlo in discussione.

Tu affermi A, ovvero che la coscienza sia un principio primo e irriducibile e poi da questo partono tutte le tue osservazioni.
Io cerco di negare B,C,D affermandoli e cercando di trovare contraddizione nella loro affermazione. Sono fedele solo al principio di non contraddizione.
Io non ho mai espresso in questo 3D supposizioni sui principi primi dai quali discendere il resto ma ti assicuro che ho delle mie idee e che queste non contemplano la sola materia. Purtroppo sono agnostico anche su questo, ci sono alcune posizioni che mi piacciono (per esempio tra i pensatori noti la posizione di Schopenhauer ma anche altre di cui magari in futuro se ci sarà occasioni proverò ad esporre).
Ma sulla coscienza la posizione piena di pregiudizio è purtroppo per te la tua, sei tu che la presupponi acriticamente data, sei tu che la usi come principio: questa è la vera fonte del pregiudizio. Peraltro visto che la citi, queste tue forme di pregiudizio sono ai miei occhi le vere fonti della demenzialità.

Le riflessioni su religione, scienza, dio non sono necessarie parlando di coscienza. Non ci sono timori a trattare questi temi, semplicemente sono strampalati, dal mio punto di vista argomentare usando questi argomenti è semplicemente evitare di riflettere e trovare una comoda scorciatoia che tutto spiega. Il mio atteggiamento su questo è ben lontano dal pregiudizio. Certo non posso negare di avere i miei pregiudizi, averne è connaturato al pensiero. La crescita spirituale è proprio un processo di liberazione dei pregiudizi, per farlo occorre allontanare ogni fede e guardare con gli occhi del bambino, della curiosa esplorazione, ogni cosa.
Io non sono partito con l'affermare la coscienza come principio primo, per fede, come lasci intendere tu ad una lettura disattenta del mio post.
Ci sono arrivato dopo averci ragionato e dopo aver escluso la ragionevolezza delle altre posizioni, esattamente come dici di voler fare tu. E se davvero lo vuoi fare, dovresti rispondere alla questione che pongo in conclusione del mio post precedente: cosa che né tu né altri hanno ancora fatto, nonostante l'abbia già posta in precedenza, più volte.
#132
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 08:30:10 AM
Citazione di: sgiombo il 17 Maggio 2016, 08:11:51 AM
Citazione di: HollyFabius il 16 Maggio 2016, 20:48:26 PM
Peraltro la suddivisione tra organico e inorganico a me è poco chiara.
Ogni classificazione dipende dal livello di analisi con il quale si guarda la realtà. Tutto ciò che noi vediamo sembra composto dagli stessi elementi della tavola periodica, sia il materiale inorganico che quello organico. Qualcuno mi chiarisce qual è la discriminante forte, il muro insuperabile tra organico e inorganico che non sia nella nostra mente?
Cito da Pellegrinaggi verso il vuoto di A.Sabbadini:
"Alcune ricerche significative in questo senso sono state fatte negli ultimi decenni del secolo scorso. Ci si è resi conto che la materia inorganica in certe circostanze è capace di produrre spontaneamente organizzazione e struttura, cose che in passato si riteneva prerogativa dei sistemi viventi(..). Ciononostante questa emergenza mostra che non esiste una barriera insuperabile tra l'inorganico e l'organico, fra il non vivente e il vivente."
CitazioneCondivido.

La materia vivente é "perfettamente" riducibile alla materia inorganica, la biologia é in linea di principio "perfettamente" riducibile alla fisica - chimica, senza alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" che ecceda le fondamentali entità e leggi del divenire fisiche, senza che nella "somma" biologica (vivente) vi sia alcunché in più delle sue "parti" fisiche (minerali; ovviamente poste nelle rispettive relazioni fra di esse).

Non così il pensiero alla materia, la mente al cervelo.
Si mi è chiara questa tua posizione, però non sono soddisfatto dell'idea che pensiero e mente siano 'altro', siano principi operanti su un livello realmente separato dal resto della realtà materica. E' una ipotesi ma senza una spiegazione convincente. Accetto e mi pare naturale farlo che esistano dei principi, il rifiuto di principi porta a evidenti contraddizioni, ma mi aspetto che la natura i questi principi sia intellettualmente più chiara (in realtà più astratta) rispetto al pensiero e mente. Vedo pensiero e mente derivati non principi.
Trovo singolare come quasi nessuno si chieda che cosa siano in realtà la materia, l'energia, le leggi fisiche, perché esista l'universo, e perché esistendo si è manifestato proprio così come appare e non altrimenti.
Tutte queste cose (che ci sono essenzialmente sconosciute) vengono prese per buone, per scontate, con la massima tranquillità, senza discussioni, senza sentire alcuna esigenza di spingere lo sguardo ancora più in là. Anzi, se si fanno domande del genere, di solito si risponde che "la domanda è mal posta", o "che non ha senso".

Invece, quando si parla di coscienza, l'atteggiamento è completamente diverso. Pur di evitare, a tutti i costi, di assumere la coscienza come un principio irriducibile (cioè quel che si fa tranquillamente con materia ed energia etc), si compiono tutti gli sforzi possibili per ricondurre la coscienza alla materia. Ecco allora il riduzionismo su base strettamente materiale (la coscienza è un'espressione dell'attività neuronale) oppure il riduzionismo su base logico-relazionale (la coscienza sorge come conseguenza dell'autoreferenzialità del linguaggio con cui opera la coscienza stessa).

Qualcuno ha già fatto notare la demenzialità dell riduzionismo logico-relazionale (che semplicemente ribalta i termini della questione), e quindi su questo sorvolo.
Concludo invece riproponendo un'argomentazione contro il riduzionismo materiale, a cui nessuno ancora ha dato una risposta.

Ogni con di noi sperimenta la stabilità nel tempo della propria percezione di sé, o autocoscienza. Ha poca importanza ora stabilire se questo io-sono sia reale o illusorio. Mettiamo pure che sia illusorio: sta di fatto che questa illusione ciascuno di noi la percepisce costantemente, stabilmente, continuamente uguale a se stessa. Ripeto, parlo della percezione di sé, non dei contenuti mentali, che ovviamente cambiano ad ogni istante. Parlo dell'osservatore, come l'ho più volte chiamato.
Nell'ipotesi riduzionista, l'osservatore dev'essere necessariamente il risultato dell'attività della base materiale, cioè del corpo, e in particolare del cervello. Quindi, per spiegare la stabilità dell'osservatore è necessario individuare qualcosa che sia altrettanto stabile nella base materiale.
Purtroppo, nella base materiale non c'è nulla di stabile, né nel corpo né nel cervello...

Il riduzionismo materiale non sta chiaramente in piedi, eppure molti continuano a preferirlo, inorridendo all'idea di dover postulare la coscienza come principio primo e irriducibile. Forse perché sa troppo di anima, e l'anima sa troppo di Dio.
Semplicemente un pregiudizio, perché la coscienza come principio primo non significa necessariamente mettere la religione davanti alla scienza...
#133
maral ha scritto
CitazioneMa mi pare che l'entanglement quantistico abbia però rimesso in discussione il discorso dell'azione a distanza.
No, il punto è proprio quello: l'entanglement è un fenomeno non locale, in virtù del quale gli stati di due particelle distanti sono istantaneamente connessi senza alcuna azione a distanza, poiché ciò violerebbe il principio relativistico dell'invalicabilità della velocità della luce.
Einstein inizialmente non poteva credere al fenomeno dell'entanglement, perché appariva come una violazione della sua teoria. Eppure fu poi provato che era davvero così, il che ci ha obbligato a rivedere il nostro concetto di realtà.
Forse la cosa più corretta è vedere le due particelle entangled come un solo fenomeno, benché ci appaia spazialmente separato in due.
#134
Citazione di: maral il 14 Maggio 2016, 17:38:51 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Maggio 2016, 13:36:05 PM[...]
CitazioneLa legge di gravitazione esprime sì una relazione quantitativa fra le masse, ma è una relazione tutta concettuale (matematica, peraltro necessariamente approssimata), che non ha nulla a che fare con l'essenza della gravitazione. Nessuno sa cosa sia la gravitazione, né cosa siano materia ed energia e tempo. Non sappiamo nulla riguardo all'essenza dei fenomeni che osserviamo; sappiamo solo stabilire "come" e "quanto", ma non "essenza" e "perché" dei fenomeni. Questi sono i limiti invalicabili delle relazioni (puramente esteriori e a posteriori) che la scienza stabilisce fra i fenomeni.
Qui tu sostieni che vi è un'essenza della gravitazione che nessuno sa, oltre la legge della gravitazione che esprime una particolare relazione (il fatto che sia concettuale non la nega, è comunque relazione). Ti si potrebbe allora chiedere come fai a saperlo.
Non sappiamo infatti nulla dei fenomeni se non ciò che ci appare dal loro relazionarsi, a qualsiasi livello li consideri, da quello sensitivo e concreto a quello più astratto e concettuale.
[...]
Mi riferisco al fatto che, mi risulta, lo stesso Newton fosse sconcertato dalla sua scoperta. Cioè, aveva trovato il modo di collegare matematicamente il moto dei corpi celesti, ma si rendeva conto di non avere la più pallida idea di cosa fosse quella forza che li teneva legati insieme. Newton non poteva ammettere un'azione a distanza, attraverso il vuoto.
La cosa non è che sia cambiata gran che, oggi. Anche oggi si rifiuta l'idea dell'azione a distanza, e si è giunti a supporre che le interazioni (gravitazione, elettromagnetismo, interazione forte, interazione debole) avvengano attraverso lo scambio di particelle ad hoc: il gravitone per la gravitazione, il fotone per l'elettromagnetismo e così via. Non che sia molto soddisfacente neanche così, dal punto di vista ontologico, perché posso sempre chiedermi che cosa siano a loro volta i quanti delle interazioni, e come facciano a trasmettere la loro azione...

In definitiva, la scienza costruisce relazioni matematiche fra i fenomeni, e indubbiamente funziona a livello pratico, ma non abbiamo la più pallida idea di quale sia la realtà in sé dei fenomeni, né se vi sia una realtà in sé oggettiva. Se quelle che noi chiamiamo relazioni fra fenomeni, non corrispondessero a una realtà oggettiva, ma ad una realtà mentale, e quindi le relazioni suddette fossero solo relazioni fra idee (come nel pensiero di Berkeley)? Non possiamo saperlo, possiamo solo congetturare che ci sia una realtà di relazioni oggettive. Questo intendevo dire.
#135
Citazione di: maral il 14 Maggio 2016, 12:28:08 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 14 Maggio 2016, 11:18:55 AM
"relazioni fra le parti e l'intero" non possono spiegare l'emergere della coscienza, per il semplice motivo che le relazioni non hanno una realtà fisica, sono solo concetti che l'intelligenza autocosciente umana formula come atti conoscitivi della realtà in cui è immersa.
Ma se le relazioni sono concetti formulati dalla coscienza, affermare che la coscienza emerge come risultato delle "relazioni fra le parti e l'intero" equivale a dire che la coscienza emerge da concetti che sono formulati dalla coscienza: una tautologia.
Come no, le relazioni hanno una realtà fisica eccome: la legge di gravitazione è appunto una relazione e il camp gravitazionale è un campo relazionale interpretato erroneamente come una cosa. Si può benissimo partire dalla relazione come ente primario privo di reificazioni e pensare le cose come concettualizzazioni create dalla relazione. La coscienza ad esempio è assai più facilmente comprensibile non come una cosa, ma come una relazione tra cose. Come ho già avuto modo di dire comunque preferisco pensare che la relazione e le cose siano del tutto contemporanee e coesistenti come la materia e l'energia e che sia solo un punto di vista cognitivo di comodo che le separa immaginando cose originarie prive di relazioni o relazioni primarie prive di cose. Se la cosa è, è già in relazione, quindi può apparire.  
CitazioneCome ho già scritto, esiste realmente solo il tutto, e le parti sono solo visioni parziali, concettualizzazioni create da individui pensanti.
Ma si può pensarla del tutto logicamente anche in modo opposto, ossia che sia proprio la totalità che non esiste e non esiste in quanto non ha un limite che possa darne ragione, continuamente si accresce oltre ogni de-finizione. Dunque il tutto non esiste, ma esistono solo le parti che non potranno mai esprimere, messe insieme, alcuna totalità. O forse, si potrebbe anche dire (concettualizzando) che il tutto non è una cosa che è, ma un continuo divenire, un puro dinamismo.
Non riesco a immaginare cosa sia una "relazione" senza pensare a "fenomeni" che siano appunto in relazione.
Da solo, "relazione" non significa nulla: implica l'esistenza di fenomeni da mettere in relazione.
Ma questi fenomeni devono avere una "base" comune (una "sostanza" comune) per poter essere messi in relazione: due fenomeni reciprocamente trascendenti, per definizione, non possono relazionarsi in alcun modo.
Ma se due fenomeni non sono reciprocamente trascendenti, allora hanno una sostanza in comune, il che significa che essi sono, ad un livello più profondo, un solo fenomeno che si differenzia in due. La differenza, appunto, è la relazione.
In questo modo, riassorbendo di livello in livello le relazioni (differenze) fra i fenomeni, si arriva ad una realtà unica: il tutto.
E' il concetto stesso di relazione a implicare il tutto.

La legge di gravitazione esprime sì una relazione quantitativa fra le masse, ma è una relazione tutta concettuale (matematica, peraltro necessariamente approssimata), che non ha nulla a che fare con l'essenza della gravitazione. Nessuno sa cosa sia la gravitazione, né cosa siano materia ed energia e tempo. Non sappiamo nulla riguardo all'essenza dei fenomeni che osserviamo; sappiamo solo stabilire "come" e "quanto", ma non "essenza" e "perché" dei fenomeni. Questi sono i limiti invalicabili delle relazioni (puramente esteriori e a posteriori) che la scienza stabilisce fra i fenomeni.