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Messaggi - Phil

#1201
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia.
Per me fra quella cosa e quell'intelletto, non c'è verità, ma interpretazione (al di qua della tautologia «le leggi dello stato sono leggi "vere" per i suoi cittadini»). Mentre la realtà esterna e l'intelletto interno (all'uomo) sono due "elementi" ben differenti (Cartesio docet), la "cosa sociale" e l'"intelletto sociale" sono invece due aspetti dello stesso unico "elemento", la società, la cui autocomprensione "di massa" è il fondamento delle veritas che ogni società si racconta (e tali racconti innescano, come detto, eventi reali).
Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
In tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).
#1202
Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 15:21:43 PM
Già 2.000 anni fa Yeoshwa raccomandava: "il vostro dire sia  sì sì, no no, tutto il resto viene dal...E infatti oppose il nobile silenzio alla domanda pragmatica di Pilato: "COSA è la verità?"
Evidenziando come la 'verità' non sia una categoria del linguaggio, molto saggiamente direi.
Probabilmente Yeoshwa non rientra nella casistica della menzogna proposta da Noudelmann; tuttavia, considerando che si era presentato come «io sono la verità», è inevitabile che non potesse avere una concezione della verità come mera categoria linguistica (al di là della condizione della linguistica come disciplina alla sua epoca o la sua eventuale conoscenza in merito). Trovo interessante, pur non essendo un filologo né tantomeno un esegeta biblico, che la verità di cui si parla nella bibbia, quindi quella fatta uscire dalla bocca di Yeoshwa, nella versione greca è «aletheia», quindi "disvelamento", o ancor meglio, «rivelazione» (trattandosi di religione rivelata). La rivelazione implica decisamente un andare oltre il linguaggio, verso il mondo degli eventi (o verso il cielo delle Verità assolute, o entrambi).
La verità intesa odiernamente credo abbia sostituito pian piano il concetto di "rivelazione" con quello di adaequatio (medievali), "isomorfismo" (Wittgenstein), corrispondenza, etc.; il che potrebbe riassegnare l'aletheia-rivelazione alla sua dimensione spirituale di pertinenza (non risolvendo comunque l'attuale uso ambiguo della parola «verità»).

Può essere significativo anche rintracciare una differenza fra aletheia-greca e veritas-latina:
«Il termine veritas rimanda a qualcosa da accettare in quanto conforme ad una realtà oggettiva non da svelare attraverso la conoscenza. Un significato opposto quindi al termine alètheia: nel caso della veritas si tratta di dimostrare la conformità di un'asserzione alla realtà mentre per quanto riguarda l'alètheia la comprensione della realtà è insita nello stesso svelamento» (tratto da qui) oppure «I romani fanno di veritas un concetto legato alla giustizia e al diritto mentre in Grecia alétheia è espressione della Tradizione e di ciò che non deve essere dimenticato. In un caso verità è strumento dei giudici nell'altro è espressione dei poeti» (tratto da qui).
#1203
Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
Se si studiano le vita di praticamente tutti i filosofi si nota uno 'scarto' importante, una contraddizione vivente tra le loro affermazioni e la loro vita. Partendo da ciò, un grande studioso della 'menzogna',François Noudelmann,  fa notare come la menzogna filosofica, il mentire, voluto o inconsapevole, anche a se stessi, sottostà a tre regimi diversi di "economia psichica"
A ulteriore dimostrazione di come la parola «verità» sia pericolosamente ambigua (quindi strumentalizzabile), questo autore (su cui ho letto fugacemente solo questo), mi pare giocare sulla confusione verità/menzogna e coerenza/incoerenza intesa in senso biografico. Non è nuova la storia del prete che «predica bene, ma razzola male», il che ovviamente non comporta affatto che egli menta, più o meno consapevolmente, quando afferma le verità in cui crede (ma che non pratica).
La menzogna portante mi pare quindi quella dell'autore che presenta l'incoerenza opere/vita come fosse menzogna (come se ogni opera contenesse un giuramento che riguarda anche le scelte di vita dell'autore).

Se chiediamo ai filosofi di incarnare con l'esempio di vita le loro teorie, li stiamo scambiando per leader politici, guide spirituali o simili; se gli chiediamo verità incontrovertibili che non siano interpretazioni, li stiamo scambiando per scienziati; se gli chiediamo orizzonti di senso, più o meno praticabili nella prassi, allora (per me) non ha rilevanza commisurare la "verità" professata nello scritto con la cronistoria delle scelte di chi l'ha proposta (indicare non è percorrere, soprattutto se si parla di teoresi). Le teorie filosofiche hanno spinto (anche o solo) altri a scendere in piazza brandendo falci e martelli, o a suicidarsi o a cambiare religione, etc. la biografia di chi ha lanciato il sasso non deve necessariamente essere colpita dagli schizzi dell'acqua per dimostrare la verità "fattibilità" del senso proposto.
Ormai mi pare piuttosto palese che i filosofi sono professionisti del pensare/scrivere, non del vivere, e che la filosofia è più arte del senso (un'estetica della trascendenza, per dirla in metafisichese) piuttosto che "arche-ologia" della verità; quantomeno osserverei che, in ambito strettamente teoretico, la filosofia costruisca più verità (al plurale) di quante ne scopra...


Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
«un'intenzione affermativa è sempre richiesta [dalla filosofia] per fondare la legittimità del suo discorso»

Ora, la forza con cui affermiamo qualcosa è sempre commisurata al diniego del suo contrario.
Concordo, quanto più ci si ostina a chiedere alla filosofia una verità forte, uno slogan a cui asservirsi, un dogma/assioma per cui lottare, etc. tanto più è vera la tua considerazione e tanto più si sarà inclini a passare, come scrivo sempre, dalla negazione all'avversione (ad esempio, dall'a-teismo all'anti-clericalismo, etc.).
La verità potrebbe dunque essere anche debole, plurale, non aggressiva, etc.? Nel ventunesimo secolo, direi di sì; può esserci, anzi ormai c'è, anche la categoria di "verità debole", affianco ad una verità forte.
Permane in molti casi un'anacronistica fiducia nella filosofia come mezzo per trovare la verità (non in senso logico, ma in senso metaforico-valoriale, quindi, di nuovo, confusa con il Bene, il Giusto, etc.); l'esito più probabile di tale speranza mi sembra essere, come pare esemplificare l'autore citato, la delusione (che può avvilire sino a vedere la menzogna nell'incoerenza). Tuttavia, è una dinamica psicologica tutta interna al pensiero forte, che prima alimenta un'aspettativa forte e poi ne deve affrontare l'altrettanto forte frustrazione.
#1204
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Mi sembra una differenza da maestro di sofistica. Il linguaggio é medium tra fatti e intelletto (adequatio), ma il pungere dell'ago (significato, non significante) é veridicamente a priori di ogni sua dizione e concettualizzazione, é fondativo di un discorso di verità.
Il pungere dell'ago è evento, è vissuto, è "fatto"; non necessita, per esser tale, di un discorso che ne parli e gli assegni verità (o falsità). Il fondativo del discorso di verità non può essere a sua volta la verità (mistica a parte), altrimenti tutto sarebbe confinato nel discorrere e resterebbe fuori il mondo esterno (quindi il linguaggio sarebbe medium "a vuoto", fra intelletto e sé stesso). Tale fondativo della verità discorsiva (soliloquiale, concettuale, etc.) è di fatto l'esistenza, l'accadere, che fonda la verità, ma non è la verità, essendo appunto fuori dalla dimensione discorsiva: l'esistenza del referente è la condizione della verità, tuttavia, esternamente al discorrere, è solo esistenza (corollario: l'esistenza può essere falsa solo in un discorso...).
Non so se si tratti di un sofisma, ma per me è un riflesso della differenza (im)portante fra categorie del discorso-concetto e mondo dell'esistente-referente (tanto per non ripetere sempre «mappa e territorio»).

P.s.
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Sul resto, incluso Lao Tzu, sfondi una porta aperta: come l'immateriale agisce sul materiale, modificandolo. Lieta che alfine tu lo condivida.
Nel mio piccolo, quando parlo di linguaggio, concetti, etc., proprio come quando parlo di software, non penso all'immateriale.

P.p.s.
Sono l'unico che, nella finestra di scrittura del post, non ha più la barra con i pulsanti della formattazione, per il testo in corsivo, per l'inserimento di link, etc.?
#1205
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 09:20:53 AM
La verità è un concetto, in quanto tale psichica, fatta della stessa sostanza dei sogni. Ma lasciarla nel limbo del concetto logico ha ricadute negative tanto sul piano pratico, lasciando orfane le tante verità funzionali che scorazzano per il mondo, che su quello ontogenetico, posto che il pensato si innesta su un corpo carnale che quella verità prima di pensarla la sente quando entra in contatto col resto del mondo (una fiamma, un ago,...).
Non è la "verità" dell'ago a pungermi, ma è l'esistere dell'ago: se dicessi che «la verità dell'ago punge la verità del mio dito» userei solo «verità» al posto di «esistenza» (e resterei ancora nel dire, non nell'esperire...).
Verità-discorso ed esistenza-esperienza vanno secondo me distinte (pur non essendo radicalmente separate), come vanno distinti Bene e verità, etc.
Sul rapporto lingua/mondo: parafrasando John Austin, "i discorsi fanno cose", ovvero gli uomini non sono solo esseri parlanti, ma anche agenti e i due aspetti sono strettamente connessi; la nostra azione dipende anche dai nostri discorsi, essa modifica il mondo, fornendo così ulteriore "materiale" per ulteriori discorsi, quindi ulteriori azioni, e così via... la discorsività è il percorso storico comune che condividono tecnica, religione, scienza, filosofia, etc. sia come domini sociali che come attività individuali.
Occuparsi anche del discorso, del linguaggio, della logica, non significa dunque rinnegare né il mondo esterno, né il mistico, ma piuttosto cercare di far chiarezza nei rispettivi discorsi (separare non è negare), appellandosi e costruendo, come accade da sempre, vocabolari settoriali che agevolino la comunicazione (ad esempio non usando la parola «verità» in modo troppo polivalente).
Diceva Lao Tzu: «Fai attenzione ai tuoi pensieri, perché diventano le tue parole; fai attenzione alle tue parole, perché diventano le tue azioni; fai attenzione alle tue azioni, perché diventano le tue abitudini; fai attenzione alle tue abitudini, perché diventano il tuo carattere; fai attenzione al tuo carattere, perché diventa il tuo destino».

Citazione di: Sariputra il 18 Febbraio 2020, 09:33:12 AM
Un teorema logico-matematico non può definire la 'verità di...', ma solo la propria coerenza formale.
Concordo pienamente, infatti il plus-valore dell'empiria è proprio la sua tangibilità "verificante" ed extra-formale:
Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 19:07:12 PM
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).


P.s.
Citazione di: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista?
[...] Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te?
A domanda rispondo: non posso parlare per gli altri, ma per me alcune questioni hanno nella loro ridondanza storica non la dimostrazione della loro difficoltà e/o profondità, quanto piuttosto solo la conferma del loro essere prive di una risposta univoca; condizione che accomuna i falsi problemi, le questioni indecidibili e le domande che fanno appello all'ignoto. Ognuno può fare la sua scommessa; sul tema della "causa finale" dell'esistenza, io punto su «falso problema», nel senso che una risposta esterna da "scoprire" secondo me non c'è, è solo una questione di assegnazione (prospettica e problematica) di senso, non di suo mondano reperimento/disvelamento.
#1206
Citazione di: paul11 il 17 Febbraio 2020, 21:11:11 PM
Non esistono due verità, bensì c'è una verità incarnata da profeti, guide spirituali e un'altra che nasce per costruzioni argomentative, dialettiche, logiche,ecc..
Nell'affermare la frase vera «quella sedia ha quattro gambe», non ho bisogno di detenere potere o autorità-exousía (se non quella del linguaggio, ma qui si parlava di altre autorità, mi pare); si tratta di una verità piuttosto verificabile e che ci rapporta alla realtà del mondo empirico-esteriore.
Le verità dei profeti mi paiono decisamente di altro tipo (verificabili? a quale mondo ci rapportano?) e chiarisco che non affermo che le loro non siano verità, ma solo che hanno tutt'altra "denotazione"1.
Sono due verità imparentate? Certo, dal convergere in un'unica ambigua (e per questo "pericolosa") parola; secondo me, l'"henologia" della verità unica non rende giustizia alla ragione (e alle ragioni) degli uomini.

1Che la verità non si "incarna", ma al massimo si dice, essendo nella bocca più che nel mondo, è solo una mia interpretazione personale: non credo nella verità che trascende il suo esser-pensata/detta/etc. Fuori dal discorso non c'è vero/falso, ma solo esistere/non-esistere: «quella sedia ha quattro gambe» è una verità solo all'interno di un discorso che se ne interroga; altrimenti esiste la sedia con le sue quattro gambe, senza alcun rapporto "prelinguistico" o "aconcettuale" con verità/falsità (in quanto, appunto, concetti logico-linguistici).
#1207
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
Ciao Phil,
stavo leggendo la tua "filosoficamente corretta" quando... mi sono fermato alla fine e mi sono rifiutato di leggere il finale, da quando hai scritto: "coerenza e consistenza (ma non completezza)". Scherzi a parte. Guarda questo:
https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/
E immagina questo gioco formale...
Davvero dovrei ricordarti che la (in)completezza e la (in)coerenza di cui Godel parla si riferiscono ad enunciati particolari all'interno del sistema, i cosiddetti indecidibili? Oppure dovrei linkarti i teoremi di Godel e chiederti di correggerli con la tua "penna rossa"?
Come già saprai, in rete e in biblioteca1 trovi molto su Godel e mi sbilancio nel ricordarti che, in logica, non basta affermare qualcosa usando la simbologia formale, va anche sistematizzato e dimostrato (va bene il giocare, ma certi giochi, per essere sensati, richiedono basi come minimo solidissime; in alternativa, come suggerisce il saggio, «gioca con i fanti ma lascia stare i santi»).

1K. Gödel, Opere, a cura di E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli, C. Mangione, vol. I (1929-1936), Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 97 e più dettagliatamente (presupponendo una buona dimestichezza con la notazione logica) pp. 113-138; 144-145, 170-171
e
K. Gödel, Appendice agli Atti del secondo convegno di epistemologia delle scienze esatte, in  E. Casari, La filosofia della matematica del '900, Sansoni, Firenze 1973, pp. 55-56.


P.s. @altri
Per evitare fraintendimenti, credo occorra tener presente l'osservazione di Ipazia e distinguere le varie "tipologie" di verità, almeno la verità verificabile dalla verità come mistica sublimazione del Bene («io sono la via, la verità, la vita» diceva qualcuno, con buona pace della logica formale).
#1208
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. [...] Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.
L'applicazione pratica è ciò che spesso fonda a posteriori, retroattivamente, la legittimità del paradigma, del tautos (inteso come tautologia di sistema) e del dizionario di definizioni su cui esso si fonda. Prescindendo da tale applicazione di verifica, si rischia di cadere o nella petitio principii (o altre psudo-dimostrazioni circolari e autoreferenziali) oppure nel regressus ad infinitum, che sposterebbe asintoticamente il "luogo" del fondamento.
Ci mise già in guardia lo scettico Sesto Empirico:
«Quando qualcuno afferma che si danno delle verità, presenta questa affermazione o senza dimostrazione o con una dimostrazione. Se senza dimostrazione, deve essere consentito porre senza dimostrazione anche la tesi opposta, cioè che non si danno verità. Se con una dimostrazione, chiedo: con una falsa o una vera? Se con una falsa, l'intera affermazione non vale niente. Se con una vera, domando: con che cosa ha potuto dimostrare che la sua dimostrazione è vera? Con un'altra dimostrazione? Ma così ce ne vorrebbe sempre una nuova, per cui il nostro lavoro non potrebbe mai finire» (Sesto Empirico, Contro i logici, II, 15 s.).
Se invece la verità (senza addentrarci qui nella sua definizione) si manifesta nell'applicazione del paradigma, non c'è bisogno di ulteriore verifica, perché l'esperienza (sempre entro i suoi limiti interpretativi) risolve le perplessità teoretiche. Viceversa, se per la natura del tema o della questione, è preclusa la possibilità di verifica applicativa, e ciò nonostante si aspira ad un'unica "verità", allora si innesca il conflitto fra le tautologie dei differenti sistemi interpretativi (ed una meta-tautologia che metta tutti d'accordo, sposterebbe solo il problema del "dove" sia fondata definitivamente la sua autorevole verità).
Proprio come
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 17:26:33 PM
In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi
parimenti in filosofia "dichiaro il noumeno, dichiaro l'intuizione, dichiaro la ragione in sé, etc. e posso con coerenza e consistenza (ma non completezza) costruire validi (≠ veri) ragionamenti interpretativi del reale" (dove «dichiaro» vale «definisco»).
Il problema applicativo di ogni formalismo resta, secondo me, la sua "compilazione", ovvero l'assegnazione dei valori (e delle esperienze, vissuti, fatti, etc.) relativi alle varie "x", "A", etc. senza tali compilazioni, la formalità non è pragmaticamente utile, pur restando una preziosa cornice di "validità teor(et)ica" (≠ verità).
#1209
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
A lato del dualismo Parmenide-essere/Eraclito-divenire, ci sarebbe anche il terzo incomodo, Gorgia-nulla (sofistico-semantico, ontologico); "trinità" che funge a suo modo da precursore alla triade trascendentalismo/positivismo e nichilismo.
Sulla temporalizzazione delle proposizioni logiche, mi permetto di riportare quanto già scritto (molto) tempo fa:
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 11:15:50 AM
per Severino "A=A" significa "A è sempre uguale ad A", ma in quella formalizzazione logica, in quanto tale, non c'è temporalità... e l'assenza di temporalità non è eternità (che è comunque un concetto, seppur radicale, riferito al tempo: dentro l'eternità è pensabile un prima e un dopo, il tempo c'è...).

Se infatti decliniamo quell'identità con il fattore tempo, diviso in momenti (t1, t2, t3...) otteniamo At1=At1, At2=At2, At3=At3... e se A è un seme [...], arriviamo ad un momento (che qui numeriamo arbitrariamente) t9, in cui At9=At9, ma stiamo parlando ormai di una pianta. E dire At9 è "il seme A nel suo nono momento" oppure è "una pianta B al suo primo momento"(Bt1), risulta, come ogni identità, sempre arbitrario, ma non per questo contraddittorio.

Per cui possiamo chiamarlo tranquillamente At9 o Bt1 senza ombra di contraddizione (il senso di una costante è attribuito a tavolino, per cui At9 = Bt1, proprio come dire "Severino = S" è uguale a "il filosofo di cui parliamo = F", ovvero S = F).

A partire da questa "confusione" (senza offesa per Severino) entriamo in una dimensione "zenoniana", paradossale e anti-esperenziale (nel senso che viene falsificata dall'esperienza) [...]

P.s. Se vogliamo leggere questa eternità severiniana come applicazione della legge di conservazione della massa "nulla si crea, nulla di distrugge", bisogna anche ricordare che il motto prosegue con "ma tutto si trasforma", ovvero con l'inconorazione del divenire come "trama narrativa" dell'accadere.
#1210
Tematiche Culturali e Sociali / Re:I social
15 Febbraio 2020, 23:02:46 PM
Credo che difficilmente possiamo non essere misura di noi stessi (come individui e come cultura); anche quando ci poniamo in una scala di valutazione che non è la nostra, è sempre nostro il modo di posizionarci (o di accettare un posizionamento fatto da altri). Il problema è che tale unità di misura (l'"io" o il "noi") cambia, cambiando di conseguenza il risultato delle sue stesse misurazioni. Se a questo aggiungiamo che la storia, con i suoi numerosi "prodotti", ci fornisce sempre nuovi "oggetti" da misurare, la combinazione dialettica fra cambiamento in fieri dell'unità di misura e cambiamento in fieri del misurato, rende l'attività di misurazione meno perentoria di quanto forse si vorrebbe (persino le unità di misura internazionali sono state recentemente ridefinite e riparametrate: fondamenti convenzionali migliorati da altri fondamenti convenzionali ma più esatti).
Il tentativo di autocomprensione "in corsa", mentre cambiamo al cambiare della tecnologia e dei tempi, da un lato lascia intravvedere alcune costanti (ataviche, inconsce, "etologiche", comportamentali, etc.), dall'altro è soprattutto la loro differente declinazione nell'attualità a richiedere di essere decifrata.
La "socialità tecnologica" è oggi luogo privilegiato di tale decifrazione, cambiando il mezzo cambiano le dinamiche  anche di attività non certo inventate oggi: il bullismo, lo stalking, l'hate speech, le truffe, etc. Per quanto riguarda invece quella categoria di medium che dà il titolo al topic, è da notare come presenti alcuni fattori di assoluta novità: tematiche come privacy, big data, diritti di immagine, revenge porn, (dis)informazione e fake news, fanno dei social media un fenomeno tanto incisivo quanto senza precedenti (come dimostra l'arrancare della legislazione in merito); ad esempio è piuttosto difficile spiegare ai nonni, volendo usare un paragone con i loro tempi, cos'è il "digital detox".
#1211
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
14 Febbraio 2020, 11:04:45 AM
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2020, 10:06:04 AM
Ma quale sarebbe poi il motivo per il quale l'uomo debba "evolversi" o "rivoluzionarsi"? Per diventare "migliore"? Rispetto a quale metro di misura? Il "progresso" ? Rispetto a cosa? Qual'è il "senso" di dover far fatica per "migliorarsi" ? Il "benessere"? E chi lo stabilisce qual'è il bene-essere? La scienza? Una statistica? Un sondaggio? Un'inchiesta? Quanto è lunga la vita? Quante volte facciamo l'amore alla settimana?Il fatto che ognuno può "godersela" come vuole? Di quante volte diminuiamo l'impronta di CO2? Qual'è il metro? Chi stabilisce l'unità di misura? E perché "andare avanti" invece che "tornare indietro" o "stare fermi"? Perché si sta meglio? Rispetto a cosa? E chi sta "meglio"? Rispetto alla "natura"? Ma chi stabilisce che alla natura interessi il bene-essere ? L'"umanità"? Il socialismo? La religione? Perché lo pensa mio cugggino? Perché così fan tutti? Perché "non lo so ma mi adeguo"? Perché ho visto, fuori in strada, tutti correre e corro anch'io? Perchè l'han detto gli intelligenti? Perché al telegiornale lo dicono? Perché è "giusto"? E chi stabilisce che è "giusto"? E perché lo stabilisce lui cos'è "giusto"? Perché è un filosofo? Un prete? Uno scienziato?Un politico? E perché loro sanno cos'è "giusto" per me e io non lo so?Perché è l'"evoluzione"? Perché è il tempo? Perché non ho tempo per pensarci da me stesso? Perché è faticoso ed è meglio che ci pensino gli altri? Perché non sono "all'altezza"? Perché "è così da sempre e non puoi farci niente"? Perché sono un dalit?...
Tante domande senza risposta...
Ma sono sicuro che arriva di certo qualcuno per darmi la sua... ::)
«Un monaco chiese a Hsiang Lin: "Qual è il significato della venuta del Patriarca dall'occidente?".
Hsiang Lin disse: "Sedere a lungo diventa faticoso".»
(da La raccolta della roccia blu)
#1212
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
13 Febbraio 2020, 23:15:56 PM
Proverei a coniugare due spunti sulla "rivoluzione":
Citazione di: iano il 13 Febbraio 2020, 18:04:42 PM
Una rivoluzione filosofica puo' nascere da un cambio di prospettiva indotto da cosa?
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2020, 17:10:29 PM
si comincia a sentire odore di rivoluzione filosofica: epistemologia come metafisica alla base di una semantica attuale (e actual) del mondo.
Per me l'urgenza filosofica è sempre contemporanea: nel '900 la richiesta di senso sull'altare filosofico riguardava il ruolo della tecnica, la guerra, l'economia, le religioni (al plurale), etc. adesso tale richiesta interroga anche sulle tematiche di internet, della globalizzazione, del virtuale, etc. mentre la tecnica manda robottini su Marte e la scienza gioca con gli acceleratori di particelle, probabilmente la filosofia è "fuori tempo" se si intestardisce nel progetto, in lingua "esoterica", di (dis)spiegare l'Essere o trovare la regola aurea della Verità.
I ragazzi che alle superiori studiano un po' di chimica e fisica, inevitabilmente vedono la filosofia come onanismo astruso, «con o senza il quale tutto resta tale e quale», oppure come letterario progenitore della psicologia e della sociologia (il che non è totalmente errato). Certo, non è per loro che il ricercatore dipana saggi di filosofia (per fortuna), ma i loro commenti possono essere comunque un utile monito di "non snobbare il tablet per amore della pergamena".
Senza scomodare il concetto di «rivoluzione» filosofica, basterebbe secondo me quello di evoluzione, nel senso di "tenere il passo" con l'attualità per come appare nel "gazzettino dello zeitgeist", senza negarsi persino qualche scommessa sul futuro.
#1213
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
13 Febbraio 2020, 14:21:30 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 13:39:43 PM
Ma non si può pretendere da questa discipline una 'dimostrazione scientifica' delle loro riflessioni, convincimenti, capacità di studiare un 'senso' all'esperienza soggettiva del vivere, ecc.
Se si 'pretende' una risposta scientifica è come pretendere dall'imbianchino che aggiusti il tubo al posto dell'idraulico...
Attenzione al pregiudizio che TUTTO deve essere scientificamente dimostrato. E SOLO scientificamente.
Non credo di aver avanzato quella pretesa, né aver sostenuto quel pregiudizio (piuttosto sono sostenitore del nesso filosofia-esistenzialismo-estetica).
Il mio invito è proprio affinché ognuno faccia il suo mestiere, senza confonderli: non mi aspetto dai filosofi dimostrazioni scientifiche, come non mi aspetto dagli scienziati orizzonti di senso esistenziale. Auspico solo che, così come gli scienziati abbandonano un'ipotesi perché falsificata dai fatti, parimenti i filosofi abbandonino la speculazione su un concetto quando esso non ha più senso né referente (come nel caso dell'"oggetto in sé" nel 2020). Si tratta comunque di un auspicare basato su gusti personali, non mi erigo certo a timoniere della ricerca filosofica mondiale.

P.s.
Il nesso differenziale fra «cedevolezza» e «mettersi in discussione» meriterebbe una apposita seduta di riflessioni, ma in questo topic siamo "seduti su un'altra sedia"...
#1214
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
13 Febbraio 2020, 13:06:49 PM
En passant, segnalo questo articolo che ci suggerisce come potrebbe impiegarsi una filosofia contemporanea che voglia scrollarsi di dosso la polvere, ma non la memoria, della sua stessa biblioteca.
#1215
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
13 Febbraio 2020, 12:29:27 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 09:53:07 AM
Senza nemmeno parlare della partecipazione probabile di questo riflesso condizionato al « malessere nella nostra civiltà », bisogna sottolineare che esso lascia perdere degli interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita.[/i]
(Michel Bitbol)

Lasciar perdere interi aspetti della nostra condizione e del nostro ambito di vita. [...] Il non trascurare l'ambito "intero" della vita di persone incarnate qui e ora è allora campo d'indagine per la filosofia,
Credo che l'apparente ambiguità di tale "interezza" sia la chiave di volta dell'autocomprensione (o autosmontaggio, autodiagnosi, etc.) della filosofia: «lasciar perdere interi aspetti della nostra condizione»(Bitbol) non equivale a «trascurare l'ambito intero della vita di persone incarnate qui ed ora»(Sariputra). Che l'idraulico "lasci perdere" la pittura delle pareti, perché riconosce che non ha gli strumenti per occuparsene, non comporta che l'imbianchino, partendo dalle pareti, debba poi occuparsi anche di idraulica, soprattutto se può farlo solo disegnando tubi e rubinetti con mirabile trompe l'oeil... l'acqua disegnata non è l'acqua reale (il mirabolante oggetto in sé dei filosofi, non è l'oggetto fisico, chimico, quantistico etc. degli scienziati).
Finché la filosofia non accetta che alcuni suoi "temi classici", sono stati da tempo non risolti, ma decostruiti e riformulati e analizzati da altre discipline, continueremo a dipingere "rivoluzioni filosofiche" (ad esempio partendo dall'assioma indimostrato che il noumeno esiste); nel frattempo, il versante soggettivo viene studiato dalla neuroscienze e quello oggettivo dalla chimica, fisica, etc.

Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2020, 09:53:07 AM
la riflessione esistenziale, la spiritualità che non trascurano l'importanza di comprendere l'oggetto, ma vedono pure le necessità del soggetto 'incarnato' che cerca un senso al suo essere "gettato nel mondo e averne dolorosa coscienza"...
Questo è l'ambito in cui mi pare abbia più senso la riflessione filosofica (per adesso), soprattutto quando/se riconosce che l'importanza di comprendere l'oggetto in sé può acquisirla con "copia e incolla" dalle scienze che se occupano meglio di lei.
Mi pare che la filosofia, soprattutto quella classica, per sua "natura", sia un po' restia all'umiltà e a lasciare la presa dai suoi feticci; in questo la scienza è esempio di ragionevole cedevolezza: quando un'ipotesi viene falsificata o un paradigma non funziona più, lo si abbandona (in filosofia parliamo talvolta ancora il "metafisichese" di Platone e pur di non abbandonarlo, cerchiamo improbabili "sincretismi" con le lingue dei saperi contemporanei).


P.s.
L'oggetto in sé, filosoficamente, appartiene all'ontologia; mi sembra che qui si stia passando gradualmente alla semantica e alla semiotica (uso delle parole rispetto alle "cose").