Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PMPer me fra quella cosa e quell'intelletto, non c'è verità, ma interpretazione (al di qua della tautologia «le leggi dello stato sono leggi "vere" per i suoi cittadini»). Mentre la realtà esterna e l'intelletto interno (all'uomo) sono due "elementi" ben differenti (Cartesio docet), la "cosa sociale" e l'"intelletto sociale" sono invece due aspetti dello stesso unico "elemento", la società, la cui autocomprensione "di massa" è il fondamento delle veritas che ogni società si racconta (e tali racconti innescano, come detto, eventi reali).
L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia.
Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).
P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PMIn tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).