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Messaggi - sgiombo

#1201
Citazione di: Ipazia il 08 Dicembre 2018, 17:53:08 PM
Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 21:55:53 PM
Collegate siano ok, le "due" libertá (che in ogni caso non sono "cose") comunque collegate, non significa -lo stesso. Ne converrai. Ora se si vuole ibridare e annacquare il concetto di libero arbitrio in libertà da per far tornare i conti, va pur bene, per carità.

La correlazione tra libero "da" e "libero di" esiste e davintro ha anche cercato di spiegarla. La seconda implica la prima. Quanto alla "cosa" non ho mai detto che libertà sia una cosa. E' un concetto su cui stiamo ragionando. Ma nemmeno la considero un annacquamento del concetto di l.a.

Se per l.a. intendiamo (ma non credo) la sua accezione cristiana in relazione al peccato, non credo sia l'argomento della discussione, visto che è stata aperta in questo comparto. Quindi si arriva al concetto filosofico di libertà. Escludiamo pure l'assoluta Libertà metafisica essendo il tutto causato da qualcos'altro.  Quindi rimane solo la possibilità di una libertà di tipo pratico, naturalmente e socialmente circoscritta da determinazioni invalicabili.

Esiste questa libertà pragmatica ? Io affermo di sì e la derivo non da fondamenti assoluti ma da differenziali, da gradienti, tra situazioni a diverso grado di libertà. Non è un'invenzione moderna e nemmeno un trastullo per adolescenti o una bufala da demagoghi. Almeno Spartaco non la intendeva così e nemmeno coloro che crocefissero gli schiavi sulla via Appia. Era una libertà concreta conseguita attraverso una scelta rivoluzionaria che aumentava il grado di libertà di umani che socialmente partivano da zero. Uno zero relativo determinato da una società schiavistica. Tanto per la fisica che per la metafisica di questa libertà ha senso parlare. Anzi queste libertà, al plurale, perchè ogni contesto ha i suoi gradi di libertà specifici. Per un amputato la protesi è la sua libertà. Per un travet la libertà è quando timbra il cartellino in uscita. E così via. Illusione ? Ditelo a tutti costoro. Oppure a vostro figlio quando vuole fare qualcosa e voi glielo impedite  ;D

Se la filosofia non se ne fa nulla di questa libertà terra-terra mi spiace molto per la filosofia. Significa che non ha ancora capito qual'è la misura di tutte le cose. Protagora ne sarà sicuramente dispiaciuto.

Non ce l'ho con la filosofia. Per me anche la scienza è filosofia: naturale. Ce l'ho coi sofismi autoreferenziali che si espandono nel nulla metafisico pretendendo di subordinare la realtà alle loro semantiche.


"Avercela con la filosofia" (in generale) non é comunque vietato da nessuno (in questo forum, ovviamente; può solo essere valutato più o meno positivamente o negativamente, come più o meno politicamente corretto -oops; mi scuso- ecc. a seconda delle opinioni di ciascuno).
Poi ovviamente esistono regimi politici più o meno tolleranti oppure repressivi verso queste o quelle determinate filosofie.

Ma non vedo differenze fra "libero arbitrio" inteso nell' accezione cristiana in relazione al peccato e inteso più laicamente come concetto filosofico di libertà "interiore", di indeterminismo (== casualismo) del volere proprio di ciascuno: mi sembra che in entrambi i casi si intenda come possibilità di agire, non tanto (banalmente e ovviamente) in quanto non costretti da altri o da altro contro la nostra propria intrinseca volontà, ma invece in quanto non determinati intrinsecamente dalla nostra propria natura: potere compiere -operare come manifestazione delle propria volontà e non, e  indipendentemente dall' eventuale realizzazione o soddisfazione  di fatto o meno di essa- scelte che potrebbero non essere quelle che di fatto sono a causa di come siamo (fatti), ma invece potrebbero essere altre, diverse indipendentemente da (in barba a) come siamo (fatti).

Quella della libertà o meno da costrizioni estrinseche mi sembra tutt' altra questione, molto più filosoficamente (sia ben chiaro: per quanto riguarda la conoscenza della realtà astrattamente considerata) banale: é ovvio (e non per questo meno "glorioso":  splendido, grandioso, e meritorio della memoria riconoscente e dell'  ammirazione imperitura di ogni persona buona e giusta; su questo non ci piove) che Spartaco e i suoi seguaci lottarono (eroicamente) per cambiare la loro situazione di "libertà da costrizioni estrinseche (socialmente condizionata) zero".
Ma la questione filosofica é: lo fecero a casaccio o perché erano divenuti più o meno conseguentemente coscienti dei loro diritti negati di uomini e della possibilità per lo meno di tentare di realizzarli, per il loro coraggio e determinazione nel perseguire questo scopo (derivante anche dalla consapevolezza più o meno matura che il lottare per farlo ed eventualmente soccombere sarebbe stato comunque più degno di essere perseguito, meglio realizzante la loro umanità che il continuare a subire)?

Ma la libertà da costrizioni e inique limitazioni estrinseche della propria volontà (cui aspira chi lotta per questo nobilissimo scopo) non é né "libertà terra terra" (anzi!), né la libertà intesa "filosoficamente" coma libero arbitrio (per chi come me crede che si tratti di un' illusione; e anche per chi lo ritiene reale).

Che mio figlio quando era piccolo soggettivamente fosse convinto (illusoriamente) di voler fare incondizionatamente, per libero arbitrio quello che talora gli ho impedito (o a volte tentato vanamente di impedire) che facesse non inficia minimamente il fatto che invece lo voleva come effetto deterministico inevitabile di cause costituite dal suo "modo di essere" (tanto per intenderci).
#1202
Citazione di: Jacopus il 08 Dicembre 2018, 11:15:52 AM
@Viator. La tua interpretazione è riduttiva. Non esistono due ipotesi che si escludono a vicenda come se si fosse in un processo digitale sì/no.
Sartre dice da qualche parte: "fai quel che puoi di ciò che la vita ti ha fatto". Determinismo e libera volontà necessariamente devono convivere perché l'ambiente condiziona allo stesso modo di come le singole parti dell'ambiente lo condizionano. Agenti dotati di una parziale libera volontà, precondizioni determinate dall'ambiente (in  senso esteso) e caso influenzano e realizzano l'agire umano secondo proporzioni modificate e modificabili dalla stessa evoluzione culturale umana.


Non riesco a dare un significato (coerente) ai concetti di "parziale libera volontà" e di "influenza e realizzazione secondo proporzioni  modificate e modificabili dalla stessa evoluzione culturale umana da parte sia di precondizioni determinate dall'ambiente (e dalla natura intrinseca di ciascuno) sia dal caso".

Per me la realtà "digitalmente" (logicamente) può solo (essere pensata, intesa sensatamente) essere o causale ossia indeterministica, oppure deterministica (per lo meno in senso debole, probabilistico - statistico) e tertuim non datur.  
#1203
Citazione di: viator il 08 Dicembre 2018, 01:28:51 AM
Salve Lou. Prendere una decisione, fare una scelta, e' comportamento che si può adottare in due precise condizioni :

1- il pensare che nulla di esterno ci stia condizionando e che quindi la scelta sorga spontaneamente da nostri contenuti mentali gestibili unicamente dal "sè" (attraverso la coscienza) e costituenti la funzione mentale del nostro "libero arbitrio".

2 - l'essere consapevoli che il nostro "sè", le nostre menti e funzioni mentali, le nostre scelte e decisioni, la nostra coscienza.....sono tutti stati generati da ciò che ci preesisteva, sono connessi con tutto ciò che ci circonda, sono in balia di cause che continuamente ci influenzano.

Ora, è chiaro che la maggior parte della gente è convinta che il libero arbitrio esista e funzioni. E' tutta gente che non ha mai avuto occasione, voglia o capacità di riflettere sul funzionamento complessivo del mondo, limitandosi od essendo costretta a confrontarsi solamente con gli aspetti più immediati, contingenti, utili e limitati dell'esistenza.
Costoro fanno bene a credere così, visto che la riflessione sul funzionamento complessivo del mondo non ha mai arricchito nessuno, guarito nessuna malattia, risolto alcun problema pratico. Così il (loro) mondo funziona, Perchè cercarne uno più complicato e del tutto infruttuoso ? Per costoro quindi vale la condizione nr, 1.

C'è poi la minoranza che riflette giungendo a conclusioni opposte. Costoro sono - esistenzialmente e socialmente - quasi tutti dei privilegiati, essendo liberi  da preoccupazioni stringenti, bisogni impellenti, angosce devastanti.
Ciò permette loro di dedicarsi alla riflessione improduttiva, cioè di utilizzare il loro "presunto libero arbitrio" proprio per stabilire che il libero arbitrio individuale e sovrano è solamente una illusione.

Perciò gli "1" vivono il l.a. come questione puramente soggettiva (esistenziale, pragmatica), mentre i "2" arrivano ad afferrare l'oggettività della sua inesistenza.

Nota : La fenomenologia (intesa, credo, come studio dell'insieme dei fenomeni da noi riconoscibili) riguarda la filosofia ma, mi sembra, molto di più la prassi. Saluti.

Devo dire che sono in accordo con quasi tutte queste considerazioni (...succede nelle migliori famiglie).

Dissento solo dal fatto che la riflessione sul funzionamento complessivo del mondo non avrebbe mai arricchito nessuno, guarito nessuna malattia, risolto alcun problema pratico. Così il (loro -di coloro che si illudono circa il libero arbitrio-) mondo funzionerebbe.
Perché credo che spesso i nodi del reale funzionamento del mondo vengano al pettine, nel bene (arricchirsi, per chi senta questa aspirazione, e guarire le malattie, per tutti); anche in generale, e non tanto in particolare per quanto riguarda questioni eminentemente teoriche quale quella del libero arbitrio. 

In un deprecabile attacco di buonismo mi scuso anche per la pignoleria.
#1204
Citazione di: Phil il 07 Dicembre 2018, 23:03:30 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 18:35:04 PM
anche tu tendi a pensare che "parlar male della filosofia "non sta bene"?
Il «non sta bene» mi fa pensare ad una consuetudine sociale, tendenzialmente affine al politicamente corretto e alla buona educazione; tuttavia, nel mio piccolo, parlar male (della filosofia o altro) non mi pare in sé un male: se lo si fa con cognizione di causa, può essere brusco spunto per un'utile critica; se lo si fa senza cognizione di causa, è un parlare innocuo, il cui significato è disinnescato dalla propria infondatezza.
Citazione
Per restare nel faceto (che altro non é fin dal' inizio, nelle mie intenzioni, questa digressione dalla discussione principale) a me sembra però evidente che in generale (ma in particolare perfino, almeno in qualche misura, in questo forum -o almeno in questa sua sezione "filosofica"; e questo la dice lunga sul "generale") é consuetudine conformistica e politicamente corretta parlar male della filosofia (piuttosto che della scienza, di fatto meno esecrata a mio modo di vedere; o dell' irrazionalismo e della superstizione, ancor meno).

Questa mi sembra una valutazione (indubbiamente soggettiva ma discretamente fondata sull' osservazione dei fatti reali, anche se -non posso negarlo- "incoraggiata" in qualche misura dalla mia avversione -quasi maniacale? maniacale tout court?- al politicamente corretto che tende a farmi ritenere più politicamente scorrette e anticonformistiche di quanto non siano in realtà le mie convinzioni; credo sia almeno incoraggiante o "consolante" il fatto che me ne renda conto).

Mi scuso per il narcisismo.



Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da"
Secondo me, schematizzando: libertà di "verbo-x" = libertà da tutto ciò che impedisce "verbo-x".
Il volere come "terzo incomodo" fra libertà e arbitrio, merita indagini anche con altre "grammatiche" (su cui mi pongo le domande del post n. 174).
Citazione
Mi sembra (se non fraintendo, in sostanziale accordo con le tue considerazioni nell ' intervento #174) che il volere sia il "terzo incomodo" fra libero arbitrio e determinismo estrinseco alla propria volontà (costrizione subita per "causa di forza maggiore"), in quanto (ritenuto essere) determinato -deterministico- intrinsecamente.
#1205
Citazione di: Phil il 07 Dicembre 2018, 12:18:26 PM


Citazione di: sgiombo il 07 Dicembre 2018, 11:25:02 AM
Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!
Se lo fa, dipende dalla sua libertà, dal suo libero arbitrio o non può non farlo? Dopo l'«Encomio di Elena» di Gorgia, scriveremo l'"encomio di Ipazia"?  ;D

Simpaticissimo!
(Sei stato alla battuta senza fraintendere seriosamente).

...Ma continuando nella facezia, poiché Elena é stata difesa, da una colpa generalmente attribuitele, mediante sofismi -letteralmente; e in maniera comunemente considerata assai poco convincente: difficilmente in un processo reale l' arringa di Gorgia le sarebbe valsa l' assoluzione- allora anche tu tendi a pensare che "parlar male della filosofia "non sta bene"?
#1206
Citazione di: davintro il 07 Dicembre 2018, 17:38:47 PM
Per Sgiombo

Se per convalidare l'idea dell'universalità degli imperativi etici si ammette che anche i criminali che agiscono in contraddizione con essi in realtà, in qualche profondo recesso del loro animo, sono consapevoli dell'immoralità delle loro azioni, allora troverei ciò, non solo qualcosa su cui essere pienamente d'accordo, ma un ottimo argomento in favore dell'idea di non far coincidere la pena con la punizione vendicativa. Infatti se si ammette che anche il criminale mantiene pur sempre, seppur a livello latente un certo grado di moralità, allora occorre ammettere uno scarto tra il giudizio sulle azioni esteriori, cioè sui reati, da condannare e quello  sulla complessità interiore della persona, che mantiene un valore positivo dovuto alla preservazione di un senso di moralità, che nel momento in cui si commette il reato viene sovrastato da tendenze contrastanti, ma che in un futuro potrebbe tornare ad essere dominante all'interno del suo sistema di valori. Proprio questa possibilità legittima la rieducazione come fine primario della pena, nonché l'avversione verso trattamenti disumani, che vanno al di là di strategie utili al reinserimento sociale e al pentimento, in quanto rappresenterebbe una violenza gratuita contro un individuo, che al di là delle azioni commesse da condannare, mantiene comunque un valore etico positivo, in nome del, seppur provvisoriamente latente, senso morale insito in lui.
Citazione
Invece io credo che proprio perché il criminale non é amorale (privo di imperativi etici; nel qual caso non avrebbe senso il punirlo, come non avrebbe senso punire il leone che uccide la gazzella e se la mangia) ma invece immorale, cioé conosce gli imperativi etici e li contravviene, ne consegue che é giusto punirlo (anche) per farlo debitamente soffrire come si merita; e se fosse sinceramente pentito (se post festum facesse veramente prevalere i propri valori etici sui disvalori) lo esigerebbe lui stesso (ma non é un periodo ipotetico dell' irrealtà; talora esistono  davvero delinquenti autenticamente pentiti, che lo dimostrano chiedendo non furbescamente sconti ma invece per l' appunto inasprimenti di pena), oltre che a scopo dissuasivo ed eventualmente (se non pentito) rieducativo.

La disumanità delle pene é un' altra cosa, a sua volta immorale (ergo: da punire, se appena possibile).
Di non ricordo più in quale film che vidi in TV (ma é abbastanza famoso e qualcuno lo ricorderà) mi é rimasto impresso l' episodio di un ergastolano che aveva fatto amicizia con un topino che viveva nella sua cella, che una crudelissima guardia carceraria (quasi sicuramente peggiore dell' ergastolano, per quanti crimini costui avesse commesso) per puro dispetto gli schiacciò col piede sotto gli occhi, eliminando l' unico sollievo che era rimasto al detenuto che scontava la sua dura pena (presumibilmente meritata).
Beh, non mi vergogno a dire che ho pianto e che ho provato per il personaggio della guardia carceraria un enorme disprezzo e disgusto.

Per Ipazia

leggendo le argomentazioni riguardo l'oggettività della fonte da cui proviene il senso morale degli individui, devo dire che ho provato un certo senso di disagio, dovuto al fatto che per me  valori come "individualità" e "spiritualità" non solo concetti interni a una visione teorica, ma anche dei valori correlati a certi sentimenti tramite cui ne riconosco un'importanza per la mia vita, e che ho trovato in qualche modo squalificati in un'ottica nella quale "società" e "materiale" appaiono come fondamenti prioritari della realtà delle cose, relegando il resto a conseguenze secondarie, prive di una reale automonia.
Questo disagio non è univocamente determinato dal dissenso teorico: di fronte a una tesi, ad esempio riguardo un argomento di pura logica, dove il mio dissenso sia anche più forte rispetto a quello riguardo ciò di cui qua si parla, non proverei lo stesso senso di disagio, se però fossero in misura minore tirati in ballo dei principi importanti a livello di sentimenti personali.
Se il sentimento morale  fosse determinato dalla conoscenza di oggettivi stati di cose dovrebbe sussistere una proporzionalità tra l'intensità tramite cui sentiamo la certezza di un assunto teoretico oggettivo e l'intensità del sentimento di piacere o dispiacere riguardo il modo in cui un determinato ideale appare effettivamente realizzato nello stato di cose oggettivo. Così non è evidentemente: la sensibilità rispetto i valori non coincide con il percepire tali valori come rispecchiati nella realtà così come è, e per questo la sensibilità etica ispira la prassi, la prassi è necessaria sulla base della scarto tra conoscenza della realtà così come è  modello ideale di realtà in base a cui cerchiamo nella prassi di far adeguare la realtà fattuale. Se la corrispondenza tra il sentimento di approvazione o riprovazione etica e il senso di certezza meramente teoretica riguardo una verità oggettiva non si realizza in modo direttamente proporzionale, allora ciò prova l'autonomia del primo rispetto al secondo. La valutazione assiologica è un salto di qualità rispetto alla pura constatazione fattuale all'interno del complesso dei modi con cui ci relazioniamo con il mondo. Ciò non vuol dire pensare ad una totale arbitrarietà della prima, nel senso in cui un'ottica indeterminista intenderebbe l'arbitrarietà del libero arbitrio. Rilevare una contraddizione fra la negazione del libero arbitrio e l'arbitrarietà della morale avrebbe senso solo intendendo il libero arbitrio come inteso nell'accezione incompatibilista: libero arbitrio come totale assenza di causalità determinante lo scegliere in un modo anziché in un altro. Una volta inteso l'arbitrarietà come totale assenza di causalità, allora la negazione del libero arbitrio dovrebbe trascinare con sé anche l'arbitrarietà di ogni cosa, compresa l'etica. Ma se invece lo si intende in un'accezione compatibilista, cioè libero arbitrio come condizione in cui la causa determinante è interiore al soggetto agente, allora la contraddizione cade: il determinismo non sarebbe assenta, c'è, ma agirebbe a livello interiore, nelle tendenze delle persone a seguire un'inclinazione naturale ed originaria, quindi sviluppo di un autonomo e soggettivo sistema di valori, non campato per aria o nascente sotto un cavolo, ma espressione coerente dell'individualità personale, allo stesso modo di come l' "essere quercia" della quercia non è frutto del caso, ma coerente risultato dell'inclinazione già presente come nucleo originario dello sviluppo già insito nel seme
Citazione
Ipazia non ha certo bisogno di avvocati (e questo non vuole essere un intervento a gamba tesa), ma non posso esimermi dall' affermare che invece non vedo come e perché i più elevati valori morali (fra i quali personalmente tendo a non includere l' individualismo; ma qui ci sarebbe tanto da discutere e credo che finiremmo fuori tema) possano essere squalificati (e sminuiti nella loro "interiore profondità") per il fatto di essere (in parte) naturalisticamente ricondotti a (e compresi come conseguenze di) fatti biologici, così come per il fatto di essere (in altra parte) ricondotti a (e compresi come conseguenze di) fatti sociali; peraltro attraverso molteplici e importanti mediazioni culturali e psicologiche.
Un po' come non vedo in che senso potrebbero essere sminuiti dalla consepevolezza del determinismo e dell' assenza del libero arbitrio (su cui concordi, credo senza alcun analogo disagio).




#1207
Citazione di: Lou il 07 Dicembre 2018, 17:35:18 PM
Scusate, chiedo in estrema sintesi, ma non vi risulta che concettualmente il libero arbitrio si configuri quale "libertà di", non "libertà da", o meglio non è sufficiente una "libertà da" (ad es. fame, sete, costrizioni, gabbie, desideri, da vizi, da cause e leggi etc.) affinchè si sia in presenza automaticamente di una "libertà di" (ad es. di volere o di scelta o di autodeterminazione etc.)?

Infatti secondo me può esistere la libertà da (costrizioni estrinseche alla propria volontà) ma (se é vera la conoscenza scientifica e dunque -secondo me- se é vero il determinismo, per lo meno debole) non la libertà di scegliere in maniera che non sia deterministicamente condizionata (per lo meno debolmente) dal proprio modo di essere.
#1208
Citazione di: Phil il 06 Dicembre 2018, 22:02:31 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 20:07:52 PM
Può essere ma almeno in pratica si mostra, anche metafisicamente, un certo grado di libertà
Quell'«almeno» (in cui intravvedo "50 sfumature" di rombante e sconsolata compensazione), allude a un'insuperabile esigenza teoretica o ad un accontentarsi con i cocci di un filosofema infranto?

Ottimo assist per incoraggiare Ipazia, che già tende a farlo da sola, a parlar male della filosofia!

(Chiedo scusa a moderatori e diretti interessati per l' irrilevanza e la tendenziosità dell' osservazione).
#1209
Citazione di: Ipazia il 06 Dicembre 2018, 11:39:40 AM


Tornando al tema della discussione mi ha sempre sorpreso la contraddizione che i negatori totali del l.a. siano contemporaneamente anche i maggiori sostenitori dell'etica arbitraria !  ;D

Se ho ben capito, essendo un sostenitore di un' etica non arbitraria anche se non dimostrabile (ma di fatto universalmente presente nell' uomo nei suoi aspetti più generali - astratti) e relativamente (in parte) variabile e socialmente condizionata nei suoi aspetti particolari - concreti, non cado in questa contraddizione.

Anche se sono un convintissimo sostenitore della mera apparenza ingannevole del libero arbitrio.

Ma c'é un' altra diffusa convinzione (a mio parere decisamente errata) circa i sostenitori del libero arbitrio: quella per cui sarebbe contraddittorio da parte loro assumere un atteggiamento attivo e non una fatalistica accettazione della sorte.
Errata perché non vedo per quale motivo per il fatto di essere consapevole che agisco inevitabilmente come agisco perché determinato dal mio modo di essere (condizionato soprattutto dalle mie esperienze e solo in infima parte per quanto riguarda l' originalità personale che mi caratterizza e mi diversifica dalle altre persone dal  mio genoma) dovrei sentire meno  intensamente e cogentemente le deterministiche esigenze e pulsioni all' azione che mi animano. 

E infatti (fin dai giacobini della Rivoluzione Francese) molti rivoluzionari "dalla volontà inflessibile" e intransigente avevano convinzioni deterministiche; e interessanti in proposito sono anche le considerazioni di Gramsci sulla necessità di superare quanto prima e più conseguentemente possibile le "deformazioni" e le errate interpretazioni "oggettivistiche" del marxismo, le quali però nelle fasi immature ed embrionali delle sviluppo del movimento operaio avevano svolto una funzione tutto sommato positiva in virtù proprio del loro carattere deterministico, della forza che derivava a in un movimento operaio ancora immaturo dalla fiducia nell' inevitabilità oggettiva, a prescindere da qualsiasi grado di comprensione soggettiva della realtà, nella "vittoria finale del socialismo-comunismo.
#1210
Citazione di: davintro il 05 Dicembre 2018, 23:28:57 PM



Come andrebbe intesa l'universalità degli imperativi etici? Se la si intende come unanimità nel consenso intersoggettivo, allora direi che semplicemente l'esistenza di criminali che violano tali imperativi basterebbe a smentirla, dato che se la violano è perché evidentemente non li condividono. Se invece la si intende non come proprietà dei contenuti morali, ma solo dell'atteggiamento formale con cui un singolo, soggettivamente però, li pone, cioè universalità come considerare determinati valori morali (indipendentemente dal loro quid, dalla loro specificità contenutistica) come riferimenti dell'azione in ogni contesto spazio temporale in cui siamo, allora sono d'accordo in quest'accezione: quanto più un'imperativo è importante per me tanto più assumerà per me una valenza universale, cioè tanto più diverrà un imperativo da seguire con la massima coerenza, indipendentemente dalle circostanze particolari. Ed in questo senso si può far rientrare il corretto rapporto tra stato ed etica, cioè lo stato da un lato non è del tutto indifferente all'etica, ma esiste come strumento coerente di applicazione di un sentire morale, ma dall'altro non può pretendere di imporre "in quanto stato" tale ethos, ma deve limitarsi a fornire le condizioni materiali perché questo possa realizzarsi. Questo perché i valori morali sono sempre posti da un sentimento, che nasce sempre dalla coscienza individuale, mentre lo stato non essendo una realtà personale dotato di sentimento non ha alcuna possibilità di porsi come soggetto autonomo di un'etica, ma solo come suo strumento di realizzazione. E che i valori morali siano correlati a sentimenti soggettivi e non fatti oggettivi è un punto contro cui nulla possono valere le constatazioni di alcuna scienza, compresa la biologia. La scienza può constatare come fatto oggettivo che la specie umana è caratterizzata da certe tendenze etiche, ma in ogni caso restano constatazioni moralmente neutre, che non escludono che la volontà possa giudicare soggettivamente come positivo o negativo il fatto che la specie umana sia fatta in questo modo anziché in un altro. Ogni scienza non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà

Secondo me va intesa nel senso che, pur non essendo dimostrabili ("veri di diritto"; come rilevato da Hume: si può dimostrare razionalmente e/o empiricamente come é la realtà, non come deve essere), di fatto tutti, compresi i criminali che li violano (perché la volontà, le tendenze comportamentali umane sono contraddittorie) avvertono interiormente imperativi etici e valutazioni circa la "bontà dell' agire e del non agire proprio e altrui; peraltro in parte importante declinati  culturalmente (variabilmente da luogo a luogo e da tempo a tempo, da condizione e ruolo sociale a condizione e ruolo sociale), per l' "innestarsi" nella nostra specie animale di una storia propriamente umana sulla storia naturale (della cultura sulla natura, attraverso un "salto di qualità dialettico nello sviluppo della natura che non ne nega le -infatti oggettivamente non negabili- caratteristiche e dinamiche ma per così dire le "perfeziona" affiancandovi non contraddittoriamente "novità creative".

L' animo umano é complesso e in certa misura contraddittorio.
Per questo tutti, ma in maniera più o meno largamente prevalente nel loro comportamento complessivo i delinquenti e i malvagi, violano gli imperativi etici e si comportano anche in maniere che suscitano di fatto universalmente riprovazione, anche nei malvagi stessi (malgrado in loro siano evidentemente più forti sono le tenenze a violarle).

Concordo dunque per lo meno a grandi linee che La scienza può constatare come fatto oggettivo che la specie umana è caratterizzata da certe tendenze etiche [e anche da contrastanti tendenze immorali], ma in ogni caso restano constatazioni [...?...] che non escludono che la volontà possa giudicare soggettivamente come positivo o negativo il fatto che la specie umana sia fatta in questo modo anziché in un altro [infatti non siamo creature di un dio buono e amorevole e provvidente, non viviamo nel migliore dei mondi possibili]. Ogni scienza [e non: ogni scienziato] non può che limitarsi a mirare a una conoscenza dei fatti "così come sono", mettendo tra parentesi ogni soggettivo giudizio di valore, di "giusto", "sbagliato" [come anche di "bello"  di "brutto", di "piacevole" e "spiacevole", ecc.] giudizi che utilizzano la categoria del "dover essere" che proprio in quanto ispira la volontà di agire, non può essere un fatto, altrimenti la volontà di agire sarebbe insensata, essendo il suo fine già reale. In contrasto con un certo intellettualismo socratico, non esiste alcun passaggio logico necessario tra la conoscenza oggettiva dei fatti e l'assunzione di un'ideale di "realtà come vorremmo che fosse", persone di diverso orientamento etico possono [per le diversità culturali nel comportamento umano che si "innestano" sulle sue unicità o conformità naturali] condividere lo stesso livello conoscenza delle cose, e ricavarne un [relativamente, parzialmente] diverso giudizio morale, in quanto ciò che fa la differenza non sono i fatti, ma la diversa sensibilità soggettiva che guida la volontà [le diversità nella conoscenza dei fatti possono però determinare applicazioni più o meno efficaci degli scopi irrazionalmente avvertiti e non dimostrati a seconda dei casi, attraverso l' impiego di mezzi più o meno oggettivamente atti a realizzarli nelle circostanze di volta in volta date].

Sulla valutazione dello stato concordo con quanto già ben rilevato da Ipazia: é per me ideologia (falsa coscienza) che lo Stato sarebbe la condizione per la realizzazione dei valori etici universali (in qualche misura é anche questo, ma decisamente in subordine alla sua funzione essenziale che é quella di salvaguardare e di consentire, con tutti i mezzi consensuali e coercitivi necessari nelle diverse circostanze -extrema razio la forza delle armi- di esercitare il potere economico, culturale a anche politico reale (quali che siano le caratteristiche formali più o meno astrattamente e apparentemente democratiche delle sue istituzioni) delle classi dominanti e la tutela e se possibile l' ampliamento indefinito dei loro privilegi.
#1211
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Ècouter les femmes
05 Dicembre 2018, 20:59:23 PM
Poiché Alain Delon mi assomiglia, salvo il fatto di essere un po' più brutto di me, mi vi lascio immaginare...

(Tanto nemmeno le foto di noi uomini saranno mai in vista nel forum)

P.S.: Everlost, poiché citi Paul Newman, hai gusti del tutto simili a mia moglie (che di solito gli affianca Robert Redford quando mi vuole rinfacciare i miei limiti estetici; e allora io calo l' asso Liz Taylor e chiudo brillantemente la partita).
#1212
Tematiche Spirituali / Re:Ipotizzando, ho un problema
05 Dicembre 2018, 20:48:20 PM
Che l' animo umano presenta contraddizioni e che nessuno é mai perfettamente buono senza essere almeno un po' cattivo o perfettamente cattivo senza essere almeno un po' buono (la perfezione non esiste!) é pacifico.

Ma il manicheismo reale, storico é altra cosa del cosiddetto "manicheismo" del linguaggio corrente (il "vedere tutto bianco o nero senza sfumature di grigio", il ritenere che tutto il bene sta da una parte perfettamente buona e tutto il male dall' altra perfettamente cattiva).

E, contrariamente alle religioni e ai teismi che pretenderebbero assurdamente l' esistenza di una divinità onnipotente e immensamente buona in presenza del male, la corrente di pensiero manichea storicamente esistita é (per lo meno) logicamente coerente, non contraddittoria, sensata).
#1213
Citazione di: Lou il 05 Dicembre 2018, 18:30:53 PM
@sgiombo
"Dunque delle due l' una:
O il pensiero (o la mente) é una forma di materia (ma nella scienza, nelle teorie fisiche non si trova mai alcun riferimento a siffatto concetto; lo si trova in alcune interpretazioni filosofiche materialiste della neurologia, dalle quali é inteso come l' insieme degli aspetti algoritmici-cognitivi della neurofisiologia cerebrale; i quali non contraddicono mai le leggi chimiche e fisiche: sono in ultima analisi meri aspetti del mondo materiale naturale; dunque non può godere di alcuna "relativa autonomia e creatività" dalle leggi della fisica, non può in alcun modo violarle; ovvero: é assolutamente incompatibile con il libero arbitrio).
Oppure il pensiero (la mente) non é materia ("generata", ovvero "nata" dalla trasformazione di altra materia secondo modalità e proporzioni quantitative generali e costanti e immutabili), ma invece é qualcosa d' altro, di non materiale (contrariamente all' energia, la quale é altrettanto materiale della massa): dualismo ontologico!"
Mi scuso se inserisco un dubbio che mi si è affacciato leggendoti, tu come la/e vedi la/e teoria/e emergentista/e ( in generale senza distinguere tra emergentismo debole o forte). Non potrebbero queste opzioni, a tuo parere, rappresentare una terza via rispetto a "delle due l'una":"pensare" come proprietà emergente di un sistema complesso, con gradi di dipendenza e di autonomia rispetto al sistemone da cui emergono?

Vedo le teorie emergentiste (e quelle "sopravventiste") inadeguate a spiegare i rapporti fra mente e coscienza (ivi compresa la mente cosciente: pensiero, sentimenti, desideri, immaginazioni, ricordi, speranze, ecc.).

E questo per due motivi.

Il primo é che che il "comportamento cosciente" (cioé quei fatti materiali che possiamo ragionevolmente ritenere accompagnati da coscienza) animale e umano é da ritenersi perfettamente spiegabile (in linea teorica  potrebbe essere spiegato completamente se, per assurdo, fosse molto meno complicato di quanto effettivamente non sia; ragion per cui unicamente non lo é di fatto) dalla neurofisiologia cerebrale; la quale é perfettamente riducibile alla fisica - chimica (come tutta la biologia di cui fa parte; in linea teorica, di principio; di fatto é un altro paio di maniche a causa dell' enorme complessità di ciò che é comunque riducibile teoricamente, in linea di principio senza remora alcuna).

Il secondo é che i fatti di coscienza (compreso il pensiero) e i fatti materiali cerebrali che necessariamente vi coesistono-codivengono-corrispondono, come ampiamente dimostrato dalle neuroscienze, sono fatti reali diversi (contrariamente a: fulmini e scariche elettriche nell' atmosfera, o: temperatura di un corpo ed energia cinetica media delle sue molecole): il mio cervello nell' ambito della tua coscienza (se mi aprissi il cranio e osservassi; o meglio -per la mia incolumità- se lo osservassi indirettamente per il tramite della RM funzionale) mentre sto facendo un certo ragionamento o provando un certo sentimento é una cosa; il ragionamento che -nell' ambito della mia esperienza cosciente- sto facendo nello stesso lasso di tempo della tua osservazione del mio cervello o il sentimento che sto provando un' altra ben diversa cosa!
#1214
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2018, 11:41:16 AM
Di cosa sia fatto il pensiero non lo sappiamo. Così come non sappiamo cosa c'era prima del big bang, così come Watt non sapeva nulla di termodinamica, ma ha creato ugualmente la prima macchina termodinamica. Ma sappiamo come funziona il pensiero e sappiamo che riesce a manipolare la realtà in maniera creativa.
Tanto basta per dargli l'importanza che merita nella soluzione dei problemi umani.

Citazione
Che il pensiero riesca a manipolare la realtà fisica - materiale (in maniera più o meno creativa) non é detto sia realtà piuttosto che mera apparenza ingannevole.

E secondo me se é vera la conoscenza scientifica, allora per la chiusura causale del mondo fisico é falso (le due cose non possono coesistere in maniera logicamente corretta essendo reciprocamente contraddittorie, e dunque o é vera l' una e falsa l' altra oppure viceversa.
E a manipolare la materia é in realtà il cervello (ben diversa cosa dal pensiero cosciente).

(Personalmente ritengo che il Big bang non ci sia mai stato ma invece l' universo -fenomenico- materiale sia infinito nel tempo e nello spazio.; ma questo é fuori tema).

In ogni caso è uno spazio che si prende da solo, indipendentemente da tutte le speculazioni che si sono fatte da sempre sul suo conto.
Citazione
Che "qualcosa" esista realmente nell' apparente interazione fra pensiero e materia mi sembra ovvio.
Ma interessante mi sembra il "come", piuttosto che l' ovvio "se", dei rapporti fra pensiero e materia: se si tratti di un' interazione reale e non solo apparente (personalmente propendo per questa seconda tesi) o in cos' altro consistano (personalmente credo in una corrispondenza biunivoca fra insiemi-successioni di eventi (entrambi fenomenici) non reciprocamente interferenti; sempre per la chiusura causale del mondo fisico, conditio sine qua non della sua conoscibilità scientifica).

Sappiamo anche che è dotato di una volontà decisionale tra  varie opzioni possibili. Dove c'è scelta c'è libertà. E si torna all'evidenza reclamata da me ed altri.  :D Evidenza tutt'altro che banale, come dimostra la difficoltà della ricerca di antropomorfizzazione comportamentale della I.A.
CitazioneQui siamo sempre al "ci sembra che" (ma potrebbe essere un' apparenza -o se preferisci di un' evidenza- errata, falsa; e che lo sia ho cercato più volte di dimostrare nel forum).

Secondo me le difficoltà della ricerca di antropomorfizzazione comportamentale della I.A. non dimostrano altro che l' enorme complessità della "macchina" (anzi: della macchina senza virgolette) cerebrale e del conseguente (al funzionamento del cervello, non al pensiero cosciente) comportamento animale, e soprattutto umano.

Infatti nemmeno alcun albero artificiale (evidentemente privo di pensiero cosciente e di intelligenza) é stato finora riprodotto in laboratorio.
#1215
Tematiche Spirituali / Re:Ipotizzando, ho un problema
05 Dicembre 2018, 10:42:06 AM
Citazione di: Socrate78 il 24 Novembre 2018, 18:25:20 PM
Tuttavia una cosa difficile da concepire è pensare come Lucifero possa essersi ribellato a Dio (ammettendo che sia così...) nonostante godesse della visione beatifica di Dio stesso: ora, se tu partecipi dell'onniscienza e della bontà di Dio, non mi sembra possibile la ribellione, poiché hai una superiore consapevolezza che ti porta a vedere la necessaria giustizia di ogni decisione divina! Se effettivamente dovesse esistere il demonio, mi sembra più facile e logico immaginarlo sin dall'inizio malvagio e staccato da Dio, una specie di divinità del male opposta al bene, non come un qualcosa che prima era angelico ed è diventato demoniaco.


Esatto!

Il manicheismo almeno é logicamente coerente, non autoconraddittorio