Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Phil

#1216
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 22:37:08 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2020, 16:53:26 PM
c'è il piccolo scienziato che, quando gioca, ti smonta il carro armato indifferente alle tue proteste, e c'è il piccolo filosofo che si domanda che डिक  di senso ha giocare con il piccolo scienziato, se è noiosissimo, non gli importa un fico secco del gioco, e ti smonta tutti i tuoi giocattoli per vedere come funzionano.
[...]In fondo cosa si regala al piccolo scienziato? I Lego ovviamente...
Eppure, parlando proprio di smontare giocattoli e di costruzioni Lego, c'è una corrente filosofica chiamata decostruzionismo, che nel novecento (e dopo) ha avuto una sua risonanza, piuttosto trasversale e interdisciplinare. Anche fare il rompiscatole/rompi-giocattoli può avere talvolta una sua valenza filosofica (oltre che epistemologica).
Ci sono indubbiamente filosofi che giocano senza sentire il bisogno di curiosare dentro i propri giocattoli, che preferiscono stare al gioco senza volersi "addentrare" in tutto quello che c'è in gioco, che non violano la struttura dei balocchi perché poi potrebbero non saperli rimontare (o li scoprirebbero meno portentosi di quel che sembravano); nondimeno, anche lo "smontare per capire", profanando la sacralità del feticcio (sia esso l'Essere, il noumeno o altro), è oggi considerato un gesto filosofico (non il solo possibile, ovviamente).
#1217
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 16:20:19 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Febbraio 2020, 14:59:59 PM
La "sedia" è "in sè" una sedia proprio perchè è "anche non-sedia" (un aggregato di infiniti non-sedia. Epperò  è anche esistente come sedia, visti i lividi e gli ematomi sulla schiena).
Il fatto di essere "anche" non-sedia permette infatti il divenire della sedia. Come permette il divenire dell'uomo e del cane. Infatti se fosse solo "in sè" non potrebbe divenire. Sarebbe "sedia" cristallizzata, in eterno...
Tutto questo però è "il gioco sullo schermo". "Chi" sta guardando il film? Infatti c'è sempre l'osservatore dell'"in sè" della sedia, dell'uomo e del cane...
Alludevo esattamente a questo: «l'osservatore è misura di tutte le cose», nel senso che le concettualizza; il che non significa che tali concetti non abbiano una qualche corrispondenza reale e un qualche fisicità, ma solo che tale corrispondenza trova definizione e "senso" per l'osservatore, che concettualizza l'"in sé" dell'oggetto secondo i suoi mezzi, quindi sempre come un "per lui". D'altronde, posso rompere la sedia sulla schiena di qualcuno anche senza averla concettualizzata come sedia, mi basta sia un aggregato di materia a misura d'uomo.
Ad esempio, se vado oltre i miei nudi limiti percettivi, alcuni strumenti mi spiegano che esistono anche i virus, e sulla loro schiena non ho sedie abbastanza piccole da rompere; inoltre, verosimilmente, quello che io chiamo «sedia» per quel virus è invece un "pianeta". Parimenti, per riconoscere che il sole (o meglio, quell'aggregato circoscritto secondo i sensi umani che così viene chiamato) è giallo, devo fare un discorso fra umani, tutti dotati del concetto di "giallo", tuttavia posso anche ricordarmi (come suggerisci) che il giallo-in-sé sia solo questione di capacità elaborative del sistema percettivo umano, tanto quanto l'identificazione del sole è basata su criteri umani, così come lo scottarsi è basato su differenza termica rispetto al corpo umano, etc.
Ovviamente, essendo umani ragioniamo da umani, ma con un piccolo sforzo di "proiezione" possiamo essere consapevoli di quanto l'antropocentrismo, prospettico e percettivo, sia vincolante nella nostra concettualizzazione del reale, che ci sembra "a misura d'uomo" solo perché quello siamo (quindi, secondo me, postulare un'"oggetto in sé" che sia meta-umano, è un vecchio vezzo filosofico, mentre la scienza sta già affondando da tempo le "umane mani" nel reale senza farsi però troppe... congetture meta-umane).
#1218
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 13:07:29 PM
Credo (correggetemi se sbaglio) che stando alla teoria degli "in sé", dovrebbero esserci un granellino-in-sé, sopra una sedia-in-sé, appoggiata su un pavimento-in-sé e composta da uno schienale-in-sé, gambe-in-sé, feltrini-in-sé, etc. a dimostrazione di come l'"in sé" sia un trompe l'oeil concettuale, l'irraggiungibile "terra promessa" del flaneur metafisico che non si accorge che l'identificazione (A=A) è un'attività mentale che divide arbitrariamente la realtà a seconda della "messa a fuoco", consentita dai sensi o dagli strumenti dell'uomo (lo stesso "in sè" di me, ovvero il mio "io-in-sé" potrebbe essere scisso atomicamente in qualia, pensieri, etc. o essere considerato mereologicamente nel suo insieme, "persona"). 
Una certa prospettiva (innominabile) insegna che l'"in-sé" è solo il "per-me" congetturalmente distillato dalle elaborazioni/mediazioni del soggetto, quindi l'"in-sé" è un nulla, perché tolta la concettualizzazione attuata dal "per-me", l'"in-sé" non sussiste "per-sé" (ovvero i concetti non esistono se non c'è qualcuno che li pensa, non me ne voglia Platone, e la realtà fuori dai concetti non è fatta di divisioni concettuali, essendo reale e non, appunto, concettuale).

P.s.
Per una lectio magistralis sulla "sedialità", potete andare al minuto 2:37 di questo video.
#1219
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 00:03:23 AM
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 22:10:33 PM
A questo punto però mi accorgo anche di averti-avervi risparmiato le mie - come al solito balzane, criptiche e sintetiche - definizioni di causa e di effetto (i quali due ad opinione o nozione di molti di voi non avrebbero nulla a che vedere con l'essere ed il divenire) :

  • causa : lo stato del mondo precedente una sua qualsiasi trasformazione:
  • effetto : lo stato del mondo successivo a una sua qualsiasi trasformazione.
Queste definizioni mi hanno fatto venire in mente, per associazione di idee, una fallacia (errore logico) chiamata «post hoc ergo propter hoc» ovvero «dopo di ciò quindi a causa di ciò», fallacia che consiste nel confondere la consecuzione temporale con la conseguenza causale. Stando alla definizione proposta si rischia infatti di tradurre «x è causa di y» con «x è lo stato del mondo precedente la sua trasformazione in y»: se è vero che le cause precedono sempre i rispettivi effetti, è anche vero che lo stato del mondo prima di un evento non ne è sempre la causa. Ad esempio, se mentre digito qui un post, mi arriva una chiamata di un call center, probabilmente il mio digitare non è causa della telefonata, anche se fa parte dello stato del mondo prima dello squillo (e cessa all'accadere dello squillo); verosimilmente non è lo stato del mondo che origina la chiamata, ma solo alcuni fattori, chiamati appunto «cause». Chiaramente, questo esempio è piuttosto trasparente, ma rintracciare la giusta causa in tutti gli eventi pertinenti che precedono un fenomeno non è sempre impresa facile, per cui, secondo me, non se ne può fare solo una questione generica di "precedere la trasformazione" e di «stato del mondo».
#1220
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
11 Febbraio 2020, 13:09:01 PM
Citazione di: viator il 10 Febbraio 2020, 21:45:30 PM
Resta il ruolo della copula, immensamente più fecondo di ogni autoerotismo se viene interpretata viatoristicamente come "la condizione per la quale le cause producono degli effetti".
L'essere come copula («è») definisce un'identità, non la condizione di un rapporto causale; il che non nega che tali identità definite siano in un rapporto causale, ma non è quello che dice l'«è» (che si occupa solo di fornire alla catena causale i suoi "protagonisti", ma questo è uno dei suoi ruoli, non la sua definizione). Definire qualcosa basandosi sul suo essere condizione di possibilità di altro, è spesso ambiguo: se (perdona la fantasiosa banalità dell'esempio) definisco il «voto degli elettori» come «ciò che rende possibile la democrazia», il mio interlocutore continuerà a non sapere cosa è davvero un voto (il sapere a cosa serve, senza sapere cos'è, non gioverà molto alla sua comprensione).
Se affermo «quello è il sito della Treccani» (dove posso trovare una definizione piuttosto condivisa di «cosa in sé») sto solo identificando qualcosa; tale qualcosa avrà certamente le sue cause e produrrà i suoi effetti, ma non è quello che dico nell'affermare «x è y». Se anche affermo «x è causa di y» sto semplicemente identificando la «x»: se essa sia «causa di y», o «effetto di y», o «sorella di «y», o altro, ciò che quell'«è» predica è un'identità (il principio di identità è non a caso l'asse portante di tutta la logica e di ogni discorso; senza le identità coinvolte, la causalità non ha significato: se non identifico prima «Tizio» e «Caio», non ha un "senso utile" affermare «Tizio è causa di Caio»).
#1221
Percorsi ed Esperienze / Re:La Grotta
10 Febbraio 2020, 12:47:18 PM
Citazione di: InVerno il 10 Febbraio 2020, 10:11:39 AM
Joker, è un altro film sul risentimento sociale. Purtuttavia anzichè esaminarlo da questa prospettiva banalotta, sarebbe più interessante notare l'evoluzione della maschera che lo rappresenta: dal giustiziere dell'ordine di V per Vendetta, alla particella del caos amorale di Joker, ci sono circa quindici anni, il film è la testimonianza che gli eroi del risentimento si sono decisamente "incattiviti", tanto da non avere più bisogno di nessuna gratifazione morale per brandire il tizzone del caos e demolire la società corrotta.
[il post seguente contiene spoiler per chi non ha visto «V for Vendetta» e «Joker»]
Fra i due noto più le differenze che le affinità, al punto che non li accosterei nella categoria "risentimento sociale" o comunque non nello stesso "percorso" di «evoluzione della maschera»: V ha una maschera (iterabile, generica), Joker è una maschera (autobiografica e personale come la "sindrome della risata"); V si oppone in un futuro distopico ad una dittatura (quasi come un "supereroe socialdemocratico"), Joker nel presente non si oppone o lotta per un principio, piuttosto cerca di difendersi nel cavalcare la sua nevrosi (ha sempre meno empatia e nessun ideale politico); V si muove in un orizzonte di senso ben chiaro, Joker è invece alla continua ricerca individuale di un senso (vedi battuta basata sul gioco fonetico di «cents»); V è mosso da vendetta sociale, Joker da vendetta personale; V si propone come cura del disagio sociale, Joker ne è il risultato estremizzato; V vuole scuotere le coscienze e riempire le piazze, per Joker (secondo me) questo è stato un effetto tanto imprevisto quanto "divertente": dalla nevrosi del ballare da solo sulle scale al narcisismo di ballare su un auto sfasciata nel caos urbano, non c'è finalità programmata (va ricordato che non è il Joker di Batman, quello folle ma comunque avido di potere, quello leader di una sua banda, etc.).
La differenza fra la "responsabilità sociale" di V e l'individualismo (ai limiti del solipsismo) di Joker sta tutta nei due "discorsi emblematici" (reperibili su youtube) e non solo nei contenuti: V "si prende" la televisione, Joker ci si trova per un colpo di fortuna; V dà appuntamento ai suoi "destinatari" all'anno successivo per la rivoluzione, Joker non si rivolge mai come "guida" al "suo" popolo.
Anche i "fuochi" con cui terminano i due film sono molto differenti: i fuochi d'artificio "catartici" osservati da una disciplinata platea popolare contro i fuochi dei roghi "anarchici" degli indisciplinati rivoltosi in una sommossa civile, molto più povera di speranza rispetto all'altra (in una c'è il successo del popolo, nell'altra il successo momentaneo dello "showman" che, a differenza dell'eroe classicamente tragico, non morirà, ma come uomo comune verrà riassorbito dal "sistema", pur continuando la sua "commedia"...).
Entrambi i film sono chiaramente mossi da un malcontento, ma la declinazione mi pare piuttosto divergente.
#1222
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
09 Febbraio 2020, 20:58:37 PM
Sulla convergenza fra virtualità e post-mortem segnalo Mushtaq Ahmad Mirza Project, Project Elysium e il "transreligioso" Terasem Movement Foundation's; pare inoltre sia in rapido sviluppo la ricerca tecnologica per lo sviluppo e il miglioramento dei "griefbot" (intelligenze artificiali che simulano la personalità di un defunto basandosi su suoi dati e peculiarità reali tratti da documenti, testimonianze, social, etc.).
#1223
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
09 Febbraio 2020, 12:47:37 PM
Questa realtà virtuale potrebbe essere una risorsa per rielaborare un lutto in modo meno traumatico: piuttosto che salutare un figlio morente su un letto d'ospedale, fra respiratori artificiali, sedativi e medici, forse la mente accetta più volentieri un addio simulato, quasi da film, con effetti speciali, dissolvenza, scenari ben studiati (per colore, forme, etc.) e magari musiche di sottofondo ad hoc (a rinforzare quel carico emotivo necessario a potenziare l'esperienza; anche se l'assenza di musica renderebbe il vissuto di certo più verosimile).
Ho scritto «forse» perché alcuni (almeno uno lo conosco) non accetterebbero di buon grado, di fronte ad un lutto, di indossare occhiali e sensori per interagire con un programma che incrocia la grafica da film hollywoodiano ed il dialogo con un'intelligenza artificiale (o con un personaggio comandato in tempo reale da uno psicologo, come se stesse giocando ad un videogame e il defunto fosse l'avatar da lui scelto).
Credo l'efficacia di tale esperienza dipenda anche dal grado di competenza tecnologica: chi non ha mai usato la realtà virtuale o neppure un videogame con la visuale in prima persona, suppongo risulti spontaneamente più incantato e colpito da tale esperienza; la nuove generazioni che invece usano sempre più quelle tecnologie e quella prospettiva in prima persona, suppongo abbiano una mente più resistente a cedere alla "magia psicologica" (e quindi all'effetto terapeutico) del commiato in esperienza postuma(na) con il simulacro del defunto.

Un effetto collaterale di un'esperienza così "psicologicamente invasiva" potrebbe essere la dipendenza: se a tale mamma fosse prospettata la possibilità di poter andare ogni tanto a trovare "sua figlia" nella realtà virtuale, cosa risponderebbe la donna? E una persona in condizioni psicologiche differenti?
Ci sono persone che, senza traumi luttuosi, hanno sviluppato dipendenza patologica da videogame (in Giappone sono gli otaku, nei casi più seri diventano hikikomori), ben oltre la ludopatia da videopoker o slot machine; non so dunque cosa potrebbe capitare, magari solo in rari casi, di fronte alla possibilità di frequentare un defunto e/o occuparsi di lui, sempre all'interno della realtà virtuale, come già alcuni fanno con i pokemon o facevano con i tamagotchi. In fondo, in questo video la mamma ha "di fatto" festeggiato un compleanno; inoltre, quando la figlia ha detto «stiamo sempre insieme, vero? La prossima volta che ci incontriamo, giochiamo molto(, va) bene?» era un invito a ritrovarsi in paradiso oppure ad una prossima sessione di realtà virtuale (a pagamento)?
Il pharmakon può essere, come sempre, rimedio o veleno...
#1224
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 15:03:39 PM
@Phil
La domanda da me espressa @Vito Ceravolo era piuttosto chiara e si riferiva al "nichilismo occidentale" nell'accezione comune e non riferita ad un autore in particolare. Nichilismo nel senso come da me usato nel Topic "Civiltà Occidentale"
[...]
Ritengo sia un uso in linea con l'accezione comune contenuta in Wikipedia e in treccani.
Mi sembra che ciò confermi ulteriormente l'ambiguità a cui mi riferivo: tu chiedi del «nichilismo occidentale» all'autore del saggio il cui primo capitolo è «Quando Kant anticipava la rovina del suo paradigma, e di tutto il nichilismo occidentale», saggio che citi poco prima di porre la tua domanda e che commenti con:
Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
L'ho trovato molto interessante. Mi sembra di capire che tu teorizzi il nichilismo occidentale  come una forma di 'odio' (faccio un'estrema sintesi ovviamente, veramente esagerata..).
intendendo però, a quanto scopro ora, con «nichilismo occidentale» quello che invece focalizzi nel topic «civiltà occidentale» (quindi non il nichilismo di Vito), che ti sembra1 simile al nichilismo comunemente inteso (cioè non solo all'occidentale, almeno a giudicare dalle definizioni).
Chiaramente, la filologia di questo domandare mi serve come esempio esplicativo per la considerazione che proponevo sopra (riguardo la necessità di esplicitare le coordinate di un tema), non certo perché mi interessi "fare le pulci" al tuo domandare (anche perché il mio stesso ragionare è poco più che un "mercato delle pulci").

1Scrivo «sembra» perché nella tua riflessione, tutt'altro che scontata e decisamente legittima, il nichilista diventa edonista (proponi come suo motto «goditela più che puoi!», sebbene non so quanti e quali nichilisti lo sottoscriverebbero), inoltre l'assenza di fondamento delle ideologie politico-religiose diventa per te propulsore del «tecnocapitalismo» (facendo del nichilismo un movente socioeconomico); definisci il nichilismo una «una sorta di mentalità largamente condivisa, maggioritaria»(cit.) e non mi pare poco la presa d'atto di tale eventuale "maggioranza" (in occidente o altrove).
Sicuramente il nichilismo che tratteggi è dunque molto più ragionato di quello definito dal dizionario Treccani, il che secondo me è un bene (il tuo tratteggiare intendo), in piena conformità con le finalità del forum.
#1225
Citazione di: Sariputra il 08 Febbraio 2020, 00:47:15 AM
In generale, quando non si fa una citazione specifica di un autore o di una filosofia, s'intende un termine nell'accezione comune che viene data. Per esempio, visto che il termine 'nichilismo', che è diventato motivo di discussione in seguito ad una mia domanda specifica a @V.Ceravolo in relazione ad un suo scritto qui linkato,  può avere diverse interpretazioni, s'intende tacitamente il suo senso comune che è: "Ogni posizione filosofica che concepisca la realtà in genere o alcuni suoi aspetti essenziali, dai valori etici alle credenze religiose, dalla verità all'esistenza, nella loro nullità."  Oppure: "Dottrina che si caratterizza per la totale negazione dei valori e dei significati elaborati dai diversi sistemi filosofici. " (diz.Treccani).
Questo può essere un caso esemplificativo della ambiguità di cui parlavo: nel suo saggio, Vito parla del nichilismo di Nietzsche (da lui interpretato, non "in generale") e poi propone una sua ulteriore logicizzazione del nichilismo (con la formula della contraddizione logica); segue la tua domanda che riguarda il «nichilismo occidentale» (quindi, parrebbe, non solo Nietzsche) o forse il nichilismo in generale (e sai meglio di me come in oriente il nulla/vuoto non sia questione da poco...). Se consideriamo che il nichilismo è stato citato da Vito sin dal primo post d'apertura del topic, come macroarea di pensiero opposta al realismo, ecco che, secondo me, iniziare a chiarire di quale nichilismo stiamo parlando (à la Vito? à la Treccani? à la Nietzsche? à la "stretta la foglia, larga la via..."?), passando almeno dal dizionario Treccani (troppo generico per i termini settoriali) a Wikipedia (che non è prolissa come un manuale, ma meno vaga del dizionario), stringendo un po' il campo di riferimenti, gioverebbe a ridurre i fraintendimenti e agevolerebbe una conversazione coerente.
Fermo restando che non stiamo facendo ricerca universitaria, ma siamo su un forum aperto a tutti, quindi anche nella sezione "filosofia" l'opinionismo spensierato è comunque un diritto (sancito dal regolamento, se non erro).
#1226
Citazione di: davintro il 07 Febbraio 2020, 20:50:31 PM
la mia scelta di argomentare senza citare filosofi o forumisti (se non quando strettamente necessario, comunque in rare occasioni) è dovuta, da un lato, alla mia preferenza per stare nell'analisi concettuale, contribuendo a far sì che la discussione possa restare a un tavolo comune tematico in cui ciascuno sulla base di una comune logica e razionalità possa prender parte, evitando riferimenti citazionisti, che, ritengo, non aggiungerebbero nulla alla discussione se i concetti, che dovrebbero essere l'unico contenuto di una filosofia che vuole distinguersi dalla "storia della filosofia" come autonoma riflessione personale senza vincolarsi a princìpi di autorità, sono ben chiari, o evitando di citare forumisti, anche per evitare di "rinserrarsi" in un botta e risposta personale. In molti casi preferisco lanciare riflessioni restando sul generale, lasciando a ciascuno piena libertà di inserirsi, senza timore di risultare in qualche modo, fuori luogo, nell'intervenire in un botta e risposta ristretto a pochi utenti che si citano. In questo caso non ho ritenuto fosse il caso, ma è solo una scelta "stilistica", nulla che debba far sospettare riguardo la validità o meno del mio discorso.
Il mio parere sulla ridondanza del diverbio assolutismo/relativismo non era rivolta a te in particolare, infatti anche altri utenti l'hanno chiamata in causa e io stesso non riesco ad astenermi dall'usare «assoluto» e «relativo»; ovviamente ognuno è libero di dare il suo contributo e di cavalcare i suoi "cavalli di battaglia", non era certo mia intenzione dire quali fossero i binari che lo sviluppo del discorso doveva seguire o stigmatizzare gli eventuali off topic (non sono nemmeno un moderatore). Mi ero solo fatto allettare dalla possibilità di un contributo nuovo per questi schermi, quello di Vito (nonostante non mi trovi concorde con lui) e quando ho avuto il déjà vu di temi e obiezioni, magari in topic, ma già molto presenti in questo forum, ho espresso la mia personale preferenza per una tutela del nuovo a discapito del già (mal)trattato; si tratta appunto di una preferenza personale, non certo un rimprovero (che da parte mia non avrebbe senso).

Riguardo al citare o meno autori o forumisti, sempre restando nelle mie preferenze personali, credo invece sia un gesto necessario alla chiarezza, oltre che alla sostanza, del discorso, ma non perché citando il filosofo Tizio, con cui supponiamo concordo, la mia opinione diventi allora più autorevole o addirittura verità; la sfida a chi sa più citazioni mi è sempre parsa sterile gioco da nozionismo televisivo. L'utilità e l'apporto contenutistico del citare nomi è piuttosto quello di innescare un collegamento sintetico, un link, ad un insieme di contenuti reperibili (di solito basta wikipedia) o argomentazioni più o meno note (a proposito: qui ho scoperto molti autori e teorie che non conoscevo in precedenza, sono debitore verso chi li ha citati). Soprattutto, si evita il fatale (per me) errore dell'approssimazione, della confusione fra concetti simili ma non identici, dello scontro fra vocabolari fatti in casa (che talvolta rende difficile persino inquadrare il tema del discorso). Non sempre la filosofia e il "secondo me" sono perfettamente compatibili (e non solo se parliamo di logica formale), anche se comunemente, far filosofia significa cercare di dire seriamente la propria su una questione astratta.
Ad esempio, riaccostandoci al topic, se parliamo di «nichilismo», senza voler citare autori, di cosa parliamo esattamente? Quando Vito (lo prendo come esempio) ci dice che il nichilismo afferma «A=-A», di quale nichilismo parla? Ha senso un discorso vago sul "nichilismo in generale" quando magari si vuole poi condensare tutto in un'asserzione logica? Se invece Vito si riferisce ad un autore in particolare, allora può essere una sintesi ottimale, ma come saperlo se non ne esplicita il nome? Il rischio è dunque quello di una filosofia di "slogan senza autori", di "filosofie senza sostenitori" (come forse è il relativismo assolutista), di motti che banalizzano e si aprono a mille interpretazioni decontestualizzate: «tutto è relativo», «Dio è morto», «cogito ergo sum», «il cielo stellato fuori di me e la legge morale in me», etc. chi l'ha detto in quale contesto lo ha fatto e, soprattutto, in che senso? Il richiamo all'autore o alla corrente filosofica non è un vezzo intellettualistico, è la chiave di lettura da cui dovrebbe, secondo me, partire un'interpretazione pertinente (se poi l'autore non c'è, forse siamo di fronte a fazioso stereotipo). Ben vengano riflessioni personali e originali, tuttavia se do la mia opinione sul neoplatonismo, sarebbe opportuno, deontologicamente, farlo con minima cognizione di causa (il che implica il riferimento ad autori e correnti; anche in formato bignami o wikipedia, è sempre meglio di niente).
Passando agli utenti; se ora facessi un commento sul «mistico», mi riferirei al mistico di Vito, quello di bobmax, o quello "secondo me"? Parlare all'interno di un gruppo senza far capire se ti rivolgi a Tizio o a Caio può essere infruttuoso, se non controproducente; soprattutto se, ad esempio, rivolgi una domanda, attività squisitamente filosofica, è per me piuttosto utile esplicitarne il destinatario (il che non toglie che altri possano poi "rubare" la domanda e rispondere o inserirsi in un dialogo a due voci, contribuendo non poco ad "allargare il campo").
#1227
A mio modesto parere, ci sono già abbastanza topic in cui il relativismo viene forzosamente assolutizzato così da risultare docilmente contraddittorio, o in cui viene fatto assurgere a fallace teoria della totalità (tuttavia, sospettamente, senza citare mai i filosofi e/o almeno i forumisti rei di tale leggerezza), sempre giocando sull'ambiguità fra «assoluto» come sostantivo ed «assoluto» come aggettivo, «assoluto» nel suo significato etimologico ed «assoluto» nel suo significato storico-filosofico, etc.
Qui, rimuovendo (in tutti i sensi) la questione del fondamento, che pure si intravvede fra le righe, credo che (per fortuna) il tema sia un altro; tema che mi pare prendere le mosse dalla constatazione:
Citazione di: Ipazia il 07 Febbraio 2020, 10:49:39 AM
Non esiste il nulla e non esiste l'assoluto. Esiste il reale. Spiace sia difficile inventarne uno di nuovo, visto che ne facciamo parte da qualche miliardo di orbite terrestri intorno al sole, e che le nostre possibilità di modificarlo sono assai relative.
e acquistare maggior slancio ed apertura con
Citazione di: Sariputra il 07 Febbraio 2020, 11:21:33 AM
cit.@iano: Ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla nostra coscienza/conoscenza.
Sfugge , ma non perché l'insondabilita' sia un suo attributo , così come la coscienza non è una necessità ineludibile e men che meno una meta.
Come vogliamo chiamarlo questo qualcosa?
Assoluto?



Lo chiamerei semplicemente "ciò che non si conosce". Relativo o assoluto , in questo caso, non c'entrano nulla.
D'altronde la proposta di Vito intende, se ho ben capito, conciliare proprio il realismo con un "ulteriorità noumenica" accessibile per via intuitiva e quindi senza soluzione di continuità rispetto al soggetto, senza cioè ritenere preclusa la ragionevole (in tutti i sensi) accessibilità all'agognato "oggetto in sé".
Tuttavia, finendo poi con il parlare di reti neurali e simili, ecco che la bilancia mi pare pendere verso il soggetto (animale o vegetale che sia), essendo lo "strumento cognitivo" soggettivo (il sistema nervoso, il sistema neurovegetativo, la mente, etc.) non un passivo specchio della realtà, ma un attivo elaboratore, che quindi (ri)costruisce una sua realtà (pur senza "giocare a dadi") fondata sull'input di quella esterna. La questione di "decifrare" in tale input le tracce di una realtà incontaminata dalla soggettività è probabilmente la sfida scientifica a cui collaborano le neuroscienze.
#1228
Provo a saltellare in telegrafico brainstorming fra differenti spunti (sperando di non sbandare troppo in off topic).

Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Non è detto che le scienze umane non possano percorrere le stesse vie, non solo teoretiche, della scienza, rinunciando ai fondamenti assoluti così come ha fatto la scienza.
La rinuncia ai fondamenti assoluti, o meglio al loro "monismo assolutistico", è stata vissuta troppo differentemente (ed era inevitabile): in un campo si è parlato di rivoluzione scientifica, scoperte di nuovi sistemi, apertura di nuovi campi di indagine, etc. nell'altro di crisi del pensiero, morte della filosofia e, appunto, nefasto nichilismo come «male estremo» (a cui estremi rimedi, come il ritorno all'imperituro noumeno e la riduzione della metafisica alla sua etimologia letterale). Suona piuttosto sintomatica ed eloquente la differenza dei rispettivi campi semantici a cui si fa ricorso quando una "frattura epistemologica" (direbbe Kuhn) bussa alla porta: c'è chi l'approccia come nuova possibilità da sperimentare, chi come ostile e/o ingenuo inciampo storico.
Citazione di: Ipazia il 04 Febbraio 2020, 14:52:41 PM
Nel caso del coronavirus vediamo come lo spazio teor-etico e pratico tra comunità scientifica e comunità umana tenda ad azzerarsi in una comune declinazione della ratio.
Nel caso del virus "made in China" (su cui non sono aggiornatissimo), non rinvengo alcuno "spazio" teor-etico, né filosofico; si tratta di rendere orgogliosa la buon'anima di Ippocrate, ma la teoresi non è soprattutto altro?
Se intendi invece la teor-etica delle mascherine preventive e degli sguardi obliqui rivolti a chi ha gli occhi un po' all'orientale, in tal caso il divario "spaziale" (in entrambi i sensi) fra comunità scientifica e comunità sociale mi pare piuttosto marcato.

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2020, 19:07:29 PM
Ritieni il nichilismo occidentale una forma di profonda avversione verso l'essere (odio- implicita equiparazione dell'essere all'essere/Dio teologico. Anche perché il nichilismo radicale, come quello occidentale, non compare in altre culture filosofiche) ?
"Trafugo" la domanda perché molto sintomatica; presuppone infatti una visione del percorso nichilista, molto battuta da differenti viandanti, che ha come tappe: rilevamento di un vuoto ("nulla determinato", ovvero assenza di un presunta presenza), quindi negazione (logica e poi semantica ad ampio spettro), da cui avversione (antagonismo verso la suddetta negazione che viene intesa come rinnegazione dell'"essere del bene"). Più che risultare una prospettiva filosofica, il nichilismo viene infatti comunemente inquadrato come un movimento di insurrezione "negazionista" e pessimista (un po' anche per "colpa" degli aforismi ormonali di Nietzsche, con cui spesso, più che iniziare, si fa finire la propria concezione di nichilismo).
Sul perché altrove non ci sia stato il fenomeno del nichilismo: la geometria non-euclidea è anzitutto post-euclidea, dove non c'è ancora l'euclidea o dove essa è appena agli albori, difficilmente spunterà la post-euclidea; senza togliere che non è necessario, nè logicamente né tantomeno storicamente, che da l'euclidea nasca sempre la non-euclidea (in un contesto ciò è accaduto, ma non è un passaggio che abbia le basi per essere assolutizzato). In fondo è un po' come chiedersi come mai in altre culture, non occidentali, non sia sbocciata l'eresia dei catari o il cubismo.

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 05 Febbraio 2020, 13:07:40 PM
poi tutto si esaurisce nel fondamento (che non è il paradigma qui in esame), ma questa è un'altra storia. Andatelo a dire alle scienze: a loro mica interessa il perché (fondamento), a loro interessa il come (paradigma). A loro interessa che le cose funzioni... e questo paradigma funziona fin quando è in grado di giustificare le proprie asserzioni in coerenza formale a sé e materiale alle cose che descrive.
Il fondamento non è un paradigma, è ciò che rende possibile un paradigma; sia lo scienziato che l'idraulico più "esecutivi" e refrattari a domande fenomenologiche o fondamentali (sui fondamenti), loro malgrado, quando operano con le loro prassi e i loro strumenti, si stanno basando su un fondamento (uso impropriamente il singolare), non fondamento ontologico, ma fondamento che regge il paradigma all'interno del quale si muove il loro operare. Essere consapevoli di tale fondamento può essere il primo passo per instaurare un nuovo paradigma o soltanto ottimizzare quello già in uso.
Lo domanda filosofica sul fondamento in filosofia, è sempre meno la domanda sull'archè onto(teo)logico che fonda "ciò che è", e sempre più quella sull'(auto)fondamento logico-semantico del paradigma che ogni filosofia propone; senza tale riflessione sul fondamento, esso continuerà dissimulatamente, "inconsciamente", ad essere l'asse portante della rispettiva proposta filosofica: su cosa si fonda il parlare del noumeno? Su cosa si fonda il dualismo bene/male? Quali sono gli assiomi che non riesci a giustificare, o che sono indecidibili, all'interno del tuo sistema filosofico? Se non si risponde a queste domande e si passa direttamente all'usare come già dato, auto-evidente o auto-fondato, il concetto di noumeno o il dualismo bene/male o ogni assunto che sosteniamo con un inconsapevole circolo vizioso, allora ci si preclude la possibilità di capire i propri fondamenti e, eventualmente, modificarli per rimodellare il discorso che ne deriva. Ricollegandoci al caso noto del quinto postulato di Euclide: se non fosse stato prima individuato come postulato fondante, non sarebbe stato possibile metterlo, controintuitivamente e contro l'evidenza sensibile, in discussione e non ci sarebbe stato l'ulteriore fondamento, quello per una delle possibili geometrie non euclidee.


P.s.
@Vito
Sulla riconduzione del nichilismo ad «A=-A», resto perplesso sulla plausibilità che il nichilismo affermi davvero che l'«essere è il non-essere», o che «io sono il non-io» o che «una mela è una non-mela», perché il suo discorso, per come lo vedo (lasciando anche da parte i manuali), non è di assiomatizzazione logica, né di apologia della contraddizione del principio di identità: sostenere che un principio o un concetto non ha un fondamento assoluto, non significa affermare che non ha un fondamento, nè che tale principio o concetto non esiste. Si tratta quindi di non confondere la negazione logica (-) con l'insieme vuoto (Ø) o con la negazione dell'indicatore di necessità (-◻, se non ricordo male) debitamente usato (se proprio vogliamo giocare a tradurre in linguaggio logico qualcosa che mal vi si presta; l'utilità della logica non sta per me nella sua formalità astratta, ma nel saper compilare pertinentemente i suoi enunciati).
#1229
Come definizione, proprio sulla Treccani online, ho trovato: «Invenzione della mente, ciò che si crea con l'immaginazione» (cit.); direi che «invenzione della mente» è pertinente a ciò che intendevo (soprattutto il chiamare in causa la mente); se invece usiamo «ipotesi razionali», secondo me, oltre al fatto che le ipotesi non sono sempre vissute come tali (bensì come certezze), non rendiamo comunque giustizia agli aspetti irrazionali che pure accompagnano la filosofia e "il gioco di società": l'arte, l'inconscio, etc. e poi non vorrei escludere i nietzschiani (battuta!).
#1230
Citazione di: iano il 04 Febbraio 2020, 08:42:37 AM
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
[...]Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
[...]Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Il termine «finzione» mi sembra invece particolarmente calzante; ho spesso parlato al riguardo di "gioco di società": ci accordiamo su delle regole e stiamo al gioco; poi con l'arrivo generazionale di nuovi giocatori, ci si accorda (talvolta con le buone, talvolta con le cattive) su cambiamenti alle regole precedenti. La filosofia, anch'essa con un suo "dinamismo" storico, è generalmente la riflessione sui (o la proposta dei) fondamenti di tali regole o almeno delle chiavi di lettura del "gioco di società" in atto.
Trovo molto pertinente anche il richiamo alla funzionalità pragmatica e la sottolineatura che non si tratta di una finzione basata su "gaia anarchia" o sull'alienazione totale dal mondo circostante, da cui ereditiamo invece quel "senso di realtà" che rende credibile la finzione: che il fondamento sia convenzionale (cioè "un nulla" per chi ricerca gli ab-soluti) e che le regole possano essere cambiate (come di fatto accade), non significa banalmente che "allora una regola vale l'altra" né che "ognuno si fa le sue regole"; nasciamo e viviamo in una società già strutturata, siamo chiamati ad interagire fra simili in un contesto non vergine (non siamo catapultati a vivere da soli sulla luna). L'esempio che faccio sempre è quello delle lingue: le regole grammaticali sono arbitrarie, relative a ciascuna lingua, ma ciò non comporta che ognuno parli di fatto una sua lingua "autoprodotta" o che, in un dialogo reale, parlare inglese o parlare russo sia indifferente (quantomeno non lo sarà per il nostro interlocutore). Il fondamento di ciascuna lingua è dunque una verità assoluta e necessaria? Quella cosa, in realtà, in verità, si chiama «pen» o «penna»? Le regole linguistiche sono cogenti pur essendo autoreferenziali, eppure le lingue funzionano, si modificano, etc. lo stesso accade con le visioni del mondo filosofiche (tranne quelle che si prendono così sul serio da non riconoscersi come finzione, ma invece come verità assoluta, solo perché all'interno del loro sistema, i conti tornano).

Il nichilismo è per me proprio la consapevolezza di questa finzione, "consistente" (non ontologicamente) nel nulla sotteso al senso del gioco (che non è negazione della possibilità del senso del gioco, anzi proprio a causa di tale nulla sono molte le finzioni possibili...). La stessa interpretazione nichilista non ha un fondamento assoluto e veritativo (essendo molto più destruens che costruens), è piuttosto solo la (sconsolata?) constatazione che i fondamenti finora proposti come assoluti (dalle scienze umane, il nichilismo filosofico non parla di quanti e leggi fisiche), semplicemente non lo sono perché, al di là del loro successo storico, sono incapaci di uscire dalla propria autoreferenzialità (la scienza ci riesce infatti percorrendo altre vie, non solo teoretiche).
Tuttavia, senza tali sistemi filosofici non ci sarebbe potuto essere il "gioco parassitario" del nichilismo, che richiede precedenti proposte non nichiliste per autoidentificarsi come tale (e per questo non è veritativo, se intendiamo che contenga una proposta di verità assoluta) basandosi proprio sul fatto che i sistemi filosofici funzionano perché stanno ognuno al proprio gioco, come accade in tutte le finzioni (e come accade in tutti i sistemi logici: gli assiomi sono esclusi dalle dimostrazioni che essi stessi fondano; per questo la "soluzione" del "filosofo x", se ben strutturata, è coerente e consistente nel suo sistema, ma non è completa, non applicandosi ai propri assiomi; quindi non è definitiva, soprattutto per chi parte da assiomi differenti; per questo la filosofia può continuare ad interrogarsi ed è così che si fonda l'ermeneutica, ma questa è un'altra storia...).