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Messaggi - doxa

#1216
Tematiche Filosofiche / Egualitari o uguali ?
23 Maggio 2018, 15:48:26 PM
Egualitari o uguali ?

L'egualitarismo è una teoria morale che pone in risalto l'uguaglianza fra le persone:  uguaglianza dei diritti e delle opportunità in ambito politico, economico, sociale, civile, ecc. Ma tale teoria non ha riscontro nella realtà. Non l'ha mai avuto e penso che non l'avrà  mai.


Vediamo ovunque alti livelli di ineguaglianza. A molti questo fatto sembra ingiusto. Ma su quali ragioni morali basano un giudizio del genere ?
L'ineguaglianza  economica è inaccettabile, ma solo da parte dei poveri. 

Perché l'egualitarismo è difficile da accettare ? Per rendere tutti eguali  in una società  bisognerebbe costantemente intervenire nella vita delle persone.  In tal caso  il comprensibile afflato egualitario si trasformerebbe  nella deprecabile e continua invasione delle libertà individuali ?

Voler essere egualitari forse implica un livellamento sociale verso il basso. Conviene solo alle classi sociali marginali ? 

M'interessa riflettere con voi  sul significato delle ineguaglianze e sulle ragioni a favore dell'uguaglianza.

Ci sono diverse forme di ineguaglianza che spesso si sovrappongono. Per esempio, chi viene discriminato per status è anche povero.
#1217
Attualità / Re:I bulli e la scuola
18 Maggio 2018, 12:27:53 PM
Angelo ha scritto:
Citazioneil perdono non può essere un dimenticare, perdono è educare e riconsiderare il passato. Il passato non va e non può essere dimenticato. Non ho parlato di inerzia, di non fare nulla, di reagire al bullo con una pacca sulla spalla dicendogli che lo perdoniamo e non se ne parla più. Ho parlato di educare.


Chi dovrebbe educare è capace di educare il bullo ? Nei nostri post finora è mancato il "convitato di pietra": il counselor, capace di relazione interpersonale, che offre al "reo" un percorso di consapevolezza, valorizzando i suoi punti di forza.

Nella canzone "Azzurro" Adriano Celentano si lamentava di non trovare nemmeno "un prete per chiacchierar". Proprio il chiacchierar dei fondamentali della vita, per esempio con un prete che ha avuto un percorso di formazione pastorale ma anche psicologica, è importante per il "deviante" disponibile all'ascolto.  

Counseling significa "relazione di aiuto". E' evidente che in tal senso la Chiesa cattolica ha millenaria  esperienza, anche come agenzia educativa.   Ma di solito il clero, in particolare  il vecchio clero, all'interpersonale relazione pastorale non sa aggiungere le tecniche comunicativo-relazionali, non ha la capacità di ascolto, l'empatia.
#1218
Attualità / Re:I bulli e la scuola
17 Maggio 2018, 15:28:20 PM
Vi voglio far leggere sul bullismo un articolo scritto dall'arcivescovo di Chieti-Vasto e pubblicato domenica scorsa, 13 maggio, sul quotidiano "Il Sole 24 Ore.

Il titolo dell'articolo è: "Bullismo, si impone un esame di coscienza per tutti".

La cronaca recente ci ha abituati al ritorno di una parola, che vorremmo non dover utilizzare mai: bullismo. Il termine sta a indicare i comportamenti verbali, fisici e psicologici di sopraffazione. Si tratta di comportamenti reiterati nel tempo, che un individuo o un gruppo di individui mettono in atto a danno di persone più deboli: proprio così il bullismo è segno e prodotto di una triplice forma di fragilità.

La prima è quella della vittima e può collegarsi a caratteristiche personali, sociali o culturali, per le quali il protagonista dell'atto di sopraffazione si sente più forte del suo bersaglio, libero di agire a suo piacimento e per suo interesse a danno di altri. Dall'offesa alla minaccia, dall'esclusione dal gruppo alla calunnia, dalla presentazione negativa e caricaturale della vittima all'appropriazione indebita di oggetti che le appartengono, fino alla violenza fisica e alla costrizione esercitata sull'altro perché compia atti contrari alla propria volontà, le espressioni del bullismo sono tante e diverse.

Tutti questi comportamenti presuppongono nel colpevole il convincimento che la vittima non sia in grado di difendersi o di reagire in maniera corrispondente al male intenzionalmente arrecatole. Alla base degli atti di bullismo c'è, dunque, la percezione di un'asimmetria della relazione, che crea in chi li compie una falsa percezione di impunibilità, di presunzione di forza e di dispotismo, nella scelta tanto dei tempi come dei modi degli atti di sopraffazione su chi è o appare più debole. Naturalmente, la fragilità della vittima può essere del tutto inconsapevole nella sua origine, legata a fattori psicologici o di educazione o a minore vigore fisico e più lente capacità reattive. Tutto questo porta spesso chi è vittima di bullismo a vergognarsi di ciò che subisce e di conseguenza a non farne parola, specialmente con chi potrebbe intervenire a sua protezione, come genitori, docenti o educatori. L'introiezione della violenza subita è però il fattore che sulle lunghe può creare il maggior danno nella vittima, perché ne indebolisce l'autostima e può spingerla col tempo a reazioni incontrollate, dannose per sé e per gli altri.

Alle forme di sopraffazione, poi, si aggiunge oggi quella che viene chiamata "cyber-bullismo" o "bullismo elettronico", attuato mediante messaggi molesti inviati alla vittima tramite sms, o in fotografie e filmati di azioni o momenti in cui non desidera essere ripresa, spediti ad altri e immessi in rete per diffamarla, minacciarla o crearle isolamento e disagio. Tutto quest'insieme di azioni e reazioni rivela l'altra dimensione di fragilità che entra in gioco nel bullismo: quella del colpevole. Chi mette in atto azioni da bullo è spesso una persona psicologicamente immatura, che cerca autogratificazione e affermazione di sé in comportamenti sopra le righe, dove la violenza espressa è per lo più inversamente proporzionale alle risorse morali e spirituali del protagonista.

Definire vigliaccheria l'azione di bullismo è solo parzialmente giusto: spesso, motivazioni di quel comportamento sono l'insicurezza, la paura, il senso di inadeguatezza di fronte alle sfide della vita, oltre che l'incapacità di percepire l'agire buono e onesto come espressione di forza interiore, positiva per sé e per gli altri, incommensurabilmente più ricca della violenza espressa nell'atto di sopraffazione sul più debole. La fragilità di chi compie atti di bullismo va perciò attentamente considerata, perché manifesta spesso vere e proprie patologie, specialmente psicologiche, in particolare nel campo degli affetti e delle emozioni, che vanno curate più che punite, e in ogni caso richiedono un attento processo rieducativo.

L'aiuto maggiore che si può offrire a chi si comporta da bullo è fargli prendere coscienza della propria debolezza, aiutandolo a percepirne la gravità, come l'urgenza di trovare vie di superamento e di crescita. Solo portando il protagonista di azioni di bullismo a un'adeguata presa di coscienza della propria fragilità lo si potrà aiutare ad uscirne: aiuto, questo, che esige un'interazione fra attori ed agenzie educative e implica il coinvolgimento della famiglia, della scuola, del mondo dell'associazionismo e dell'intero contesto sociale.
È qui che va considerata una terza, decisiva fragilità: quella del contesto in cui vengono messi in atto comportamenti da bullo. Le agenzie educative risultano non di rado ignave di fronte a fenomeni di bullismo: chi avrebbe autorità e responsabilità per intervenire, spesso non lo fa, preferendo sminuire la valutazione della gravità del fenomeno per timore o per un malinteso presupposto di tolleranza nei confronti del colpevole. Così, genitori che preferiscono prendere le parti di chi si macchia di atti di bullismo per semplice partito preso a favore dei figli, o docenti che non vogliono avere o creare grane a nessuno, o educatori incapaci di intervenire con la necessaria autorevolezza, contribuiscono a determinare la fragilità dell'ambiente sociale in cui il bullismo può emergere e prosperare.
Questa terza forma di fragilità è forse la più pericolosa, perché è quella che crea più ostacoli al superamento del fenomeno e alla sua cura opportuna. Non di rado, il bullo percepisce l'atteggiamento di deresponsabilizzazione e di ignavia di chi dovrebbe e potrebbe educarlo come elemento a suo favore, sentendosene avvantaggiato e perfino stimolato a giustificare il suo "delirio di onnipotenza". Da parte della vittima, poi, la percezione dell'impunità del colpevole dovuta a un clima di ignavia e di disimpegno può aggravare enormemente il proprio senso di fragilità e di fallimento di fronte alle sfide delle relazioni e in generale della vita. Chi tace davanti al male è almeno colpevole quanto chi lo mette in atto: il bullo prepotente interpreta l'altrui silenzio come implicita complicità e ne ricava alimento per il proprio agire violento. Lo spettatore passivo, che partecipa all'evento senza prendervi parte per ignavia o paura, finisce con l'essere corresponsabile della fragilità collettiva di fronte al male che viene compiuto. L'incapacità della folla di reagire ad atti di violenza in pubblico denuncia un declino tanto della sensibilità emotiva quanto della capacità reattiva, che finisce col favorire o comunque consentire il bullismo.

Nessuno, insomma, può sottrarsi al dovere di vigilare su questa fragilità collettiva e di operare sia a livello di prevenzione e di educazione, che nel possibile frangente di pericolo, perché la legge della forza non abbia a prevalere sulla forza della legge e sul dovere del rispetto della dignità di ogni persona. Il campanello di allarme ci riguarda tutti e diventa interrogativo inquietante e stimolo cocente a un esame di coscienza tanto sulle risorse etiche e spirituali, personali e collettive, quanto sulle fragilità di ciascuno in rapporto al proprio impegno, al senso ultimo della vita e alla responsabilità verso il bene comune.
#1219
"Dare significato alla vita può essere una follia, ma la vita senza significato è una tortura, è una nave che anela il mare eppur lo teme".

Dall'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters:

George Gray
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio —
è una barca che anela al mare eppure lo teme.
#1220
Percorsi ed Esperienze / Re:Avere ragione
16 Maggio 2018, 14:00:05 PM
la pretesa di avere ragione e l'effetto Dunning-Kruger

Gli psicologi David Dunning e Justin Kruger, docenti all'università statunitense Cornell University (è ad Ithaca, nello Stato di New York), hanno  studiato una forma di distorsione cognitiva, a causa della quale individui poco esperti in un settore tendono ad iper-valutare le proprie abilità, perché  non sono in grado di giudicare oggettivamente se stessi, e non si rendono conto della superiorità delle abilità altrui.
Questa distorsione viene attribuita all'incapacità metacognitiva.

Per  metacognizione (= oltre la conoscenza) s'intende il livello di conoscenza  dei  propri processi cognitivi (memoria, attenzione, percezione e pensiero); implica l'abilità di controllare questi processi e anche di valutarli, al fine di modificare il proprio modo di apprendimento. 

Il termine di metacognizione viene spesso associato al concetto di "Imparare ad imparare": significa riconoscere ed in seguito applicare comportamenti, abitudini e strategie utili per un efficace processo di apprendimento che sia anche sufficientemente consapevole. 

All'incapacità metacognitiva si contrappone il possesso di una reale competenza, che può produrre la distorsione inversa. Infatti ci sono persone più esperte di altre nella loro attività professionale che tendono a sottovalutare la propria abilità, credono che ciò che fanno sia semplice e che le loro doti siano comuni. 

Gli psicologi David Dunning e Justin Kruger hanno tratto la conclusione che "l'errore di valutazione dell'incompetente deriva da un giudizio errato sul proprio conto, mentre quello di chi è altamente competente deriva da un equivoco sul conto degli altri".

I due ricercatori hanno osservato considerazioni simili alla loro in altre affermazioni di noti personaggi del passato:  

Charles Darwin: "L'ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza"; 

Bertrand Russell: "Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni";

William Shakespeare si esprime in modo analogo nella sua commedia titolata "Come vi piace": Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio". Nella stessa commedia, atto secondo, scena settima, Shakespeare fa dire al personaggio che si chiama Jacques: Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne solamente degli attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Ognuno nella sua vita recita molte parti, e i suoi atti sono sette età".

Risalendo ancora più indietro nel tempo, s'incontra la celebre frase del filosofo greco Socrate, attribuitagli dal discepolo Platone nella sua "Apologia di Socrate": "Dovetti concludere  con me stesso che veramente di cotest'uomo ero più sapiente io: [...] costui credeva di sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo di sapere". 

Alla base del pensiero socratico c'è la convinzione di "sapere di non sapere", intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che motiva al desiderio di conoscere: più ci si addentra nello studio e nella conoscenza, più ci si rende conto delle infinite ramificazioni del sapere. La conoscenza diviene pertanto un processo in divenire e mai del tutto esaurito. 
#1221
Qual è il significato della vita ?  Conoscere se stessi ? Chi ci riesce è fortunato.  E' una bella conquista ! Annullata dalla morte ? E allora ?  Siamo esseri mortali, ciò non significa non porsi domande sul proprio esistere nell'ambito dell'universo.

Vi voglio far leggere cosa ha scritto Roberto Gervaso sul giornale quotidiano "Il Messaggero" dell'11 maggio 2018, nella sua rubrica titolata "Il grillo parlante". Il suo articolo è titolato   "Conoscere se stessi", in cui afferma che:

"Conoscere se stessidovrebbe essere il primo dovere della vita e l'ultimo fine dell'uomo, non di rado fuorviatoda falsi traguardi, ammaliato da illusori miraggi, irretito da ideali mendaci, quasiché la vita fosse un continuo divertimento.

Dal suo grande albero preferiamo cogliere non i frutti più nutrienti, ma quelli più appariscenti.

C'incanutiamo davanti a un palcoscenico illuminato, colmo di lustri e di orpelli e non ci accorgiamo di ciò che avviene dietro le quinte.
Prendiamo il mare e il largo senza consultare bussole e portolani, indifferenti alla rotta che potrebbe condurci alla deriva e  al naufragio. Insomma viviamo a caso.

Ma chi vive a caso, non vive: si lascia vivere. Non ci rendiamo conto che il tempo scorre come le acque del fiume in fuga verso il mare, nel cui immenso serbatoio confluiscono, rigenerandolo e rigenerandosi.

"Fa tesoro di tutto il tempo che hai  –ammonisce Seneca nella prima 'Lettera a Lucilio-  sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell'oggi'.

Ma l'uomo non è né filosofo né stoico. Non si rende conto che ciò che ha perduto difficilmente ritroverà: il passato glielo ha tolto per sempre. I giorni, gli anni volano e noi, responsabili di tanto sperpero, seguitiamo a fare castelli in aria, a progettare un futuro quotidianamente eroso  dal presente così mal impiegato.

Ipotechiamo parole ogni attimo della nostra esistenza, fissiamo date, scadenze, verifiche. E mentre ci crogioliamo in queste fantasticherie, le lancette dell'orologio, che neppure Dio può fermare, avanzano, scandendo i nostri incerti e confusi passi verso la vecchiaia e la morte.

E osiamo anche lamentarci: la giornata è troppo breve, le sue ore non bastano a farci fare quelle cose che potremmo agevolmente fare, se solo lo volessimo.
Rinviamo a domani quello che avremmo potuto fare oggi o, addirittura ieri, e che non faremo mai, o faremo peggio.
Ma anche se non restiamo con le mani in mano, se corriamo qua e là, saltellando da un luogo all'altro, chi ci dice che spendiamo bene il nostro tempo, che i vantaggi di tanto peregrinare non saranno effimeri e solo materiali ?

Conosco uomini sempre indaffarati, smisuratamente ricchi, potentissimi  che lavorano diciotto ore al giorno per accumulare ancora più ricchezza e potenza. Uno di costoro tempo fa mi disse: "Sono così impegnato che non ho un minuto per me". Meglio così che, se lo avesse, non saprebbe che cosa farne perché al proprio Io, alla propria crescita interiore ha stolidamente rinunciato.

Non è facile cogliere il significato della vita, percepirne e soppesarne i valori e i fermenti che la sostanziano. Troppe paratie, troppi filtri c'impediscono quel contatto diretto e profondo con le cose che veramente contano. Ci volgono altrove luoghi comuni, assurde fisime, tartufesche convenzioni, tabù consacrati da una tradizione codina, conformismi imposti da un quieto vivere insulso e opaco, superstiziose paure, il timore quasi panico del cambiamento e del nuovo.

Ci accontentiamo, insomma, dell'involucro, senza preoccuparci, o non preoccupandoci abbastanza, di ciò che lo racchiude".

Roberto Gervaso:Non ho chiesto di nascere e sono nato. Non chiederò di morire e morirò. La vita è questa: sono costretto ad accettarla con il suo prologo ed il suo epilogo, senza farmi troppe domande che non hanno risposta. Svolgo stoicamente il mio dovere: solo questo conta.
#1222
Attualità / Re:I bulli e la scuola
08 Maggio 2018, 20:45:21 PM
dal web vi propongo quest'altro documento odierno:

Bullismo, psicologi in piazza per incontrare cittadini
Torna a Milano psicologi in piazza. Nel mese di maggio, in ogni municipio, saranno allestiti gazebo dove i cittadini potranno incontrare gli psicologi per chiedere consigli e orientamento.

L'iniziativa e' promossa dall'Ordinale degli psicologi della Lombardia e nel 2017 ha coinvolto 120 professionisti volontari, che hanno incontrato piu' di 1.200 persone. Quest'anno "Psicologi in zona" sara' dedicata a un tema specifico: la crescita e l'eta' evolutiva. "La cronaca e la nostra esperienza professionale ci dicono che l'eta' infantile e adolescenziale necessitano di una riflessione profonda- spiega Riccardo Bettiga, presidente dell'Ordine degli psicologi della Lombardia-. Non solo in termini di patologia, ma di evoluzione e crescita dell'individuo.

L'Ordine portera' quest'anno gli psicologi proprio nei luoghi di formazione dei ragazzi, le scuole, con l'obiettivo di incrociare i bisogni dei giovani e quelli degli adulti che se ne occupano. La psicologia puo' e deve essere un alleato di genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, per facilitare processi di ascolto, dialogo e intervento in ottica di prevenzione e gestione di gravi situazioni di disagio".

Il 19% delle persone coinvolte nel 2017 ha segnalato i problemi dell'eta' evolutiva e il bullismo come le aree di maggiore criticita' e piu' bisognose di supporto psicologico. Al secondo posto, la questione dell'invecchiamento (14%). Da qui la scelta di dedicare l'edizione di quest'anno al tema dell'eta' infantile e adolescenziale. All'interno dei gazebo itineranti, sara' possibile incontrare i professionisti, comprendere meglio le proprie necessita' in relazione alle diverse discipline della psicologia e conoscere le diverse possibilita' di intervento psicologico disponibili sul territorio. In occasione di "Psicologi in zona", l'Ordine presenta anche due strumenti di sensibilizzazione e divulgazione di base sui temi della violenza intra-familiare e il bullismo. Il calendario delle presenze dei gazebo nei singoli municipi e' consultabile sul sito www.opl.it.
#1223
Attualità / Re:I bulli e la scuola
08 Maggio 2018, 15:51:44 PM
Sul tema che stiamo dibattendo, c'è oggi sul quotidiano "Il Messaggero" un  paradossale articolo (che condivido nel contenuto), di Roberto Gervaso, nella sua rubrica "A tu per tu", pubblicato col titolo "Scuola  e arena". Questo è il testo:

"La scuola è cambiata. Ci si va per non studiare, ma per picchiare. Non per imparare la grammatica e la sintassi, la matematica e la fisica, il latino e il greco, le più vive delle lingue morte. A scuola non si va più per imparare. E non solo in che anno morì Giulio Cesare o nacque Carlo Magno, in che secolo si combatterono le guerre puniche o quelle di secessione. No: sui banchi si affilano i coltelli, si preparano bombe carta, si confezionano acidi urticanti. 'Mala tempora currunt' per i professori.

Docenti, in guardia. In guardia e in trincea, non in cattedra. Assalti all'arma bianca, le lezioni si svolgono, quando si svolgono, nell'incubo. I maestri indossino i giubbotti anti-proiettili, perché gli allievi, i più temerari, i più facinorosi, i più arrabbiati non guardano in faccia a nessuno.

Non passa giorno che un professore non venga messo alla gogna, preso a pugni e a calci; che non sia bersaglio d'invettive al cianuro, di umiliazioni, d'intimidazioni che ci indignano e ci fanno vergognare. Si, vergognare di essere italiani.

Il ministro della Pubblica istruzione, ribattezzato, e non certo per sua colpa, della pubblica amministrazione, fa quello che può. Ma quello che può non basta, o non basta più. Se facesse l'impossibile, ormai, rebus sic stantibus, perderebbe il suo tempo. Io non sono per la tolleranza zero, ma nemmeno per questa sfrontata intolleranza. Bisogna correre ai ripari, o siamo spacciati. Siamo spacciati noi, già spacciati dagli acciacchi e dall'anagrafe, ma sono spacciati anche i nostri figli e i nostri nipoti, e lo saranno anche le future generazioni. Il buonismo e il lassismo degli 'innovatori' e dei montessoriani ci hanno portato a questo.

Non invochiamo l'intervento dei carri armati nelle scuole, anche perché ne abbiamo pochi, e questi pochi hanno poca benzina, e la loro mole intaserebbe il traffico.

L'esercito stia in caserma, ma nelle scuole, e non solo in quelle superiori, anche inferiori, si ritorni al passato. Non a quello, barbaro, delle bacchettate sulle nocche, né a quello delle punizioni nell'angolo. Ma al passato rispettoso delle gerarchie. Quel rispetto che il più scellerato movimento studentesco della storia, il Sessantotto, ha vilipeso e cancellato. In nome di una rivoluzione culturale e sociale che ha fatto strame della cultura, ideologizzandola. Con il più torvo dei manicheismi (o sei con noi, e ubbidisci ai nostri diktat libertari o sei contro di noi, e sei fascista), che oggi farebbe  ridere i polli e susciterebbe timori alla signora Boldrini. Il sessantotto ha fatto strame della cultura e della società, irridendo e svalutando il merito, sovvertendo le gerarchie.

Ma le gerarchie, nella scuola e in ogni consorzio civile e istituzionale, ci vogliono. Guai a scorbacchiare e conculcarle. Pena lo smarrimento della comunità, senza punti fermi, codici cui ispirare la propria azione.
Non al permissivismo, no ai discenti che minacciano e malmenano i docenti. No ai genitori complici irresponsabili delle bravate dei figli, del loro impunito bullismo.

Qualcuno mi darà, tanto per cambiare (ma ci ho fatto l'occhio, l'orecchio, il callo) del reazionario. Ebbene, sia chiaro una volta per tutte: se reazionario significa buon cittadino che rispetta le regole e onora le istituzioni, io sono non solo reazionario, ma ultra. Io sono un uomo d'ordine, come deve essere ogni vero progressista. Un progressista che può indossare i panni del sanculotto, pronto a scendere in piazza per demolire le bastiglie dei privilegi, e ripristinare l'ossequio ai valori e battersi per la loro intangibilità".
#1224
Attualità / Re:I bulli e la scuola
07 Maggio 2018, 22:16:37 PM
Il giornalista e scrittore Roberto Gervaso dice che si deve governare   con mano ferma, che diventa pugno di ferro quando l'autorevolezza non basta, e s'impone l'autorità. La quale, se mal usata,  ha un solo sbocco: l'autoritarismo, frutto indigesto dell'anarchia. 

Ovviamente lui si riferisce al governo nazionale, ma questa formula mi piace anche in ambito scolastico e per le bande giovanili di quartiere. 
#1225
Nel mio precedente post ho citato il genetista Edoardo Boncinelli ed il suo libro: "La scienza non ha bisogno di Dio", nel quale afferma che l'inizio della vita è dipesa  dall'interazione tra il materiale biochimico e le condizioni dell'ambiente (la temperatura, l'atmosfera, le radiazioni solari); da lì in poi la vita degli organismi fu plasmata dall'evoluzione e dalla selezione naturale. Due le sequenze decisive: il passaggio degli organismi alla riproduzione sessuata (circa due miliardi di anni fa), l'azione delle piante e dei miliardi di microrganismi fotosintetici, senza i quali non sarebbe esistito  e non esisterebbe l'ossigeno che respiriamo.

Risultato di vincoli fisico-matematici, proprietà biochimiche e pressioni selettive, ogni essere vivente è una determinata quantità di materia organizzata, limitata nel tempo e nello spazio, capace di metabolizzare, riprodursi ed evolvere in modo autonomo, come dimostra la differenza  tra i batteri  (vincitori nella lotta evolutiva) e i virus, genomi vacanti che devono parassitarsi ad altri organismi.
Le fasi della complessa cadenza spazio-temporale   tra i geni e le proteine (da prodursi nel posto giusto al momento giusto); cadenza che innesca  il differenziarsi ed il moltiplicarsi delle cellule, portandole ad aggregarsi in tessuti, organi, apparati, fino all'organismo compiuto.  All'armonica orchestrazione contribuiscono gli incanalamenti molecolari (che determinano, per esempio, un condotto auricolare), lo sviluppo, l'ambiente, l'esperienza individuale.

La catena di eventi  e processi biologici necessitano, perché l'evoluzione non si fermi,  di errori di "copiatura" nella trascrizione dell'informazione del Dna all'Rna messaggero nella fase intermedia  verso l'attivazione delle proteine e del differenziamento cellulare. La copia Rna è infatti una strategia, "appresa" in milioni di anni, per prevenire danneggiamenti del genoma, ma l'errore, raro,  è alla base di quelle "mutazioni" necessarie nell'adattamento degli organismi all'ambiente.

Certo, le mutazioni sono anche responsabili delle patologie, ma ci ricordano  che la vita, in quanto evoluzione dei genomi, sia una tessitura di continuità e variabilità, di conservazione e incessante riorganizzazione della materia.
#1226
Attualità / Re:I bulli e la scuola
04 Maggio 2018, 23:30:20 PM
Angelo, la tua opinione sul concetto di autorità mi sorprende, perché penso al tuo retaggio culturale di tipo religioso cristiano, invece mi sembra che dimostri un'ideologia da ex sessantottino. :)  

Lo  Stato democratico come entità politica sovrana è basato  sullo stato di diritto, poiché il bisogno di legittimazione del potere centrale necessita  del consenso popolare.  L'autorità legittima è quella dello Stato, fondato sul consenso dei cittadini tramite il voto parlamentare.

Posso concordare con la tua opinione se ti riferisci all'autorevolezza e non all'autorità.
Anche se linguisticamente deriva da "autorità" , l'autorevolezza è diversa dall'autoritarismo , è una condizione di superiorità morale che gli altri riconoscono e che li induce ad obbedire spontaneamente, nella maggior parte. In tal caso, però,  non bisogna confondere la necessaria autorità con l'auspicata autorevolezza, in questo caso dei docenti, quelli capaci di insegnare e che sanno far amare ai discenti la disciplina che insegnano.

Nello stato di diritto c'è la ragione della distinzione tra auctoritas e potestas: questa  evoca l'idea di una forza materiale esterna, che è in grado di costringere all'obbedienza i suoi destinatari.
#1227
Comunque "La scienza non ha bisogno di Dio": questa affermazione  è del genetista Edoardo Boncinelli, che l'ha usata  come titolo di un suo libro.

La scienza cerca la verità  tramite ipotesi da verificare e dati da controllare. Invece  la Chiesa cattolica si crede depositaria della verità, la sua verità, opinabile. 

La scienza lascia la trascendenza alle elucubrazioni teologiche e filosofiche. 

Scienza e fede cristiana: due visioni del mondo incompatibili,  specie sull'origine dell'universo.
Il racconto della creazione di tutto ciò che esiste è stato, per millenni, monopolio del mito e della religione. Poi il successo della scienza nel descrivere l'universo e la sua evoluzione ha costretto  la Chiesa ad enfatizzare la compatibilità tra scienza e fede.  Nel 1952 il pontefice Pio XII affermò che l'origine dell'universo descritta dal modello del big bang era in accordo con il "fiat lux" della Genesi.

Periodicamente ritorna  il dibattito tra scienziati e religiosi riguardo i primi istanti di vita del cosmo. L'ultima presa di posizione in ordine di tempo è quella di Papa Francesco, che ha voluto sottolineare come la teoria del big bang non escluda l'intervento di un creatore.

Per la religione cristiana cattolica  l'intervento divino fu  indispensabile per motivare l'esistenza dell'universo, a prescindere se nacque dal big bang. La religione va in cerca del senso di ciò che esiste, mentre la scienza cerca la spiegazione.
#1228
Attualità / Re:I bulli e la scuola
04 Maggio 2018, 17:55:38 PM
Angelo ha scritto:
CitazioneÈ normale e giusto che non si tolleri più la parola autorità, perché le vecchie generazioni l'hanno fondata sul niente. L'articolo fa riferimento anche a "educazione", che sarebbe la cosa giusta, ma a quanto pare anche l'educazione, in questo caso, viene intesa come educazione al rispetto dell'autorità, quindi un'educazione vuota di significato.

Ciao Angelo, credo sia necessario distinguere tra "auctoritas" ed autoritarismo.

Il concetto di autorità comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare un potere da parte di un soggetto od una istituzione se assegnato da leggi, norme, tradizione o carisma (vedi Max Weber). Autorità e potere alle quali ci si deve assoggettare per raggiungere determinati scopi, anche se, nel caso degli insegnanti, non tutti sono capaci.

Gli studiosi di diritto distinguono tra autorità de facto e autorità de jure.

Con l'autorità de facto un individuo o  un gruppo accetta che un potere venga esercitato su di loro ed obbedisce agli ordini o ai comandi di coloro che detengono quel potere;

con l'autorità de jure l'esercizio del potere è accettato come giusto e viene giustificato da coloro nei cui confronti viene esercitato.

Per potere, in termini giuridici, si intende la capacità, la facoltà o l'autorità di agire, per  raggiungere determinati scopi, personali o collettivi.

L'attribuzione di un potere ad un soggetto o ad una istituzione comporta una corrispondente situazione giuridica soggettiva. La fonte del potere sono le leggi, le norme, i regolamenti.

L'autoritarismo, invece, anche se deriva dal lemma "autorità" si distingue da questa per l'abuso di autorità nei confronti di persone o istituzioni. L'autoritarismo induce a tendenze antidemocratiche, a rapporti sociali basati sulla gerarchia e l'oppressione (vedi Theodor Adorno). L'autoritarismo è tratto caratteristico delle negative personalità autoritarie.  
Ovviamente l'abuso di potere infrange le libertà individuali, ma quando è necessario non lo considero in modo negativo.

Un ultimo elemento da tener presente è la "gerarchia", che vige ovunque, nell'ambito militare, nel lavoro, nella scuola, nelle istituzioni religiose, ecc.,  come reciproco rapporto di supremazia e subordinazione tra uffici e tra le persone .
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Attualità / Re:I bulli e la scuola
04 Maggio 2018, 09:00:42 AM
 
Vi voglio far leggere un articolo  scritto da Paola Mastrocola, docente in pensione, e pubblicato sul quotidiano "Il Sole 24 Ore" lo scorso 29 aprile col titolo "Mettiamoli in castigo".  L'elaborato lega l'emergenza bullismo all'incapacità da parte degli insegnanti e dei genitori di punire i piccoli bulli, anche perché da circa 60 anni si teme o non si tollera la parola "autorità", considerata non democratica e discriminante.

[...] "E veniamo all'oggi. Al caso ormai noto del professore di Lucca, umiliato dal suo allievo che gli impone di mettergli sei e di inginocchiarsi. A cui se ne aggiungono infiniti altri: studente che minaccia la prof di scioglierla nell'acido, studentessa che scaraventa il banco in testa alla prof, padre che molla un pugno all'insegnante del figlio. E altro, linguacce, insulti, gomme forate, sfregi...
Ho inanellato questa serie di scenette, così diverse e lontane tra di loro, perché credo che siano invece straordinariamente legate, e unite da una parola cruciale: autorità.

È questa parola che non tolleriamo più, da una sessantina d'anni. Per ragioni ideologiche (l'autorità non è democratica, discrimina, colloca qualcuno in basso e qualcuno in alto), ma anche per ragioni più esterne che attengono a quel che chiamiamo progresso: perché viviamo immersi nei social, in questo universo della rete che ci attrae in modo esorbitante e morboso, e in cui nessuno ha ed è un'autorità, tutti possono dire la loro, sparare ognuno il loro pensiero, anche delirante, ignorante, volgare, offensivo, stupido. Tutti possono parlare, insegnare, scrivere, governare l'Italia. Tutti, di qualsiasi ceto, età, provenienza, etnia, ruolo, professione, cultura. A nessuno è riconosciuta alcuna superiorità: culturale, morale. Non occorre un titolo, né aver dimostrato di saper fare o di sapere qualcosa più degli altri. Occorre soltanto esserci. Farsi notare, apparire in video, essere citato, cliccato, condiviso, likato. Azzerata qualsiasi competenza. Se arrivi a essere in un video, sei. Se no, non esisti.


Visto che abbiamo in odio qualsiasi forma di autorità, abbiamo smesso di educare. Nesso causale molto stretto. Educazione e autorità, per quanto molti fatichino ad ammetterlo, sono piuttosto legate.
Abbiamo smesso di educare quando abbiamo rifiutato, consapevolmente e deliberatamente, il concetto di autorità. E l'abbiamo fermamente voluta, decisa, e perseguita con grande determinazione, questa dismissione dell'autorità. A partire dagli auctores in senso letterale: via gli autori grandi del passato, i classici e ogni ipse dixit, conta l'ultimo libro pubblicato, l'ultimo messaggino su twitter. Uno vale uno.


Certo, nei casi di bullismo tra ragazzi emerge anche il non rispetto dell'altro, l'assenza di ogni limite, il narcisistico parossismo dell'apparire e dell'occupare la scena del mondo ad ogni costo. Ma il bullismo verso gli insegnanti è altro. È disprezzo per l'autorità.
C'è un verbo che ho sentito pronunciare da un ragazzo, intervistato a proposito dell'episodio di Lucca: Non bisognerebbe permettersi, io non mi sarei permesso. Mi viene in mente che un tempo dicevamo: Ma come ti permetti? Ecco, il verbo permettere. Noi abbiamo permesso.


Abbiamo permesso che i nostri figli non obbediscano. Che i nostri studenti non studino (anzi, abbiamo persino smesso di dare ordini e di imporre doveri, così il problema nemmeno esiste).


Ma non basta. Non solo non educhiamo. Abbiamo anche permesso che i media e i social dominino le nostre vite.
E tutto questo inizia dall'inizio, questo è il punto: inizia quando un bambino nasce. Il punto cruciale è la famiglia, siamo noi, che oggi siamo gli adulti. Siamo noi genitori che decidiamo, di fronte al figlio appena nato, se lasciarlo piangere o no, se dargli o no uno scapaccione, se ficcargli in mano a due anni un telefonino, se rabbonirlo e placarlo con un filmato, un cartone, un videogioco, per essere lasciati in pace. Siamo noi che decidiamo di rimproverare o lasciar correre, punire o premiare o non fare nessuna delle due cose. Siamo noi che permettiamo che i figli ci saltino in testa mentre ceniamo, parlino mentre stiamo parlando noi, urlino, distruggano oggetti, insultino la madre, il padre e la babysitter, non facciano i compiti, copino dai compagni, non aprano un libro, non si alzino per far sedere un anziano, non salutino il vicino di casa in ascensore. Siamo noi che li promuoviamo anche se non studiano, che permettiamo che facciano il chiasso più inverosimile in classe mentre stiamo facendo lezione. Noi siamo i primi a non essere rispettosi di noi stessi.


Perché abbiamo permesso tutto questo?
Credo che sia perché ci fa comodo. Per quieto vivere. Ma ancor di più per lieto vivere: goderci la vita, prenderci i nostri piaceri in santa pace. Edonismo. Troppa fatica educare, pretendere, rimproverare, punire. Poco gratificante e autolesionista. Meglio lasciar perdere. Va bene, abbiamo di conseguenza figli e allievi ormai ingestibili. Selvaggi senza regole, cavalli imbizzarriti (Susanna Tamaro ha scritto proprio pochi giorni fa un articolo stupendo su questo tema: «I ragazzi selvaggi e il tramonto dell'educazione»). Ma pazienza, gli somministriamo lo zuccherino: un video, un cartone, gli mettiamo in mano un tablet, uno smartphone, e tutto si risolve. Loro si placano, scende il silenzio e noi possiamo cenare, guardarci un film, parlare con gli amici, berci una birra, farci un aperitivo in piazza, chattare in rete.


Le conseguenze di tutto ciò le abbiamo chiamate «bullismo». Non dovremmo stupirci se uno studente prende a testate con tanto di casco da moto indosso un prof. Quel che sta succedendo è molto semplice: quei ragazzi non educati ora rivolgono la loro non-educazione contro di noi. Siamo noi le vittime. Ma siamo stai noi la causa, noi che li abbiamo privati di regole e principi, limiti e divieti. E ora non possiamo che tacere. Il professore di Lucca che non dice, non denuncia e occulta il fatto di cui è vittima, la dice lunga. Silenzio. E non è nemmeno il silenzio degli innocenti, perché noi non siamo innocenti.


Siamo noi che abbiamo creato il «bullismo». E ora ci inventiamo i modi per combatterlo. Geniale! Corsi. Convegni. Petizioni. Piattaforme dove lanciamo s.o.s. Centri anti-bullismo, associazioni, portali. Parliamo, discutiamo nei talk show. Auspichiamo leggi, provvedimenti ministeriali (da una ministra che sta rendendo obbligatorio l'uso dei telefonini in classe come strumento didattico?).
E non basta, facciamo ancora di più: ne parliamo a iosa! Occupiamo i giornali e i telegiornali, i siti, twittiamo e condividiamo, moltiplicando così a dismisura la notizia. Per esempio, a ogni edizione e riedizione di un tg, mandiamo in onda il video del prof oltraggiato. Così, se per caso qualcuno si fosse perso il video sul cellulare, se per disgrazia non fosse stato raggiunto dal solerte popolo del web, ecco che ci pensano i giornalisti, gli opinionisti, i signori del talk show.


Ma allora vorrei esagerare: già che tutto è video, vorrei vedere non solo il video dei ragazzi che oltraggiano il professore, ma anche il video in cui si prendono le loro responsabilità, rendono conto, chiedono scusa. E pagano per quel che hanno commesso. Pubblicamente, davanti a tutti. Se ogni cosa dev'essere mediatica, lo sia anche la sanzione, non solo l'ingiuria. Non occhio per occhio, dente per dente. Ma video per video".
#1230
Nel 1987 la Corte Suprema U.S.A. stabilì che insegnare la teoria creazionista a scuola è incostituzionale.

Per aggirare l'ostacolo i detrattori di Darwin, i creazionisti, cominciarono a sostenere la "teoria del disegno intelligente" o progetto intelligente da parte di Dio. Tale "teoria" in maniera subdola cominciarono a diffonderla anche col nome di "creazionismo scientifico". Ma cosa ha di scientifico non riesco a comprenderlo. Infatti la comunità scientifica l'ha respinta sdegnata.

Per quei creazionisti alcune caratteristiche dell'universo e delle cose viventi sono  meglio spiegabili  tramite una causa intelligente anziché  con la selezione naturale.

Papa Ratzinger durante il suo pontificato intervenne più volte sulla questione creazionismo, evoluzionismo. Benedetto XVI non negava la teoria dell'evoluzione ma neanche sosteneva la scientificità del disegno intelligente. E su questo la Chiesa è concorde.

Per quanto riguarda Zichichi lo considero un'opportunista.