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Messaggi - Apeiron

#1231
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
@Sariputra,
Ti ringrazio nuovamente della tua spiegazione. La tua interpretazione è molto interessante pur non essendo "canonica" (almeno da quanto ho letto io la tua interpretazione è vicina a quella di Nagarjuna rispetto a quella theravada). Comunque sì direi di tornare a parlare di rappresentazioni. Capisco anche l'irritazione di alcuni utenti, se c'è stata.

Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PMRiassumendo abbiamo queste posizioni: 4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?): Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale". La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).
Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze. Ad Apeiron un particolare: No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza! Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda. Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo). Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani). Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

green demetr, permettimi di dissentire. Prima però mi devo scusare se ti ha dato fastidio la discussione palesemente off-topic di prima. Detto questo però fammi un secondo ripetere quello che intendo io per rappresentazione:
1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;
Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi. Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste. E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...
Quello che rimane per lui è un "nichilismo attivo" in cui l'oltreuomo (l'artista creativo) nonostante il "flusso" crea valori e per così dire esprime al massimo livello la sua Volontà di Potenza (e qui lui usa la parola "craft", che è legata alla creatività).  Secondo Nietzsche il concetto di Essere nasce proprio da una visione sbagliata che abbiamo delle cose (c'è solo il Divenire e nel divenire non esistono sostanze). Spero dunque di essere stato chiaro.

Il problema che ho con i nichilisti "attivi" in generale è che non comprendono fino in fondo il dolore di questa esistenza ma invece fanno in modo che la "Lotta" (il Polemos di Eraclito, che Nietzsche considerava quasi giustamente un suo alter-ego) e quindi la sofferenza venga continuamente prodotta. Inoltre se Tutto è volontà di potenza e non ci sono assoluti cadi in assurdità: cosa proibisce di commettere reati se non una "sana coscienza", che tanto Nietzsche disprezzava?

Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.

@Sariputra,
Nietzsche certamente ha avuto i suoi difetti, tuttavia per molte cose lo trovo interessantissimo (e non molto distante da Buddha, Nagarjuna...).

P.S./O.T
sgiombo:
http://www.canonepali.net/ Qui trovi parte del Canone Pali buddhista in italiano;
http://www.accesstoinsight.org/ Qui in inglese trovi commenti e testi in inglese;
In generale non è difficile trovare materiale in rete su questi argomenti. Diffida in ogni caso di cavolate come "mente quantica", "legge di attrazione","la mente crea la realtà"... Questa non è filosofia orientale!
#1232
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
29 Ottobre 2016, 18:17:22 PM
Sariputra,

Ho letto piacevolmente quello che hai scritto e devo dire che mi è stato utile. In realtà quello che dicevo prima non voleva essere un affronto al buddismo. In effetti come dici tu se non si leggono come trattati di filosofia le sutras sono eccellenti. Anzi ritengo il Buddha la persona più geniale mai esistita (o almento una delle più geniali). L'errore che vedo però è il seguente: aver trasformato il buddismo in una religione dogmatica. Di modo che si è creato un "attaccamento" alla sua "filosofia".

Sono d'accordissimo sulla coproduzione condizionata e sull'asserire che tutte le cose condizionate sono impermanenti, sono "dolorose" e sono senza un Sé e che la sofferenza nasce dal fatto che noi rappresentiamo (consciamente e inconsciamente) le cose condizionate come "aventi un Sé", "permanenti", nostre ecc...
Tuttavia il problema che ho io è che l'anatman invece non ha fondamento filosofico: infatti mentre l'impermanenza "dimostra" l'anatman nel caso di ciò che è prodotto condizionalmente, non c'è nessuna dimostrazione per cui debba valere l'anatman anche per ciò che non è condizionato (non ho trovato una "dimostrazione" secondo la quale sia in effetti così). Infatti la dimostrazione per le cose "impermanenti" è come segue: è impermanente quindi è "dukkha" e perciò non puoi dire che è "tuo, c'è un Sè...". Questa intuizione ci fa capire che "rappresentiamo" male le cose condizionate come permanenti ecc e invece non lo sono. Ma perchè mai l'incondizionato non può essere un Sé? Qui il buddismo mi sembra irrazionale in quanto assume che non sia un Sé senza dimostrarlo.


E qui arriva il problema: noi occidentali non diamo troppa importanza alla pratica meditativa quindi vogliamo capire il messaggio ultimo di un insegnamento. Personalmente la meditazione non la vedo come una tecnica che ci fa capire le cose di più ma la vedo come una "tecnica per migliorare la propria vita". Posso capire che gli indiani avendo questo come obiettivo si siano per così dire "accontentati". Tuttavia noi occidentali siamo molto più "attaccati" al capire le cose razionalmente e quindi secondo me finchè qualcuno non dimostrerà la teoria dell'anatman anche per le cose incondizionate il buddismo rimarrà come un "lavoro di un genio" ma non come "la soluzione di tutti i problemi".

Personalmente sono propenso a credere in un "atman" in modo simile a Spinoza, Eckhart, Bruno, Shankhara ecc. Tuttavia nemmeno loro hanno risolto tutti i problemi come ho scritto nel punto (1) del mio post precedente. Quindi in realtà non mi sento di accettare nemmenno le loro dottrine in quanto se vuoi le ritengo forse più erronee di quella buddista. Quest'ultima però mi lascia sempre un senso di "incompletezza". Ergo continuo a cercare ecc.

Riassumendo: come filosofia, per quanto ammirevole e geniale, il buddismo ormai è superato secondo me. Così come le altre dottrine. Ti invito a leggerti l'aforisma "noi areonauti dello spirito" di Nietzsche che ho citato qualche post fa.
#1233
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
29 Ottobre 2016, 15:44:44 PM
Riassumendo abbiamo queste posizioni:

1 Advaita Vedanta -Platone - Plotino - Spinoza - Fichte/Schelling/Hegel - Meister Eckhart - Schopenhauer - Berkeley - Cristianesimo (?) -Wittgenstein (?):
Tutto quello che vediamo è "insostanziale", nel senso che non è "veramente" reale ma che in realtà esiste tutto nella "mente di Dio/Brahman" o come "modo di Dio" non separato dallo stesso. Il Creatore/rappresentatore è o l'"io" oppure l'Io divino;

2 Buddismo (e varianti... Wittgenstein?):

Concorda con la posizone (1) fintantochè si parla dell'insostanzialità delle "cose mondane". Tuttavia con la dottrina dell'ANATTA, il Non-Sé: tutte le cose sono prive di un Sé (Dhammapada). Perciò non ci sono nè creatori nè rappresentanti, o forse meglio dire "L'Io non si può trovare" e quindi "non si possono trovare nè creatori nè rappresentanti". Perciò non ci si deve attaccare al mondo dell'"inconsitenza".

3 "Rappresentazionalismo dualistico" (Kant - Wittgenstein (?) - Cristianesimo (?)):
Ci sono anime/Sé in ogni essere cosciente che rappresenta ma c'è anche una realtà che però è inconoscibile. I limiti della ragione sono dati dalla "rappresentazione", la conoscenza della realtà è impossibile.

4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?):

Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale".

5 Common Sense Realism/Moore/Naive Realism/Aristotele (?):
Qui c'è una mano, quindi la realtà esterna è quella che percepisco.

6 Pirronismo:
Non si può dire nulla della "realtà vera".


Ora tutte queste posizioni hanno problemi. La (1) per quanto plausibili, elegante e bella (non a caso ogni fisico vuole unificare tutti le leggi in una legge e quindi la tentazione a dire "tutto è uno" è enorme) non spiega non riesce a spiegare perchè c'è la molteplicità e perchè siamo tutti illusi della nostra vera natura se siamo di fatto "la stessa cosa". La (3) va bene fino a quando non diventa "solipsismo epistemologico" da una parte e assume l'esistenza di una "realtà in sé" inconoscibile contraddicendosi nel dire che quest'ultima "è il motivo" per cui c'è il fenomeno. La (5) non è filosofia. La (6) nemmeno anche se è meglio della (5) perchè riconosce che c'è un problema epistemologico (anzi qui c'è la sicurezza di non conoscere, cosa non dimostrata). La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera). Rimane la (2) che mi affascina come la (1) e la (4) (che sono un miglioramento della (3) a mio giudizio): il suo problema è che di fatto è indistinguibile dal nichilismo. Il Buddha dice chiaramente che non è così e che il Tathagatha/Nirvana è "inconoscibile" però allo stesso tempo non dice perchè è diverso dal nulla.

P.S. Per Sariputra: Leggendo con la mera ragione "logica" il Buddismo/Canone Pali non capisco proprio come si faccia a dire che non è nichilismo. D'altronde se dopo la morte non c'è nulla non ci sono più sensazioni e quindi c'è l'estinzione del desiderio ecc. Eppure il Buddha dice che esplicitamente che non è così. Tuttavia quando vedo cose come "il Nirvana è come un fuoco estinto" non vedo la differenza tra questa esperessione e "il Nirvana è il nulla". Per questo "preferisco" quello che dicono i "poveri indiani seminudi" o Nietzsche che per lo meno era coerente col suo nichilismo (non c'è rappresentazione perchè non c'è il rappresentante. Siccome non c'è il rappresentante alla morte semplicemente "si muore").
#1234
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 18:15:55 PM
Il Silenzio mistico/religioso/spirituale è un silenzio "reverenziale" in cui appunto si tace perchè la cosa su cui non si dice nulla è "assolutamente più grande di noi". Ok, è una prospettiva che calma l'animo. Tuttavia è anti-filosofica questa prospettiva perchè "pone un veto". Ma anche qui il senso "mistico", la meraviglia, in realtà paradossalmente ha fatto nascere la filosofia (come dicevano i greci). Che sia tipo un cerchio che si chiude nella meraviglia?

Ad oggi il silenzio "non mi piace" perchè sinceramente non ho ancora "dimostrato" che ci deve essere. Perchè se il silenzio entra la filosofia deve finire... E ancora nessun "silenzio" mi ha convinto. Pur chiaramente essendo la "pace". Il problema che ogni "silenzio" che ho incontrato non mi sembra pienamente soddisfacente.... Quello "trovato" da W. sembra una sorta di "nulla".

@Sariputra: usa pure il sanscrito, il Pali l'ho usato io per denotare i concetti propri del Buddismo più vicino (forse) all'originale, il Theravada :)

INIZIO OT ("off-topic") :

Comunque ammiro  Buddha, Wittgenstein, Anassimandro (Apeiron :) ), Kant, Berkeley, Schopenhauer, Nietzsche ecc, tuttavia secondo me sono tutti "perfezionabili".

Nietzsche: " Noi, aeronauti dello spirito! - Tutti questi temerari uccelli che volano là in lontananza, in estrema lontananza, - di sicuro! a un certo punto non potranno più andar oltre e si appollaieranno sull'albero di una nave o su un piccolo scoglio - e grati per giunta di questo misero rifugio! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conclusione che dinanzi a loro non c'è nessuna immensa, libera via, che essi sono volati tanto lontano quanto si può volare! Tutti i nostri grandi maestri e precursori hanno finito per arrestarsi, e non è il gesto più nobile e leggiadro quello con cui la stanchezza si arresta: anche a me e a te accadrà così! Ma cosa importa di me e di te! Altri uccelli voleranno oltre! Questa nostra consapevolezza e fiducia spicca il volo con essi facendo a gara nel volare in alto, sale a picco sul nostro capo e oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guarda nella lontananza, antivede stormi d'uccelli molto più possenti di quel che siamo noi, che aneleranno quel che noi anelammo, in quella direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! - E dove vogliamo dunque arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa potente brama, che per noi è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in questa direzione, laggiù dove fino ad oggi sono tramontati tutti i soli dell'umanità? Si dirà forse un giorno di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere le Indie, - ma che nostro destino fu quello di naufragare nell'infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure? -"

Wittgenstein si è avvicnato alla religione fin dal 1912 (quando ancora era studente di Russell, prima della guerra e del Tractatus) e poi è sempre stato "quasi religioso" per tutta la vita.

FINE OT
#1235
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
27 Ottobre 2016, 15:52:37 PM
Libertà= massima beatitudine, completa liberazione dalla sofferenza = beatitudine assoluta (indipendente dalle circostanze)
#1236
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AMPer Apeiron. A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno. Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana. Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico. Io invece sono dentro il fenomeno. Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico. Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo. noumeno=x fenomeno=limite di x (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione) conoscenza=inferenza del limite di x dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa). Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte. E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no. Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto). Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa. Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca. Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza. A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite. Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni. Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere. Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.

Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno?
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel ;) ). Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni ;D ). Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala.
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).
Quando ho finito il Tractatus mi sembrava di essere libero e di aver risolto tutti i problemi. Col tempo tuttavia mi sono accorto che il Problema rimaneva e quindi non ho smesso di ricercare: il Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio? Purtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare". Ci vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
#1237
Presentazione nuovi iscritti / Re:presentazione
27 Ottobre 2016, 15:22:28 PM
Anche io mi sono inserito nel curriculum delle alte energie. Penso di fare almeno un po' di anni di ricerca e poi insegamento.
#1238
Presentazione nuovi iscritti / Re:presentazione
26 Ottobre 2016, 19:11:31 PM
Secondo anno magistrale, studio a Padova, sto preparando l'esame di "Istituzioni di Astrofisica e Cosmologia"
#1239
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Ottobre 2016, 19:09:44 PM
Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 18:20:41 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio). Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato". In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita. L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite. Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia. Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).

Nonostante l'oscurità di quanto ho scritto sei riuscito a capire il problema del limite (sgiombo spero che la lettura del post di Phil ti aiuti a capire il mio. Nei prossimi giorni comunque cercherò di esprimermi meglio). I problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala". Nel caso del noumeno credo che esista (non l'ho dimostrato...).

Il problema ribadisco è il seguente: ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? Una volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. Tuttavia in queste argomentazioni non trovo ancora una vera "dimostrazione" che c'è il noumeno (che sia necessario cioè) e che tale noumeno sia logicamente compatibile col resto dell'epistemologia.
#1240
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
26 Ottobre 2016, 15:49:23 PM
Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo. Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.

Non ha potuto farlo per il semplice fatto che cercava risposte filosofiche e non religiose. La religione e la filosofia sono diverse: se anche un filosofo pensa che il cristianesimo è vero, non si "accontenta" di credere ma vorrebbe "provarlo" o comunque far vedere che è ragionevole. Perciò forse Kant non ha indentificato le cose per onestà intellettuale o forse semplicemente non credeva ad una interpretazione letterale della Bibbia oppure magari come dici tu non era credente (anche se la Critica della Ragion Pratica da MOLTA importanza alla religione). Insensatezza = proposizione i cui termini non sono ben definiti. Quello che continui a dire è "Dio ha creato tutto...", "Dio è il noumeno..." ecc senza portare dietro un'argomentazione per dire così. Almeno spiega perchè secondo te lo Spirito Santo è il noumeno. (Perdona il tono, non vuole essere polemico o offensivo, ma solo vuole puntualizzare che lo Spirito Santo non c'entra con questo problema - poi eh se trovi passi della Bibbia che parlano di questo problema, te ne sarò grato :) . Anzi daresti più "credibilità" alla religione cristiana se riuscissi a collegare questi argomenti)

Citazione di: green demetr il 25 Ottobre 2016, 23:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM@green demetr Non capisco il tuo punto di vista :D Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista? Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa? P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)
Non è difficile se ci pensi. Mettiamo che ogni senso ha un punto di vista, innegabile, soggettivo, eppure ogni punto di vista sensoriale, è slegato dagli altri. 8) E nel contempo, qui le idee cominciano a farsi ostiche, il mix di 2 sensi, udito e vista per esempio, crea un altro punto di vista slegato. Per ciò quando vedi una porta che sta per sbattere, è come se ascoltassi quella porta mentre ancora il suono non è pervenuto. Insomma la rappresentazione non è mai soggettivamente assoluta ma è in continua rimessa in discussione con la realtà. con il noumeno. Perciò stesso per inferenza, esattamente come diceva Hume possiamo azzardare che esista una realtà esterna slegata dal nostro punto di vista sensoriale. Questo significa che possiamo conoscere il fenomeno NON il noumeno, che rimane come una necessità sullo sfondo. (correggo così anche sgiombo per quel che riguarda Kant). NB con monismo non intedevo quello dell'advaita. che ripeto è un altro mondo. ma quello della coincidenza tra cervello e mentale.

Ok però fai conto che lo stesso concetto di "causa" deriva dall'esperienza e quindi dall'analisi del fenomeno. Concordo con Schopenhauer che non si può pensare che il fenomeno sia causato dal noumeno per il semplice fatto che il principio di causa "non si applica" al noumeno (così come non si applicano i concetti di "colore", "suono"...). L'esempio che tu fai del cieco che riacquista la vista non prova (o meglio: "non corrobora l'idea") che esista "una realtà oggettiva/noumeno" ma solo che qualcosa di oltre alla prospettiva del singolo. Al massimo prova che c'è una realtà "intersoggettiva", una prospettiva condivisa da più soggetti. Tuttavia quello che non prova è che esista qualcosa di "indipendente da ogni prospettiva". Qui faccio notare il problema è linguistico: ogni linguaggio necessita di un contesto. Non appena si va fuori dal contesto si arriva a insensatezze. Il nesso causale e l'inferenza si possono infatti fare solo sui fenomeni e non sul noumeno.

Citazione di: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM@sgiombo Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno. Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno. Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.
CitazioneNon capisco l' ultimo capoverso e come si possa conciliare con i primi due. Se il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" ti pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole"), allora anche tu parli (sensatamente) del noumeno e ne affermi l' esistenza reale. Di "esterno alla realtà fenomenica cosciente" (alla propria esperienza fenomenica cosciente di ciascuno (ammettendone altre oltre la "proria immediatamente percepita"; cosa indimostrabile; che credo) non può esservi che una realtà in sé non apparente (non fenomenica) ma solo congetturabile (noumeno), mentre qualsiasi cosa sia fenomeno è (questa è una sorta di sinonimia) "appartenente alla (a una) esperienza cosciente, sensibile". Kant, Berkeley e Hume (purtroppo Buddha e il Vedanta non li conosco per nulla e Wittgenstein pochissimo) cercano appunto di "elucubrare" qualcosa di sensato (e i primi due, in modi e su fondamenti molto diversi, secondo me si illudono di averne conoscenza certa) sul noumeno.  Secondo me il noumeno pur non potendosi ovviamente esperire, può essere oggetto di ipotesi indimostrabili ma sensate, per quanto ovviamente caratterizzate da un inevitabile "oscurità" (anche metaforica) e vaghezza (da qui l' abbondante uso di virgolette da parte mia nel parlarne).  Seconde me sono ipotesi che possono spiegare i seguenti fatti (essi stessi indimostrabili): a)l' intersoggettività (corrispondenza biunivoca, non uguaglianza: nessuno può "sbirciare nelle altrui esperienze coscienti" per verificare se i relativi fenomeni –esempio: il Monte Bianco visto da me e il Monte Bianco visto da te- siano uguali o meno a quelli della propria) delle componenti materiali ("extensae") delle diverse, reciprocamente trascendenti esperienze fenomeniche coscienti (che è una conditio sine qua non della -possibilità della- conoscenza scientifica vera), attraverso la corrispondenza di tutte e ciascuna per l' appunto con la (medesima) realtà in sé (in alternativa bisognerebbe ammettere fra di esse una sorta di, a mio parere ancora più vaga ed oscura, leibniziana "armonia prestabilita"); b)la corrispondenza biunivoca fra determinati eventi neurofisiologici cerebrali (in determinati cervelli; per lo meno indirettamente, e comunque potenzialmente nell' ambito delle esperienze fenomeniche di "osservatori"; per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e determinate esperienze coscienti di "osservati" (per esempio della mia esperienza cosciente) e viceversa, secondo quanto sempre più ampiamente e fondatamente appurato dalle moderne neuroscienze, soprattutto mediante l' imaging neurologico funzionale (ma già fondato su antiche e "grossolane" osservazioni anatomopatologiche risalenti a Broca, Wernicke anche a prima): in un certo senso si può dire che gli stessi "enti ed eventi in sé" sono "fenomenicamente percepiti dall' esterno" come (corrispondono biunovocamente a) determinati eventi neurofisiologici (per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e "fenomenicamente percepiti dall' interno" come (corrispondono biunovocamente a) determinate evenienze di determinate esperienze coscienti, materiali e mentali (per esempio della mia esperienza cosciente; e viceversa).

Anche tu però parli di "realtà condivisa da più soggetti" e non di "realtà indipendente da ogni soggetto" come invece sarebbe il noumeno.

Se dunque accettate (intendo tu e demetr) l'esistenza della "realtà esterna/cosa in sè" oltre le "prospettive" non vi sembra singolare che si arriva sempre al punto in cui si dice che "i nostri concetti qui non si applicano". Ok va bene togli tutte le proprietà sensoriali. Rimane la "materia"/"cosa in sé" ecc. Ma davvero si necessita di tale concetto se non è nemmeno possibile costruire proposizioni sensate su di esso? I continui riferimenti che fate alla scienza non aiutano perchè ti posso contraddire dicendo che al massimo mostrano un'interosggetività e non una pura oggettività. D'altronde ogni proprietà non è un concetto fatto da una "prospettiva"?

Per questo motivo a mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. A parte forse Wittgenstein:

La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti.
Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; cioè, se essa potesse contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Tractatus 5.61)


La proposizione non può rappresentare la forma logica; questa si specchia in quella.

Ciò che nel linguaggio si specchia, il linguaggio non può rappresentare.

Ciò che nel linguaggio esprime , noi non possiamo esprimere mediante il linguaggio.

La proposizione mostra la forma logica della realtà.

L'esibisce. (Tractatus 4.121)





Tuttavia e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile?  Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile". La prova per inferenza fallisce perchè l'inferenza è una tecnica che ha senso nell'ambito del fenomeno e non nel noumeno. Nel caso di Wittgenstein voleva dire che la forma logica "non può essere espressa". Tuttavia un concetto che non può essere espresso non è un concetto e quindi:




Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v'è salito).


Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo. (Tractatus 6.54)


P.S. Ripeto non nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio".

Edit: So di aver scritto in una forma orrenda ma spesso trovo difficoltà ad articolare il mio pensiero... Perdonate la confusione, spero non vi dia troppi grattacapi :)
#1241
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM
@green demetr

Non capisco il tuo punto di vista  :D  Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista?
Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa?

P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)
#1242
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM
@sgiombo

Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno.

Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno.

Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.
#1243
Tematiche Filosofiche / Re:Realtà e rappresentazione
25 Ottobre 2016, 14:01:04 PM
Citazione di: green demetr il 22 Ottobre 2016, 21:08:12 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Ottobre 2016, 13:33:46 PMAnzitutto volevo precisare ancora una volta una cosa: Realtà puramente oggettiva: l'oggetto in-sé indpendentemente da qualsiasi rappresentazione di uno o più soggetti. Con questo voglio dire che l'oggetto deve possedere qualità intrinseche e non solamente derivanti dall'"osservazione"/interazione col soggetto. Come dicevo nel post inziale non si può dire di conoscere la realtà in-sè se conosciamo solo come appare-a-noi. Per inciso se divento cieco tutti i colori spariscono e quindi la realtà in-sé è incolore. Il problema è che la stessa scienza potrebbe conoscere la realtà come "apparente" e come quindi derivante da come ci appare a noi.
Sembra quasi che tu intenda la distinzione dei percetti come impossibile, perchè mere rappresentazioni soggettive. Eppure per esempio proprio l'esempio da te citato dice il contrario. E cioè che effettivamente il rappresentato non può sopravvivere senza il senso dato. Come nell'esperimento citato da Berkley del cieco che riacquistata la vista, non distingue la sfera che aveva sino a qualche tempo prima conosciuto col tatto. Come dire l'idea soggettiva del cieco, la sua rappresentazione è stata negata dalla realtà. Quindi come vedi noi non siamo solo rappresentazione. Diverso il caso nell'induismo caro Sariputra in quanto siamo abituati a conoscerlo come monismo rappresentazionale. In cui la rappresentazione è dualista(velo di maya), e l'uno è DIO. Questione lontanissima dalla concezione occidentale, che ne vedrebbe un evidente contradizione. Il punto rimarebbe quindi nello stabilire se il dato sensibile sia reale o immaginario.

Non capisco l'obiezione  :D

Quello che volevo dire io è: supponi di avere davanti un tavolo. Lo vedi, lo tocchi ecc. Lo descrivi come "ruvido, con quattro gambe, color marrone...". Il problema è che queste proprietà che tu affidi al tavolo in realtà non sono strettamente parlando del tavolo, cioè di un oggetto indipendente da te, ma del "tavolo rappresentato". A questo punto se uno ti chiedesse: "ok ora però dimmi cosa è un tavolo usando proprietà che non dipendono dalla presenza di un osservatore" cosa gli diresti?  La mia tesi è esattamente questa: nulla. Potresti pensare poi in realtà a questo ragionamento: così come per migliorare le osservazioni controllo lo strumento di misura, allo stesso modo per migliorare la conoscenza oggettiva del tavolo analizzo me stesso. Ma anche qui ci sono due problemi. Primo se anche conoscessi meglio me stesso quello che potrei dire è come rappresento il tavolo . Secondo: analizzo me stesso secondo la "mia" prospettiva. In sostanza non si esce da se stessi.

P.S. Non avrei dovuto dire che la realtà è incolore. Ma che: il concetto di "colore" non si può applicare alla realtà-in-sé. La realtà non è né colorata nè incolore (cioè senza colori, il paradosso logico non c'è perchè la domanda stessa "la realtà è colorata?" è insensata - per dirla alla Wittgenstein: il linguaggio è andato in vacanza). Ho il vago sospetto che questo ragionamento porti a dire che la realtà è ineffabile, cioè oltre i concetti: tuttavia il concetto di ineffabilità è contraddittorio... o forse no https://aeon.co/essays/the-logic-of-buddhist-philosophy-goes-beyond-simple-truth
#1244
Domanda: è veramente una vita ben spesa la vita alla ricerca del "valore etico"?

Se il genio risponde sì: ok allora dovremmo tutti impegnarci per trovare una vita di "valore". Ad esempio "ricercare l'amore universale di Dio", "impegnarsi a realizzare il Nirvana"...

Se il genio risponde no: si cade nel nichilismo e filosofi come Nietzsche e Cioran hanno vinto...

Spero vivamente che il genio risponda "sì".
Citazione di: Sariputra il 24 Ottobre 2016, 09:04:19 AMIo formulerei questa domanda al genio della lampada: Genio esiste l'amore privo di qualsiasi forma di egoismo? Se risponde SI' ...non c'é alcun bisogno di sapere se esiste Dio, l'aldilà, la morale, ecc. Se risponde NO...qualunque Dio, aldilà, morale ecc. sarebbe insignificante.


Non capisco l'utilità della domanda e soprattutto la conclusione della risposta per il "sì". Potrebbe essere come nel caso cristiano che l'unico modo per raggiungere questo amore è "affidarsi" a Dio. Chiaramente per un buddista (ad esempio) l'esistenza di Dio è irrilevante ma l'esistenza di una morale NO.
#1245
Ogni persona è propensa a credere a livello inconscio che è la più importante dell'universo (per il semplice fatto che ogni essere vivente prima di tutto pensa ai suoi bisogni). Il "filosofo" (o meglio: il "saggio"??) è colui che in realtà sa che non è affatto così e si comporta di conseguenza. "Ama il tuo prossimo come te stesso", per esempio, è un modo per "togliersi" dall'idea di essere l'essere più importante dell'universo. Questa consapevolezza quasi assente negli animali, è presente nell'uomo.

Forse la parola giusta da usare non è nullità ma è "relativizzazione": bisogna riuscire a relativizzare se stessi... Contemplare la propria "nullità" rispetto all'immensità del cosmo è modo per farlo. Allo stesso modo si può contemplare la sofferenza propria e altrui per ridurre le pretese dell'ego.