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Messaggi - Jacopus

#1246
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
14 Dicembre 2022, 09:31:02 AM
Post interessante. Il nucleo dell'indagine è conoscitivo con qualche puntata sul campo dell'azione etica. Puntate inevitabili poiché il modo con cui il soggetto crede di conoscere il mondo, condiziona la sua azione, come ha fatto rilevare Niko.
La mia posizione è inevitabilmente ed ellenisticamente "mesotes", ovvero mediana, sia a livello conoscitivo che a livello etico.
Ma occorre anche fare una premessa. La cultura occidentale rincorre da millenni anche la posizione antidialettica dell'Uno, che riduce le differenze e il polemos. In questo processo i giochi sono sempre a somma zero. C'è un vincitore e un vinto, c'è un soggetto ed un oggetto, c'è una azione e un azionato. Soggetto ed oggetto in questo modo sono entrambi reificati e finisce per non esistere più nessun soggetto vero. La possibile reazione è quella di rifugiarsi nel proprio solipsismo, ed è la soluzione più facile ma anche più sterile. L'altra,  che aprirebbe un'altro vasto discorso è quello di aggiungere un altro elemento alla diade soggetto/oggetto, ovvero, l'intersoggettività, come ha fatto notare Iano e, prima di lui, una corrente molto nutrita di postmarxisti.
#1247
Percorsi ed Esperienze / Re: Osteria Abisso
12 Dicembre 2022, 19:15:27 PM
Il non detto, può diventare un mostro, figlio delle nostre scissioni e delle nostre polarizzazioni. Il "detto" è sempre riconoscimento ed ammissione della nostra ambivalenza. Il non detto lascia in piedi l'alterità e il non riconoscimento. Ma per il "detto" occorre familiarità o intelligenza o entrambe e se c'è un corpo che dice ancor meglio.
Conrad, un giro di prosecco per tutti. Offre la casa.
#1248
Percorsi ed Esperienze / Re: Osteria Abisso
11 Dicembre 2022, 11:05:37 AM
Ti ringrazio Ipazia per essere giunta fino a questa Osteria, che si affaccia sull'Abisso. Abbiamo un'ottima scelta di Prosecco, il miglior vino italiano, indubbiamente.
Dici delle cose che condivido, come non potrei del resto. La conoscenza occidentale è fondata sull'individuo. Ma più passa il tempo e più cerco strade che possano conciliare temi apparentemente inconciliabili. Del resto, posso facilmente ribattere all'oracolo di Delfi con "unus et multi in me". Perché resta il dilemma di essere unici e parlare quindi con noi stessi, ed essere multipli e quindi perdere la nostra identità, per ibridarla con quella degli altri. Fatto, quest'ultimo, altamente scandaloso per il popolo italiano, così fortemente (e anche banalmente), individualista. Restare in equilibrio fra esigenze così diverse potrebbe essere il compito dell'uomo contemporaneo. Un compito però, che non può essere ottenuto individualmente, se non per casi singoli ed eccezionali, ma che va coltivato attraverso l'educazione. Questo è il grande lascito platonico, valido ancor oggi, ma che necessiterebbe una estensione universalistica e non aristocratica come intendeva il discepolo di Socrate.
#1249
Percorsi ed Esperienze / Re: Osteria Abisso
10 Dicembre 2022, 23:33:58 PM
Tempus fugit, Conrad. Fuori dall'Osteria, in quel mondo virtuale che si chiama Logos, avverto talvolta il desiderio di rispondere a qualche discussione. È soprattutto il desiderio di comprendere meglio ciò che scrivo, proprio mentre lo scrivo, piuttosto che impartire lezioni. O forse è il desiderio di trovare qualcuno che rifletta il mio pensiero in un modo ideale e proprio per questo gratificante. Talvolta ho anche trovato questa soddisfazione, almeno parzialmente, attraverso i contributi degli altri partecipanti, Phil, Ipazia, Iano, e tanti del passato, Sgiombo, Sariputra, Jean. Ma il grande sforzo, la grande impresa, è un'altra. Ovvero ascoltare il pensiero degli altri, anche quando quel pensiero e quelle teorie sono lontane e magari contrarie alle mie. Si può e si deve dare loro pari dignità e pari opportunità, perché sono parti del colloquio umano ed hanno sempre una parte di verità.
Una grande notte nera piena di vacche nere, quindi? Forse, oppure un criterio per distinguere le vacche potrebbe esserci? La competenza in quanto si scrive e si propone? La sincerità verso ciò di cui si scrive e si propone? Il desiderio di mettersi in discussione e di comprendere gli altri? Oppure riconoscersi in quei "pochi" frequentatori abituali, che al di là di ciò che scrivono, fanno parte di una comunità e quindi li si accetta con i loro pregi e difetti. Talvolta mi immagino una cena reale con i frequentatori del forum. Dopo quella cena, sicuramente i miei  interventi nei confronti dei partecipanti al forum e alla cena cambierebbero, perché il contatto fisico, visivo, ci ha reso umanamente vicini e diventa più difficile non tollerare qualche difetto, qualche piccolo gesto maldestro contro di noi. Ecco che la relazionalità cambia non solo il nostro atteggiamento ma anche il nostro modo di pensare. Ed allora mi domando se pensare non sia sempre un pensare "con" gli altri, perché non esiste un pensare con "se stesso". Ma non sono realmente sicuro neppure di questo Conrad. Siamo ombre, Conrad, che hanno temporaneamente a disposizione un organismo biologico e nella consapevolezza della finitudine di quell'involucro cercano un senso.
#1250
Attualità / Re: morto nel sonno
10 Dicembre 2022, 07:58:17 AM
L'istat non prevede la voce "morti nel sonno", quindi è impossibile ogni comparazione con un minimo di idoneità per fare riflessioni razionali. Le notizie dei giornali non hanno alcun valore di senso.
#1251
Anthonyi. Sono due questioni diverse, ma anche coerenti fra di loro. Dare importanza ad ogni minimo fatto della vita da parte dei  "materialisti", implica un approccio "autoregolato" dell'umanità, che non deve aspettarsi una fine teologica e teleologica extra/umana e divina. La stessa "autoregolazione" che comporta la libertà di scegliere da parte dei singoli individui cosa fare della propria vita, sia in quanto potenziali genitori, sia in quanto detentori dell propria vita (e quindi non c'è reale contraddizione fra le due posizioni). A me sembra ancora più paradossale questo interesse delle istituzioni religiose per l'uomo fino a un secondo prima della nascita e un secondo prima della morte. Tutto il resto del tempo in cui l'uomo vive, invece va a fortuna, con l'indicazione che comunque bisogna possibilmente restare sempre allegri, perché alle divinità non piacciono i piagnoni. Invece il principio di autoregolazione è coerente e non invoca le divinità secondo l'interesse del momento. L'importanza della divinità che regola l'uomo in modo eteronormativo, però va oltre i semplici motivi religiosi, poiché fissa un principio di autorità che reprime ogni desiderio e volontà di autoregolazione, che può essere usato anche in ambiti completamente diversi dalla religione, come la storia insegna.
#1252
Il sistema che collega emozioni e controllo cognitivo è un sistema top/down e bottom/up, ovvero funziona al meglio attraverso un passaggio di informazioni che sale dalle emozioni alla sfera riflessiva neo corticale e viceversa. Questa reciprocità deve inoltre tener conto delle funzioni corporee, che incidono sia sulle emozioni che sulle capacità cognitive. Ritenere che ci sia un centro direzionale univoco nel cervello, che ci rende quel che siamo, è "l'errore di Cartesio". Il SNC in realtà è strettamente incarnato nel corpo, tanto più se si considera che il SNC è comunque collegato con il Sistema Nervoso Periferico, che detiene, sparpagliati nel corpo milioni di neuroni, cinquecento dei quali nell' intestìno, una sorta di cervello di riserva.
Pensare alla razionalità come a qualcosa di scisso dal nostro corpo preso nel suo insieme è la conseguenza di dottrine religiose che hanno insegnato a considerare il corpo come un luogo "basso", "volgare", preda di istinti e animalità a cui si contrappone la mente, specchio di quella entità impalpabile chiamata anima.
#1253
Per kephas. Ha risposto già Viator in realtà. Le uniche cellule che non possono essere rimpiazzate sono quelle del sistema nervoso
#1254
CitazioneOltre alla precisa osservazione di iano sulla differenza fra identità (onto)logica ed appartenenza insiemistica, aggiungerei che l'esistenza non può essere contraddizione, poiché la contra-ddizione presuppone la "dizione", un discorso il cui significato negherebbe se stesso; tuttavia l'esistenza non è discorso, non è logos. Le categorie del logos, che mirano a descrivere l'esistenza, vengono proiettate sull'esistenza ma non sono l'esistenza in generale. Se, di fronte ad un fiore giallo, affermo «quel fiore è rosso», l'esistenza di quel fiore non è scalfita dalle mie parole, tanto quanto le mie parole non perdono di significato per la mancanza di corrispondenza con la realtà; la falsità non è infatti assenza di significato/senso (semmai è assenza di referente).
L'esistenza stessa della contraddizione logica non è contraddittoria: se scrivo «oggi è e non è giovedì», l'esistenza di questa contraddizione non è contraddittoria, poiché tale affermazione, nello scriverla, esiste palesemente senza contraddizione (si avrebbe contraddizione di esistenza se tale scritta esistesse e non esistesse allo stesso tempo). Ciò che è contraddittorio è il significato dell'affermazione, ma ciò non ne contraddice l'esistenza. L'esistenza e il discorso sull'esistenza non si confondono in una logica attenta e, fino a prova contraria, non esistono contraddizioni ontologiche fuori dal linguaggio, nel "mondo extra-linguistico".
Forse la contraddizione cui fa riferimento Mario Pastore è relativa a quella che possiamo definire ambivalenza più che contraddizione. L'ambivalenza è una condizione umana universale e riguarda l'esistenza. Il suo nocciolo originario dice: esisto ma non esisto, perché non esisterò per sempre e perché il mio esistere di oggi sarà diverso dal mio esistere di domani e perché il mio esistere è corrotto dall'esistenza degli altri eppure cerco incessantemente gli altri. Odio e amore, cura e indifferenza, violenza e dolcezza, carità ed egoismo convivono in ognuno di noi creando per ognuno un modello unico e irripetibile di ambivalenze.
#1255
CitazioneLa tua concezione della razionalità è quella tipica hegeliana che attribuisce una ragione a tutto... Si tratta solo di un gioco intellettuale che si fonda come ho mostrato sull'oblio della componente (dominante) irrazionale dell'Assoluto. Invece che pensare che le emozioni hanno una propria ragione d'essere bisognerebbe pensare che esse hanno una propria funzione e senza proiettare su di esse alcuna virtù razionale
Mario. Ammetto che Hegel, fra i filosofi tedeschi classici è quello che mi è più affine, ma le idee che mi sono costruito sul rapporto fra razionale/irrazionale cognitivo/emotivo, derivano più da letture di neurofilosofia e ovviamente dal continuo visitare i libri di Freud e Darwin. Partendo da Darwin, non posso che postulare come ogni processo vitale abbia uno scopo per la sopravvivenza e la fitness della specie, comprese le emozioni. Pensa allo stato affettivo/emotivo che ci lega alla nostra prole. Se non ci fosse, lasceremo i nostri figli al loro destino, appena nati, come fanno innumerevoli specie di insetti e di pesci. Oppure allo stato affettivo/emotivo della ricerca, che ha permesso all'uomo di colonizzare ogni luogo della terra, unica specie di dimensioni ragguardevoli a riuscirci, proprio perché viaggiare, scoprire nuovi luoghi, attiva emozioni forti in noi, che sono efficaci per la proliferazione e permanenza della specie. In questo senso le emozioni sono funzionali alla vita della specie. Per non parlare dell'innamoramento, altro passaggio emotivo cruciale. Il carattere speciale di questi passaggi è inoltre dato dalla reciproca influenza di un sistema con almeno quattro terminali che funzionano in feed/back continuo: sistema cognitivo ed auto riflessivo che risiede nella neocorteccia (più recente), sistema delle emozioni che risiede in varie parti del cervello mediano ed anteriore (più antichi), corpo e cultura umana.
#1256
Viator. Siamo in un sito nato per divulgare e ragionare sulla filosofia. Accettiamo le tue considerazioni, che però sarebbero più fondate e acute se fossero fatte alla luce della conoscenza. Conoscenza che oggi è veramente facile ottenere, almeno i principi generali, per ogni genere di materia. Pertanto ciò che è stato scritto da Mario è pertinente ed esatto. Ti lascio il link, caso mai volessi approfondire:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Imperativo_categorico
#1257
Se posso Mario, direi che emozioni non è sinonimo di irrazionale. Tutt'altro. Le emozioni sono un modulatore delle nostre azioni e servono alla sopravvivenza della specie. Visto il successo della specie Homo, direi che le emozioni sono state utili.
Sicuramente intelletto ed emozioni vanno integrate in modo bilanciato. Solo un intelletto che sperimenta emozioni può dare il meglio di sè. La stessa ricerca intellettuale, quando fa una scoperta o produce un pensiero originale, è emozionante. Di sicuro si dovrebbe abbandonare ogni visione gerarchica, sia intelletto > emozioni (Cartesio e poi Kant, Marx), sia emozioni > intelletto (mi verrebbe voglia di scrivere Nietzsche, ma non sarebbe corretto). Di sicuro il sistema emotivo è antecedente (biologicamente) a quello più strettamente razionale, se con razionale intendiamo la capacità riflessiva del cervello e non solo l'abilità a risolvere problemi. Ma il nostro cervello funziona attraverso messaggi top/down e bottom/up , dal livello corporeo a quello gestito dalla neocorteccia e viceversa. I latini c'erano già arrivati un paio di millenni fa: "mens sana in corpore sano". Ho il sospetto che il monoteismo si perpetui ovunque, facendoci sempre credere che c'è un capo assoluto in quanto facciamo, mentre in realtà, la natura è inevitabilmente politeista.
#1258
Molto interessante anche il discorso dell'etica collegato alla temporalità. Anch'io penso, come Ipazia, che nella storia del pensiero vi siano stati dei varchi che l'umanità non ha oltrepassato. Chissà cosa sarebbe accaduto in Occidente  se il successo del Cristianesimo lo avesse ottenuto lo stoicismo.

Tornando invece alla questione posta da Socrate, vorrei porre un esempio di storia verosimile per sottolineare come le scelte etiche siano complesse, anche senza scomodare l'uomo grasso da buttare sui binari.

Immaginiamo un tedesco che si arruola negli anni '30 nelle S.S. Una decisione che nasce da molti fattori, che non indaghiamo per brevità. Costui va in guerra e attraverso la guerra, le convinzioni già ferree, diventano inscalfibili, poiché accanto a quelle convinzioni teoriche precedenti ora deve aggiungere la morte o il ferimento dei suoi commilitoni, dei suoi amici. Di fronte a ciò, ogni ragione, ogni possibilità di fare una revisione delle proprie convinzioni, di ciò che è bene e ciò che male, recedono per far posto allo spirito di gruppo, alla difesa di Klaus e di Fritz e di Hermann, che sono persone in carne e ossa, che ridono e piangono ed hanno fatto delle cose con te. I processi cognitivi sono inutili a questo livello.

Se questo è vero, ogni ricerca del bene dovrebbe stare il più lontano possibile da ogni scissione in bianco e nero del mondo e delle idee del mondo, poiché in questo modo si creano le premesse per la divisione noi/loro, bene/male, amico/nemico e una volta attivata la scissione con la violenza non è più possibile integrare emozioni e ragione intellettuale, se non in casi molto particolari e con un dispendio di energie e risorse notevole, come nel caso della Commissione in Sudafrica volta a far riconoscere ai bianchi i loro crimini contro i neri.

In qualche modo il seme della violenza (e del male) e della incomprensione sta proprio in quella divisione originaria così netta, in quell'albero della conoscenza del bene e del male. Ma in quello stesso albero e nelle successive azioni di Adamo ed Eva vi è anche la prima apparizione di Prometeo e quindi della civiltà come noi oggi la conosciamo. La scissione bene/male ci ha introdotto ad un primo livello di civiltà, mentre prima non era possibile la civiltà. Ora si tratta di superare quel livello ed accettare l'ambiguità del bene e del male e considerarci tutti portatori dello stesso bene e dello stesso male. Insomma, quel livello che è stato introdotto dal Cristianesimo ma che non è mai stato attuato a fondo a causa del suo profondo esito rivoluzionario se davvero fosse attuato.
#1259
Niko usa una parola che mi sta molto a cuore e che (in un'altra vita) vorrei approfondire: l'intersoggettività. L'etica è racchiusa in questa parola ed è il precipitato culturale di un modello biologico che abbiamo tutti noi mammiferi socievoli. Il bene potrebbe essere quel meccanismo per cui ci immedesimiamo negli "altri". Questo discorso attraversa tutta la storia culturale dell'uomo. Era sicuramente più semplice un tempo, quando gli "altri" erano i componenti della propria tribù/clan, gente che si conosceva, con la quale si andava a caccia, che erano cognati, nonni, nipoti, mogli, mariti, figli. In fondo questa è la nostra base antropologica e funzionerebbe benissimo anche oggi, se non avessimo sfidato gli dei e mangiato la mela del bene e del male. Da qualche millennio abbiamo così iniziato ad interrogarci: "chi sono gli altri a cui posso/devo fare del bene e gli altri cui posso/devo fare del male?".
A questa domanda il cristianesimo ellennizzato dei Vangeli ha dato una risposta affascinante, al punto che Katolikos significa "universale". Ma davvero siamo in grado di fare del bene all'universalità dell'umanità. Cosa significa volere il bene di 8 miliardi di individui?
E' questa una delle aporie fondamentali del nostro tempo. La globalizzazione ci ha universalizzato in quanto a stili di vita, consumi, beni, desideri...ma non riesce (forse perchè è impossibile) a globalizzare il nostro sentimento di "bene" nei confronti dell'universalità dell'umanità. Del resto è la nostra stessa storia a renderci difficile voler bene a tutti. Per quanto ci sforziamo vorremmo sicuramente più bene a chi condivide con noi i ricordi della serie televisiva "Happy days", piuttosto di chi invece si ricorda la saga di Bollywood di cui noi non sappiamo nulla.
Esistono diversi tipi di soluzione a questo problema:
1) Soluzione di Voltaire: "curare il proprio giardino". Soluzione elegante ed anche altamente etica, anche se venata di un certo egoismo.
2) Soluzione di Marx: " rendere l'umanità priva di classi sociali e quindi uguale". Il bene deriva da questa imposizione violenta iniziale, attraverso la quale l'umanità trova finalmente la sua armonia. A dire il vero questa visione, che ho ovviamente molto semplificata, mi ricorda sempre le immagini delle riviste dei testimoni di Geova, dove in copertina c'è un'allegra famigliola che campeggia dolcemente insieme a leoni e tigri, tutti lietamente.
3) Soluzione di Smith: "non esiste il bene etico, ma il bene economico, che se ben diretto contribuisce al bene e alla felicità di tutti". Anche in questo caso, come nel precedente, sembra di poter vivere nel migliore dei mondi possibili. Là bisogna però attraversare una rivoluzione, una escatologia quasi religiosa. Qui basta adoperarsi tecnicamente affinchè le regole già presenti dell'economia vengano razionalizzate e ben oliate, affinchè la mano invisibile non produca i suoi frutti. Purtroppo spesso la mano invisibile produce invece quel fenomeno che si chiama "fuck fisting".
4) Soluzione di Habermas/Honneth: "il bene etico va costruito attraverso il confronto e la sua determinazione da parte di una opinione pubblica all'altezza della complessità sociale". E' questa la soluzione che preferisco, che rieccheggia in modo democratico quello che già professava Platone, ovvero la necessità di una pedagogia della politica, affinchè la politica non diventa usurpatrice e maligna.

In tutto questo discorso tornano come un basso continuo i tre principi della rivoluzione francese, libertè, egalitè, fraternitè. La difficoltà consiste nell'applicare questi principi, non più ad una tribù, e neppure ad uno stato, ma all'intero agglomerato umano del pianeta terra.
#1260
Davvero un bel argomento Socrate. Il topic potrebbe fare la fine di quello sul libero arbitrio se trova qualche facinoroso  :D. Da parte mia penso che processi cognitivi e processi emotivi sono sempre collegati, nel senso che di solito, a meno che non si sia schizofrenici, quello che si "pensa" deriva da quello che si "sente" o si è "sentito". Ad esempio, aver avuto un padre premuroso che non ha fatto mai mancare nulla al figlio e che gli ha voluto sinceramente bene, permetterà a quel figlio di essere a sua volta un padre premuroso, e questo è genericamente un bene. Ma se quel padre, durante la "all-day-life", avesse avuto pensieri e avesse diffuso in famiglia la sua ideologia fascista/comunista/liberista, quel figlio avrà molta difficoltà a scindere quel padre premuroso e la sua ideologia ed è molto facile che abbraccerà, proprio attraverso il contatto emotivo con il "buon padre", quella ideologia fascista/comunista/liberista.
Concludendo, i processi cognitivi non ci garantiscono di trovare una volta per tutte "il bene", ma neppure i processi affettivo-relazionali.