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Messaggi - Phil

#1261
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
02 Dicembre 2019, 20:45:55 PM
Citazione di: myfriend il 02 Dicembre 2019, 19:04:39 PM
la Scienza ragiona così. E cioè, quando entra in una zona che non può misurare nè riprodurre in laboratorio avanza delle ipotesi deduttive che devono avere una loro coerenza logica.
Ben vengano le ipotesi di lavoro, le teorie esplicative e, soprattutto, la coerenza logica. L'importante, secondo me, è rispettare lo statuto "probabilistico" di tali deduzioni, valutare il peso dei differenti indizi (o rilevare la loro assenza) e distinguere le catene di causa/effetto verificate da quelle tautologicamente dedotte (oltre ad essere cruciale il saper dedurre correttamente, senza fallacie).
Probabilmente mi avevano tratto in inganno le frecce che emergevano dallo Unified Field, nel senso che ne avevo sopravvalutato l'attendibilità (di cui ho infatti chiesto). Un po' di fantasia e di inventiva sono da sempre il motore della scienza, hanno un ruolo prezioso, anche se non per questo possiamo concedere il "telepass" ad ogni elucubrazione deduttiva (non mi riferisco a te, dico in generale).
#1262
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
02 Dicembre 2019, 17:18:09 PM
Citazione di: myfriend il 02 Dicembre 2019, 15:20:17 PM
è a partire da questi fenomeni fisici che si arriva alla deduzione che la "realtà immateriale" (o "Campo") da cui questi fenomeni scaturiscono (o emergono) deve necessariamente essere una Entità dotata di "intenzione" - quindi di autocoscienza, autoconsapevolezza e creatività - e di intelligenza.
Mi pare che la deduzione che proponi non possa fondarsi su fenomeni fisici (come ogni deduzione in quanto tale), perché non è connessa ad un dimostrato rapporto causale con tali fenomeni, ma è piuttosto una postulazione di esistenza indimostrata (ancor più nelle sue qualità). Se ho ben capito, le "evidenze" si fermano al «vuoto quantistico» e alla sua immaterialità (tale almeno fino a prova contraria); in tre righe si passa purtroppo dalla constatazione scientifica «non sappiamo cosa sia questo "campo immateriale" e nemmeno da "cosa sia fatto"» alla congettura filosofica «Questo campo è la "causa prima" di ogni cosa»:
Citazione di: myfriend il 02 Dicembre 2019, 15:20:17 PM
Quindi non sappiamo cosa sia questo "campo immateriale" e nemmeno da "cosa sia fatto".

Parliamo quindi di "deduzione".

Questo campo è la "causa prima" di ogni cosa.
pur essendo indimostrabile che non sia esso stesso causato da altro e senza evidenza che esso sia la vera causa delle leggi fisiche citate (vedere un'auto che esce da un tunnel non dovrebbe far dedurre che il tunnel abbia generato l'auto e tutte le leggi che la fanno muovere, solo perché non riusciamo a vedere oltre il tunnel...).

Ti segnalo che, parlando di «deduzione», sono stati postulati assiomi come i medievali postulavano dogmi teologici (e non è affatto offensivo): se sostituiamo a «campo» la parola «dio», possiamo applicare (alla parte non scientifica del tuo discorso) tutte le osservazioni e confutazioni formali applicabili alle varie prove ontologiche dell'esistenza di una divinità, senza che la scienza possa prevenirne le fallacie. Al di sotto di quelle tre frecce mi pare ci sia dunque un mero accostamento (di una congettura filosofica ad un insieme di teorie scientifiche) più che un rapporto causale (confermando le perplessità già emerse dall'articolo di wikipedia).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 02 Dicembre 2019, 16:03:26 PM
Quando uno parla di "migliore disposizione", presuppone che ce ne sia pure una "peggiore" e che l'interlocutore concordi intersoggettivamente con lui su tale scala di valori, al netto della soggettività dei concetti di malattia e salute. Altrimenti la metafora non funzionerebbe  ;)
Concordo; tuttavia, chiedere a un sofista quale sia la «disposizione migliore» in ambito filosofico (quindi fuor di metafora medica, se è vero che essa è strumentale al senso del testo e non viceversa) ci riporta alle antilogie, all'eristica, al metron, etc.
#1263
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
02 Dicembre 2019, 15:49:47 PM
Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
In effetti, si tratta di una situazione simile a quanto si narra della caverna platonica, che, a dire il vero, non mi sembra affatto invertita; ed infatti, guardando le immagini apparenti (fenomeni percepibili) creiamo concettualmente qualcosa che si suppone reale (noumeno impercepibile) e "supponiamo" che sia esso a creare le immagini.
La definivo invertita perché, secondo me, siamo noi a "creare" il (concetto di) noumeno a partire delle immagini dei fenomeni e non il noumeno a creare le nostre immagini dei fenomeni (anche per il noumeno dovrebbe valere il buon vecchio onere della prova per chi ne afferma l'esistenza, senza offesa per le deduzioni kantiane).

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
l'unica sua evidenza non è la sua esistenza, ma la sua utilità teorica per dare un fondamento, per quanto indefinito, ai fenomeni che percepiamo; però, a ben vedere, questo vale per tutte le teorie, compresa quella della relatività, circa la quale, però, non mancano indizi e riscontri concreti (almeno a livello fenomenologico).
Il livello fenomenologico fornisce appunto almeno indizi e riscontri; la congettura noumenica, no.

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
Ed infatti, se esso non esistesse, si cadrebbe nel "solipsismo" più assoluto; e, cioè, che tutto ciò che esiste è un mio sogno individuale (cosa bel diversa dall'"idealismo" in senso puro).
Scienza e scienziati compresi; ed infatti, quale mai sarebbe "la scienza che avanza", se anche lei fosse soltanto un sogno della mia mente individuale?
Se postuliamo il noumeno come fondamento della realtà, tolto lui, viene meno la realtà (il che è lapalissianamente impossibile: almeno "io", qualunque cosa "io" sia o stia facendo, devo pur avere una qualche forma di esistenza, noumenica o meno). Se invece postuliamo la realtà come esclusivamente fenomenica, con la scienza che "avanza" studiando appunto i fenomeni, il problema dell'esistenza al di là del fenomeno trova risposta nei differenti livelli della materia (alcuni possiamo percepirli, altri no; scoprendoci «misura delle cose che sono in quanto sono, etc.»). Che poi la nostra (ap)percezione sia sempre parziale e mai simultaneamente a 360 gradi, non ci impedisce, a quanto pare, di fare comunque scienza (pur con tutti i suoi limiti).

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
Se la "cosa in sé" fosse solo una congettura ridondante (e mistificante), lo sarebbe anche la scienza, perchè farebbe anche essa parte della mia illusione onirica.
[...]
Ciò significa che, se non azzardo qualche ipotesi, mi devo necessariamente richiudere in uno sterile solipsismo!
Fra l'ipotesi del solipsismo radicale e l'ipotesi del noumeno, ci può essere l'umile tertium dell'ipotesi (forse persino un po' più epistemica delle altre due) di una realtà umana che è inevitabilmente fenomenica e parziale, essendoci probabilmente cose che esistono e non possiamo percepire e/o conoscere (finora).
Come dicevo altrove, la "cosa" è un'astrazione concettuale umana, un'identificazione compiuta dalla nostra mente, per cui la "cosa in sé" sarebbe l'illusione dietro tale miraggio, praticamente un nulla. Riprendo l'esempio: la mia mano è identificata come tale (distinta dal corpo), ma in sé è fatta di tessuti, molecole, etc. non esiste davvero la "cosa-mano" (allora perché dovrebbe esistere la "cosa-mano in sè"?), ma è solo una porzione fenomenica del tutto che io isolo cognitivamente ed identifico come tale (arbitrariamente, in alcune culture magari la chiamano "punta del braccio" e, sempre magari, per loro la "cosa-polso" non "esiste").

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
Aumentando lo "zoom", che è anch'esso sperimentato solo a livello mentale (come nei sogni),  forse vedrei  infatti il mare, poi le onde, poi la molecola dell'acqua (della plastica, etc.) fino a scendere ad un livello in cui non c'è più nel il blu né tantomeno l'oceano, bensì altre "cose".
Sì, ma tutto questo appare sempre solo nella mia "mente individuale", se non suppongo che esista un mondo "noumenico" esterno, ovvero un mondo "noumenico" mentale universale che trascenda la mia singola mente individuale; come io sono portato a credere.
Come dicevi (e come da definizione di noumeno) non saprai mai quale è e come è il noumeno, per cui inferire che esso esista (se è), pur senza poterne verificare l'esistenza, è forse uno spunto squisitamente metafisico, ma poco epistemologico.

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
Quanto al fatto che i "cultori" della "cosa in sé" diranno che tale mancato rinvenimento del "noumeno" è inevitabile (e tautologico), perché la "cosa in sé" è per definizione inattingibile all'uomo, è indubbiamente vero che affermare l'indimostrabile mette al riparo da ogni confutazione;  ma il "così è se vi pare" non c'entra niente, in quanto si tratta di una alternativa "inevitabile"!
Intendi che non è possibile pensare ad un mondo fenomenico senza noumeni inattingibili? Cosa ci dimostra che non può bastare un mondo solo fenomenico?
Se faccio girare di fronte a me un mappamondo, inevitabilmente ne vedrò sempre solo una parte, ma la sequenza percettiva mi farà supporre che si tratti di una "sfera" che rappresenta la Terra. L'immagine astratta che costruirò di tale oggetto, sottoponendolo magari anche a verifiche intersoggettive, finché si rivela esatta non necessita di un "inattingibile noumeno del mappamondo" (come direbbe il pluricitato Ockham). 
Se nondimeno dubito di tutte queste percezioni, discorsi intersoggettivi, etc. l'aver fiducia nell'esistenza di un noumeno non credo aiuti a dare maggiori certezze.

Citazione di: Eutidemo il 02 Dicembre 2019, 14:05:38 PM
Ed infatti, "io" sperimento ESCLUSIVAMENTE ed OGGETTIVAMENTE, solo "immagini mentali" (visive, acustiche tattili, olfattive e gustative); il fatto, poi, che si tratti di "percezioni", è solo una congettura, in quanto io esperisco solo "immagini mentali", che potrebbero essere anche frutto di mere "allucinazioni".
Quello che affermano gli altri e la "scienza", è anche esso una mia mera "immagine mentale" di riviste, libri e documentari, che non potrò mai acquisire "direttamente".
Quindi, congetturare un "noumeno", secondo me, "necesse est!".
Secondo me, proprio perché possiamo arrivare persino a dubitare dei sensi e delle percezioni (il sogno della farfalla di Chuang Tzu), dubitare del nostro dialogare con altri, etc. non ha molto senso aggiungere al dubitabile anche un noumeno sovrasensibile e non percepibile: se i sensi mi ingannano, dov'è la necessità di qualcosa che per congetturale definizione non posso nemmeno conoscere?
#1264
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
02 Dicembre 2019, 14:14:26 PM
Citazione di: myfriend il 02 Dicembre 2019, 12:14:28 PM
L'Essere è alla base dell'energia, della materia (che è una forma di energia) e di tutte le leggi che compongono l'universo in tutte le sue "forme".
L'Essere è "pura coscienza immateriale", intelligente, cosciente e autoconsapevole. E, ogni cosa nell'Universo, è "manifestazione", istante-per-istante, di questo Essere che è alla base dell'universo stesso.

Quindi...c'è una visione "filosofica" di questo Essere che, però, deriva da un modello Fisico/teorico ben preciso dell'Universo.
Cioè...la visione "filosofica" da cui origina l'Essere si sposa e combacia perfettamente con una visione Scientifica (Fisico/teorica) dell'Universo.
Quello che a mio giudizio è fondamentale, per tale raccordo fra filosofia e scienza, è quel diramarsi delle tre frecce (Bose Fields, Supersymmetry, Fermi Fields) a partire dall'Unified Field; sono frecce che rappresentano: un rapporto causa/effetto (dimostrato o almeno sperimentabile) derivando da un'unica causa (Anassimandro approverebbe), o un denominatore comune concettuale (seppur ontologicamente incerto), oppure le tre frecce non hanno comprovata medesima origine, tuttavia per "comodità logica" vengono fatte partire dal punto in cui si ferma la nostra attuale conoscenza?

Approcciando la questione da un altro lato: cosa sappiamo con certezza dell'Unified Field al punto da identificarlo chiaramente, senza poterlo confondere con altro (una divinità, un esperimento alieno, etc.)? Come possiamo dichiararne le qualità («intelligente, cosciente e autoconsapevole») se (non lo so) è oltre le nostre possibilità di "studio"?
Cosa impedisce di terminare lo schema con le tre frecce che, anziché unificarsi, "penzolano" ognuna per conto suo, lasciando aperta la domanda su cosa ci sia "sotto" (in quanto loro causa)?

Chiesto più in sintesi: quanto c'è di scientifico-induttivo(verificabile) in quel punto blu da cui si diramano le tre frecce e quanto di filosofico-deduttivo(congetturale)?


P.s.
Forse ho esagerato con le domande, ma sono direttamente proporzionali sia alla mia ignoranza in materia che al mio interesse.
#1265
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
02 Dicembre 2019, 12:09:34 PM
Non per fare l'avvocato di Protagora, né il suo discepolo (Euatlo docet), ma la stessa dicotomia sano-malato è stata ed è tuttora spesso meno "oggettiva" di quanto sembri (dalle riflessioni di Foucault alla "classificazione" dell'omosessualità, passando per l'Asperger). Certo, ci sono casi piuttosto indiscutibili di malattia, ma siamo pur sempre in una metafora; se ne usciamo, rientrando nel discorso filosofico, interpretativo-valutativo del reale, etc. Protagora forse ci chiederebbe: c'è una dicotomia parimenti netta e indiscutibile?
Nel "misurare" un vivo da un morto, la scienza fallisce di rado, ma suppongo il buon Protagora si riferisse al misurare le differenti identificazioni (più o meno ontologiche), il giusto dallo sbagliato, il vero dal falso, etc. senza escludere (aggiungerei) la scappatoia di andar a cercar analgesici prescritti alla "farmacia di Platone" (come direbbe qualcun'altro).
#1266
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
01 Dicembre 2019, 14:21:58 PM
Citazione di: Eutidemo il 01 Dicembre 2019, 11:19:40 AM
infatti, il "noumeno" "E'", mentre il "fenomeno" è soltanto la sua "manifestazione"; che noi chiamiamo "materia"!
[...]
- noi, però, non abbiamo alcun modo di constatare che ciò avvenga anche tra "livelli diversi", ad esempio rilevando che il "noumeno" fuoco in se stesso, sia la causa del "fenomeno" calore.
E' solo una "congettura"!

***
A mio avviso, peraltro, è anche una congettura molto discutibile, in quanto, essendo in presenza di due piani diversi di realtà, mi sembra un po' arbitrario che possa sussistere un nesso di causalità vero e proprio, tra "noumeno" e "fenomeno".
Il noumeno stesso è una congettura, quindi ogni volta che lo chiamiamo in causa, il discorso assume inevitabilmente un aspetto congetturale. Si tratta di un doppio legame per cui noi "proiettiamo" alcuni aspetti "parziali" e apparenti del fenomeno verso un ipotetico noumeno "completo" e non apparente (non percepibile), al contempo supponiamo che tale noumeno "proietti" il suo fenomeno, o meglio, le sue apparenze fenomeniche, che noi percepiamo e conosciamo. Situazione simile a quanto si narra della caverna platonica, solo che in questo caso la proiezione è invertita: guardando le immagini apparenti (fenomeni percepibili) creiamo concettualmente qualcosa che si suppone reale (noumeno impercepibile) e ci fidiamo che sia esso a creare le immagini; si passa quindi dalla caverna, in cui l'oggetto reale proietta l'immagine ingannevole, al cinema in cui l'immagine reale rimanda ad un'oggetto, concettualmente ingannevole e indimostrabile. Una volta usciti dalla caverna platonica si potevano ammirare gli oggetti reali, mentre nel caso del noumeno è impossibile uscire dal cinema fenomenico, tutto ciò che c'è è solo un'immagine; certo, proiettata (magari semplicemente da ciò che abbiamo giusto sopra gli occhi, ma non divaghiamo) e non potendo uscire dalla "sala dei sensi" (con il sesto che pone più problemi di quanti ne risolva) non possiamo sapere da "cosa", per questo abbiamo inventato il concetto, tanto risolutivo quanto poco epistemico, del noumeno.

Essendo il noumeno, per definizione concettuale, non percepibile, non studiabile, non falsificabile, etc. l'unica sua evidenza non è la sua esistenza, ma la sua utilità teorica per dare un fondamento, per quanto indefinito, ai fenomeni che percepiamo. Dire che il noumeno "è", può significare che il noumeno è un'idea (come altre altrettanto utili al ragionamento o ad altro), ma non che esso sia qualcosa che esiste davvero, essendo la sua esistenza, appunto, congettura indimostrabile. La considerazione che «deve pur esserci qualcosa che genera i fenomeni» sarebbe a sua volta da dimostrare: quanto più la scienza avanza, tanto più il concetto di "cosa" ("che è in quanto è o non è in quanto non è") diventa problematico e arbitrario. Se è la nostra percezione mentale (input sensoriali elaborati dal cervello) a creare il fenomeno "cosa", identificandola, astraendola dal suo contesto (la cosa «mano» identificata distinguendola concettualmente dal braccio, distinto dal corpo), nel creare l'identità della "cosa" non abbiamo necessariamente bisogno che tale identificazione rimandi ad un noumeno; se la "cosa" è identificata e distinta dalla mente, la "cosa in sé" è una congettura ridondante (e mistificante) smentita dalla scienza (che divide la mano in cellule, le cellule in atomi, etc. senza mai incontrare la "cosa in sé" della mano... o forse moltiplica le differenti supposte "cose in sé" ad ogni divisione analitica, spostando il problema all'infinitamente divisibile, direbbe Zenone?).

Altro esempio banale: guardando dallo spazio la terra, saremmo portati a pensare che «deve esserci un noumeno del blu dell'oceano», ma la percezione di quel blu sappiamo che non corrisponde ad alcun "noumeno del blu dell'oceano" (lo stesso vale per la cosa «oceano») essendo una questione di prospettiva, illuminazione, rifrazione, etc. al punto che forse ha più senso affermare che il blu dell'oceano non esiste piuttosto che supporre che ci sia un "noumeno del blu dell'oceano": aumentando lo zoom, vedremmo infatti il mare, poi le onde, poi la molecola dell'acqua (della plastica, etc.) fino a scendere ad un livello in cui non c'è più nel il blu né tantomeno l'oceano, bensì altre "cose".
I "cultori" della "cosa in sé" diranno che tale mancato rinvenimento del noumeno è inevitabile (e tautologico), perché la "cosa in sé" è per definizione inattingibile all'uomo; ancora una volta, affermare l'indimostrabile mette al riparo da ogni confutazione, aprendo la porta al «così è se vi pare».
#1267
In fondo, quando parliamo di "intellettuali", oggi, a chi ci riferiamo? 
I settori della conoscenza, come ricorda InVerno, sono così specialistici e sufficientemente ricchi di contenuti da render obsoleta la figura dell'intellettuale tout court, interdisciplinare, la cui parodia è forse quella dell'opinionista tuttologo, specialista in nulla ma minimamente competente in tutto. I docenti universitari, i ricercatori, gli scrittori sono probabilmente ritenuti intellettuali nei rispettivi ambiti; pare che l'intellettuale di oggi sia definibile come colui che, anche senza essere ammesso al Mensa, vive d'accademia e/o di carta stampata abbinata a qualifiche "elevate", preferibilmente in ambito umanistico (quanti definirebbero Einstein un intellettuale?), essendo nondimeno uno specialista, quasi un "tecnico" della sua disciplina (nel senso che sa usarla bene e ne conosce gli strumenti, non nel senso che si occupi di sola pratica senza teorizzare nulla); gli altri sono semplici opinionisti (e forumisti).

P.s.
@InVerno
Chiedo senza retorica (non essendo competente): se venisse meno il consumismo, ormai, non ci sarebbe uno stallo o una crisi economica con sgradevoli ripercussioni sociali? Cosa intendi parlando di intellettuali (s)favorevoli al consumismo o con «"filosofia" facile da attaccare»? Qual'è il rapporto oggi fra (eventuale "compito" degli) intellettuali e consumismo?
L'ondata ecologica, ad esempio, in fondo non altera le dinamiche consumistiche, le rende saggiamente compatibili con l'ambiente, ma come "meccanismo" di massa resta tale (il "consumismo verde" è pur sempre consumismo, quando il verde non è addirittura strumentalizzato a scopi di marketing).
#1268
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
30 Novembre 2019, 11:15:19 AM
Citazione di: myfriend il 30 Novembre 2019, 10:26:15 AM
Nel nostro universo, le particelle si creano e svaniscono contemporaneamente.
Eppure se è vero che nulla si crea e nulla di distrugge, forse (chiedo da ignorante in materia) non è possibile che tale "svanire" e tale "crearsi" in tale "vuoto" siano dovuti (qui concordo con baylham) dalla nostra incapacità di seguire tali fenomeni quando entrano in un campo che ancora non riusciamo ad osservare?

Probabilmente è anche una questione di linguaggio (parlare di «vuoto» nella sezione filosofica innesca una certa precomprensione del tema): in fondo, anche nei link che hai postato (grazie per l'approfondimento) si ricorda che «il vuoto non è il nulla, è un oggetto fisico non spaziale» (G. Vota, secondo link) e che «il vuoto non è realmente vuoto ma pieno di fotoni virtuali» (S. Girvin, primo link).
#1269
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
29 Novembre 2019, 23:09:30 PM
Citazione di: myfriend il 29 Novembre 2019, 20:50:27 PM
questo Campo Unificato IMMATERIALE che è in tutto l'Universo...è il TUTTO - o l'UNO - dal quale scaturisce o emerge o appare la materia.
Questo dice la Scienza. Ed esistono numerose conferme sperimentali di questo fatto.
Incuriosito da un eventuale approfondimento su come l'immateriale producesse il materiale, ho consultato Wikipedia dove, stando a questa introduzione sul tema, pare che si tratti di teorie scientifiche non sperimentate né verificate, quindi non esattamente "oggettive", ma perlopiù teoriche e ancora molto problematiche. Dunque finora, almeno stando a Wikipedia, sono teorie pertinenti ad uno scientifico «così è se vi pare» (come simbolicamente rappresentato dal cambio di prospettiva di Hawking). Tuttavia non è da escludere che si tratti semplicemente di una wiki-pagina non aggiornata.

#1270
Tematiche Filosofiche / Re:Così è se vi pare!
28 Novembre 2019, 22:34:16 PM
Citazione di: Eutidemo il 28 Novembre 2019, 13:08:17 PM
L'assunto di Pirandello, in sostanza, somiglia moltissimo a quello di Protagora, il quale, almeno nella versione riportata da Platone nel "Teeteto" ( 151e-152a), sosteneva che: "L'uomo è la misura di tutte le cose; di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono" (Panton chrematon metron anthropon, einai. Ton men onton hos esti, ton de ne onton hos ouk estin).
Nel suddetto motto mi piace mettere l'accento sulla «misura» (metron), di conseguenza l'espressione «l'uomo è la misura di tutte le cose [...] di quelle che non sono in quanto non sono» non lo ridurrei (onto)logicamente al non-essere parmenideo (@Ipazia), per nulla "a misura umana", quanto ambiziosamente a misura universale. Intendo piuttosto l'esser-misura dell'uomo come l'ammissione della possibilità di un fuori-misura, che esiste senza che l'uomo possa dirne l'esistenza, perché eccede il suo metro(n) di identificazione.
Come fa allora a parlarne se per lui non esiste? Chiaramente si accorge della sua esistenza solo nel momento in cui diventa compatibile con il suo metro(n); prima era nell'in-definito (non ancora definito) delle «cose che non sono» in quanto fuori-misura, sebbene non in quanto "assolutamente" inesistente.
Dall'indefinito delle «cose che non sono in quanto non sono» sono nel tempo emerse molte "cose" che abbiamo scoperto essere già da tempo come, notizia fresca, un buco nero che pare «non sarebbe dovuto esistere» (sempre in barba al profetico «finora e fino a prova contraria»). Resta infatti inverificabile e immisurabile se sia più estesa la schiera delle cose che sono e conosciamo, o quella delle cose che (finora) non sono perché non le conosciamo.

Leggo quindi quel motto un po' come dire «l'occhio umano è misura di tutte le cose, di quelle visibili in quanto visibili e quelle invisibili in quanto invisibili» e/o «il pensiero umano è misura di tutte le cose, di quelle pensate in quanto pensate e quelle non pensate in quanto impensate», intendendo con non-visibili e non-pensate le "cose" incompatibili con la vista e il pensiero umano attuali, ovvero che per esso, per il suo metron, finora non esistono, tuttavia possono in teoria avere un'esistenza, seppur non ancora "misurata" (quindi attualmente indefinita).
Ad esempio, gli atomi "non sono" nel mondo a misura di aborigeno amazzonico (lui li annovera ancora nell'indefinito delle «cose che non sono in quanto non sono»), ma invece "sono" nel mondo a misura di scienziato; gli ultrasuoni erano fra «le cose che non sono» ai tempi di Protagora, ma ora per l'uomo attuale sono fra «le cose che sono».
Essendo l'uomo differente nel tempo (e nello spazio) ci sono differenti "misure" e quindi differenti «cose che non sono in quanto non sono» e «cose che sono in quanto sono».
#1271
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
27 Novembre 2019, 20:03:29 PM
Hai ragione, in teoria saremmo in un topic che ha per tema la morte; coerentemente, il tema stesso è morto lasciando spazio ad un post mortem di discussioni su etica, "videogame", logica, etc. a metaforica dimostrazione di come sia un tema fatalmente sfuggente, indicibile, che ci rimbalza sempre nell'al di qua.
#1272
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
27 Novembre 2019, 17:07:30 PM
Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
A rigor di termini, i sensi non sbagliano né correggono mai, per la semplice ragione che non giudicano, cioè non pongono il contenuto che recepiscono come uno stato di cose oggettivo di fronte alla quale tale presa di posizione può essere errata o meno. Anche nel caso in cui tutto ciò che i sensi recepiscono corrispondesse pienamente alla realtà oggettiva, ciò non porterebbe a porre la sensibilità come parametro sufficiente a legittimare razionalmente il valore di verità di una conoscenza fondata su di essi
Credo dipenda molto dal tipo di oggetto che ci apprestiamo a conoscere: se è un oggetto sensibile, le percezioni (ovviamente elaborate da un cervello pensante) sono talvolta sufficienti (per conoscere e studiare una finestra, ad esempio); se parliamo di oggetti da conoscere del tipo di concetti, idee, etc., la questione è decisamente più complessa e sovrasensibile, perché tale conoscenza scopre il fianco alle problematiche della comunicabilità, interpretazione, verificabilità, etc. spesso in senso extra-empirico e ricade nella conseguente ambiguità logica (di cui sotto).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Se ci attenessimo rigorosamente all'esperienza da cui l'induzione trae le generalizzazioni dovremmo limitarci a giudicare che "i cigni FINORA osservati sono bianchi", mentre la legge scientifico/zoologica "tutti i cigni sono bianchi" presuppone l'utilizzo della categoria "tutti", comprendente anche tutti i cigni finora mai osservati", e dunque un elemento non empirico, ma presente alla nostra mente in modo originario (se il termine "innato" infastidisce).
Si può "lavorare" bene, sia in scienza che in filosofia, ponderando adeguatamente quel «finora» o un «fino a prova contraria»; non vedo alcuna necessità, né logica né pragmatica, di universalizzare (vecchio vizio dei filosofi): agisco e penso basandomi sulla casistica (e sulle sue previsioni annesse), senza precludermi la possibilità di gestire un'eccezione alla regola generale. «Finora tutti i cigni osservati sono bianchi» e se mi imbatto in un cigno nero, non deduco che non possa essere un cigno perché è nero, né lo classifico come (brutto) anatroccolo; piuttosto aggiorno la casistica e modifico la norma generale in «finora la gran parte dei cigni osservati sono bianchi». Se invece mi fidavo della legge universale «tutti i cigni sono bianchi», la confutazione empirico-induttiva di tale assioma comporta crisi nella struttura di pensiero che vi si fondava (praticamente, fuor di metafora, quello che è successo alla metafisica classica, alla logica aristotelica, alla geometria euclidea, etc. nel famigerato novecento).
Secondo me, in tutta la scienza onestamente sperimentale c'è quello sbiadito «finora» prima della generalizzazione che segue.

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
L'induzione (ma forse sarebbe meglio dire l'esperienza) può smentire una deduzione nelle sue premesse, ma entro i limiti in cui le premesse presumono di poggiare, a loro volta, sull'esperienza. Tutto ciò che fischia è una locomotiva-Socrate fischia-Socrate è una locomotiva è un esempio di deduzione la cui premessa è facilmente smentibile dall'esperienza, ma questi sillogismi sono solo per Aristotele esempi applicativi di deduzione, la loro falsificabilità empirica non tocca l'essenza del metodo, che consiste nella necessità consequenziale dei passaggi logici che connettono le premesse alle conclusioni: l'esperienza può smentire le premesse su cui le deduzioni poggiano, ma mai i principi logici che strutturano formalmente il ragionamento, e la deduzione filosofica fa leva su questi ultimi, non sul contenuto empirico delle premesse, e in questo senso non è vero sia infalsificabile, e dunque non scientifica.
La deduzione in sé non è falsificabile o meno, scientifica o meno: come ricordavo a donquixote, la logica formale (usiamo il singolare semplificando) consente ragionamenti validi, ma non necessariamente veri: il tallone d'Achille della logica è la "compilazione" dei suoi elementi, dei suoi assiomi, delle sue proposizioni, etc.. La conseguenza filosofica (e non) è che la validità logica non comporta affatto attendibilità veritativa: circoli viziosi, falsità, fallacie semantiche, etc. possono essere costituite da ragionamenti perfettamente validi dal punto di vista logico.
Per questo la logica deduttiva non serve a conoscere attendibimente se non è verificata "dal basso", dall'empiria, e ciò che non può essere verificato, o almeno potenzialmente falsificato, non è da considerare attendibile solo perché è logicamente coerente (come dimostrano le varie "prove logiche" dell'esistenza di un dio, dai medioevali a Godel: è un semplice concetto infalsificabile, non ha senso scomodare petitio principii o duellare sofisticamente partendo da assiomi e paradigmi differenti).

Citazione di: davintro il 27 Novembre 2019, 00:01:34 AM
Infatti proprio perchè gli assiomi logici costituiscono regole comuni a ogni pensiero, in via ipotetica ogni pensiero può provare a smentirne il valore di verità, che poi di fatto ciò sia impossibile (se provassi a contestare il principio di non contraddizione finirei per contraddirmi e dunque per autoinvalidare la critica) non attesta l'infalsficabilità e la non-scientificità del valore di verità delle regole, ma anzi ne conferma necessariamente e costantemente la sua validità, regge alla prova della falsificazione, solo la regge ad un livello superiore rispetto a quello delle verifiche empiriche delle scienze naturali, perché in ogni caso il tentativo di smentirle può in ogni momento essere provato e constatato come fallimentare
Il principio di non contraddizione non fa eccezione al suddetto problema della "compilazione"; non sono esperto di logiche paraconsistenti (che tuttavia esistono e violano in modo controllato il principio di non contraddizione), quindi faccio un esempio banale: due rette parallele prolungate all'infinito, si toccano o non si toccano? Ognuna delle due risposte ha un suo sistema di riferimento non auto-contraddittorio; eppure, ci chiederebbe un "monista", qual'è allora la verità?
All'interno della validità della logica aristotelica (limitandoci quindi a quella più basilare, lasciando fuori quelle modali, le suddette paraconsistenti, il tema della temporalità, etc.) non abbiamo alcuna garanzia di conoscenza veridica, ma solo di formulazione logicamente valida (che, come ricordato, non esclude circoli viziosi, falsità, etc.). L'induzione ci dà i dati, gli elementi, le evidenze (per quanto fallibili e interpretabili) per ancorare, fino a prova contraria, la validità alla verità, pagando però il prezzo di perdere l'agognata universalità e/o assolutezza che faciliterebbero l'assiomatizzazione della conoscenza.


P.s.
Non intendo certo sconsigliare l'uso della deduzione o sminuire il ruolo fondamentale della logica formale, ma considerarne gli "angoli ciechi" è comunque interessante; su astrazione/innatismo deduttivo, metafisica, etc. discutemmo già abbastanza approfonditamente qui, per cui evito di innescare ripetizioni.
#1273
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
26 Novembre 2019, 21:42:04 PM
Citazione di: myfriend il 26 Novembre 2019, 17:37:32 PM
la persona consapevole non è quella che NON ha un'etica. Ma è quella che non abbraccia un'etica che gli viene calata "dall'alto". Agisce in base a un processo valutativo interiore che tiene conto della complessità della realtà cercando la risposta più "integra" o "intera" possibile.
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse"[...]
Questo è il punto: la persona consapevole è la persona delle risposte "complesse", perchè ha maturato la consapevolezza che la realtà è "complessa" e va valutata da diversi punti di vista. Non si può tagliare a fette con una visione etica semplicistica. La decisione finale deve riuscire a fondere le giuste istanze che provengono da tutte le parti.
[...]
La persona consapevole è la persona delle risposte "complesse" che cerca di "fondere" in un'unica risposta le giuste istanze che provengono da tutte le parti. Che cerca di "tenere assieme" piuttosto che dividere.
Capisco questa etica della "diplomazia", dell'«in medio stat virtus», della reciprocità, etc. tuttavia non mi sembra specificamente fondata su una consapevolezza della complessità del reale, né, soprattutto, sull'illusorietà dell'individualità della coscienza. Ad un'etica di questo tipo non si arriva necessariamente con la conoscenza (del cosmo, del cervello, del "videogame", etc.) ma anche semplicemente con un'impostazione cristiana, buddista, filantropica, non-violenta o altro, impostazioni contro cui non ho nulla in contrario, ma mi era parso che fosse stata prospettata una derivazione di tale etica da premesse cognitive, che qui si rivelano premesse valoriali (ovvero che considerano alcuni valori come assiomi fondanti una determinata etica). Certo, qualcuno aderirà a tali impostazioni senza la minima consapevolezza, solo per inerzia culturale, spirito gregario, etc. eppure, inversamente, direi che è anche plausibile che non si arrivi a tali valori partendo dallo studio epistemologico della realtà (anche perché questo studio tende a suggerire che tali valori non abbiano alcun ancoraggio "oggettivo" con il reale, riconducendoli alla dialettica a cui accennavo in precedenza fra natura e cultura, ben prima di decostruire l'autopercezione dell'"io").

Per voler sedare una rivolta spingendo le due fazioni al dialogo, magari trovando un denominatore comune di ragionevolezza in entrambe le (op)posizioni, non necessito di consapevolezza cognitiva particolare, mi basta avere un'indole pacifista e ragionevole; il credere ad una divinità che apprezza questo mio gesto, o credere al karma, etc. mi renderebbe poi ancor più motivato e convinto nella mediazione di pace (pur in totale assenza di consapevolezza della complessità e della struttura del reale).
Intendo dire che non riesco a vedere tale etica come "tappa avanzata" di una presa di coscienza della complessità dell'esistente (questo è lo scenario che suggerivi, se non ho frainteso), ma piuttosto come "canonica" applicazione di valori, appresi o auto-prodotti, in cui si crede, al di fuori da ogni dimostrazione "oggettiva" (o scientifica) che li riveli euristicamente preferibili ad altri, soprattutto se si è giunti alla conclusione che l'"io" è un'illusione percettiva. Lo spontaneismo del «verrà da sé»(cit.) riferito all'etica, mi pare ancora molto condizionato da fattori biografici, culturali, etc. piuttosto che univoca conseguenza logica di una consapevolezza cognitiva.
Se intendevi che "verrà da sè" ogni singolare e individuale prospettiva etica, in base alla consapevolezza raggiunta, si finisce quasi con l'avallare qualunque prospettiva etica con un'autofondazione tautologica (in cui la coscienza individuale viene esaltata e responsabilizzata, piuttosto che scollegata dal "videogame" e ricondotta alla totalità universale).

Se per «consapevolezza» intendi invece la consapevolezza di matrice buddista (la "retta consapevolezza" dell'ottuplice sentiero) o la presenza a sè stessi del mindfulness, allora non credo si possa collegare l'etica che ne consegue ad un approccio epistemologico o a nozioni scientifiche (e con «nozioni» non intendo nulla di dispregiativo, la conoscenza è fatta anzitutto da nozioni, intese come "atomi di conoscenza"; l'etica individuale è fatta forse perlopiù da sensazioni: sentire che è giusto, sentirsi in colpa, sentire il peso del rimorso, sentirsi bene per aver aiutato, etc. e questo sentire mi pare abbia le sue spiegazioni psicologiche, antropologiche, etc. anch'esse riferibili al suddetto dualismo natura/cultura, ma senza univocità negli esiti né fondazione etica nella conoscenza del reale: le suddette discipline scientifiche che studiano la genesi di tale sentire etico, non ne costituiscono il fondamento etico).
#1274
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
26 Novembre 2019, 16:43:05 PM
Citazione di: viator il 26 Novembre 2019, 16:18:01 PM
Salve Phil. Citandoti : "Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)?".
Dal momento che bene, male, etica sono, come tu stesso ammetti ed io condivido, concetti relativi riferibili unicamente alla condizione umana, il tuo quesito di cui sopra perde secondo me ogni senso poichè tu lo riferisci ad una situazione in cui io risulterei onniscente, quindi in possesso di un attributo assoluto e completamente extraumano. Anzi, visto che non è che gli attributi assoluti rendano "simili a Dio", ma che risultano propri ed esclusivi di Dio................. Saluti.
Era una proposta sicuramente parossistica (un espediente narrativo-esemplificativo), ma non intendevo necessariamente alludere all'onniscienza; mi premeva piuttosto chiedere a myfriend, riferendomi alla sua prospettiva, delucidazioni sul rapporto che propone fra etica e conoscenze nozionistiche.
#1275
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
26 Novembre 2019, 15:11:26 PM
Citazione di: myfriend il 26 Novembre 2019, 12:13:30 PM
Il problema quindi non è l'etica o non-l'etica.
Ma è coltivare la nostra cosnapevolezza...crescere e maturare in consapevolezza. Più sei consapevole...e più l'etica viene da sè...e più il bene si manifesta. Senza bisogno di sottomettersi a un'etica che è sempre un meccanismo (la sottomissione a un'etica imposta da qualcuno) della nostra natura inferiore. Cioè dell'inconsapevolezza.
[...]Un vero maestro spirituale ti dice: lavora...rifletti...analizza....approfondisci e cresci in consapevolezza. E l'etica verrà da sè.
Non metto bene a fuoco questo passaggio dal cognitivo al comportamentale, dalla consapevolezza (della struttura della realtà, delle sue interpretazioni virtuali-umane, etc.) al giudizio etico («questo è bene, quello è male»). L'esito della consapevolezza di essere in un "videogame" (o "Matrix" o "Samsara" o altro) come può fondare la dicotomia etica «giusto/sbagliato» su cui orientare la prassi?
Se ogni etica, in quanto tale, non può che avere una funzione valutativa, basata su assiomi morali, etc. la consapevolezza dell'illusorietà tanto dell'idea di una coscienza individuale quanto delle sovrastrutture culturali, mi pare possa fondare piuttosto un'atarassia (passo successivo all'amor fati), ma non un'etica (che per esser tale dovrebbe basarsi appunto sulle idee di «coscienza individuale», «altro uomo», «valutazione delle azioni», «bene/male», etc.).
Salvo intendere per "etica" uno sviluppo etologico dell'uomo, in cui le scelte razionali e consapevoli siano l'evoluzione biologica, metaforicamente, del comportamento del gatto che non è abituato a cacciare se non ha fame o se ha una preda che non scappa (o non segue un pattern familiare al predatore). Tuttavia, in tal caso le categorie valutative di «bene» e «male» andrebbero sostituite con altre descrittive e, appunto, etologiche («stimolo/risposta», «bisogno/soddisfazione», etc.) ricadendo in quella "pulsione rettiliana" (se ho bene inteso), seppur evoluta, che privilegia l'istinto spontaneo più che la ragione (tirando in ballo la dialettica fra empatia, neuroni specchio, etc. e sedimentazioni e istituzioni culturali "contro-istintive").
Come hai già osservato, se non sbaglio, nel mondo etologico, chimico, quantistico, etc. il "bene morale" dell'individuo è un'idea tanto inconsistente ed illusoria quanto quella della coscienza individuale e dell'"io"...
Inoltre, se (ammesso e non concesso) si raggiungesse lo "stato" in cui non si potesse non fare il bene, verrebbe meno ogni etica e il bene non sarebbe più tale (al netto della discriminazione fra «linguaggio convenzionale» e «linguaggio ultimo», parafrasando Nagarjuna).

Detto più in sintesi: se sono consapevole di come funziona e cosa sia il cosmo, dalla galassia più lontana all'atomo più piccolo nel "mio corpo" (o di ciò che ritengo tale), dove troverò la risposta, o almeno qualche indizio, per affrontare un qualunque quesito etico (accoglienza migranti, teorie gender, bioetica, etc.)? In che senso "verrà da sè", dopo aver di fatto destrutturato tutto ciò che è necessario per fondare un'etica razionale umana?