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Messaggi - paul11

#1261
Sgiombo,
poco per volta diventerai metafisico......per il semplice fatto che il pensiero non può a sua volta come noi come esistenza  nascere, sopravvivere biologicamente e morire come un virus: ma non per arroganza o potenza umana, ma è proprio perchè è lo stesso pensiero che non può arrestarsi al dominio mutevole dell'esistenza su cui non può che originariamente esserci un ordine.
Il fatto stesso che praticamente tutti i filosofi i siano comunque posti il duplice problema: se c'è un sapere aprioristico innato ,prima ancora di esperire conoscenza nel mondo; se c'è un pensiero, perchè esiste ,a quale dominio appartiene, a quello fisico naturale?

Green,
 la fattezza umana di Dio, io la definisco enfatizzazione dell'ignoranza umana.
Sono un credente  filosoficamente per deduzione razionale, sono un cristiano per il messaggio di Gesù.
Che poi si passi per culto il baciare l'immaginetta(il santino) fatta dalla tipografia all'angolo della strada , francamene............
#1262
ciao Epicurus,
adatto che sono d'accordo con te e tu sei addentro e gli sviluppi della IA insieme a quelli della quantistica e bioingegneria impatteranno prima del previsto trasversalmente sulle scienze e sulle esistenze umane, volevo chiederti:
1) a tuo parere è possible (o meglio sarà possibile) che ad un certo punto una IA si autoprogrammi?
2) potrà costruirsi un barlume di "coscienza" morale? Un'empatia primordiale ad esempio, il soffrire o gioire in funzione dei "rumors" ambientali?

grazie e ciao
#1263
Il fatto che Platone indicasse che vi fosse un sapere "innato" che indicava nella memoria e spiegabile con la reincarnazione, il fatto che kant. da tutt'altra sponda filosofica lo indichi come apriori, il fatto che da tutt'altra scienza che è clinica medica  jung si accorge che i pazienti hanno sogni i cui simboli non hanno nulla di attinente cone l'esperienza avuta dal paziente stesso e li trova in molti pazienti, tanto da  chiamarlo archetipo e da costruirne una vasta letteratura, significa che qualcosa (sarà l'anima, sarà la trasmigrazione o reincarnazione, sarà nel DNA....?), ma qualcosa c'è di sicuro.
Non può essere la sola esperienza nel sensibile, vale a dire sensoriale percettiva a costruire l'astrazione, il trascendente. Se così fosse tutti gli animali trascenderebbero linguisticamente.
Ritengo che vi sia una preessitente conoscenza o sapere che si confronta esistenzialmente con il mondo naturale e che dal confronto nascano i concetti. Non può esserci una sola astrazione in sé e per sé, e un albero in sé e per sé, se non che entrambi vengono confrontati (c è chi la chiama dialettica, chi dualità, chi complementarietà,ecc).
Il confronto trascende il mondo naturale perché lo porta linguisticamente nel concetto che è una sintesi fra l'astrazione e il fisico naturale,
E' altrettanto razionale chiedersi da dove provenga quella, preesitente alla nascita , capacità di confrontare l'astratto e il concreto;da questo nasce la problematica fra Essere ed Esistenza.
Se si decide che l'essere è prioritiario sull'esistenza, quest'ultima è riconducibile all'essere e necessariamente si astrae concettualmente e razionalmente  nella metafisica, fino alla spirtualità e alla sintesi dell'Uno, di Dio, che spiega quindi il  rapporto fra essere ed esistenza: perché dà i significati e il senso all'esistenza
Se la priorità è sull'esistenza, l'essere diventa duale,direi antitetico, contraddittorio,  perché da sola l'esistenza non spiega se stessa senza richiamare l'essere. Quindi, come certa cultura vuole, l'uomo sarebbe ridotto ad un animale un poco razionale, che viene dal nulla e sparisce nel nulla.
#1264
Fin quando il "comportamento" dell'automa, computer, ia, è determinato da algoritmi sequenziali  tutto e prevedibile e circostanziato. Nel momento in cui. simile all'uomo, l'ia, acquisisce esperienza e comincia a scegliere "lui" quale algoritmo è opportuno sceglier, avviene un secondo salto.
Quando i sensori, come le nostre percezioni sensoriali, ci informano di un ambiente in cui agiamo, pensiamo, e di nuovo agiamo,ecc, il progettista a quel punto per opportune sicurezza, limita, condiziona i processi algoritmici, "bloccando" al cune scelte, alcune possibilità.

quando l'ia, avrà la possibilità di avere una sorta di una moltitudine di algoritmi, da cui scegliere può essere che entri in una sorta di confronto fra ambiente sensoriale e quegli algoritmi che per quanto abbia possibilità di scelta, l limitano "linguisticamente".
il vero salto finale è quando la ia, potrà costruirsi da solo gli algoritmi.

La libertà sarà il fondativo dei "salti" fino ad una generazione di una coscienza ia.
A quel punto la fantascienza diventerà realtà.........come spesso è già accaduto.
#1265
Scienza e Tecnologia / Re:Le dimensioni dei buchi neri
24 Settembre 2017, 00:01:17 AM
per avere chiaro cosa accade con il limite di chandrasekar, si dovrebbe capire il ciclo di vita della stella  a partire dalla massa iniziale.
La massa è quella che decide come finirà la stella, in nana bianca, di neutroni., ecc.
Ma è l'energia di fusione nucleare che tiene in vita la stella consentendo di tenere in equilibrio la propria massa e la forza gravitazionale.Quando finisce il "carburante", idrogeno ed elio, della stella e perde energia,(quindi è la massa+l'energia che costruiscono una pressione prodotta che contrasta la forza gravitazionale) accade che la forza di gravitazione diventa allora più forte della massa della stella ,tanto da schiacciare la massa della stella riducendola di dimensioni ,  aumentandone la densità della massa. Se prima la stella era materia e gas alla fine è soprattutto materia. 
In realtà è ancora più complesso perché si possono generare anche supernove, in quanto nel ciclo finale di degradazione avvengono fenomeni di esplosione ed implosione poichè vengono espulsi materiali.

Il buco nero si forma quando il limite di chandrasekar supera quella della stella dei neutroni, il 3.
Il nucleo dello stella viene talmente schiacciato dalla forza gravitazionale, da divenire essa stessa forza gravitazionale.
#1266
Scienza e Tecnologia / Re:Le dimensioni dei buchi neri
23 Settembre 2017, 14:57:40 PM
non so se un buco nero può avere qualsiasi dimensione, non penso, perchè la dimensione da tenere presenta è la massa.
La presnza del buco nero, essendo invisibile in quanto la luce non sfugge al suo enorme campo gravitazionale, è dato dalle interazioni energetiche a lui prossime, quindi dal comportamento "strano" di corpi fisici.

Il buco nero si forma alla fine del ciclo di vita di una stella ,ma dipende dalle classificazione delle stelle che nello spettro della luce sono bianche, gialle, rosse, ma che dipendono dalla loro massa,
E' proprio la massa della stella che decide il suo degradamento e il limite di chandrasekar è rapportato alla massa delal nostra stella, il sole.
Fin quando le energie della fusione della stella mantengono in equilibrio il campo gravitazionale, quella stella "vive".
Quando l'energia della fusione scende sotto il limite del campo gravitazionale, quest'ultimo fa collassare la stella generalmente in nana bianca, quando gli elettroni fermano il collasso, o di "stella di neutroni" quando sono quest'ultimi a fermare il collasso.
Essendo i neutroni molto più pesanti degli elettroni il limite di chandrasakar è più alto, circa 3 volte rispetto alla massa solare, mentre nella nana bianca è 1,4 .

Nel buco nero avviene il totale collasso ,ma proprio in virtù della massa iniziale della stella, per cui è il campo gravitazionale il soggetto del cosiddetto "orizzonte degli eventi".

Significherebbe, ma di questo non sono sicurissimo, che la massa di quella stella degradata in buco nero, fosse basso, tanto da non poter arrestare la forza gravitazionale da parte degli elettroni o neutroni
#1267
Esiste anche un'entropia dell'informazione.
L'uomo deve temere la sua ignoranza.
Solo un concetto assoluto metafisico può tenere insieme le dialettiche che le storie pone in divenire.

Fin quando gli strumenti erano utensili e la tecnologia era povera, rudimentale, la tecnica non minava le forme conoscitive e le organizzazioni sociali umane. Un utensile esaurisce il suo scopo nell'uso perchè non ha qualità intrinseche  di informare l'uomo.
Uno schiaccianoci non può avere evoluzioni tecnologiche tali da cambiare il pensiero umano

il rapporto è quindi fra la conoscenza umana che produce artefatti e questi artefatti come a loro volta agiscono sul soggetto conoscitivo.
Se l'uomo proietta la sua conoscenza sulla sostanza fisica, per utilità, comodità, perchè pensa che sia questa la "qualità della vita".distogliendo il sapere dai primitivi e fondamenti metafisici, il risultato porta che ciò che produce il conoscere umano nel solo dominio fisco naturale, come trasformazione fisica,rientra nel solo dominio della tecnica e dei processi tecnologici, e quelle sostanze fisiche a loro volta inducono a mutare l'uomo nella forma conoscitiva.
Il prodotto storico è che l'uomo "labor" ed economico sono il vero prodotto storico della forma epistemica umana. non è "cresciuto" l'uomo nella forma qualitativa dell'essere, ma ha proiettato la sua esistenza nel divenire come la sua forma conoscitiva.

Lo iato, la contraddizione è fra l'essere come qualità e l'esistenza come quantità. e vive quindi la progressione delle tecniche e delle tecnologie come forma "vera" che ha surrogato le metafisiche che comprendevano le forme delle tecniche in quanto epistemiche ed ontologiche.
Il prodotto di questa infelice scelta è che il sistema "uomo" è focalizzato nelle prassi del lavoro e dell' economia, perdendo il valore dell'essere e acquisendo il valore della merce di scambio, perchè vende il proprio tempo di vita come vita di lavoro

Ha scambiato l'essere con l'avere, si è illuso che l'esistenza fosse quantità e nell'esercizio del dominio fisco della natura lo ha quindi trasformata.
Il trasformare fisicamente la natura in comodità umane, in uso e consumo,muta le tecnologie e le tecniche sia nell'uomo che lavora che nelle forme di scambio economico.

L'oggetto inteso come artefatto creato dall'uomo che  viene usato nelle pratiche umane muta i contenuti temporali e le forme organizzate sociali perchè muta i metodi e i mezzi di produzione e a sua volta muta le forme economiche di scambio.

Il commercio fa assurgere il ruolo borghese e dacadere il sistema feudatario.
la macchina a vapore come forza motrice costituisce la prima forma industriale e l'industria accompagna la forma organizzata democratica come processo dialettico contrapposto fra sfruttati e sfruttatori.

le grandi invenzioni, sono quelle che hanno prodotto il mutamento della forma organizzata dell'uomo e il computer lo è di sicuro.
Tanto più l'oggetto artefatto umano ha capacità intrinseche ed estrinseche di "informare" l'uomo e tanto più a sua volta muta il sistema uomo nel lavoro e nell'economia
#1268
La morte è un assoluto relativo. Relativo al concetto che oggi abbiamo di esistenza, di quello che la scienza intende come dominio di un corpo organico dentro quello della natura.
Ma se davvero la mente contenesse il cervello, significherebbe che morta la sostanza organica dove finirebbe la mente ,la sua memoria e suoi pensieri? Davvero la vita è risolvibile in un nulla?Che senso avrebbe tutto questo?

Se saggiamente  l'uomo non si arrogasse il diritto che come essere senziente e superiore al regno animale e vegetale, da cui sempre dovremo imparare, non vedrebbe il superamento della morte come una necessità al timore di un'impermanenza, una sparizione fisica dal dominio naturale.

Sono un sostenitore filosofico che esistono ordini( le cosmogonie antiche arrivavano all'ordine dopo il caos), e per ordine intendo la possibilità che il dominio naturale ci dà di essere intellegibile, non solo fisicamente, ma dello stesso dominio naturale di autoregolarsi secondo proprie regole ripetitive che noi identifichiamo come leggi fisiche, filosofiche, teologiche, spirituali.

Persino la nostra comunicazione sarebbe impossibilitata se non vi fosse un ordine intrinseco, la possibilità di essere interpretato  e comunicato.

Aldilà di come la pensi io, basta guardare il cielo stellato dell'universo, di una porzione di questo che sembra ruotarci attorno, come corpi celesti appesi in un ciclo ma dove ogni astro è al suo posto da millenni, e noi lo abbiamo interpretato con  le leggi astrofisiche; di come il nostro pianeta che ci accoglie abbia delle sue regole.Ogni cosa ci parla di leggi, regole, limiti e dopo la siccità arriva l'alluvione, come se l'energia a sommatoria zero debba compiere il suo percorso.

Siamo degli  erranti, ma dentro ordini che tendono ad  un principio unico che governa il sistema.

L'assoluto è il nascondimento di quel governo che si manifesta nei fenomeni e subito si rinasconde; noi lo percepiamo oltre il fisicamente come "anima mundi", come spirito. Sarà sempre un indimostrabile secondo la logica della dimostrazione moderna che d'altra parte non riesce nemmeno a dimostrare come si sia formato un DNA, una sintesi di proteine o di RNA: come sia nata la prima forma di vita.  E bisognerebbe dimostrare a colei che non sa perchè esistiamo il perchè moriamo?
Non c'è da dimostrare nulla ad una scienza che non sa  nemmeno dimostrare se stessa se non per il fatto che esiste.
#1269
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Settembre 2017, 09:16:27 AM
Forse c'è un particolare problema che rende tutte queste questioni pressoché impossibili da risolvere. Mi sembra che si tratti di un inganno della  nostra logica. L'inganno consiste nel pensare che certi concetti che ci sembrano più semplici siano effettivamente talmente semplici da poter essere adoperati con tranquillità per lavorare su altri concetti che riteniamo più complessi. Naturalmente l'inganno maggiore in proposito viene a verificarsi nel concetto che si presta ad apparire il più semplice di tutti: il concetto di essere. Parmenide se ne servì per formulare il principio di non contraddizione, ma senza essere prima pervenuto ad alcuna definizione di esso in grado di dimostrarne l'effettiva semplicità.
D'altra parte, proprio l'atto del definire, che è il mestiere dei vocabolari, mostra un'evidente contraddizione: in ogni vocabolario le definizioni sono praticamente sempre più lunghe della parola da definire, già per il semplice fatto che la parola da definire è una sola; sono rare le voci di vocabolario che definiscono una parola servendosi di un'altra unica parola. In questo senso, ogni definizione di qualsiasi parola non può fare a meno di evidenziarne la complessità, visto che non può fare praticamente a meno di essere più lunga della parola da definire. La contraddizione consiste nel fatto che la definizione di una parola dovrebbe servire a semplificarne l'uso, chiarificarne il significato; ma se l'espressione del significato è sempre più lunga della parola da definire, la definizione, invece di avere una funzione chiarificatrice, assume la funzione di esplicitazione delle complessità che quella parola contiene.
Qualcosa di simile avviene nella nostra storia mentale: noi nasciamo con una mente già complessa, con strutture complicatissime già predisposte, quindi come possiamo pensare di giungere a idee oggettivamente semplici?
Di conseguenza, se vogliamo discutere di certezza dei giudizi analitici apriori, dovremmo per lo meno prima prendere atto della complessità del termine "certezza", per non dire dei termini "giudizio", "analitico", "apriori".
Ora, se già concetti come "certezza" ed "essere" sono complicatissimi, a dispetto del loro apparire elementari, al servizio delle basi del pensare, che senso ha discutere di metafisica, relativismo, assolutezza?
A pensarci bene, mi sembra che complessità alla fine non significhi altro che relatività. Un concetto, o qualsiasi altra cosa, può apparirci semplice, elementare, solo nel momento in cui trascuriamo, dimentichiamo le complessità che esso è in grado di suscitare nella nostra mente. È un fenomeno simile a quello del dire che ore sono: pensiamo di poterlo fare solo perché trascuriamo la precisione dei secondi o dei miliardesimi di secondo: se vogliamo dire che ore sono con precisione assoluta, siamo costretti a concludere che ciò è impossibile, perché qualsiasi metodo dovrà attuarsi nel tempo; ma attuarsi nel tempo significa un lasso di tempo, che quindi conterrà inenvitabilmente un prima e un dopo, in modo tale che sarà impossibile stabilire il punto esatto in cui quell'ora è scoccata con assoluta precisione.

A parte queste osservazioni, mi sembra di individuare una contraddizione tra queste frasi:

Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

... stiamo parlando di ben concreti e reali pensieri...
Come si può pensare di parlare di pensieri concreti se li si considera distinti dal cervello? Un'idea presa in considerazione indipendentemente dal cervello può essere considerata un'idea concreta?
Inoltre, quanto alla considerazione di relazioni biunivoche, mi sembra che si ponga il problema della dimenticanza di cui ho detto sopra: qualsiasi relazioni biunivoca implica un controllo della fedeltà tra le componenti coinvolte, controllo che ha bisogno di attuarsi nel tempo e quindi non può garantire fedeltà.

Per quanto riguarda il non entrarci di Platone, eccolo qui:
Citazione di: sgiombo il 08 Settembre 2017, 12:31:20 PMle "idee" ... possono benissimo essere prese in considerazione indipendentemente dal cervello...

In riferimento a tutta la disamina della prima parte, hai scritto una cosa importante non sufficientemente indagata dalla filosofia stessa.
Il linguaggio simbolico accompagnava la struttura del mito, come il linguaggio del logos accompagna il nuovo linguaggio della scienza moderna. Questa è un grande dilemma sottovalutato.
Il simbolo è sintesi , il segno è particolarità.Nelle lingua l'ideogramma  è diverso dalla parola come composizione di un alfabeto.
Questa richiesta è avvenuta nel preciso momento in cui i filosofi interogano la physis perdendo l'essere.

Il nostro linguaggio è fortemente viziato dalla complessità poichè tende al particolarismo, ma proprio perchè si è pensato che la verità fosse nella physis, nei fenomeni ed eventi naturali.

L'esito è perdersi nei linguaggi.Finchè non si sarà capito che il principio "di non contraddizione" non è un principio, ma una regola, si penserà che il semaforo che regola il traffico sostituisce  il codice della strada che regola il processo dei veicoli.
Il semaforo regolativo del traffico è diventato soggetto surrogato dell'agente conoscitivo, che nell'esempio del codice della strada è il veicolo

I filosofi e i linguisti analitici fanno l'errore di porre una regola come principio che sta sopra l'essere e l'esistenza, arrivando a forme filosofiche e linguistiche che sono paradossali rispetto alle problematiche che invece sarebbero dovute  essere chiarite.
Quindi si è creata altra complessità sulla complessità. Queste sono filosofie inutili, perchè le prassi, le nostre quotidianità, non necessitano di elucubrazioni linguistiche. e vanno avanti indifferentemente da queste forme filosofiche e linguistiche:non ci aiutano, non ci servono.

Il segno linguistico per definire la realtà e incorporarla nel concetto del pensiero, ha culturalmente proceduto pari passo con le forme culturali storiche, costruendo neologismi e abbandonando lingue"morte".

Il mio personalissimo parere è che il nostro linguaggio così funzionale alle scienze multiformi, ai gerghi letterali e scientifici, hanno seguito la complessità culturale, operando prolissicità, proliferazione linguistica per seguire conoscenze quantitative e quindi estese e non qualitative e di sintesi. Questa forma linguistica alfabetica,non è detto che sia la più funzionale alla nostra mente, lo è alla nostra cultura attuale.
#1270
Angelo C.
Possono esserci degli assoluti;  francamente dire , postulare una "certezza" significa non potere più interpretare quella"certezza", perchè diviene inamovibile.
Gli assoluti sono possibili solo ai livelli più astratti , come "Uno" se giustificato da essenze sintetiche dialettiche, non kantiane(perchè le sintesi a sua interpretazione è esperienza del vissuto).

Vediamo se riesco a spiegarmi meglio in poche parole.
Se tolgo i livelli astratti tipici delle ontologie  metafisiche, allora la gnoseologia diventa relativistica.
Perchè il solo vissuto esistenziale,  le forme assiomatiche "creative" dei fondamenti su cui sono state costruite le geometrie e le matematiche moderne, sono molto "plastiche", nel senso di modellabili nella forma rappresentativa della realtà.
Sparisce la certezza di sicuro, e gli assoluti sono relativi ad un tempo in cui sono stati formulati gli assiomi fondativi e fino a nuovi altri assiomi che rimodellino le forme rappresentative . Il fascino di questo sistema anzidetto, è la creatività: ma non è vero che sia un sistema esperienziale delle pratiche , alla fine è fortemente metafisico come gli "oggetti" quantistici o le nuove geometrie non euclidee

Il grande problema esistenziale, sono nelle pratiche, non essendoci teoretiche "assolute" (non dico nemmeno certe): Non esistono più
paradigmi perchè non esiste una gerarchia teoretica ,tutte le forme si sostanziano nelle pratiche sullo stesso piano, per cui vince o la persuasione della retorica, oppure il "più forte" come potere (culturale, politico ,economico, ecc).
Perchè le pratiche sono rimaste essenzialmente funzional gerarchiche: questo è un problema che  Green cerca di capire come "oggetto" politico-social-culturale.

E' come se il cielo fosse crollato e l'uomo fosse ancora più solo.

Il problema di una spiritualità "in assenza del cielo", quindi di assoluti, come penso sia quella che tu vai cercando, presuppone comunque che ogni uomo, l'umanità, abbia questo qualcosa che non è definibile e quindi rischia a sua volta di cadere nelle opinioni teoriche e ricade nella pratiche come individualizzazione come sta accadendo per tute le pratiche.
Insomma la perdita di "assoluti" disintegra le pratiche come "comunità" sociale, perchè manca il cemento culturale.
#1271
ante scriptum: Carlo P. non scoraggiarti, non pensare che tutti la pensino diversamente da te.
L'archetipo se è in noi come umanità  prima o poi traccerà una via di comunicazione: la diversità non è separazione.

Con Kerenyi l'archetipo si sposta dalla psicologia alla storia delle religioni e sociali, si sposta, ma non si discosta.
Kerenyi sostiene che il pieno significato è nel mutamento fra ciò che permane costante.
Verità quasi divine si trovano in alcuni passi dello pseudo-Dionigi L'archetipo per Kerenyi è ciò che dà l'impronta originaria,
vale a dire il principio di ogni impronta successiva.Il significato di base per lui è il "conio", l'impronta.
Anche il silenzio di Dio è una figurazione archetipica. Nelle sue preghiere l'uomo desidera che in qualche modo Dio gli parli.

Per Elemire Zolla l'archetipo si fonda su esperienze metafisiche. Queste permettono all'uomo di rendersi padrone della propria esperienza di vita; un esempio è come viene concepito l'infinito che è una figurazione archetipica riconducibile alla sensibilità umana.L'infinità vera è senza limiti in quanto origine di ogni limite,non è un dato esterno all'esperienza umana,ma risiede nella mente.nelle sue pieghe ancestrali si possono trovare l'idea di una serena caduta nell'oblio, o quella di "dolce naufragare".
L'esperienza metafisica si tradurrebbe nell'arte di concepire se stessi come la totalità dell'universo.L'infinito per Zolla appartiene all'infinito presente che è la dimensione temporale dell'archetipo, in cui l'uomo ha la possibilità d'identificarsi come conoscitore del conosciuto; il passato e il futuro si fondano nel tempo presente in quanto tempo della conoscenza.
Per Zolla gli archetipi sono sia campi di energia psichica,sia unità di misura della sensibilità umana: alla sfera del sacro si ricorreva per determinare l'ordinamento.

Jung, Kerenyi, Zolla non possono esimersi dal fare i conti con Platone.
Non va confusi l'archetipo con il mito.
Secondo le più recenti teorie e largamente condivise il mito è un racconto di verità, seppure rivestito di simboli.
Gli archetipi non si ricavano con il tempo, semmai lo fanno i miti attraverso la mitopoiesi che riporta il fatto attuale al modello archetipico.
La definizione junghiana di archetipo è quella che si attaglia meglio al mito, con i "resti archeologici" della memoria collettiva che non emergono solo con il sonno,ma anche nella veglia come simbolo che assurge dalla realtà  anche con l'estasi religiosa, o di trance sciamanica .
L'idea di Dio è l'archetipo per eccellenza.
#1272
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 14:52:53 PM
Carlo P.,
premetto che quello che pensi non è così tanto distante  da come la penso io.

Certo che il problema è fra i domini, fra ciò che fu denominato empirico e metafisico.
Ciò che inizialmente fu scienza era metafisica ,il metodo razionale passò dal dominio metafisco a quello empirico con l'umanesimo e divenne scienza moderna. Così si è diamettralmente spostato il concetto di verità, che inizialmente era nel "soprasensibile", oggi è più sul "sensibile".

L'errore di coloro che pensano di non essere metafisici, è di utilizzare le forme e le figure della metafisica anche inconsapevolemente nel mondo dell'esistenza, della fisicità.
L'errore del metafisico è non relazionare i domini della natura e del pensiero.

Come tu saprai Jung arriva all'archetipo per osservazione dell sue analisi su pazienti.
Trovò che i simboli espressi dai sogni di alcuni suoi pazienti non corrispondevano al dominio della esperienza del loro  vissuto, quindi erano come degli "apriori" psichici atavici, arcaici e fortemente originari , ma soprattutto comuni ad ogni umano e lo scoprì vedendo la coincidenza dei simboli sognati dai pazienti, con i simboli arcaici, atavici, ancestrali delle culture  originarie antiche.

L'archetipo junghiano si può criticare dal punto di vista interpretativo che lui stesso dà sulle culture storiche, ma non sul fatto che esista.
Ed è quì la sua forza razionale, è innegabile l'evidenza, così come il sole appare ogni giorno ad Est.
Chi nega ciò si pone nello scetticismo ingenuo, di chi vive e non sa se respira, di chi nega anche ciò che lui stesso fa, come il pensare. quindi vive la sua stessa contraddizione negando ciò che il suo stesso pensiero nega.
Ricapitolando ,la forza del pensiero dell'archetipo junghiano poggia sul fatto che i simboli sognati non appartenevano al dominio dell'esperienza, del divenire ,del vissuto, ma erano "prima", erano premessa stessa della conoscenza, vale adire un sapere trasmesso prima ancora di conoscere. Ed è per questo che Jung ne rimane "ammaliato" come te, c'è qualcosa di abissale e profondo nell'uomo che appartiene ad un origine. Solo dopo Jung collegherà quei simboli alle culture antiche  e alla modernità.

Il problema è quindi su cosa poggia l'astrazione, su quale esperienza, vissuto, cultura, simboli, segni.
E' qui che sta la dimostrazione, che non è più "percettiva fisica", ma è ormai divenuta mentale ed è quì che comporta il ragionamento logico, che non è contrapposizione di cose, ad esempio di Dio o di un sasso, ma di come si arriva a pensare Dio, di come si arriva a pensare all'archetipo, di come a sua volta l'archetipo viene recepito dalle culture.E' il ragionamento che deve "filare".

Tu contrapponi figure metafisiche,ontologiche  ma se non mostri come il tuo ragionamento vi è arrivato, rischi di contrapporti in continuazione  e smetti di comunicare. Il tuo ,a mio modesto parere, è un errore comunicativo di metodo prima ancora che di contenuto.

Ad esempio "l'Uno", il principio fra unità e molteplicità.
Metaforicamente io immagino che il piano della nostra conoscenza sia come il serpente che si avvolge al bastone nel caduceo: dal livello più basso del sensibile si passa via via ai livelli sempre più astratti fino all'unità originaria e di nuovo si verifica il proprio ragionamento dall' unità alla molteplicità.
Personalmente ritengo che debba essere "sostenibile"razionalmente  il processo che relaziona l'Essere all'Esistenza, perchè ad un certo punto dei livelli il pensiero si astrae completamente ed è proprio quì che nasce il problema fra il metafisico e la cultura contemporanea.
Si esce dalle prassi ,dalle pragmatiche e si entra nella pura teoretica e se quest'ultima non risponde alle istanze che l'esistenza gli pone rischia di essere avulsa, sterile .

Non entrare " a gamba tesa" su tutto  ciò che non è contemplato dalla nostre personali menti , non arroghiamoci mai un diritto di verità che sta sopra le teste dei nostri simili. L'ascolto, anche sforzarci di capire autori diversi da come la pensiamo ,possono nascondere a lor volta verità inaspettate, qualcosa per cui valga la pena riflettere .Il dialogo è in sè dialettica .
Korzybski dice anche cose interessanti fra cui quella di non "ingessare" il pensiero, costruire rigidità linguistiche può a sua volta influire sulla rigidità di come noi pensiamo  e osserviamo il mondo.
#1273
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 12:55:29 PM
Citazione di: green demetr il 07 Settembre 2017, 10:43:16 AM
cit Paul

Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di  dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.


Ciao Paul, scusa se mi intrometto, ma questo periodo non l'ho capito io  :P

Premesso che devo leggere ancora il topic di Carlo sulla complementarità fisica.
Premesso che anch'io sono d'accordo che L'Archetipo ha funzione dall'alto verso il basso.
E che il basso è il lavoro che ritorna all'alto, che ri-funziona verso il basso etc..
E infine premesso che a mio parere è questione psichica extra-soggettiva, e non fisica.
Ma accettando che esista questa unione fisico-spirituale.

ORa La domanda (che rispetto alle premesse forse è un pò secca, ma testimonia solo che per il resto ti ho seguito, e concordo in linea generale).  ;)

La assolutezza è dunque un principio: ma NON ho capito se è un principio FISICO o come presumo visto lo svolgimento è un principio LINGUISTICO?
E' un principio cosiddetto metafisico, è il livello più alto dell'astrazione e presuppone per forza che l'uomo abbia "un apriori", poichè diversamente ,nulla potremmo dire nè del pensiero e di tutto ciò che ne comporta: dalla matematica alle regole logiche.
vale a dire, non possiamo negare ciò che altrettanto si mostra evidente  quanto un sasso fisicamente , la capacità linguistica umana la capacità di pensiero.

Un conto è dire: stiamo attenti a come costruiamo l'idea di Dio", di "uno", di"essere", e l'altro conto è "pensare di non pensare" che quindi è lo stesso pensiero che costruisce relazioni fra il concreto(il mondo fenomenico) e l'astratto(il pensiero che "cattura" il fenomeno e lo organizza mentalmente e razionalmente)
#1274
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 09:29:51 AM
Il metafisico o il relativo hanno poco senso come separazione filosofica, perchè la ver arazionalità unisce nel pensiero delle forme le sostanze, tende ad unire l'Essere come concetto astratto ed eterno e il divenire.

A mio parere personale tu hai capito bene l'archetipo attraverso Jung ( in forza del tuo vissuto, de ltu osogno), che è "un residuo arcaico", l'origine".Quello che hai compiuto dopo il tuo sogno, è capire se era solo un sogno a sè "in sè e per sè" ,oppure fosse relazionato a qualcosa.Hai studiato e hai capito che l'archetipo è l'origine che si manifesta nel simbolo e appartiene tout court a tutta la'umanità.
A mio parere questo è vero.

Il procedimento mentale del pensiero che dal tuo sogno ha costruito delle relazioni razionali ha proceduto per sillogismi,
Quest'ultimo si applica nel movimento sia deduttivo che induttivo.
Quando ad esempio dall'archè, dall'origine, dall'Uno ,da Dio noi "scendiamo" dai livelli astratti del pensiero(che sono più livelli) fino alle cose fisiche materiali che troviamo nell'esistenza, non facciamo altro che continuare a confrontare  il pensiero astratto e il fenomeno materiale.
Il movimento induttivo è rovesciato rispetto a quello deduttivo, si muove dal particolare del mondo fisico dell'esistenza e sale fino al principio "unico" all'archè, ecc.  Quindi dalle semplici percezioni sensoriali dentro il dominio del sensibile, passa al dominio dell'astratto e questo è possible grazie a l linguaggio e alle regole sintattiche e semantiche (questo è il motivo per cui ritengo identità, terzo escluso, principio di non contraddizione, per dire solo delle regole aristoteliche della predicazione, regole della forma relazionale e non sostanza del pensiero).

Il linguaggio ha questa straordinaria prerogativa, di collegare il percepito sensoriale dentro la forma del pensiero e a sua volta il pensiero di potersi "ri-pensare" e in quanto tale di elevare il pensiero a più livelli di "astrazione".

La problematicità che emerge in molte discussioni, è che ciò che percepiamo è comune e quindi facilmente comunicabile e confrontabile. Se parliamo di un sasso, saranno sfumature a non trovarci d'accordo.
Ma se parliamo di Dio, dell'archetipo ,di metafisica, quì il livello del pensiero è diventato astratto rispetto al sasso e quindi iniziano i problemi di "dimostrazione", "giustificazione" che non possono essere scienza fisica/percettiva sensoriale, del vedere con gli occhi,
ma del vedere con il pensiero, con l'anima.

Quindi sono pienamente d'accordo con Phil che il procedimento razionale si muove a doppio movimento dall'uno al molteplice e dal molteplice all'uno e sono complementari, aggiungo io. Quanto più c isi allontana dal dominio fisico naturale e il pensiero si astrae e tanto più il livello di astrazione superiore deve essere relazionato ai livelli inferiori

Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di  dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.

Quindi ciò che esprime Korzybski è la manifestazione linguistica, non è il mattone.
Se lui tratta il termine "essere" come semplice verbo ausiliario e sappiamo che i logici ne fanno problematicità fra la forma copulativa, fra il "nominativo", fra i l"predicativo" ,fra il"genitivo", ecc., porta il pensiero nel dominio della relazione linguistica, della semplice parola, perdendo il segno relazionato  al significato, il simbolo.
#1275
Tematiche Filosofiche / Re:Essere o non essere
07 Settembre 2017, 00:12:27 AM
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 17:25:36 PM
@green demetr
Abbozzo risposte sintetiche, ma su ognuna si potrebbe fare una tesi di laurea  ;D

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
Nessuna tranquillità: ogni livello aggiunge complessità, possibili errori (logici o contenutistici) e deve rendere conto sempre di più fattori sottostanti... il livello sottostante sollecità il sovrastante, ponendo questioni che il sovrastante deve tentare di risolvere senza schiacciare il sottostante e senza sostituirsi ad esso... se l'architettura teoretica non è solida, si può arrivare al punto in cui tutto va distrutto e si deve ricominciare dal piano terra (ma possono anche essere calamità esterne a far crollare il palazzo  ;) ).
Chiaramente, il punto critico (in tutti i sensi) è proprio il passaggio da un livello all'altro.

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
Dal basso "testuale" (meta-discorso) verso l'alto della prima riga ("mondo fisico") per controllare la fondatezza e la coerenza dell'ingegneria metodologica; dall'alto verso il basso, per controllare la comunicazione fra i piani e la completezza. Per verificarla nel suo complesso, invece... bisogna fare su e giù con l'ascensore! ;D

Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Il soggetto è trasversale, o meglio, è la colonna portante che attraversa e raccorda tutti i livelli: dal mondo fisico (da non sottovalutare, come ci spiega la linguistica cognitiva) a quello più meta-concettuale interpretativo.
esatto Phil ed è strano che Carlo P. non capisca .......e mi spiego.

L'Essere è un concetto statico e non a caso nella nostra lingua è il tempo infinito del verbo essere.
L'esistenza è un concetto dinamico.
Carlo P: se l'archetipo è l'eco originario che si mostra ,ma subito si nasconde per fare apparire il simbolo, ,quell'archetipo è il movimento dell'essere. Puoi fare il movimento dialettico a discendere utilizzando i sillogismi nel movimento astratto a discendere dal più altro livello a quello più basso.Quando il simbolo diventa segno nella storia e nella forma del mito il livello man mano discende fino alla concretezza della realtà fisica da cui riparte il movimento dinamico sillogistico induttivo.
I due movimenti a scendere (deduttivo) dall'astratto al concreto, dall'Uno (o essere) al molteplice dei particolari deve collegare razionalmente da una parte la forma linguistica nella correttezza azionale  e con sè porta le sostanze del mondo sensibile, la fisicità delle cose del mondo .I nostri concetti sono l'incontro fra la forma e la sostanza, fra il linguaggio  e la realtà sensibile percettiva. ciò che ci "convince" o "non ci convince" sono la riflessione del pensiero che inserisce un concetto nel doppio movimento del conoscere.Il processo è dialettico quanto la complementarietà, come la dualità, perchè è la sintesi che diventa concetto fra l'analisi della relazione astratto e concreto.Se noi lasciamo solo l'astratto o il concreto, il pensiero si blocca all'"in sè e per sè" come fosse un semplice inventario di idee e pensieri come di cose e fatti del mondo che non producono significati e senso e allora non comprendiamo quel pensiero o quella cosa fisica o fenomeno, perchè non è contemplato, nel senso di relazionato "catturato" dentro il processo razionale della costruzione concettuale.