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Messaggi - Apeiron

#1261
Percorsi ed Esperienze / Re:Crisi esistenziale
13 Ottobre 2016, 17:44:38 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Ottobre 2016, 12:01:11 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Ottobre 2016, 09:49:55 AMGrazie altamarea, Quello che dici (e quello che dice anche Martha Medeiros) è vero. Certamente dovrò riuscire a superare questa crisi andando per la mia strada. Tuttavia la mia strada è, se vuoi, molto "originale" o meglio molto "solitaria"/"unica". Il punto è che a percorrerla sarei proprio da solo. Quindi il mio dilemma è il seguente: non ho idea di quanto sono "valido" a fare quello che voglio fare eppure so che non mi soddisfacerebbe nient'altro. La mia scelta in sostanza è tra una vita "pericolosa" e piena d'ansia a una che non mi soddisfacerebbe. Detto questo non sono d'accordo che sia un "dovere" essere contenti, dovrebbe essere un diritto. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione e dalla competitività il sorriso lo ha sempre "chi vince". Su ciò non sono d'accordo, eppure non vedo nient'altro che questo. Ritengo poi che tutta l'arte, o almeno gran parte di essa, nasca dall'infelicità e dall'insoddisfazione della "vita ordinaria". Anche perchè la condizione umana è questa: siamo in un mondo che è dominato da lotta e competizione e allo stesso tempo abbiamo una coscienza che ci dice che dovremo comportarci "bene", non sapendo mai cosa realmente significhi ciò. Quindi la mia domanda è: in un mondo dominato dalla competizione e dalla contingenza come vi comportereste se avete in mente due ideali: (1) riuscire a concludere qualcosa, (2) riuscire a rimanere un persona "moralmente decente". L'esperienza ci insegna che (1) & (2) non sempre vanno d'accordo.
Penso che ognuno di noi deve , un pò alla volta, ché non si tratta di un percorso agevole, realizzare la sua eventuale adeguatezza al mondo. Se non possediamo un carattere competitivo, non ci interessa primeggiare sugli altri, né con il potere , né con l'autorità, né con il denaro, ma si ritiene che si possa trovare un pò di serenità nella vita ( la felicità è fatta di momenti , attimi, non è una condizione duratura...per nessuno!) dedicandoci a quello che ci interessa e che in parte è una spinta insopprimile, ci si dovrebbe , a parer mio, rivolgere a questo con passione e dedizione. Questo non significa viverlo come una sorta di sconfitta , come un " mi dedico alla filosofia, o all'arte, perché sono troppo imbranato per combinare qualcosa nel mondo" ( questo rivelerebbe in realtà che è proprio il giudizio su di noi del mondo che ci interessa), ma come un assecondare la propria natura, arrivando ad amarla, o meno prosaicamente nel "trovarvi pace". "Concludere qualcosa" e "moralmente decente" sono definizioni che assumono un significato se ci confrontiamo proprio con quel mondo che noi riteniamo ci ritenga imbranati ( nessuno di noi pensa di esserlo se non si paragona erroneamente con gli altri). Ottenere un risultato è, per il mondo, un percorso fatto di competizione. Moralmente accettabile è una valutazione convenzionale umana se inteso come "moralmente accettabile per la società in cui mi ritrovo a vivere". I veri risultati e la vera etica morale risiedono in noi e non hanno nulla a che fare con il mondo, se non per come potremmo apparire per altri ( ma le loro idee su di noi ci riguardano fino ad un certo punto...). Bisogna però essere pure , in una certa misura, pragmatici. Consapevoli che i soldi servono per vivere, o sopravvivere dignitosamente ( del cibo, un tetto, dei vestiti sono necessari...) e quindi operare "anche" per procurarmi il necessario, ma con il nostro cuore non completamente schiavo di questa necessità e della sua infinita e inappagabile moltiplicazione, che vediamo dispiegarsi come autentica forza motrice della società odierna ( e forse di ogni tempo).

Lo spirito competitivo è necessario ahimé per tutti, perfino per chi vuole "andare fuori dal mondo". Io ho sempre visto la verità del fatto che "la vita è sfida" non come una bella cosa come ci vorrebbero far credere quelli che dicono "cavalca il cambiamento". No, questa verità è una verità terribile. Detto questo se si vuole però riuscire a raggiungere un qualche obbiettivo anche quello della realizzazione spirituale si deve combattere e quindi soffrire. Il mio problema, credo, è quello di una mancanza di "energia vitale" che specialmente si manifesterà nella penosità con cui dovrò faticare nelle banalità quotidiane.  Per il resto sono d'accordissimo con te. Fammi precisare che tuttavia il mio "essere decente" non vuole essere un giudizio relativo di valore ma per quanto possibile assoluto seguendo la più profonda coscienza presente in ognuno di noi.
Curiosità: Visto che sei perlomeno interessato al buddismo, come vivi col "samvega" buddista www.accesstoinsight.org/lib/authors/thanissaro/affirming.html (rispondi solo se ritieni che non sia troppo personale), sapendo che per questa religione la vita che non viene spesa per provare a raggiungere il Nirvana è "dukkha"? (per la cronaca non sono buddista ma agnostico, è che ammiro la chiarezza con cui 2000 anni questa religione esplorava i problemi esistenziali)

Citazione di: roberta il 13 Ottobre 2016, 12:16:59 PMProvare ad essere contenti, non dico felici, è un diritto, ma soprattutto un dovere per non morire spiritualmente, lentamente.... scusate scusate non riesco citare e sono pigra metter gli occhiali. oh che pesante hihihi, questa frase di Altamarea, che bel nick, è bella. ed è così vera. io spesso, soprattutto quando sono a passeggio col cane, mi prendono dei momenti di magone incredibile, credo sia essere soli nel silenzio con la natura che parla... e mi ritrovo a dirmi e a parlare con gli angeli che invoco sempre piu' spesso, e allora comincio ad abbozzare un sorriso e a ripetere Grazie come un mantra. E per quanto mi riguarda anche far finta di essere sani >>> https://www.youtube.com/watch?v=-iVjYomOJRQ

Non sono invece per nulla d'accordo col fatto che è dovere essere felici per il motivo che dici nell'ultima frase: perchè la felicità imposta per "dovere" è una felicità finta, una finzione di essere sani. Io lo ammetto: non sono sano. Tuttavia nella vita di tutti i giorni dobbiamo mascherare i nostri problemi. Nessuno infatti è a suo agio con uno depresso da quello che ho visto. Quindi si DEVE fingere. Così come mi creano disgusto i tentativi di "aiuto" di chi dice "abbraccia il cambiamento" o "vivi il momento..." o "c'è gente messa peggio di te" o "sei egoista"...

Detto questo non voglio dire di essere necessariamente in disaccordo con Altamarea in quanto se vogliamo sono spinto dallo stesso "voler" essere felice.
#1262
Presentazione nuovi iscritti / Re:ciao a tutti!
13 Ottobre 2016, 09:55:17 AM
Ciao Roberta,

come te sono un novellino e inoltre sono "pieno di problemi". Non spaventarti se non hai una "solida cultura" alle spalle, non è necessaria. Ti consiglio però di scrivere e non solo leggere per tre motivi: (1) condividendo un problema, per mia esperienza, rendi felice te (perchè ti togli un peso) e gli altri (d'altronde l'amicizia, anche solo virtuale su cosa si fonda?) (2) è l'unico allenamento per imparare a riflettere meglio (3) se anche sbagli non c'è nessun problema, visto che è il posto adatto per conversare e imparare.
#1263
Percorsi ed Esperienze / Re:Crisi esistenziale
13 Ottobre 2016, 09:49:55 AM
Grazie altamarea,

Quello che dici (e quello che dice anche Martha Medeiros) è vero. Certamente dovrò riuscire a superare questa crisi andando per la mia strada. Tuttavia la mia strada è, se vuoi, molto "originale" o meglio molto "solitaria"/"unica". Il punto è che a percorrerla sarei proprio da solo. Quindi il mio dilemma è il seguente: non ho idea di quanto sono "valido" a fare quello che voglio fare eppure so che non mi soddisfacerebbe nient'altro. La mia scelta in sostanza è tra una vita "pericolosa" e piena d'ansia a una che non mi soddisfacerebbe.

Detto questo non sono d'accordo che sia un "dovere" essere contenti, dovrebbe essere un diritto. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione e dalla competitività il sorriso lo ha sempre "chi vince". Su ciò non sono d'accordo, eppure non vedo nient'altro che questo. Ritengo poi che tutta l'arte, o almeno gran parte di essa, nasca dall'infelicità e dall'insoddisfazione della "vita ordinaria". Anche perchè la condizione umana è questa: siamo in un mondo che è dominato da lotta e competizione e allo stesso tempo abbiamo una coscienza che ci dice che dovremo comportarci "bene", non sapendo mai cosa realmente significhi ciò.

Quindi la mia domanda è: in un mondo dominato dalla competizione e dalla contingenza come vi comportereste se avete in mente due ideali: (1) riuscire a concludere qualcosa, (2) riuscire a rimanere un persona "moralmente decente". L'esperienza ci insegna che (1) & (2) non sempre vanno d'accordo.
#1264
Percorsi ed Esperienze / Re:Crisi esistenziale
12 Ottobre 2016, 19:18:36 PM
Dimenticavo: vorrei eliminare tutti i pensieri di avversione che ho. So che non ci dovrebbero essere. Eppure ho pensieri di disprezzo, odio, non-accettazione, invidia ecc. Vorrei riuscire semplicemente a liberarmi di questa zavorra.
#1265
Percorsi ed Esperienze / Crisi esistenziale
12 Ottobre 2016, 19:16:46 PM
Come da titolo volevo condividere con voi la mia situazione esistenziale. Sono sempre stato una persona timida, introversa e completamente inetta nella vita quotidiana. Sono abbastanza inetto nel comprendere le relazioni interpersonali e le banalità della vita quotidiana a volte mi pesano un macigno. Questo è il background ed è forse la causa del fatto che mi sono spinto alla filosofia e alla scienza. Detto ciò questa è la mia situazione.

(1) Sono terrorizzato dalla intrinseca contingenza della vita. Sono consapevole che mi può capitare di tutto, che i miei sogni si possono infrangere, che posso morire da un momento all'altro ecc;
(2) Vorrei che la mia propensione filosofica fosse utile anche per le altre persone, però la mia totale incapacità nella vita quotidiana non aiuta. Non so come in sostanza fare in modo che il mio talento sia utile;
(3) Sono continuamente in dubbio se appunto la ricerca interiore sia in realtà utile o sia una semplice "perdita di tempo". Vedo persone molto più intelligenti e molto più funzionali nella società di me che trascurano completamente questa dimensione;
(4) Sono poi cosciente del rischio (economico, mentale...) che mi pone la scelta di vita "da filosofo" sia per me che per i miei cari. Quello che mi chiedo è "sono pazzo a pensare che ne valga la pena"? E inoltre ho una spinta a pensare che non riesco in ogni modo a fermare. Inoltre in prospettiva sarebbe l'unica vita che mi renderebbe felice. Il problema è che vedo "ostacoli" ovunque, oltre che un generale disinteresse per questi argomenti.
(5) Cerco di trovare una risposta alle domande etiche ed epistemologiche più profonde ma in caso queste non ci siano allora l'intera mia vita sarebbe per così dire "sprecata";
(6) Il mio essere imbranato nella vita quotidiana mi rende inutile "materialmente" per le altre persone;

Immagino che anche a voi saranno capitati pensieri simili, come li gestite?

In sostanza mi sento piccolo, debole e tremolante. Non vorrei anche essere in tutto questo "pazzo". Mi sento un estraneo rispetto a questo mondo e a quest'epoca. Però non pensate che sia un completo eremita o un asociale, non lo sono.

L'unica consolazione che riesco a trovare sono parole come quelle di Pascal:
"L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale".
#1266
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 23:42:18 PML'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me. Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è totalmente indipendente concettualmente. In ogni caso sono d'accordo che nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :) Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso. Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.

Voglio fare alcune precisazione. Mi sono espresso male in quanto ho scritto di fretta ieri (ci sono anche alcuni errori nell'italiano, per i quali mi scuso, che non riesco a modificare). La similitudine della schiuma non vuole dire che "la molteplicità è apparente ma dietro c'è un'unità", quello che vuole dire è che quelle che noi designamo come "cose" sono enti convenzionali, non assoluti (non so dire se abbia senso considerare "l'universo"/"il multiverso"/l'insieme di ciò che esiste come una "cosa sola"). Non essendo in realtà seprarabili concettualmente dal resto sono "senza essenza". D'altronde a mio giudizio una cosa è tanto più reale quanto è più concepibile come distinta da altro. Ciò che ha sostanza/essenza gode di un'indipendenza concettuale.

Ad esempio in fisica si fa l'astrazione di considerare il corpo che scende sul piano inclinato come assolutamente separato dal piano inclinato. Tuttavia non è così. Certamente è utile ma è convenzionale si basa su assiomi che abbiamo scelto noi. La mia posizione non è così distante da quelle di Sariputra e sgiombo. Quello che facciamo per "vivere" è farci una mappa del mondo, eticchettando continuamente le cose come se fossero distinte, tuttavia dobbiamo riconoscere che tali mappe sono arbitrarie (seppur utilissime). Allo stesso modo per il discorso delle "entità composte" queste hanno un motivo per essere inessenziali: (*) a differenza del "Tutto" le cose composte che si trovano nella realtà sono inserite nel mondo e quindi possono essere viste a loro volta come parti. Sono perciò "pseudo-entità", entità che "vediamo noi" perchè rappresentiamo la realtà in un certo modo. Notare che  (*) è ciò che veramente distingue l'idea di "tavolo" dal "tavolo nella realtà". Se non ci fosse questa condizione ovvia il tavolo sarebbe incondizionato e quindi avrebbe una propria "essenza" ma così  non è (non a caso fu per questo motivo che Platone pensò all'Iperuranio). A differenza del tavolo reale quello concettuale puoi anche considerarlo come un tutt'uno, cioè ti puoi "dimenticare" che è composto da parti. Nella realtà non puoi farlo.
#1267
Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)

Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...

"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".

queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%

qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html


Sotto questo punto di vista sono agnostico (epistemologicamente), personalmente credo che ci sia un Assoluto ma lo concepisco in modo diverso da come è tradizionalmente concepito il Dio cristiano. Per il problema dell'origine della materia... Potrebbe non aver mai avuto origine.
"Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein) - Il fatto che "c'è qualcosa anzichè nulla" è un problema insolubile con la ragione. Personalmente per onestà intellettuale non lo so. Ogniuno ha la sua risposta, l'importante è avere il "senso del mistico/mistero (usando un termine meno "religioso" ma col medesimo significato)" davanti all'esistenza.
#1268
Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 23:17:08 PMAperion, cosa non è discutibile, soggetto ad arbitrio? L'essenza dal punto di vista storico filosofico, ha avuto essa stessa alterne vicende e definizioni da Aristotele alla contemporaneità. Quindi bisogna intendersi cosa si intende per essenza, perchè può aiutare a capire le relazioni fra parti e unità. Non dimentichiamoci, che noi umani se siamo contingenti nel divenire, siamo agenti epistemologici e questo creerebbe un paradosso.Noi siamo esseri finiti eppure definiamo l'infinito e l'eterno.Significa che non è l'ontologia a relegare l'epistemologia a limitarla.

L'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me.
Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è totalmente indipendente concettualmente.

In ogni caso sono d'accordo che nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :)

Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso.

Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.
#1269
Citazione di: Jean il 11 Ottobre 2016, 20:57:09 PMUn uomo di novant'anni va dal medico e dice:"Dottore, la mia mogliettina diciottenne aspetta un bambino". Il dottore replica:"Lasci che le racconti una storia. Un uomo va a caccia, ma invece del fucile si porta dietro per sbaglio l'ombrello. All'improvviso, viene attaccato da un orso. Imbraccia l'ombrello, spara e lo uccide". L'uomo dice:" Impossibile. Dev'essere stato qualcun altro a sparare all'orso". Il dottore risponde:" E' proprio quello che volevo dire!". ... e per analogia, mi vuol dire che mia moglie... Beh, volevo invitarla a considerare la faccenda... Dottore, l'avevo già considerata... ma mi ha interrotto con la sua storiella... Ah... nel qual caso mi scusi... cos'altro voleva dirmi? Che non m'importa chi sia il cacciatore... m'importa di me, per quel che mi resta da vivere... Mi scusi, non capisco... Ho vissuto così a lungo (lo auguro anche a lei) da capire che voler andare sempre in profondità, sviscerare i problemi, arrovellarsi con le cause ecc. ... non son più attività che mi interessano...   ... punti di vista, priorità... cosa le interessa allora? ... ovvio, se son venuto da lei... Continuo a non comprendere... Vorrei sapere se son malato, magari di testa, ad accettare quello che mi succede, dopo essermi sposato... ben lo so, solo per interesse... Lo dice lei, interesse... ma riguardo a problemi fisici o di "testa" non ne ravviso di particolarmente seri in lei, considerata l'età. Già, bisogna sempre considerare l'età, vero? Vero, se lei è contento così è affar suo... Lei non sarebbe contento di vedere ogni giorno il sorriso di una giovane? ... se lo facesse per calcolo no davvero... E dica, preferirebbe non saperlo? No anche in questo caso... è sempre preferibile conoscere la verità. ... lei è sposato, dottore? Certo... perché? ... presumo che non abbia dubbi... Si figuri, ancora no, di sicuro! ... neanch'io... infatti so la verità... lei davvero la sa? [/i] Cordialmente Jean 

Bella storia, così come era bello il post inziale anche se non l'ho detto. Non li commento perchè ognuno ha la sua prospettiva:) 

D'altronde dire prima "ridere" poi "filosofare" è filosofare  :)  e mi pare che un grande problema sia proprio quello che adesso tutti pensano a "ridere" e poco a "filosofare". Le cose che sono più grandi nell'uomo sono (1) la capacità di riflettere (conoscenza) (2) il provare e fare agire la compassione (etica), cosa che secondo me dipende dalla riflessione. Vorrei arrivare a 90 anni (se mai ci arriverò  ;D )  dopo aver speso una vita in cui ho cercato di dar più valore alle cose che ritengo essere più importanti.

"L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale". (Pascal)
#1270
Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 13:37:29 PMAperion, una unità, che è composta da parti ha intrinsecamente proprietà che non sono date dalle parti. Una casa è composta da mattoni, la matematica è composta da numeri, le frasi le componiamo da un alfabeto. Non è riducendo la casa al mattone che noi relazioniamo le proprietà e e le caratteristiche della casa diverse dal mattone, così come un numero non è solo l'1 o l'alfabeto solo la a. la composizione è ovvio che costruisce complessità e quindi categorie ontologiche che tu stesso hai diviso ,ma proprio perchè sai le differenze relazionali. Non è riducendo all'atomos alla tavola degli elementi chimico/fisici che noi troviamo le proprietà degli acidi o dei metalli e così via. Dobbiamo tenere presente proprietà e caratteristiche di un ente ,oggetto affinchè il moviment odelal conoscenza a discendere e a salire, induttivo e deduttivo trovino significati .L'essenza non è propriamente l'infitesimamente piccolo non suddividibile. Perchè se il Tutto fosse solo la scomposizione infinita di positroni, stringhe, quark, non ci dice nulla del mondo, del perchè si formano meteore invece di pianeti, stelle, galassie senza intervento umano. E' la natura stessa che esige per essere conosciuta la relazione fra una stringa atomica e la galassia, così come un mitocondrio cellulare, o una gamba invece di una testa umana. In altre parole, non è ponendosi metafisicamente che riesco ad eludere il fatto che una casa esiste, una frase, dei numeri esitano e ogni unità abbia proprietà, caratteristiche che lo differenziano da altre ontologicamente. Tu dici che la contingenza e il divenire fanno sì che le parti siano più importanti dell'unità complessa, ma quell'atomo di idrogeno che oggi compone un corpo umano, domani potrà comporre un acido inorganico, chi conosce il viaggio delle composizioni dell'infinitesimamente piccolo? Un uomo fin quando è ritenuto lo stesso uomo anche nel divenire? Oppure moriamo e rinasciamo ogni attimo? Forse è i lricordo o la memoria a darci identità, ma anche un cane o l'antilope sono le stesse dalla nascita alla morte. Poni una categorizzazione filosfica, ma dimentichiamo che la mereologia ha il compito come teoria di supportare la conoscenza come strumento di indagine

Non sono necessariamente in disaccordo con te. Sono in realtà d'accordo sull'utilità pratica della mereologia (e ci mancherebbe...). Tuttavia pensa all'esempio dell'attrito: diciamo che per camminare risentiamo della "forza d'attrito". Macroscopicamente si comporta proprio come un'interazione come ad esempio la gravità. Però più indaghi e più scopri che in realtà è una proprietà emergente e non fondamentale della realtà: le forze fondamentali sono per quanto ne sappiamo ora 4, l'attrito non è che una composizione di queste 4. perciò non ha un'identità "propria" o un'"essenza". Oppure pensa alla tensione superficiale di un liquido. Di nuovo è una forza emergente, così come lo è la stessa fase liquida. Ogni fase della materia è di questo tipo. Recentemente si è proposto che la coscienza stessa sia emergente, una sorta di "fase della materia". In tal caso la stessa coscienza (ovviamente non saprei dirti se mi convince pienamente questa idea, visto che mi pare ancora assurdo di avere un'identità personale, una prospettiva unica con cui interagisco col mondo) sarebbe "meno reale" delle "parti". Non dico di "buttare al vento" la mereologia però bisogna conoscere la sua intrinseca (parziale) arbitrarietà. 

Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AMPerò questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.

Molto probabilmente sono condizionato dalla mia formazione da fisico, il cui mestiere è prettamente "analitico" :) . Ho sempre visto la fisica come quella disciplina che tenta di vedere (1) i fondamentali costituente della realtà (2) come (e NON perchè) essi interagiscono. Ora concordo con te che in realtà quello che la fisica ha trovato è che queste stesse "particelle elementari" sono anch'esse "non completamente reali" per il fatto che possono scomparire (in fisica delle particelle nulla è assolutamente indistruttibile. Ad esempio un elettrone è stabile, non decade spontaneamente e non è composto da parti, ma se incontra per strada un positrone "schiatta"). Per questo motivo nessuna cosa contingente è "completamente" reale. Tuttavia queste "entità fondamentali" sono "più reali" degli oggetti che "costruiscono" per i motivi detti in altri post. Poi il discorso è questo: se vuoi analizzare un oggetto meccanico lo rompi e poi vedi come e parti "interagiscono". Il perchè interagiscono nel modo in cui interagiscono non ha una risposta empirica e quindi è pura speculazione.
Citazione di: Sariputra il 11 Ottobre 2016, 01:19:29 AM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:14:48 AM@Sariputra, Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede. Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre: 1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione; 2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni; 3) "non esistenza" Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
Ne abbiamo discusso parecchio in "La nave di Teseo". Sono d'accordo che , tutto ciò che è composto, non ha realtà assoluta ( se per assoluta intendi un'esistere fondato in se stesso, durevole, immutabile, eterno, non dipendente da cause e condizioni), ma nemmeno è privo di realtà ("Qualcosa c'è là fuori" per dirla in parole povere). C'è una realtà , che è però priva di esistenza intrinseca. Possiede un'esistenza dipendente da cause e condizioni, un'esistenza limitata proprio dall'insorgere dipendente. Consideriamo anche che ogni parte di un insieme è a sua volta un insieme di parti. Per es. l'insieme dei miei ricordi fonda il mio senso di continuità personale, ma se andiamo ad analizzare i ricordi vediamo che si trasformano di continuo, tanto che , dopo molto tempo, i confini tra l'esperienza effettiva vissuta e la colorazione che ne dà la mente sfumano. Appare evidente come anche il singolo ricordo è un insieme ( coscienza, fantasia, proiezioni, ecc.) di parti psicologiche. E' come se , dentro un universo, ci fossero innumerevoli altri universi. Dentro una parte, innumerevoli altre parti. Il problema evidente è, per me, che la mente non può concepire,se non intuitivamente o per mezzo dell'espressione artistica, la fluidità e la compenetrazione di questi "universi" negli universi; di questo " esistere senza esistenza propria", apparentemente contradditorio per il pensiero che ha necessità logica di analizzare per parti o per insiemi di parti. Il pensiero però , elaborando nomi, forme e significati agisce all'interno di questo divenire di esistenza-priva-di-esistenza e lo trasforma, attraverso la volontà e la rappresentazione che si fa della sua "parti-colare" percezione di questa esistenza dipendente. Pertanto, come dice Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione". Però se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, sostiene sempre Sch., non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma noi siamo anche corpo: in quanto corpo soffriamo ( di desiderio) e godiamo ( dell'appagamento del desiderio). Ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto che la nostra più intima spinta è la "volontà di vivere": un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi, proprio noi, siamo vita, ovvero "volontà di vivere".

Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
#1271
« Lo sforzo di capire l'universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po' della dignità di una tragedia. » (Steven Weinberg)

A noi la scelta  ::)
#1272
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.


Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
#1273
@Sariputra,
Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede.

Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre:
1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione;
2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni;
3) "non esistenza"

Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
#1274
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 10:30:48 AM@ Apeiron Il nirvana buddhista non può essere inteso come un assoluto concettuale ( come nel caso del Dio filosofico ). Questo per prevenire la deriva metafisica del Dharma stesso ( che purtroppo ha designato, a mio parere, tutta la speculazione mahayanica post-Nagarjuna con il risultato di arrivare quasi a concepire il Buddha come una divinità). Il nirvana è correttamente inteso solo con riferimento al Dolore, di cui ne è l'estinzione. Come dicevamo l'altra sera con Phil, lavando i piatti, il Nirvana è un'esperienza , non un concetto. Concordo con te che è magari il caso di approfondire in altra discussione. :)

Perdonami se non sono d'accordo con questa prospettiva. Secondo me contraddice il buddismo theravada stesso. Vedi: http://www.beyondthenet.net/dhamma/nibbana.html  o anche: http://www.canonepali.net/ud/ud8-3.htm o http://www.canonepali.net/dn/dn_11.htm (il nirvana qui è descritto come "coscienza illimitata, assoluta, ultima")

Comunque già dire che il Nirvana è incondizionato è dire qualcosa di concettuale. Inoltre l'esperienza di chi? Stando all'anatman il nirvana non è l'esperienza di nessuno, ma è semplicemente una "realtà" che non è soggetta a cambiamento. Per questo motivo è una realtà "assoluta" e quindi "assolutamente reale" come dicevo prima io.


Citazione di: Duc in altum! il 10 Ottobre 2016, 10:35:04 AM** scritto da Apeiron:
CitazioneDetto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina.
Ma l'anima del cristianesimo, se s'intende come messaggio di Cristo, è l'amore di Dio, quindi non c'è niente, per chi ci crede, di più totalmente eterno (infatti senza di esso non si sarebbe avuto l'Universo in cui noi esistiamo e possiamo sperimentare il Suo amore e possiamo concepire il concetto di anima e di eterno); se si riferisce all'anima dell'individuo cristiano, essa diviene eterna (nel bene o nel male) dall'attimo in cui l'ovulo accoglie lo spermatozoo.

L'anima dipende da Dio e dal rapporto con Dio. Magari non si distrugge ma può cambiare (altrimenti la Salvezza non potrebbe essere raggiunta). Dio invece è immutabile e quindi "più reale" dell'anima. Se vogliamo lo stato dell'anima è contingente e grazie proprio al fatto che non abbiamo un'identità definita possiamo salvarci secondo il cristianesimo.

Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:55:07 PMEh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.

Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
#1275
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]

Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.

Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.

Citazione di: maral il 09 Ottobre 2016, 20:09:24 PMParte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro. In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere. Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.

Quando avrò più tempo risponderò meglio. Comunque non nego che la nostra mente lavora innatamente con i concetti di parte ed intero. Tuttavia (1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero. Tuttavia l'intero può non essere riducibile alle sue parti, ma ciò non significa che sia "più reale" delle parti. (3) concordo con te che alla fine il come analizziamo la realtà ci dice più su di noi osservatori che sulla realtà stessa.

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AMOggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica. Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica? Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali? Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo". Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità. Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata. P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D

(1) il mio attuale modo di vedere la mente è tipo un software in esecuzione, quindi per forza di cose è possibile che "si esegua" anche su "supporti" diversi rispetto al corpo umano. Se poi tale essere sia lo stesso o no, non saprei dire.
(2) "Sariputra" il tuo nick mi da l'idea che ti affascina il buddismo. Ebbene anche nel buddismo (canone Pali) c'è comunque un Assoluto impersonale, il Nibbana/Nirvana (chiaramente descritto come "non-nato, non soggetto alla morte, incondizionato (indipendente dalle condizioni)" - in questo senso non è poi così diverso da una qualche nozione di "Dio"). Intendo dire che la dottrina dell'Anatta non pregiudica l'esistenza di assoluti - qui si potrebbe aprire un'altra discussione XD.
(3) concordo che in assenza di anima/atman è convenzionale anche l'identità personale.
(4) anche noi dipendiamo da energia e nutrimento perciò non siamo molto più "reali" dell'amico virtuale :D