Citazione di: Kobayashi il 16 Febbraio 2023, 08:51:20 AMPenso che si tratti solo della fase iniziale, poi viene la consapevolezza di essere, come gli altri, "portatore" del divino.Penso che il tema della comunità che viene dalla sofferenza dell'umanità è il tema stesso della Bibbia.
In ottica cristiana Giovanni Vannucci scriveva: "Attesa da millenni, preannunciata da generazioni di ispirati, la Parola ha costruito la sua dimora in Cristo [...] , punto di comunione tra la luce divina e la densità terrestre, il ponte benedetto dell'incontro tra la materia e lo spirito".
L'emergere di questo "punto di comunione" io me lo immagino come una specie di processo straziante, viscerale, ma necessario (perché verso il suo compimento siamo richiamati da mille segnali), sempre sul punto di regredire.
"Attraverso il ponte che riunisce l'abisso divino all'abisso umano, la silenziosa ed operosa presenza della Parola giunge e si espande su tutta l'umanità. Dio è in noi, l'immenso mistero dimora nella carne umana".
"[...] Dio è in noi, non in pochi privilegiati, ma in ognuno. È in noi nonostante le bassezze, le opacità, le perversioni, gli istinti confusi della nostra natura".
"La più esigente necessità, dopo l'Incarnazione, è accoglierlo [...]. L'ignorarlo od il sopprimerlo è la causa delle più dure sofferenze".
E conclude Vannucci descrivendo come la consapevolezza di questa presenza renda i nostri affetti universali. L'affinità è ora rivolta verso il tutto, verso l'unità dell'umanità.
A mio parere però non è così ovvio questo processo verso l'universale. Non si può semplicemente riprendere la dedizione greca (e poi cristiana) al logos universale, le nostre esigenze di introspezione così finemente trattate dalla letteratura degli ultimi due secoli e studiate da psicoanalisi ed esistenzialismo non possono semplicemente essere messe da parte come materiale di scarto.
Voglio dire: questo tema, quello della mistica greca dell'Uno (che poi ha attraversato tutta la nostra cultura fino a Hegel), la quale parte dall'ascesa dell'eros individuale verso l'universale, l'eterno, un processo quindi alimentato dalla purificazione dal contingente psicologico, da ciò che è più soggettivo, è un tema problematico...
Capire le bassezze a cui l'umanità giunge, comprese l'affibiazione della colpa a un Dio che chiaramente non esiste, delle colpe morali dell'uno verso l'altro.
Riprendendo un attimo le intuizioni che mi venivano dal Genesi, e poi dall'Esodo.
Il popolo che attraversa il deserto è il tema che anche Nietzche pone come preambolo a ogni futuro pensiero della comunità.
Il compito è la custodia delle LEGGI, ossia della Bibbia stessa in versione più allargata.
Quando si dice non avrai altro Dio che me, si DEVE intendere che non avrai altro scopo nella vita che ricordare quanto male l'uomo fa all'altro uomo.
E' l'esatto opposto di quanto ci è stato insegnato, e per cui rimaniamo in uno stato perennemente infantile, in cui vi è un Dio che perdona.
Il Dio biblico è da leggere esattamente al contrario.
E' un Dio che è metafora della colpa che ogni uomo porta verso un altro uomo solo per quell'infinito numero di nefandezze a cui egli sceglie di porre fondamento come sua esistenza, e di cui appunto la bibbia non è altro che un resoconto.
A questo resoconto vi si contrappone naturalmente un ethos, ossia appunto al comunità stessa.
La comunità che faccia a meno di DIO è la futura comunità della reciproca consapevolezza di quanto noi possiamo essere bestie.
Ciò che unisce è proprio questo dolore, questo dover far a meno del Dio (mistica), del papà (psicanalisi) e affrontare quell'abisso come Nietzche lo chiamava che è l'uomo.
Solo all'interno della comunità è pensabile la grandezza di un Kafka e di un Dostoevsky (probabilmente di un Proust, di un Musil che avevo appena iniziato a leggere).
Altri autori non mi vengono in mente.
Purtroppo questa penuria intellettuale mi fa solo capire come la strada sia lunga, lunghissima. E purtroppo i tempi caotici che si stanno per abbattare su di noi lasciano far intendere poca pochissima speranza per il futuro prossimo e anche remoto.
In questo caso sento le parole di BlueMax lontanissime e sbagliatissime.
L'altro che sprofonda non è Dio, è la sua negazione.
Se vi è qualcosa di divino dentro di noi, e io non lo penso affatto (il divino sta in uno spazio creato da uno sforzo del pensiero), allora comunque siamo chiamati ad uno sforzo di pensare intellettualmente ad uno spazio dove finalmente Dio si manifesti.L'etos è solo l'anticamera di ciò che è veramente importante, cosi come il deserto è propedeutico alle profezie, ai mondi spirituali che successivamente la tradizione ci ha consegnato in forma di libri.
Questo spazio è la comunità. Questi mondi sono la comunità.
In questo senso non sono d'accordo con te o bob o lo stesso Agamben, perchè lo spazio della rinuncia a me pare uno spazio impossibile.
Comunque può essere che manchi della sensibilità giusta.
In questo senso mi metto a lato della discussione.
Lavoro meglio in addizione che in sotrazione come il buon Carmelo Bene.
Siamo anime barocche.


