Citazione di: paul11 il 26 Agosto 2017, 18:36:44 PM
consiglio a tutti per capire il linguaggio del mito un autentico capolavoro "Il mulino di Amleto" di Santillana, perchè fa capire i simboli trasversalmente senza l'archetipo junghiano, che ben inteso ci può stare e non è in antitesi.
Infatti, anche Santillana evidenzia le profonde analogie-complementarità presenti tra mitologie di diverse e lontane tradizioni; ma pur di dare valore alla sua vaga teoria sull'origine essenzialmente "cosmologica" dei miti, tiene fuori dal suo dominio di osservazione la maggior parte di essi, quelli di natura squisitamente teologica, oppure, se ne prende in considerazione alcuni, riduce le figure del Divino che vi compaiono ad allegorie di eventi cosmologici.
Per esempio, della figura del caduceo cinese (Tav. 24) da me citata in "Una esperienza visionaria molto istruttiva"...
http://2.bp.blogspot.com/-HjuWFgWbFws/TfaPHY8O2fI/AAAAAAAAACk/a0I34xWiBx4/s1600/Caduceo+cinese+1.jpg
...Santillana coglie il solo significato cosmologico, ignorando le altre innumerevoli valenze, prima tra tutte quella che ne fa il simbolo per eccellenza della logica universale della Complementarità degli opposti, dimostrando così di non aver ben compreso una delle proprietà fondamentali del simbolo archetipico: quella di veicolare una molteplicità di significati, di cui l'aspetto cosmologico, quando è presente (non compare in tutti i simboli-miti), è solo uno tra i tanti.
Scrive infatti Santillana:
<<I corpi serpentini di Fu-xi e Nu-gva, attorti l'uno all'altro, indicano in modo abbastanza chiaro, anche se con una proiezione bizzarra, orbite circolari che si intersecano a intervalli regolari>>. [G. de SANTILLANA: Il mulino di Amleto - pg. 244, Tav. 24]
Una sorte analoga tocca al simbolo dell'"Asse del mondo" che egli interpreta, molto ingenuamente, come asse di rotazione dei corpi celesti, quando, invece, in una analisi comparata più ampia, si presenta come quell'asse simbolico che pone in comunicazione i tre livelli dell'essere: Terra-Uomo-Cielo, oppure: Inferi-Terra-Cielo, oppure: Corpo-Anima-Spirito, ecc.. Spesso il suo significato è implicito in molti altri simboli, come la montagna, la piramide, l'albero, il "pilastro cosmico", ecc.. E persino il bastone del caduceo ha valenza di "Axis Mundi", di unione Terra-Uomo-Cielo. Scrivono Eliade e Andreani:
"I Kwakiutl credono che un palo di rame attraversi i tre livelli cosmici (il mondo sotterraneo, la Terra, il Cielo); nel punto dove esso si conficca nel Cielo, si trova la "Porta dell'Aldilà". L'immagine visibile di questo Pilastro cosmico nel Cielo è la Via Lattea. Ma quest'opera degli dèi, qual è l'Universo, è ripresa e imitata dagli uomini naturalmente su scala umana. L'Axis mundiche nel Cielo è rappresentato dalla Via Lattea, nella casa del culto è rappresentato da un palo sacro. È un tronco di cedro lungo dieci-dodici metri che sporge più di metà dal tetto della casa del culto". [M. ELIADE: Il sacro e il profano - pg. 28]
"La colonna cosmica è situata al centro dell'Universo, e intorno ad essa si estende tutto il mondo abitabile. Si tratta quindi di una concatenazione di concezioni religiose e immagini, cosmologiche solidali tra loro e che si articolano in un "sistema" che può definirsi il "sistema del Mondo" delle società tradizionali:
a) un luogo sacro costituisce un punto di rottura nell'omogeneità dello spazio;
b) questa rottura è rappresentata da una "apertura" attraverso la quale è possibile il passaggio da una regione cosmica all'altra [...]
c) la comunicazione con il Cielo avviene indifferentemente per mezzo di un dato numero di immagini che si identificano con l'Axis mundi: pilastro (vedi l'universalis columna), scala (vedi la scala di Giacobbe), montagna, albero, liana, ecc.;
d) attorno all'asse cosmico si estende il "Mondo" ( = "il nostro mondo"), ragione per cui l'asse è "al centro", nell"'ombellico della Terra", esso è il Centro del Mondo". [M. ELIADE: Il sacro e il profano - pg.29]
"Per gli Achilpa l'esistenza umana è possibile solo in quanto è possibile questa comunicazione permanente con il Cielo. [...] Non c'è vita senza un'"apertura" verso il trascendente, in altre parole non si può vivere nel "Caos". Una volta perduto il contatto con il trascendente, l'esistenza nel mondo non è piú possibile, e gli Achilpa si lasciano morire. [...] Il palo sacro degli Achilpa è posto a "sostegno" del loro mondo e assicura la comunicazione con il Cielo. Si ritrova in ciò il prototipo di un'immagine cosmologica molto diffusa: quella dei pilastri cosmici che sostengono il Cielo aprendo contemporaneamente la strada verso il mondo degli dèi. Fino al momento della loro cristianizzazione, i Celti e i Germani conservavano il culto dei pilastri sacri". [M. ELIADE: Il sacro e il profano - pg.27]
"Il rito propone ed individua un axis mundi lungo il quale si manifesta o si ripete la ierofania, postula la totale coincidentia oppositorum e rende reale il simbolico e simbolico il reale. [...] È necessario allora che la ierofania venga «organizzata» affinché formi dal caos il nuovo mundus trovando il centro. Su questo fatto assiale si codificherà un'altra simbologia, ma intanto il centro è recuperato, o creato, identificato e precisato. L'asse del mondo è sempre stato considerato o esterno o interno all'uomo. Ma anche, per così dire, esterno-interno. Il « centro » è probabilmente una dimensione perfetta e naturale o in un uomo integrato completamente nel suo ambiente per il quale la equivalenza microcosmo-macrocosmo sia immediatamente percettibile o in un animale. Oltre quest'analisi, o nonostante, il « centro » diventa il vero e proprio esotico di tutta la storia umana. La ricerca del centro è la ricerca della reintegrazione primigenia, l'eliminazione di ogni discrepanza tra essere e divenire. L'«immaginazione» religiosa rigurgita di ogni tipo di immagini centripete. La leggenda, dovunque si situi storicamente, ricorda la conquista di un centro cui demandare, una volta trovato, la palingenesi. Dal Mundus dei latini al Graal, dallo bara al Centro cuore, il viaggio verso il centro propone sempre tappe similari". [S. ANDREANI: Alchimia: per una semiologia del sacro - pp.21-22]