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Messaggi - Phil

#1276
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
25 Novembre 2019, 22:59:48 PM
Citazione di: Phil il 25 Novembre 2019, 12:56:36 PM
Non lasciarti fuorviare da un forum di nietzschiani, spiritualisti e altre strambe correnti.
Citazione di: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
Intendendo "spiritualismo" come posizione di una realtà spirituale trascendente quella fisica, questa "stramba corrente" è in realtà l'unica entro la quale la possibilità di filosofare resta sensata
A scanso di eventuali equivoci: con «strambe correnti» non mi riferivo né a Nietzsche né allo spiritualismo, ma alle altre posizioni che non ho citato (fra cui anche la mia, per intenderci).

Citazione di: davintro il 25 Novembre 2019, 19:18:05 PM
Una conoscenza di questo tipo potrebbe solo fondarsi sulla logica, sulla capacità del pensiero di analizzare le implicazioni coerenti tra le idee considerate nella loro essenza, in ciò a partire da cui le definiamo, per collocarle in un sistema di verità in cui essere razionalmente riconosciute come necessarie, dunque valenti oggettivamente, al di là della soggettività senziente. Questo è un punto di vista filosofico, cioè non fondato sui sensi, ma sulla logica deduttiva a priori, ed è l'unico punto di vista nel quale è possibile rendersi conto dei limiti della conoscenza sensibile riguardo alla rappresentazione del reale, in quanto, per rendersi conto di tali limiti occorre necessariamente adottare un punto di vista altro rispetto a quello a cui i limiti sono riferiti [...] sono proprio quei saperi fondati sulla sensibilità, come quelli naturalistici, che sono impossibilitati a risolvere il problema di una realtà oggettiva posta al di là della soggettività, proprio perché i sensi, a differenza del pensiero, non hanno intenzionalità, cioè non mirano ad alcun riferimento extrasoggettivo, ed è impossibile che una conoscenza fondata per via sensibile possa riconoscere i limiti della rappresentazione sensibile, altrimenti dovrebbe autoinvalidarsi misconoscendo la sua base fondativa.
Ciò sarebbe vero se partissimo dall'assunto che «tutti i sensi si sbagliano sempre»; per fortuna, non è così drammatica la situazione e sono spesso i sensi a correggere gli stessi sensi; solito esempio banale: il bastone immerso nell'acqua sembra spezzato allo sguardo, ma il tatto mi dice che non lo è (se lo tocco quando è immerso); poi la ragione mi conferma che non può spezzarsi e ricomporsi perfettamente a seconda che lo si immerga o meno; deduzione o induzione? Quella conferma dipende dall'"essenza" del legno che costituisce il bastone o dal non aver mai riscontrato un legno che si comporti in quel modo (spezzandosi e ricomponendosi)?
Da considerare che la generalizzazione e l'astrazione (che consentono di parlare di un "tutto" estensionalmente ipotetico) non sono affatto estranee ai metodi induttivi, nè alle scienze induttive; altrimenti non avremmo gran parte della scienza attuale e, soprattuto, della ricerca scientifica (inoltre, vado a memoria, anche l'intenzionalità è induttiva: la noesi del noema costruisce l'oggetto, con i suoi "adombramenti", non lo deduce; ai tempi di Husserl le neuroscienze avevano comunque un po' meno da dire rispetto a quelle attuali).
Osserverei en passant che un'induzione può falsificare mille deduzioni, ma non viceversa; per questo l'epistemologia deve riflettere su ciò che è falsificabile e ciò che non lo è (la filosofia metafisico-deduttiva può invece non porsi tale problema, nel bene e nel male).
#1277
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
25 Novembre 2019, 12:56:36 PM
Citazione di: myfriend il 25 Novembre 2019, 09:26:54 AM
Ad esempio, la filosofia non si pone la domanda cruciale: Se il nostro corpo è solo una entità virtuale creata dal nostro cervello all'interno del videogame, che cos'è in realtà il nostro corpo nella realtà REALE fuori dal videogame?
Altra domanda ignorata totalmente dalla filosofia: Perchè nel videogame percepiamo "nascita" e "morte" quando invece nella realtà REALE nulla nasce e nulla muore (Primo principio della termodinamica)? Cosa sono "nascita" e "morte", che noi percepiamo nel videogame, dal punto di vista della realtà REALE...o se le collochiamo nella realtà REALE?
La filosofia attuale si pone questi problemi, dialoga con le scienze e, come sempre, cerca persino di sbilanciarsi per anticipare possibili esiti o percorsi di sviluppo delle scienze stesse, in attesa che esse li compiano o li dimostrino impercorribili (perché sono due approcci che anche quando percorrono la stessa strada, fianco a fianco, non possono pestarsi i piedi, avendo livelli di approfondimento, metodi, impostazioni, etc. ben differenti). La filosofia antica non è l'unica filosofia possibile, anzi, limitarsi ad essa significa per me continuare a pensare con categorie inattuali (o usarle metaforicamente), almeno tanto quanto riprenderle ed attualizzarle (alle luce di tutti ciò che quei filosofi non potevano sapere) è invece fertile terreno di indagine filosofica.
Non tutta la filosofia resta arroccata nella basilare logica aristotelica (come se dopo di lui tale disciplina non avesse fatto proliferare altre logiche) o diffida a priori dei sensi e della tecnica (come se la mente fosse più affidabile e potesse prescindere dagli input esterni), anziché indagare con sensi, tecnica e mente i rispettivi limiti (al riguardo ricordo sempre volentieri la metafora della barca di Neurath).
Quando si parla di filosofia, soprattutto nel vecchio continente, si rischia di ancorarsi agli inizi del '900, tuttavia la filosofia non è letteralmente morta durante quel secolo (tranne per chi pensa che «filosofia» sia sinonimo di «metafisica» classica, de gustibus), ha solo ritarato i suoi discorsi su tematiche contemporanee (come d'altronde fanno tutte le discipline umane, tecniche e non), discorsi che deludono sicuramente gli amanti della teoresi ontologica dell'"ancien regime" (teoresi tutt'ora praticabile), ma che restano nondimeno discorsi ritenuti filosofici, nel senso attuale del termine, da chi fa filosofia (docenti di filosofia, etc.).

Thomas Metzinger, Richard Rorty, Jaegwon Kim, etc. vengono considerati filosofi e, per le tematiche più contemporanee, credo abbiano qualcosa da dire sugli interrogativi che hai posto (a differenza di neoplatonici, neotomisti, etc.). Non lasciarti fuorviare da un forum di nietzschiani, spiritualisti e altre strambe correnti.
#1278
Tematiche Filosofiche / Re:Dei pregiudizi dei filosofi
25 Novembre 2019, 12:39:39 PM
Citazione di: donquixote il 25 Novembre 2019, 12:08:32 PM
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2019, 15:46:31 PMMi permetto di ricordare che è possibile che sillogismi con premesse false abbiano come valida conseguenza una conclusione vera (quello che la logica non consente è che da premesse vere derivi, in un sillogismo valido, una conclusione falsa). Per quanto riguarda la verità extra-empirica in filosofia, quindi a prescindere dal suo essere compilativo valore di predicati logico-scientifici, credo sia un elemento adeguatamente riformulato, demistificato, immanentizzato dalla post-metafisica, sebbene per comprendere le filosofie del passato sia indubbiamente necessario contestualizzarne il senso in un orizzonte metafisico greco-giudaico. Mi pare che il filosofo odierno sia chiamato ad essere, ragionevolmente (non me ne voglia Severino), sempre più interprete della realtà e sempre meno cercatore di verità, ma questa mia prospettiva è viziata (come previsto dal circolo ermeneutico) dalla precomprensione che ho nella lettura della questione (in momentanea assenza di considerazioni ricalibranti, retroattive sul suddetto circolo).

Mi sfugge come l'aggettivo "valido" possa essere sinonimo di "vero", nè come l'inserimento di tale attributo (che mi figuro utilizzabile solo nella "prassi" scientifica) possa modificare il senso del sillogismo aristotelico (che è un mero calcolo matematico applicato al linguaggio).
Credo che non si possa essere "interpreti della realtà" senza assumere dei parametri attraverso i quali "leggerla", ma se si abolisce la verità come parametro e ognuno utilizza legittimamente dei parametri di interpretazione personali allora, come si dice, "tutto è permesso".
Di solito in logica si intende «valido» un sillogismo in cui c'è un'inferenza corretta fra le premesse e la conclusione, a prescindere dai rispettivi valori di verità (per approfondimenti c'è questo).
Interpretare non significa rinnegare il rigore logico, anzi, quanto più l'interpretazione si dimostra calzante e pertinente, tanto più è vincolata a ciò che interpreta, dovendo ridurre le proprie "licenze poetiche" (è lo stesso interpretandum a imporre dei limiti alle interpretazioni possibili). Si tratta di non confondere il molteplice (più interpretazioni possibili) con l'indiscriminato («tutto è permesso»).
#1279
A proposito di intellettualismo, credo che questa storiella possa risultare simpaticamente eloquente:

Un giovanotto ebreo, figlio di una di quelle famiglie secolarizzate, laiche, progressiste, moderne, dopo la laurea in logica e dialettica socratica, vuole darsi un'infarinatura di cose ebraiche. Si sa... fa cosi chic! Si reca dunque da un grande rabbino e gli dice:
"Rabbino, vorrei arrotondare la mia cultura con un po' di ebraismo. Mi
darebbe qualche lezioncina?". "Capisco giovanotto - risponde il rabbino - ma tu hai studiato il nostro Toyre? la Bibbia nostra
intendo, il Talmud?". "Andiamo rabbino! Io sono laureato in Logica e Dialettica socratica! Non so se mi spiego!". "D'accordo figliolo questa è una bella cosa, ma "leshon ha Kodesh" la nostra lingua santa, l'ebraico lo conosci? E l'aramaico?". "Rabbino, lei mi sta solo facendo perdere tempo. Mi faccia un test! Mi metta alla prova per vedere se sono all'altezza!". "Come tu vuoi, figliolo". Il rabbino alza di scatto due dita proprio davanti agli occhi del baldanzoso
giovane e...: "Attento giovanotto! Due uomini scendono dallo stesso
camino: uno ha la faccia sporca e l'altro ce l'ha pulita, chi si lava
la faccia?". "Hahaha! Ma rabbino, questa è una domanda per bambini
deficienti! È evidente. Quello con la faccia sporca". "Sbagliato
figliolo. Quando quello con la faccia sporca vede che l'altro ce l'ha
pulita, pensa di avere la faccia pulita e non si lava la faccia. E
quello con la faccia pulita che vede che l'altro ce l'ha sporca, pensa
di avere la faccia sporca e quindi si lava la faccia". "Ah!... Certo
rabbino! Come ho potuto cadere in una trappola cosi' banale. La prego,
mi sottoponga ad un altro test per favore, comincio a capire... Molto,
molto sottile!". "Va bene figliolo, come tu vuoi, non c'è problema!
Attento". Di nuovo il rabbino fa scattare le due dita in alto: "Due
uomini scendono dallo stesso camino: uno ha la faccia sporca e l'altro
ce l'ha pulita, chi si lava la faccia?". "Rabbino, non sono mica
scemo, lo abbiamo già detto. Quello con la faccia pulita". "Sbagliato
figliolo. Quello con la faccia sporca vede che l'altro ce l'ha pulita,
pensa di avere la faccia pulita e non si lava. Quello con la faccia
pulita vede l'altro con la faccia sporca, pensa di avere la faccia
sporca e si lava la faccia. Ma... quando quello con la faccia sporca
vede che quello con la faccia pulita si lava la faccia, pensa di
doversi anche lui lavare la faccia. Quindi tutti e due... si lavano il
faccia". "Ah! mmm... certo ...il ribaltamento dialettico ...molto
arguto... Vede rabbino, sono un po' freddino... La prego, mi faccia
un'altra domanda". "Come tu vuoi, figliolo, non c'è problema". Ancora
una volta il rabbino alza le due dita di scatto: "Molto attento,
ragazzo! Due uomini scendono dallo stesso camino: uno c'ha la faccia
sporca e l'altro ha la faccia pulita, chi si lava la faccia?".
"Rabbino, insomma non mi esasperi! Non lo abbiamo appena detto? Sono
totalmente d'accordo con lei. Tutti e due si lavano la faccia!".
"Sbagliato figliolo. Vedi, quando quello con la faccia sporca vede
quello con la faccia pulita, pensa di avere la faccia pulita e non si
lava la faccia. Cosi, quando quello con la faccia pulita vede che
l'altro con la faccia sporca non si lava la faccia, pensa anche lui
che non c'e' nessuna ragione per lavarsi la faccia. Quindi... nessuno
dei due si lava la faccia". Lo studente è quasi a pezzi, ma per non
essere umiliato dice: "Adesso ho capito, rabbino, ne sono sicuro.
Riconosco di essere stato presuntuoso, ma lei non deve negarmi
un'ultima domanda. La scongiuro!". "Va bene, come tu vuoi, figliolo,
come vuoi. Allora vediamo...". Il rabbino immancabilmente fa scattare
in su le due dita e...: "Molto, molto attento mio caro giovanotto! Due
uomini scendono dallo stesso camino, uno ha la faccia sporca e l'altro
ha la faccia pulita. Chi si lava la faccia?". "Pietà di me, rabbino!
Me l'ha appena detto e io ne convengo assolutamente, non insista!
Nessuno dei due. Nessuno dei due si lava la faccia. Non è cosi?".
"Sbagliato figliolo. Senti figliolo, ma come puoi pensare che due
uomini scendano dallo stesso camino, e abbiano uno la faccia sporca e
l'altro la faccia pulita! L'intera questione è un'idiozia! Passa la
tua vita a rispondere a stupide questioni della tua dialettica... e
vedrai cosa capirai di ebraismo!". 
(da "L'ebreo che ride", di Moni Ovadia; tratto da qui).
#1280
Tematiche Filosofiche / Re:Dei pregiudizi dei filosofi
24 Novembre 2019, 15:46:31 PM
Citazione di: donquixote il 24 Novembre 2019, 09:41:21 AM
ogni pensiero che voglia affermare una verità deve partire da premesse certe e vere (secondo il sillogismo aristotelico) [...] la logica aristotelica, ma questa afferma che se anche il procedimento è corretto quando le premesse sono errate anche la conclusione lo sarà
Mi permetto di ricordare che è possibile che sillogismi con premesse false abbiano come valida conseguenza una conclusione vera (quello che la logica non consente è che da premesse vere derivi, in un sillogismo valido, una conclusione falsa).
Per quanto riguarda la verità extra-empirica in filosofia, quindi a prescindere dal suo essere compilativo valore di predicati logico-scientifici, credo sia un elemento adeguatamente riformulato, demistificato, immanentizzato dalla post-metafisica, sebbene per comprendere le filosofie del passato sia indubbiamente necessario contestualizzarne il senso in un orizzonte metafisico greco-giudaico.
Mi pare che il filosofo odierno sia chiamato ad essere, ragionevolmente (non me ne voglia Severino), sempre più interprete della realtà e sempre meno cercatore di verità, ma questa mia prospettiva è viziata (come previsto dal circolo ermeneutico) dalla precomprensione che ho nella lettura della questione (in momentanea assenza di considerazioni ricalibranti, retroattive sul suddetto circolo).
#1281
Citazione di: baylham il 24 Novembre 2019, 11:47:44 AM
Non condivido la netta distinzione tra scienza e filosofia. Secondo me la scienza, come la filosofia, non è concludente, non è conclusiva.
La filosofia discute anche di scienza, in particolare di epistemologia e di gnoseologia, e viceversa.
Sono entrambe metaforicamente esplorazioni.
Indubbiamente ci sono punti di contatto e di scambio fra i due ambiti (come osservava il citato Dilthey), ma credo che la divergenza essenziale non venga mai compromessa, in virtù della specificità e settorialità dei rispettivi discorsi, metodi, approcci e conclusioni (tanto innegabili quanto, talvolta, provvisorie). Quando la filosofia si declina in epistemologia non entra nel merito delle procedure, dei dati, degli strumenti, etc. in un modo che possa definirsi scientifico; se non sbaglio, resta solitamente su un piano meno specialistico, più interdisciplinare (l'epistemologia non si differenza troppo a seconda che si parli di biologia, chimica, fisica, etc. la cui distinzione è invece preliminare per ogni impostazione e applicazione scientifica). Nel discutere di scienza, la filosofia non rinnega la sua differenza essenziale rispetto alla scienza, non si con-fonde con essa.
Quando la scienza si dà alla filosofia, il discorso diventa più ambiguo, proprio perché la filosofia ha coordinate di discorso molto più ampie e meno pragmatiche (v. distinzione fra ciò che la filosofia fa e ciò che essa fa fare), potendosi giovare di una apparente "carta bianca" che alla scienza è preclusa dalla strutturale esigenza di calcoli, esperimenti e dimostrazioni (empiriche o teoriche, ma mai solo "filosofiche").
La filosofia sconfina spesso nell'estetica, nell'esistenzialismo, nella politica, etc. ambiti che per la scienza sono quasi solo delle divagazioni, ma che per lo scienziato hanno quel tepore umano che non può lasciarlo indifferente. Inoltre, nella scienza è sempre più rilevante l'apporto dei macchinari e dell'informatica; alla filosofia bastano carta e penna, anzi, matita (di quelle con la gomma inclusa). Storicamente, non è poi da sottovalutare come la scienza abbia sottratto terreno d'indagine alla filosofia, ma non viceversa; è sensato dire che la scienza sia nata da una costola della filo-sophia, ma credo anche si possa osservare, senza voler provocare la nota suscettibilità dei filosofi, che la scienza ha risolto problemi nati in filosofia (all'interno di una collaborazione basata sulla complicità a cui ho accennato in precedenza).
Direi che quindi la distinzione fra le due è piuttosto marcata, anche se la separazione non è certo radicale né priva di punti di contatto; se non altro perché la filosofia in quanto disciplina corteggia la scienza (affascinata dalle sue certezze), lo scienziato in quanto uomo corteggia la filosofia (mosso dalle sue incertezze).

La settorialità delle discipline e il fattore umano extra-disciplinare ci ricollegano al discorso di partenza sull'intellettualismo: visto dall'interno, ogni settore non è mai intellettualistico per gli addetti ai lavori, ma può esserlo visto dall'esterno, quando i contenuti della sua specificità marcano la differenza nozionistica (e non solo) rispetto ad un pubblico non specializzato. Ad esempio, il contesto popolare dei mass media presuppone che la massa non sia, per definizione, competente di alcune tematiche specifiche, per cui citare nei dettagli una teoria settoriale o l'opinione di uno specialista, può essere letto come intellettualismo (usato per affabulare e convincere, oppure per confondere e azzittire l'interlocutore, sia esso singolare o plurale). Inversamente, l'anti-intellettualismo non è forse il dare in pasto alla massa (o a un individuo) informazioni divulgative, semplificate e sintetiche, digeribili senza troppo sforzo (e magari associabili spontaneamente ad emozioni primarie)?
Dietro questo uso dell'anti-intellettualismo c'è a sua volta l'"intellettualismo" delle discipline che si occupano della comunicazione, sebbene quando vengono trattate in pubblico corrono appunto il rischio di essere tacciate di intellettualismo (almeno se la platea non è incuriosita da quelle discipline e disposta ad approfondirle, magari per "legittima difesa").
#1282
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2019, 22:59:12 PM
perchè Platone e non Carneade ? Mi rispondo da sola così saltiamo un passaggio. Non tutti gli orizzonti di senso si equivalgano, ovvero certe altezze "orizzontali" vengano replicate da miriadi di Carneadi senza nulla aggiungere - o molto poco - al Platone che quell'orizzonte ha fissato. Questo polarizzarsi personale ed epocale di determinati orizzonti non potrebbe avere a che fare con una lettura più "sentita" del reale circostante tale da prenotare il successo di una filosofia, in sintonia con l'ermeneutica che interpreta le ragioni di quel successo ?
Decisamente sì; è il senso della mia battuta sulle fritture che non sono tutte uguali e, aggiungo ora, non soddisfano ugualmente i palati del grande pubblico; per quanto anche i gusti dei palati mutino con il tempo: i Protagora, i Gorgia, i Buddha, i Diogene, i Lao Tzu, persino i Carneade, etc. sono ad esempio più "appetibili" oggi che magari mille anni fa; inversamente, proprio Platone risulta oggi un po' più insipido di mille anni fa; altri, di cui magari si sono perse le tracce, non sono stati appetibili in passato né lo sono ora. Ciò che è cambiato è sia il "sentire", che la lettura della "realtà circostante".

Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2019, 22:59:12 PM
esemplificando: non è che l'idea di un principio spirituale unitario di Platone sollevasse l'orizzonte dal coacervo terra-terra di idoli d'ogni sorta fornendo al modello trascendente un orizzonte a cui si farà riferimento per qualche millennio a seguire ?
Eppure la constatazione del successo di quel modello, trattandosi di una constatazione storiografica, non va per me confusa con la sua valutazione filosofica; guardare ad oriente giova sempre per attingere differenti possibilità di pensiero e differenti successi storici, oppure si può semplicemente considerare come la cultura analitico-americana, nata "tardi", recepisca le nostre filosofie antiche. Non a caso oggi si sta rivalutando proprio il "terra-terra" (inteso come materialismo) da cui Platone (neoplatonici, etc.) sembrava averci emancipato e, altro esempio, molte riflessioni sul linguaggio degli antichi sofisti potrebbero essere impeccabilmente assegnate ai neopositivisti logici di inizio novecento (e l'antica dottrina buddista del non-io, anatta, risulta più compatibile con le attuali scienze cognitive, di quanto lo siano molte delle dottrine occidentali successive al buddismo).

Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2019, 22:59:12 PM
è sensato trarre dalla storia, sociologia, antropologia anche la koinè da cui ogni grande interprete del suo tempo è partito per porre il suo orizzonte di senso.
Concordo; volevo solo sottolineare l'importanza di distinguere l'approccio storico, quello antropologico, etc. da quello specificamente filosofico, senza che ciò significhi rifiutare il prezioso legame contestuale fra una filosofia e l'epoca in cui è stata pensata e/o si è affermata; fare storia della filosofia non è fare filosofia, per quanto indubbiamente partire dalla prima agevoli la seconda.
#1283
Secondo me, l'orizzonte di senso ogni filosofia lo fonda più di quanto lo tragga; l'orizzonte di senso, come dicevo, è la concludenza (e talvolta la conclusione) del filosofare di un filosofo: ogni autore ci propone infatti il suo orizzonte di senso da interpretare (ermeneutica), ponderare, attualizzare, etc.
Dove fonda una filosofia o, per semplificare, un autore, il suo orizzonte di senso? Chiaramente sul suo filosofare. Su cosa si fonda tale filosofare? Sui ragionamenti dell'autore. Su cosa di fondano tali ragionamenti? Su osservazioni, interpretazioni, intuizioni, etc. Su cosa di fondano queste osservazioni, interpretazioni, etc.? Sull'imprinting culturale, sulle esperienze vissute, sulle pregresse riflessioni dell'autore, etc.
Almeno mi pare sia questa, in breve, la catena (aporie e tautologie comprese).
#1284
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
23 Novembre 2019, 16:32:11 PM
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Ma perché mai essere virtuosi, morali, etici, se tanto è l'agone dell'esistenza presa per sé, in quanto con la morte......puff....tutto svanisce in un nulla?
Se non si deve esserlo per il minaccioso giudizio del tribunale celeste, si può esserlo per salvarsi dai tribunali terrestri; per tutto ciò che non è giudicato da tali tribunali (consuetudini, piccoli gesti, etc.) vale anche la domanda al contrario: «perché non essere virtuosi, morali, etici se... etc. ?».

L'ambiguo motto dostoevskiano (di cui si è già discusso) non tiene apparentemente presente il contesto umano: se fossimo nella giungla, tutto sarebbe lecito e vigerebbe la legge animale del più forte; tuttavia siamo, quasi tutti, abitanti di società legiferate e socialmente strutturate: se decidiamo di non comportarci in modo virtuoso, morale, etc. sappiamo già quali sono i rischi e gli eventuali benefici pre mortem (come quando chiediamo o meno la fattura per un servizio ricevuto); pur in assenza di valori religiosi, ci sono valori comuni nella società, nella cultura di ogni popolo, riflettendo sui quali ciascuno può compiere le sue scelte, senza necessariamente pensare al post mortem.
Che cosa ci sia dopo la morte è certamente rilevante per i credenti, ma resta eloquente il fatto che la maggior parte dei non credenti, in risposta alla tua domanda, pur confidando nell'assenza di giudizio divino post mortem, non tendano per questo a lasciarsi andare spensieratamente alle peggiori nefandezze, sebbene persuasi che
Citazione di: paul11 il 22 Novembre 2019, 23:09:08 PM
Non c'è giudizio, non c'è verità........e intanto le logiche universalicon i suoi cicli  continuavano prima di noi e continueranno dopo noi.
#1285
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2019, 10:15:20 AM
Però non saprei da dove la filosofia potrebbe trarre un criterio per determinare la conclusività di certe filosofie di successo se non dai dati storici, sociologici, antropologici, che la testimoniano. A prescindere, e spesso contro, ogni loro concludenza logica  ;D
Direi che della concludenza se ne occupa la logica, della conclusività se ne occupa l'ermeneutica (del successo storico la storiografia, delle ripercussioni sociali la sociologia, etc.). Secondo me, per restare sul piano filosofico, non bisogna impantanarsi nei dati che fanno statistica e/o storia, per mantenere chiara la distinzione fra ciò che la filosofia fa (produce orizzonti di senso) e ciò che essa fa fare (attuazioni storiche, sociologiche, antropologiche, etc. di tali orizzonti); la filosofia fa riflessioni politiche, esistenziali, estetiche, etc. e fa fare rivoluzioni, apostasie, opere artistiche, etc. ma questo secondo gruppo non è propriamente un filosofare perché presuppone che sia stata già fatta una filosofia d'innesco (e chiaramente l'architetto deve considerare la fattibilità di ciò che chiede di fare al muratore). Inoltre, per riprendere un'immagine à la page, direi che è comunque importante saper distinguere il fritto della nonna da quello del McDonald's; fermo restando che "non di solo fritto vive l'uomo".
#1286
Citazione di: baylham il 20 Novembre 2019, 14:15:56 PM
Per esempio, questo argomento di discussione oppure in generale il forum Logos sono concludenti o inconcludenti?
Domanda con gradevole "doppio fondo" filosofico, velato dall'assonanza fra «concludente» e «conclusivo», entrambi derivati da «chiudere» («claudere»). La filosofia, o più umilmente, il ragionare in questo forum, dove (si) conclude e/o che cosa dischiude?
I discorsi concludenti e conclusivi su un argomento spettano, di diritto e di fatto, alle scienze ("scienze della natura" diceva Dilthey) con le loro verifiche empiriche, dimostrazioni oggettive, esperimenti, validità extra-soggettive, etc. alla filosofia "appartiene" (con compito talvolta socialmente ingrato) molto di ciò che è fuori da tali conclusioni inconfutate. All'epoca dei fisici presocratici, la filosofia "doveva" deontologicamente interrogarsi sull'archè, sulle sostanze, etc. perché erano domande senza riposta concludente (tantomeno conclusiva); poi la scienza ha fornito risposte solide che hanno sollevato la filosofia da tale inadatto incarico. Oggi la filosofia può discutere di etica, politica, etc. perché nessuna «scienza dello spirito» (ancora Dilthey) ha proposto risultati così concludenti e conclusivi da risolvere tutte le divergenze alla luce di un'"oggettività", al punto da rendere inopportuna o impraticabile ulteriore proficua riflessione. E forse è proprio questo il punto: in assenza di un'evidenza conclusiva, la pluralità dei discorsi filosofici (o, più poveramente, forumistici), presenta molteplici approcci concludenti, uno per ogni prospettiva che sia ben argomentata e minimamente compatibile con la lettura del reale circostante (quindi non ogni prospettiva solo in quanto tale). L'apertura del discorso filosofico si basa sull'inconclusa ricerca di una soluzione definitiva, quindi sull'apertura dei possibili orizzonti di senso, concludenti nei rispettivi risultati (più o meno teoretici), ma non conclusivi per l'interrogazione di partenza. La condizione di possibilità della riflessione filosofica è quindi l'assenza di un discorso concluso in quanto "risolto" (e l'inconcludenza logico-semantica di alcune interrogazioni, filosofiche e non, rivela come alcune questioni siano falsi problemi, effetti collaterali di un domandare maldestro o malposto).

Quando una prospettiva filosofica si ritiene conclusa (da un autore, un metodo, un approccio, etc.) e definitiva (ogni chiusura è sempre, a suo modo, sia una fine che il fine), smette di essere filosofica e, purtroppo per lei, le viene chiesto di dar conto delle sue "verità" conclusive (ed è qui che spesso proliferano circoli viziosi, fallacie varie, etc.).
Alcuni osserveranno che anche questa stessa prospettiva pluralista e inconclusiva (ma non inconcludente) della filosofia sembra spacciarsi a sua volta come conclusiva e definitiva (oltre che definitoria); tuttavia così non può essere, perché essa prevede esattamente l'esistenza di altre posizioni divergenti (ma non per questo di minor legittimità filosofica), ognuna ritenentesi conclusiva (o almeno concludente), il che conferma proprio la suddetta pluralità e l'inconclusività (assoluta) di ogni singola posizione (sempre fino a prova contraria, in attesa di prove inconfutate o almeno confutabili, come direbbe Popper).


P.s.
Notoriamente non tutti gli approcci filosofici hanno avuto lo stesso successo storico, la stessa quantità di proseliti, la stessa diffusione culturale, etc. ma, secondo me, non è questo un criterio filosofico per valutarne l'inconcludenza (logica) o la conclusività (quei fattori possono ben essere criteri storici, sociologici, antropologici, etc.).
#1287
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
19 Novembre 2019, 19:10:18 PM
Mi permetto di parassitare inadeguatamente i versi di Jean:

«C'è un segno che distingue l'ombra dalla luce
un segno che separa il fiume dalla sponda,
un altro rende il senso quando ti traduce
in parola scritta il mister che ti circonda»
e pare allora che il trambusto si riduce
al mite silenzio in cui tutto sprofonda.

«Ampio come fiume, sottile qual capello
il vento lo cancella e l'acqua lo scolpisce
pur se l'ama, come statua il suo scalpello
cui deve la forma che il pubblico stupisce»
ammaliata folla accalcata in gran ostello
la cui permanenza come inizia, così finisce.

«L'imago vede il marmoreo manufatto
cinto qual corona da innumerosi tocchi
a trar la vita mentre il blocco vien disfatto
e infin uscirne dall'iride degli occhi»
che misterioso è l'autore d'ogni impatto,
come se l'ignoto fosse in cerca di balocchi.

«Anche c'è un segno quando s'appressa il tempo
per quelli che cercano la rima di chiusura,
chi avanti di gettar la lega nello stampo
l'abbia ben pulito per bloccare la morsura»
chi percorre assorto il suo ultimo campo
per dar vita al perenne ciclo della natura.

«Orbene questa traccia ci lega tutti quanti
qual filo dell'ordito sul qual cresce la trama
di magici color che lo spazio tien distanti
intanto che la notte affilerà la lama»
e se ci vorran giorni, anni, oppure istanti,
c'accoglierà l'abbraccio della paziente dama.

«Uno dopo l'altro veniam colti dall'ignoto
ma uno dopo l'altro da esso proveniamo,
se v'è inizio e fine allora non è vuoto,
se tu mi rispondi vuol dir che io ti chiamo»
e se restiamo muti e indugiamo un poco,
sarà nell'attesa il senso che cerchiamo?
#1288
In questo breve saggio ho ritrovato molti dei temi di cui si è discusso recentemente: nichilismo, Nietzsche, senso dello schema universale, dio, meontologia, destino, teodicea, consapevolezza, etc.
https://www.academia.edu/32846687/Note_sul_nulla_un_indagine_sul_nichilismo_nel_pensiero_di_Emil_Cioran
#1289
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
14 Novembre 2019, 16:36:51 PM
La morte è un tema così ricco di storia e di narrazioni che forse si fa fatica a semplificarlo, tuttavia ho l'impressione che sia oggi uno dei temi classici più "sopravvalutati": la mia autocoscienza, autopercezione, autoconsapevolezza, autoetc., ha avuto un suo innesco biologico (dalla fecondazione alla nascita, etc.) a cui seguirà un disinnesco altrettanto bio-logico (differenti possono esserne le cause), che lascerà la materia del mio corpo priva di quell'attività (neurologica, vascolare, etc.) chiamata «vita». Fin qui ho pochi dubbi.
Pensare che a seguito dell'innesco biologico debba crearsi una (auto)coscienza eterna (attributo per sua definizione inverificabile) che continui la sua attività prescindendo dal corpo che l'ha ospitata (ipotesi infalsificabile nell'al di qua) mi sembra epistemologicamente piuttosto infondato, al netto di tutte le tradizioni culturali e dei topos letterari. Quali prove, che non siano narrazioni degli antichi (ricchi di fantasia ma poveri di nozioni), depone a favore di tale generazione di un'attività immateriale eterna partendo da un innesco biologico?
Quando la fiamma di una candela si spegne (tanto per usare un esempio originale), dove va? Oppure non va da nessuna parte, ma cambia semplicemente il suo stato fisico, non essendo più fiamma bensì fumo (non più uomo-vivo bensì cadavere)? L'uomo non è una candela, certo, ma intanto, fino a prova contraria, nonostante l'abbondanza di teorie infalsificabili (che non forniscono prove in merito), la vedo piuttosto semplice.
#1290
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Civiltà occidentale
03 Novembre 2019, 00:19:39 AM
Per comprendere un fenomeno, un'epoca, una prospettiva, dobbiamo secondo me prima interrogarci su quale paradigma usare: uno estraneo al fenomeno (la nostra precomprensione), quello interno al fenomeno (quindi tautologico) o uno che cerchi di essere dinamico nel passare dal primo (inevitabile) al secondo (non sempre totalmente comprensibile). Uso come esempio le considerazioni di Sariputra sullo yoga: se valutiamo la generale ricezione attuale dello yoga dal punto di vista della sua "ortodossia" originaria, dobbiamo concludere che quello di oggi praticamente non è yoga; se valutiamo il fenomeno attuale dal suo interno, dalle scuole di yoga d'oggi, i nuovi maestri metropolitani, etc. allora quello è yoga "rivisitato", "attualizzato" (e altri termini tipici della fruizione odierna di elementi del passato); se guardiamo al fenomeno come passaggio dallo yoga "ortodosso" ad uno "yoga contemporaneo", potremo rintracciare ciò che lo accomuna al passato (la fisicità, alcuni esercizi, la respirazione, etc.), ciò che lo rende sensato nel presente e futuribile (benefici mentali e fisici, etc.) e ciò che è stato perso (l'aspetto "spirituale", yama e niyama, etc.). 
Nessuna delle tre prospettive mi pare più "giusta" delle altre; la comprensione del fenomeno "yoga" dipenderà dunque da quale paradigma sceglieremo e a tale comprensione sarà connesso il giudizio che ne daremo: svaluteremo i nuovi praticanti come scimmiottatori dello yoga autentico, li apprezzeremo come smaliziati fruitori dei suoi benefici reali o li comprenderemo come posteri di una tradizione millenaria inevitabilmente mut(u)ata in un'epoca differente?

Il famigerato nichilismo, in veste di "negazione determinata" (direbbe Hegel), è una fase storica che innesca un cambiamento di cultura: un po' per esorcizzarne la novità, un po' per inerziale attaccamento "materno" ai fondamenti abituali, un po' per la radicalità del contrasto all'epoca precedente, si parlerà subito di "svuotamento dei valori", di "crisi del pensiero", di "degenerazione verso il caos", etc.: ne avranno parlato già gli antichi romani di fronte all'avvento della repubblica, i teologi di fronte alle teorie degli illuministi, i latifondisti di fronte all'abolizione della schiavitù, i nonni di fronte ai nipotini "zombieficati" dagli smartphone, etc. Nel secolo scorso (o poco prima) è stato coniato questo nome, «nichilismo», ma non credo siamo di fronte a un fenomeno effettivamente nuovo (lo sarebbe forse se il nihil fosse davvero tale); come presa di coscienza delle dinamiche umane e come autocomprensione dell'uomo nel cosmo, è solo un'altra tappa storica (non particolarmente rivoluzionaria e per altro già in rapido tramonto) e sta a noi scegliere come interpretarla: ci basiamo sul passato, sul presente o sulla genealogia fra i due (con le sue forze distruttive, oltre che rimodulative, i suoi traumi, etc.)?

Certo, la "storia dei nichilismi" non indica una direzione casuale: generalizzando, siamo passati dall'astrologia all'astronomia (annichilendo l'orizzonte di senso poetante degli astri); dallo sciamanesimo alla medicina (annichilendo la mistica taumaturgica); dalla metafisica dei pensieri forti alle ermeneutiche dei significati dialoganti (annichilendo le velleità monistiche ed univeritative di alcune prospettive); dallo spiritualismo al neuro-psicologismo (annichilendo il trascendente in favore di epistemologie immanenti); dalle guerre fra stati confinanti alle diplomazie "economicistiche" (annichilendo le politiche imperialiste ed espansionistiche), etc. questa direzione di annichilimenti di un certo "vecchio" in favore di un certo "nuovo", possiamo giudicarlo come un declino verso l'estinzione della razza umana, come un ritorno più "competente" a quella materialità da cui sono partite le culture millenni fa, come un progresso che ci avvicina gradualmente a conoscenze sempre più certe che rendono la socialità umana quasi una contingenza etologica, come un cammino verso l'emigrazione in un altro pianeta, etc. siamo sempre e comunque sul filo di quell'equilibrio (un po' circense per me, sebbene ci prendiamo sempre sul serio) fra constatazione ed interpretazione.


P.s.
Se un marziano leggesse i nostri discorsi, forse non capirebbe al volo la coerenza fra la lamentela verso un'individualismo alienante, quella verso l'omologazione spersonalizzante, quella verso il nichilismo atarassico, quella verso la permanenza di ingerenze religiose, quella verso la lamentela sulle lamentele, etc.; individualisti eticamente e omologati socialmente? Solipsisti massificati? Nichilisti transculturali? Nostalgici tecnofili?
Tuttavia, anche a lui si porrebbe probabilmente la (meta)questione preliminare: da quale paradigma giudicherebbe la nostra incoerenza (prima di lamentarsene a sua volta)?