Citazione di: altamarea il 15 Marzo 2020, 21:32:57 PMUna delle cause dell'invenzione della scrittura è stato probabilmente anche il desiderio di ricordare dei dati per riutilizzarli (riscuotere un credito, sancire una legge, etc.); oggi, con il digitale, l'esigenza si è sdoppiata anche nel suo rovescio: il tema del diritto all'oblio, della necessità di non lasciare traccia (e cookies), di poter rimuovere dalla rete immagini e informazioni sgradevoli. Estremizzando un po', si è passati dal voler lasciare la propria impronta sulle pareti di una caverna a cercare di ridurre il "fingerprinting" del proprio dispositivo.
Nella nostra epoca "digitale" l'umanità non sembra d'accordo se è meglio o peggio dimenticare, e si affida alla costruzione di una memoria totale, alla conservazione di un passato che non passa, perché registrato in un immenso archivio digitale, sempre disponibile e consultabile. E' come un'enciclopedia, scritta in presa diretta ma a futura memoria.
E' in questo orizzonte che Davide Sisto nel suo libro titolato "Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio", da filosofo e con l'aiuto dei filosofi pone la questione in un abile intreccio di conoscenze scientifiche e di riflessioni sull'evoluzione dei social network.
Significativamente, il memorizzare un file o un'impostazione (su un dispositivo) viene detto «salvare»; salvare da cosa, se non dalla cancellazione nel/del tempo?
Attualmente la mole di dati creati e immagazzinati al secondo (nel mondo) è abnorme rispetto a solo una decina di anni fa; compresi alcuni dati che ci appartengono e su cui non abbiamo il controllo. Questa è una dinamica tanto incalzante quanto impattante, per il singolo e per la società, per l'orizzonte esistenziale e per l'etica (e per le digital humanities); fortunatamente, alcuni filosofi e/o pensatori (anche italiani: Ferraris, Diodato, Floridi, Benanti, Fabris, etc.) hanno bene inteso come sia pane (fresco) per i loro denti.
