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Messaggi - Phil

#1291
Citazione di: iano il 02 Novembre 2019, 01:38:30 AM
Non esiste misura senza osservatore.
L'osservatore potrebbe influenzare la misura.
Aggiungerei, per aumentare la "scomodità", che non esiste misura senza strumento/tecnica di misura, e che l'osservatore influenza (l'uso del)lo strumento/tecnica che influenza la misura.

Citazione di: iano il 02 Novembre 2019, 01:38:30 AM
Sapere che la palla esiste e che ha una posizione è propedeutico alla misura , ma non è parte della misura.
Questa consapevolezza dell'osservatore , in quanto espressione dell'osservatore , può essere considerata superflua , quindi eliminata , in quanto potrebbe influenzare la misura.
Quindi , ai fini di una buona misura , noi non sappiamo che la palla esiste e che ha una posizione.
Eppure l'influenza di quel presupposto di esistenza è imprescindibile: se non suppongo che esista una palla e che sia situata nell'area a cui rivolgo la misurazione, la misurazione stessa non può letteralmente avere luogo. Più che «eliminata» in quanto «superflua», forse la supposizione di esistenza va considerata come necessaria ipotesi-guida della misurazione (almeno fino a prova contraria).

Citazione di: iano il 02 Novembre 2019, 01:38:30 AM
Lo sappiamo solo quando misuriamo la sua posizione, ed essa esiste e ha una posizione solo nel momento in cui misuriamo.
Non possiamo da ciò dedurre che essa esiste ed ha una posizione prima e dopo della misura anche se noi lo abbiamo percepito , perché la percezione dell'osservatore non è un dato scientifico.
Tuttavia, la misurazione e i suoi risultati, non rientrano essi stessi nelle percezioni dell'osservatore? Il ruolo dello strumento è esentato dal dubbio percettivo, ma in fondo lo strumento, proprio come l'osservatore, non è mai irrilevante nei confronti dei suoi stessi risultati (talvolta persino "indeterministici").
#1292
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
27 Ottobre 2019, 19:34:59 PM
Ti ringrazio per le precisazioni; da profano, alludevo alla differenza fra la settima e l'ottava rettitudine, fra l'aspetto mentale della presenza a se stessi (più "facilmente" fruibile anche nelle azioni quotidiane) e l'aspetto più "contemplativo" della meditazione seduta o camminata (che, mi concederai, ha maggior "pervasività"... e non so se anche le neuroscienze rilevino tale differenza).
#1293
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
27 Ottobre 2019, 13:44:31 PM
La meditazione (non credo sia sinonimo di presenza mentale nell'ottuplice sentiero) è favorita non a caso dal silenzio (o da canti liturgici o mantra) e dall'esser praticata in luogo tranquillo da cui assorbire la "serenità d'innesco" (ovvero "si vince facile"); praticarla durante una riunione di condominio è ben altra sfida: i problemi sorgono infatti quando dal pensiero si passa alla parola e all'azione. Posso non identificarmi con i miei pensieri e trarne distaccata serenità, tuttavia quando devo interagire con gli altri e con il mondo circostante, sono chiamato ad essere vigile (anche metaforicamente) su quali pensieri e desideri indirizzo verso la concretezza di azioni e discorsi. Posso osservare la nascita e lo svanire di pensieri "cattivi" mentre sono fermo a meditare, ma nel momento in cui agisco, tali pensieri non sono più pensieri di un sé illusorio, da lasciar scorrere fino a riversarsi nel mondo, ma piuttosto da bloccare prima che diventino un'azione "cattiva" (soprattutto se è vero che anche le azioni fanno karma).

Secondo me, la capacità di educarsi, di orientarsi verso una determinata visione del mondo, inizia proprio con l'addestrarsi ad una certa "inclinazione" di pensiero che sa discriminare lo sconveniente e l'inopportuno dal meritevole e "giusto" (senza entrare nel merito delle classificazioni possibili), fino a rendere tale inclinazione permanente e spontanea (la cosiddetta forma mentis, i cosiddetti pattern mentali, etc.). 
Finché medito, "devo" lasciare che i pensieri nascano, scorrano e poi spariscano (in una serena catarsi); tuttavia quando interagisco con l'altro, e non mi posso limitare solo al pensiero, è necessario decidere chi/come voglio essere, perché non posso essere né solo istinto (socialmente non durerei molto) né solo spettatore della mia vita (salvo vivere, come ricordo sempre, in "riserve umane", comunità "speciali" per regolamento interno e presunta condivisione di intenti, come monasteri o simili). 
Per questo credo che l'utilità laica della meditazione (come momento di pratica, non condizione ascetica permanente) sia quella rilevata dalle neuroscienze, più che quella "spirituale" (qualunque cosa significhi).
#1294
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
26 Ottobre 2019, 22:31:59 PM
Citazione di: daniele75 il 22 Ottobre 2019, 12:08:02 PM
Non sembra vero ma questo meccanismo naturale è simile a quello delle dipendenze. Durante le brevi fasi di felicità, il cervello rilascia dopamina, endorfine ed altri chimici che ci fanno stare bene [...] Il segreto sta nel comprendere che siamo dipendenti dalla dopamina e la cerchiamo ovunque. [...]Con la giusta consapevolezza possiamo adattarci allo stato di normalità, vivendo con una mentalità diversa, accettando di conseguenza lo stato primario umano. Smettendo di cercare continuamente picchi di dopamina e avvalendosi del pensiero positivo, valutiamo lo stato di normalità dentro di noi, meditando.[/size]
Citazione di: daniele75 il 26 Ottobre 2019, 14:33:43 PM
Ricerchiamo dopamina, l'ormone della felicità. [...] Il marketing conosce bene la mente umana inconscia è sa come hackerare il meccanismo, riempiendoci di desideri secondari che stimolano dopamina. [...]Praticare meditazione giornalmente sapete che rilascia dopamina
Fidandomi di ciò che hai scritto, nel suddetto circolo vizioso della dopamina (e affini), la dipendenza dalla (soddisfazione dopaminica della) meditazione è certamente più salutare dalla dipendenza dallo shopping o da picchi di adrenalina; tuttavia, non dipendere da entrambi, forse consente una maggiore auto-nomia (che non cancella certo la dipendenza dai bisogni primari e dai meccanismi psicologici di appagamento che ogni "carattere" porta con sé). Secondo me, la meditazione può aiutare a ri-centrarsi, a prendersi una sana tregua dall'affanno e dal disagio sia esistenziale (ansia, depressione, etc.) che corporeo (ipertensione, etc.), tuttavia se si esagera, facendola diventare una necessità quotidiana (o comunque ciclica), ho il sospetto, da profano, che possa risultare a sua volta una dipendenza che, per quanto benefica, può avere effetti collaterali se non viene assecondata (magari, banalizzando e generalizzando molto, se sono abituato a meditare ogni giorno e poi per un mese non ho più modo/tempo per meditare, divento più "decentrato" di chi non medita affatto o comunque devo fronteggiare tale "astinenza"...). Praticamente, fra il serio e il faceto, credo sia la stessa differenza fra usare la cannabis per scopi terapeutici ed essere rastafariani.
#1295
Tematiche Filosofiche / Re:La serenità d'animo
26 Ottobre 2019, 22:10:55 PM
Citazione di: Hlodowig il 21 Ottobre 2019, 10:38:23 AM
Mi piacerebbe condividere con te, ma anche con gli altri amici tutti, un video che ha molta attinenza con quanto si discute costruttivamente in questo topic (ma anche in altri):

https://youtube.com/watch?v=FzDjoZ1fiZs

[...]Se si conosce anche la teoria del colore e della geometria, si può notare anche come lo stesso studio, i vestiti, le pose ed il tono della voce, inducano nello spettatore, uno stato rilassato e curioso, per poter sorbaccarsi l' ora e quasi 13 minuti di discussione.
Guardando il video con occhio inesperto, mi è parso quasi il contrario: il "linguaggio del corpo" del conduttore incarna una apparente scomodità (mano spesso "puntata" sul tavolo su cui si scarica il peso del gomito tenuto lontano dal corpo, spalle "storte") e la matita manipolata, nonostante non sia necessario scrivere nulla, la associo ad insofferenza (o valvola scarica-tensione o "scettro d'autorità"); lo sfondo "a punte" mi pare più respingente che accogliente e le linee squadrate o circolari (mai oblique o ondulatorie) danno un senso di stasi; i colori (che suppongo siano quelli ufficiali del canale, quindi comunque obbligatori) mi ispirano freddezza-distacco essendo sulla tonalità del blu; i vestiti dei due interlocutori fanno pandant con lo sfondo, rendendoli più figure inglobate nel set che elementi catalizzatori del filmato, nella uniformità cromatica noiosa più che rilassante (soprattutto per un video di più di un'ora); persino la barba bianco-brizzolata del conduttore è abbinata al bianco del colletto della camicia, quasi per evitare ogni stacco o dinamismo cromatico (e che l'unico arredamento verticale sia un traliccio di metallo lucido, non fa sentire troppo "a casa" lo spettatore, quasi si volesse ricordare forzatamente che si è in uno studio...).
Secondo me la piacevolezza del video (dinamicizzato quasi solo dal "didattico" gesticolare dell'ospite e dai filmati esemplificativi) è dovuta soprattutto, come hai osservato, al tono colloquiale, agli esempi, alle battute, al ritmo vocale coinvolgente ma non frenetico dei due interlocutori, etc. come impostazione di produzione per un video lungo, forse più che una sobria affabilità si è ottenuto un effetto grafico di piattezza (salvato dalla suddetta "piacevolezza umana", proprio a dimostrazione che colori, forme, etc. sono comunque di contorno rispetto all'atto comunicativo vero e proprio, fatto soprattutto dal flusso verbale, emotività, gesti, etc.).

P.s.
Al minuto 31:45 viene ricordato che la comunicazione dipende dal contesto, anche storico, dai destinatari e dallo scopo di chi comunica; a occhio e croce se n'era già parlato in altro topic, è quindi una piacevole conferma.
#1296
Citazione di: Sariputra il 22 Ottobre 2019, 09:10:28 AM
E' questione di tempo, anche il nostro attuale progetto, convinzione, o riferimento si dissolverà sotto i colpi di "nulla -che- non c'è", che lo rivelerà gratuito e infondato .
Eppure «gratuito e infondato» non equivale a «niente» (soprattutto se è tutto ciò su cui si può contare). Secondo me il nulla, in quanto tale, non colpisce; l'altro-da-me, invece, sì e colpendomi mi può far diventare altro-da-ciò-che-ero (ontologia del divenire?). Proprio come la freccia di Zenone non diventa nulla fra un istante e l'altro, così il mutamento (fisico, mentale, prospettico, valoriale, etc.) non viene scalzato dal nulla, ma da qualcosa di altro (o qualcosa dell'Altro, direbbe forse Levinas), che produce o coincide con il mutamento. A volte si rischia di chiamare «nulla» solo l'ignoto, qualcosa che "funziona" diversamente da ciò a cui eravamo abituati e che inizialmente ci sembra distruttivo (ma, a ben vedere, la distruzione stessa non è mai un nulla).

Citazione di: Sariputra il 22 Ottobre 2019, 09:10:28 AM
una semplice ricetta fatta di piccoli 'sensi quotidiani', rivela la sua inconsistenza, la sua profonda ipocrisia, il suo "non voler vedere"...
Ciò nonostante alcuni vivono di/in piccole narrazioni, di/in «piccoli sensi quotidiani»; si ingannano? C'è più inganno e/o più senso nelle grandi narrazioni culturali (per quanto siano prodotto inevitabile della vita sociale)?
E se il «non voler vedere» fosse invece un "vedere e tollerare", perché la loro prospettiva (etichettabile in differenti modi) glielo consente? Proprio come chi cammina su un ponte teso sopra un abisso (tanto per essere originali) e guarda davanti sia il vuoto che è di fronte a lui (non si vede ancora la fine del ponte), sia la sottile linea del camminamento instabile che gli consente, nonostante la vertigine dell'abisso, di procedere. Forse proprio l'esigenza di procedere rende ogni nichilismo superabile (e superato, v. postmoderno): a prescindere dal fondamento dei valori e dei sensi che si usano, risulta davvero impossibile difficile non averne nessuno ed essere mesti "portantini del nulla".

In che senso «la ricetta fatta di piccoli "sensi quotidiani"» ha una sua «profonda ipocrisia»?
Forse ipocrisia come ipo-crinein: distinzione sottostante, comprensione "bassa" (la "banalità" di cui parlavo). Ipocrisia alimentata dalla crisi delle grandi narrazioni e dei sistemoni metafisici, (ipo)crisi(a) che ricorda all'uomo, nell'"autolettura" della sua gettatezza caduca, la complessità delle dinamiche che lo circondano e, soprattutto la necessità di stare al "gioco della vita", da cui non può alienarsi nemmeno alienandosi dalla vita sociale contemporanea, radunandosi in piccole comunità di "ipocriti" con i loro piccoli sensi quotidiani e la loro presenza a se stessi nello spazzare le foglie della/dalla mente, manutentare la struttura abitativa, praticare la consapevolezza, studiare, questuare fra gli eruditi civilizzati, restando pronti a bruciare la statua di Budda per scaldarsi se è troppo freddo (citazione, non provocazione, e mia aspirazione che rimando per ulteriore vecchiaia, al netto della progettualità cangiante di questi tempi moderni...).

Citazione di: Sariputra il 22 Ottobre 2019, 09:10:28 AM
La risposta allo 'svuotamento' , per essere realmente efficace, deve maturare nel corpo malato. La domanda allora è: questo corpo occidentale, ormai 'mondiale', ha ancora degli 'anticorpi' sufficienti? [...] il nichilismo, distruttore di tutti i fondamenti e i valori, è solo un'altra casa in cui ci installiamo, e da cui giudichiamo che "nulla vale"
[...] cessare il dolore del nichilismo
Secondo me il nichilismo non è necessariamente una malattia da curare (dipende cosa si intende per salute, ovviamente), automatico sinonimo di dolore, anzi può essere affrontato (se lo si prende con filosofia) senza pessimismo cosmico esistenziale, ma come tappa "evolutiva" della storia occidentale o più semplicemente come disincanto della propria riflessione sulla realtà. Certo, il nichilismo non fa promesse allettanti, non rincuora, è come l'arte povera; proprio dall'estetica, soprattutto quella orientale, ci possono venire spunti per trovare la bellezza e il valore del "piccolo e debole", del decaduto, del consumato, del quasi vuoto, etc. e se facciamo fatica o "vediamo nero" è anche perché il nostro palato occidentale è più avvezzo alla maestosità degli archi di trionfo, dei templi e dell'oro, che altrove veniva usato, con sensibilità che oggi definiremmo forse nichilistica (svalutante, quasi sacrilega), per "mettere assieme i cocci" (kintsugi).
#1297
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
22 Ottobre 2019, 11:41:41 AM
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2019, 11:07:11 AM
Il marchio di una ditta particolare dovrebbe avere un valore maieutico universale (come la tavola di Mendeleev) per poter essere appeso sopra la testa dell'insegnante.
Se dovessimo appendere solo ciò che è universale, non credo potremmo appendere in aula nemmeno un calendario (non sono sicuro sia il 2019 ovunque) e se dovessimo appendere solo simboli della cultura locale ritorniamo al discorso sulla bandiera, sulla monocultura, etc. riguardo a cui, opinione personale, preferisco didatticamente l'orientamento alla multi-cultura, perché è la realtà in cui sono immersi oggi i ragazzi (magari non piace a tutti o si ha nostalgia del passato, ma la deontologia del docente ha i suoi punti fermi, almeno credo...).
Non colgo comunque il valore "maieutico" della tavola di Mendeleev; riporto questa osservazione circa l'importanza del contesto:
Citazione di: Phil il 19 Ottobre 2019, 14:10:05 PM
Se appendo in classe la tavola periodica degli elementi, questa non ha una funzione né educativa né diseducativa, al massimo suscita curiosità. Diventa educativa e "fruibile" solo se qualcuno me ne spiega il senso, cosa significano quei numeri, come si usa, etc. altrimenti la sua influenza (in)formativa è pressoché nulla. Lo stesso vale per il crocifisso: non basta appenderlo per condizionare magicamente le menti dei ragazzi (e supporre che li condizioni comunque subliminalmente in modo rilevante, cozza con la realtà del calo delle vocazioni e delle presenze nelle chiese).

Riguardo i (fallimentari) tentativi di spiegarmi:
Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2019, 11:07:11 AM
Non ho letto fra le tue righe, ho solo riportato l'argomento che va per la maggiore [...] Tanti ci cascano sul "messaggio universale" del crocefisso
Se ribaltiamo il rapporto fra precomprensione generalista («ciò che va per la maggiore», «tanti ci cascano», etc.) e la specificità di ciò che andrebbe compreso (i miei ridondanti post), adattando la seconda alla prima e non viceversa, siamo nell'anti-ermeneutica (nell'«innanzitutto e perlopiù», direbbe Heidegger); per cui è inevitabile che il tertium sia ricondotto "violentemente" (dal punto di vista semantico ed ermenetico) alla dicotomia semplificata (antifilosofica, secondo me) del pensiero dominante aut-aut "pro o contro il cristianesimo" (v. le mie osservazioni della distinzione fra l'"in generale e per principio" rispetto al tema specifico, fra la mia posizione e quella di anthonyi, fra il contesto aula e il contesto mondo, fra l'oggi e il medioevo, fra la semiotica e l'economia, etc. tutte distinzioni che avrebbero dovuto potuto spiegare lo sviamento off border-topic del rovesciare il rapporto tematico fra crocifisso e religione; per dirlo con il tuo linguaggio: se chi è chiamato ad occuparsi del brand, inizia a disquisire sulla corporation, non sta facendo esattamente bene il suo lavoro, salvo sia in pausa caffé).

Citazione di: Ipazia il 21 Ottobre 2019, 11:07:11 AM
bisogna "sviluppare il discorso" oltre il giardinetto da "mulinobianco" in cui i cattolici (e mi pare anche Phil) lo vorrebbero ridurre.
Se davvero non scambio il "mulino bianco" per la mia "chiesa", ovvero se non sono un "chierichetto ateo dissociato" (libera parafrasi), perché allora non sono a favore del divieto del crocifisso in classe (come da "manuale del perfetto ateo")?
Citazione di: Phil il 04 Ottobre 2019, 12:53:18 PM
per me, si avrebbe paradossalmente una funzione educativa importante per il fanciullo: «ragazzo/a mio/a, "fatti il callo" che nel mondo ci sono tante prospettive, alcune dominanti, altre represse, e quelle messe in bella vista non sono necessariamente le migliori, tuttavia sono forse quelle da tener più presente nella comprensione della visione della maggioranza popolare, ma ciò non ti deve impedire di usare il tuo cervello, inizia a documentarti e a riflettere» (magari riformulato meglio... non sono pratico di discorsi genitoriali).
Forse stai pensando che il crocifisso da solo non aiuta affatto alla riflessione multiculturale o a sviluppare lo spirito critico, ma qui scende in campo il contesto: cosa altro si insegna obbligatoriamente (v. conformità ai programmi ministeriali) sotto quel crocifisso? Solo catechismo? E funziona?
Anche stavolta mi hai fatto ritornare al primo post, chiudendo il giro di giostra.


P.s.
Mi permetto di suggerirti un indovinello: che differenza c'è, nei metodi di comprensione di uno scritto, fra un esegeta ed un(a) forumista?
Per comprendere meglio, il forumista può fare facilmente domande a chi ha scritto il testo. L'«uomo che non deve chiedere mai» non è mai stato un filosofo (tranne Nietzsche? scherzo) e credo valga anche per gli altri generi.
#1298
Citazione di: green demetr il 21 Ottobre 2019, 18:45:01 PM
cit Phil

"Si tratta nondimeno, secondo me, non di essere al cospetto del Nulla, che avrebbe un suo titanismo filosofico ancora squisitamente metafisico, ma piuttosto di trovarsi "banalmente" immersi nella caducità della contingenza («impermanenza», suggeriscono da est) che tuttavia, come direbbe qualcuno, «è sempre meglio di del niente»."

Si ho capito, ma non è che questo banalmente non abbia conseguenze!  ah che pazienza!  ;)  (comunque concordo con quanto hai ben scritto!)
Ecco allora alcune conseguenze; la prima è una sovversione (perversione, direbbe qualcuno) storica: il «banalmente» dell'epoca metafisica ha fondato via negationis e motivato la metafisica; svegli vs dormienti, episteme vs doxa, etc. mentre il «banalmente» attuale post-metafisico è lo sfondamento della metafisica e ribalta, "trasvalutandoli", i ruoli delle dicotomie di cui sopra (ora, per il senso comune ma non solo, gli svegli sono i non-metafisici, l'episteme non è quella della metafisica degli archè ma quella della scienza e delle sue leggi, etc.).
La seconda conseguenza è che le filosofie un tempo reiette (quella popolare "da strada", quella immanente-orientale, quella dissacrante-decostruzionista, etc.) acquisiscono pian piano sempre maggior "dignità", non solo fra il popolo, ma anche agli occhi dei professionisti che, volenti o nolenti, vengono chiamati a prendere atto delle nuove dinamiche umane e sociali.
La terza conseguenza è che per fronteggiare il «banalmente» contemporaneo, si può tutt'ora fare appello alla metafisica (banalizzando il «banalmente» alla luce di una trascendenza forte), oppure banalizzare il «banalmente» installandosi nella sua banalità, nel radicamento allo "spirito della contemporaneità", potendo riflettere criticamente dal suo interno senza andare oltre (meta) la contingenza e l'immanenza della banalità dell'esistenza e dell'accadere (ovvero indirizzandosi verso una filosofia tutta terrena, fra aspirazioni pur sempre umane e modelli di spiegazione sempre più ramificati).
#1299
Citazione di: Sariputra il 20 Ottobre 2019, 10:53:25 AM
Il cerchio si chiude e resta solo un 'post-nichilismo' fatto di formule anestetiche e contraddittorie come: "ogni significato è relativo, anche quello che sto esprimendo ora non significa niente".
[...]
La nostra mente di  occidentali è abituata da oltre duemila anni a fissare un'idea stabile di tutto, "entificare" per così dire tutto, e quando percepiamo 'nulla' e vogliamo indicarlo, lo immaginiamo come un nulla-qualcosa, una tangibile mancanza rispetto a qualcosa che eravamo convinti ci fosse o ci dovesse essere: un riferimento, un valore, o un mondo stabile e dotato di significato. È come cercare di immaginare un buco: sempre ci rappresentiamo i contorni (il nulla di questo e di quello), ma non il buco...
Coniugando questi due passaggi otteniamo, secondo me, uno snodo portante in cui la speculazione teoretica è chiamata a fare i conti con la realtà, ma faccio prima un passo indietro per focalizzare un aspetto contestuale che credo sia rilevante: l'horror vacui occidentale dipinge il vuoto-nulla come abisso famelico, oblio senza ritorno, etc. mentre i taoisti avevano elogiato il vuoto per la fertilità del suo potenziale; in entrambe le prospettive, forse viene sottovalutato che il vuoto è sempre contenuto da altro (il vuoto dell'abisso nella terra, il vuoto nel vaso, i contorni del buco, etc.). Parimenti, al di là della reazione magari più disperata (e disparata) dell'occidentale di fronte al collasso delle sue torri di senso (più "celesti" di quelle orientali, quindi più devastanti nel rovinare a terra), il nichilismo è a suo modo contenuto nella necessità (onto)logica del suo "contenitore": chi afferma quella frase sul "non significare niente", non ha forse inevitabilmente una sua significante (e significativa per lui) visione del mondo? Anche il nichilista più incallito e radicale, non (inter)agisce, sceglie, discerne, etc. secondo valori e criteri non dovuti certo al famoso lancio della monetina? La pratica di pensiero nichilista a quale pratica esistenziale e sociale corrisponde? Direi ad una fatta di idee deboli, personali, provvisorie come ipotesi da testare sul campo, ma non proprio fondate sul nulla (che sarebbe paradossale; inoltre, l'esigenza pragmatica di una pratica organizzata, sia individuale che sociale, non so se possa "lasciare spazio al nulla", forse ad un certo tipo di vuoto, ma questa è un'altra storia...).

Mi sembra quindi ci sia una terza forma di nulla (tertium datur) oltre al «"vuoto esistenziale" nichilista» e al «Shunyata»: quella del "nulla apparente"; ovvero, c'è stato sicuramente indebolimento, ma non svuotamento radicale (con esito un "nulla dominante"). Anche quando si parla di nonsense (tema caro al postmoderno), in fondo (all'abisso) un senso sottile comunicato c'è sempre (come nei quadri astratti); anche quando si dice che tutti i valori non hanno un fondamento assoluto, poi, di fatto, si finisce con avere e usare valori fondati comunque su qualcosa (non sul nulla); e così via... si tratta dunque di non scambiare il poco e il debole con il nulla, di riconoscere la fruibilità (e la fruizione praticata) del sottile e del fragile, sebbene, per tradizione culturale (oltre che per istinto) l'uomo, occidentale e non solo, cerchi sempre di essere in un gruppo solido, di avere una comunità basata su un legame forte (che con la "voce del branco" gli suggerisca cosa pensare e cosa fare). Questo oggi inizia ad essere più difficile, e la spasmodica ricerca di comunità (virtuali o meno) o di identificarsi con gli "ismi" del momento (come giustamente osserva InVerno) è sintomo sia di tale difficoltà che di tale istinto. Si tratta nondimeno, secondo me, non di essere al cospetto del Nulla, che avrebbe un suo titanismo filosofico ancora squisitamente metafisico, ma piuttosto di trovarsi "banalmente" immersi nella caducità della contingenza («impermanenza», suggeriscono da est) che tuttavia, come direbbe qualcuno, «è sempre meglio di del niente».


P.s.
Con la crisi di credibilità delle tavole dei valori firmate dagli dei, più che di nichilismo come "vittoria del nulla", si tratta forse di pigrizia mentale (più che di noluntas) nel dover far fronte, senza autorevoli istruzioni per l'uso preconfezionate, ad una realtà sempre più complessa, mutevole, plurale e quindi polisemica. Forse è un po' come il monaco amanuense che di fronte a tastiera, pc e stampante, si strugge sconsolato e conclude «non c'è nulla con cui scrivere» solo perché non conosce e/o sa usare ciò che ha davanti... per quanto ci siano indubbiamente differenze notevoli fra la scrittura a cui egli è abituato e quella che può praticare adesso (non ai suoi tempi); e nondimeno è ancora possibile procurarsi gli strumenti a lui cari, proprio come è ancora possibile pensare in modo "forte", non nichilistico, etc.
#1300
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
21 Ottobre 2019, 01:15:49 AM
Citazione di: Jacopus il 20 Ottobre 2019, 19:32:11 PM
Per Phil (stiamo cercando di vincere per sfinimento dell'avversario, e comunque finora é stato un dibattito molto civile e anche interessante, pertanto grazie a tutti).
La mia perseveranza non cerca di sfinire l'avversario (non ne vedo), ma piuttosto di esporre la mia prospettiva "per vedere l'effetto che fa" (siam qui anche per quello, no?): se Ipazia ha letto fra le mie righe (non certo nelle mie righe) che vedo nel crocifisso «modello amoroso di valore universale», significa che mi sono spiegato davvero male e/o che ho una posizione piuttosto indecifrabile per il paradigma altrui; così come se il mio rifiutare di seguire la "degenerazione" del topic verso la solita invettiva generale contro il cristianesimo in società (preferendo addentrarmi nella questione specifica del topic), viene letto come arrampicarsi sui vetri o disonestà/dissociazione intellettuale, allora le mie argomentazioni (soprattutto quelle non raccolte dalle repliche altrui...) non sono proprio riuscito a renderle chiare (oppure sono così inappellabili che per muovere obiezioni dalla propria zona di comfort bisogna necessariamente saltare dal «brand» alla «corporation»? Sarebbe più una delusione che una soddisfazione). Se ho citato spesso il "malcapitato" anthonyi (con cui mi scuso per avergli fatto fischiare le orecchie troppo spesso) era per invitare a non ragionare per copioni già scritti o diatribe "da manuale" (a giudicare dalle reazioni altrui, ho fallito e ne prendo atto).
Il motivo di tale incomprensione (che ho potuto riscontrare anche altrove, sempre fra ragionevoli atei) è secondo me che fuori dalle posizioni canoniche, c'è il disagio di non poter ricorrere alla precomprensione abituale («se lui è x allora deve sostenere y»); se poi anche l'istintivo meccanismo psicologico gruppale del "o con me, o contro di me" viene rifiutato esplicitamente da una posizione "terza", allora la perturbante prospettiva altrui suscita un certo disagio che spesso si preferisce non affrontare, per timore di uscire dai consueti (ragionamenti) binari (almeno così interpreto le reazioni che solitamente riscontro).

Citazione di: Jacopus il 20 Ottobre 2019, 19:32:11 PM
Oggi ascoltando "uomini e profeti", su radio 3 ho sentito questa frase di Foucault che ho subito collegato a questa discussione.
"Il potere non è solo ciò che limita e reprime ma anche  ciò che costruisce con sofisticati apparati di propaganda al fine di modellare identità individuali e collettive".
Il crocifisso è proprio questo: un apparato di propaganda, che va ben al di là del significato religioso e si aviluppa in modo parassitario, come dice Ipazia, alla società civile.
Chiederei (ancora): viene vissuto davvero come propaganda nelle nostre scuole pubbliche? Secondo quali indicatori? L'esempio della tavola periodica era proprio "fuori fuoco"? Non rischiamo di ragionare in generale e "per principio" perdendo di vista la reale dimensione di tale fantomatica propaganda in quel contesto? Un parassita imbalsamato è ancora un parassita che richiede l'antiparassitario?

Citazione di: Jacopus il 20 Ottobre 2019, 19:32:11 PM
In realtà, fa anche un po' di tenerezza. Quel crocifisso, sotto il quale furono passati per le armi tutti gli abitanti mussulmani di Gerusalemme nel 1099, oggi non sarebbe più in grado di sostenere le qualità marziali degli occidentali (che infatti si sono rivolti ad altri dei).
Il contesto sociale in cui viene usato un simbolo è quindi rilevante: appenderlo oggi o appenderlo quattro secoli fa o mille anni fa, ed appenderlo in una classe o in un monastero o in un parlamento, non conferiscono lo stesso "potere taumaturgico" a quel simbolo. Qui si dovrebbe parlare di quello appeso oggi nelle aule, se non ho capito male... detto in altri termini, ho solo un po' di nostalgia di un discorso tematico che qui non si è (quasi) mai sviluppato perché prontamente spinto verso gli affollati e ben noti lidi dell'anticlericalismo "in generale e per principio".


P.s.
Propongo questa curiosità a proposito di crocifisso e tecnologia: una nuova forma non di propaganda, ma di "fidelizzazione" (in tutti i sensi) ed engagement dei "clienti":
https://www.ninjamarketing.it/2019/10/15/erosary-app-vaticano-social-bluet/
#1301
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
20 Ottobre 2019, 16:11:01 PM
Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2019, 13:18:46 PM
Fra le tattiche dialettiche preferite dai "militanti" vi è sopratutto quella di, anzichè rispondere ai ragionamenti, selezionare accuratamente parti di testo, privarle della loro nervatura contestuale (in questo caso sarcastica) ed esclamare "eureka!" come se facendo pressione su due ossa giunte senza un muscolo, si dovesse provare meraviglia nell'osservare che esse si disgiungono. Che vi sia forse una paradossale militanza anche nel non essere militanti?
Nah...probabilmente sei semplicemente troppo stanco dell'argomento, quale lo sono io, per farti notare con dovizia di particolari che "pensiamo prima al panem che al circenses" è la risposta numero uno nel manuale di un certo tipo di militanti che vogliono dipingersi equidistanti (lo stesso argomento è stato portato sulle unioni civili, l'aborto etc) perciò te lo faccio semplicemente notare in quello che sicuramente sarà il mio ultimo intervento!
Ho citato l'esempio di Garibaldi perché è funzionale al mio discorso riguardo la tendenza ad allargare troppo il tema senza averlo prima sviluppato nel suo nucleo (v. titolo del topic): ben vengano i collegamenti e gli approcci obliqui, tuttavia, secondo me, bisogna prima affrontare il tema circoscritto (qui si è partiti quasi subito in quarta con la consueta filippica sulle colpe della chiesa, che ormai suona stantia per un ateo come me, e partendo in quarta, il motore del tema specifico, puntualmente, si spegne). Sul «panem et circenses» intendevo che pensando troppo al simbolo «circenses» si perdono di vista questioni più primarie come il «panem», inteso come bisogni più rilevanti (e anche come tutte le questioni che ho già definito più serie, ad esempio quelle finanziarie, meritevoli sì di sviluppi ma in altri topic).
Nel tuo ultimo post hai accennato a tematiche per me "border-topic" su cui avevo già risposto (l'astio basato su esperienze personali, le donne vs il clero, la differenza fra Cristo e la chiesa, etc.) quindi non volevo ripetermi ulteriormente. Sul volersi dipingere equidistanti(?), non mi riconosco troppo: se parliamo di religione, sono ateo (nessuna equidistanza), se invece parliamo di simboli cerco di contestualizzarli senza "partire per la tangente", (de)scrivendo il mio modo (opinabile) di decifrarli e valutarli (se il risultato è un po' stretto per categorie fortemente dicotomiche, significa solo che, come accaduto, farò molta fatica a spiegarmi... effetti collaterali del tertium).

P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2019, 14:57:55 PM
Ma anche volessimo entrare nell'ermeneutica del simbolo tout court, solo una perversione fideistica può spacciarlo per modello amoroso di valore universale.
«Modello amoroso di valore universale» è farina del mio sacco (o quello di anthonyi o di altri)? Devo proprio tornare fra i banchi, credevo di essere più comprensibile nello scritto (ingenuo ottimista).
#1302
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
20 Ottobre 2019, 11:32:48 AM
Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 23:55:49 PM
A qualcuno, e niko che saluto è un altro, da proprio proprio fastidio, e il fatto che non converta nessuno non lo rincuora per niente. Che cosa può dire lo stato a questi? Affari vostri?
Mi piace pensare che quando lo stato si dedicherà ai fastidi (per me estetici, ma ognuno ha la sua sensibilità) delle persone, abbia prima risolto questioni un po' più pesanti (e "pensanti") o almeno che oltre al «circenses» ci sia anche «panem» per tutti; per questo ho bollato il crocifisso come «falso problema», come "dito rispetto alla luna", etc.: se un giorno diventerà un problema considerabile come serio (per me), dovrebbe significare (sempre per me) che staremo vivendo in una società quasi paradisiaca.

Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 23:55:49 PM
Chiedo ufficialmente a chi di dovere la resurrezione di Garibaldi per terminare definitivamente questa banale questione, stiamo parlando dello stato Italiano fatto daun clerofobico anticristiano! Dov'è finita la nostra tradizione! Quale educazione per i nostri figli! Non ci sono più le stagioni di una volta!
In generale, il mio discorso era volto a restare focalizzati sul topic, che parla di crocifisso e di aule, senza "diluire" il tema riconducendo la questione ("deformazione professionale" degli atei militanti) a massimi sistemi, contrappassi culturali, studi filologici e indebiti parallelismi con altri feticci o "idola". Se siamo arrivati a resuscitare Garibaldi e schedarlo come "anticristiano" direi che più che "diluizione", siamo alla disintegrazione del tema del topic nel macrocontesto del cristianesimo in italia (e se di tutto quello che ho scritto e ripetuto s'è capito solo che ho usato una volta l'espressione «clero-fobico» e non, ad esempio, ciò che mi differenzia da anthonyi, allora devo proprio tornare a scuola, e farò bene a non farmi distrarre da quello che troverò sulla parete, altrimenti più che imparare a scrivere, rischio di scoprirmi cristiano e mi toccherà ricominciare a riflettere su tutto daccapo; non ho più l'età, anche se, come si diceva una volta, «non è mai troppo tardi»...).
#1303
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
19 Ottobre 2019, 22:16:41 PM
Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 17:21:23 PM
Il bianco, l'assenza di simboli, invece è ciò che identifica la nazione Italiana nel suo intero e nella sua pretesa equidistanza dalle sue parti, dalle ideologie, dalle religioni etc sancita dalla moderna costituzione Italiana. Facciamo il luna park anche sulla bandiera?
Non è diverso per i muri
Eppure, sempre per amor di distinzione fra i contesti semantici (pazientate, ognuno ha i suoi hobbies), non confonderei la bandiera con una parete scolastica: la prima rappresenta l'identità di uno stato, per cui il "monismo" della bandiera è legittimo, così come è una la costituzione che vige, etc. se anche appendessimo dieci bandiere in un'aula, come si fa negli hotel, quella dello stato di appartenenza dovrebbe avere un valore differente spiegato deontologicamente dai docenti (intendiamoci, non sono affatto a favore della proliferazione di bandiere, anzi; seguo solo l'esempio). La parete dell'aula ha invece uno scopo didattico (ripeto ancora che per me è una comunicazione desueta e inefficiente, ma mi adeguo al main stream della discussione che la vede come un elemento didattico cruciale oltre che "di principio"); non per nulla una viene fatta sventolare nelle celebrazioni statali e omaggiata come reliquia, mentre l'altra è piuttosto multiforme e spesso lasciata a deteriorarsi. Una formazione scolastica multiculturale o una parete multireligiosa sono sicuramente possibili; una bandiera multiculturale è meno probabile (non a caso si cerca sempre di fondare formalmente una bandiera su una comune radice culturale, come si tenta di fare per l'Europa).

Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 17:21:23 PM
E' lapalissiano che un certo astio abbia un origine storica, e fa parte delle responsabilità che chi ha portato la croce doveva valutare quando per esempio prendeva posizione sull'aborto.
I miei "due centesimi": mossi dall'astio e dall'idea vendicativa che «due torti fanno una giustizia», si possono fare pessimi ragionamenti (ma ottimi militanti; a ciascuno il suo, come dicevo).

Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 17:21:23 PM
Se ora una donna non vuole vedere una croce, farla passare per "cristianofobica" è un pò come dire che i gli ebrei sono "nazistofobici".
A scanso di spiacevoli equivoci: ho usato il termine «clero-fobico», non «cristianofobico» (sulla differenza fra «clero» e «cristiano», evito pedanterie sicuramente non necessarie) e non per rivolgermi miratamente ad Ipazia in particolare (se è la donna a cui ti riferisci), ma a tutti quelli che hanno fobia (reazione avversa parossistica, poco razionale e scarsamente motivata) verso il clero e ogni sua possibile manifestazione (se Ipazia lo sia o meno, non posso saperlo, né è affatto oggetto del mio interesse; mi permetto invece di rimandarla ai miei ultimi post per quanto riguarda la mia necessità ermeneutica di distinguere i simboli dalle finanze, almeno finché il tema del topic è quello in oggetto).
Visto l'apparente trionfo della spontaneità del ragionamento dualistico, una precisazione logica: il muovere obiezioni a chi le muove ad anthonyi non mi rende automaticamente concorde con tutto ciò che afferma antonhyi (spero che, dopo tanto ripetermi, almeno questo sia riuscito a comunicarlo): anche qui, tertium datur.

P.s.
Sull'infelice accostamento fra «cristianofobia» e «nazistofobia» devo davvero far notare che oggi un nazista non farebbe ad un ebreo esattamente quello che oggi un cristiano fa/farebbe ad una donna? Davvero vogliamo essere così superficialmente generalisti da cibarci di un minestrone in cui buttiamo politica, religione, simbologia, economia, semiotica, educazione, storia delle religioni, etc. in un topic intitolato umilmente «crocifisso in classe», pur di alimentare l'ennesima polemica catartica contro il clero della religione mortificante? Domanda posta da un ateo (non anticlericale; è necessario specificarlo, giusto?).
#1304
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
19 Ottobre 2019, 16:27:50 PM
Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 14:36:28 PM
Vuol dire che dobbiamo disegnare svastiche in classe? In fondo è un simbolo religioso orientale, chissà mai che non vinca qualche elezione per alzata di mano.
(Non ho controllato, ma a memoria mi sembra che quella buddista sia diversa per direzione degli angoli). Chiaramente, da un punto di vista storicistico appendere una svastica non dovrebbe essere uno scandalo (nel dubbio, vogliamo cancellarla anche dai libri di storia?), così come fare il saluto romano, etc. comunque, se la legge lo vieta è questo divieto che bisogna deontologicamente insegnare a scuola ai ragazzi; tuttavia, se la legge lo consente bisognerebbe, almeno secondo me, insegnare ai ragazzi a non aver paura dei simboli (né a divinizzarli), ma a capirne il contesto e i valori. Con ciò non intendo ovviamente che un simbolo valga un altro, per storia, "presa" sui giovani, etc.

Citazione di: InVerno il 19 Ottobre 2019, 14:36:28 PM
spesso e volentieri le questioni più banali, sembrano le più propense a dover passare per il cosidetto "ufficio complicazione affari semplici".
Concordo, infatti per me la questione del crocifisso viene complicata esponenzialmente chiamando in causa equilibri geopolitici, la storia dell'uomo, etc. quando si tratta di un simbolo che rappresenta un culto da noi in declino e con sempre meno "appeal" per i giovani (simbolo che richiama una religione connessa anche a questioni economiche e sociali che tuttavia non vanno confuse con il ruolo sociale del simbolo stesso... salvo, come dicevo, voler parlare di quella religione in generale, come non da topic).

Citazione di: Ipazia il 19 Ottobre 2019, 14:53:22 PM
Phil non colga il valore propagandistico del marchio cattolico esposto nei luoghi pubblici, esentato pure dalla tassa di affissione. Semiotica a corrente alternata pare. La Coca cola pagherebbe fior di quattrini per avere lo stesso privilegio.
Mischiare marketing, propaganda politica e religione (oggi, ovvero un po' dopo il medioevo), non tiene presente il campo semantico di quei simboli: convincere all'acquisto non è esattamente come convincere al voto che non è esattamente come convincere alla conversione religiosa: ci sono indubbiamente meccanismi affini, ma le differenza sta nelle pratiche sociali che ne conseguono e nei moventi che orientano verso l'adesione o il rigetto di tali pratiche (non è roba da poco, a mio modesto parere).
Ribadisco che, parlando di quel simbolo (non della complessa rete di associazioni mentali che può far scaturire in un adulto) credo bisogni tener presente il contesto e i destinatari (come da semiologia). Il crocifisso fa propaganda? Proponevo di non rendere tale propaganda obbligatoria, di affiancargli i simboli della "concorrenza" e di renderlo argomento di studio. Sono in attesa di considerazioni sull'efficacia di tale propaganda che pare spaventare tanti atei (@InVerno: va bene parlare "per principio", ma anche dare un'occhiata alla realtà contestuale non guasta), sul fatto che sotto quel simbolo vengano svolte lezioni (soprattutto?) di "anti-propaganda" e sul perché non dovrebbe essere necessità ermeneutica, riguardo al tema, fare un'attenta distinzione (questa sì semiotica) fra il ruolo del simbolo e gli aspetti social-economico-finanziari dell'apparato umano contraddistinto da quel simbolo.

P.s.
Citazione di: Ipazia il 19 Ottobre 2019, 14:53:22 PM
il divorzio c'è o non c'è. Tertium non datur.
Eppure ciò vale per la legge (proibito/consentito), ma non per la filosofia: per fortuna, non si deve scegliere solo fra essere clericali o anti-clericali, religiosi o anti-religiosi, etc. il tertium, con tutti i suoi limiti forumistici, ce l'hai ad esempio abbozzato nei miei post (oltre, piuttosto concretamente, nell'ignavia sociale come ingombrante tertium fra il referendario voto "si" / voto "no").
#1305
Attualità / Re:Crocefisso il classe?
19 Ottobre 2019, 14:10:05 PM
Citazione di: anthonyi il 19 Ottobre 2019, 08:31:19 AM
poi però queste pratiche sociali vanno valutate nel loro significato sociale, se il crocifisso in classe ha funzione educativa, e io sono convinto ce l'abbia, io mi aspetto critiche che dimostrino la diseducatività del crocifisso stesso.
Oltre il dualismo educativo/diseducativo, tertium datur: è una presenza tendenzialmente ininfluente (quindi un falso problema). Se appendo in classe la tavola periodica degli elementi, questa non ha una funzione né educativa né diseducativa, al massimo suscita curiosità. Diventa educativa e "fruibile" solo se qualcuno me ne spiega il senso, cosa significano quei numeri, come si usa, etc. altrimenti la sua influenza (in)formativa è pressoché nulla. Lo stesso vale per il crocifisso: non basta appenderlo per condizionare magicamente le menti dei ragazzi (e supporre che li condizioni comunque subliminalmente in modo rilevante, cozza con la realtà del calo delle vocazioni e delle presenze nelle chiese).
Certo, a scuola c'è l'ora di religione, sebbene notoriamente non sia quella in cui l'attenzione e la partecipazione dei ragazzi raggiunge l'apice (se non sbaglio), essendo inoltre chiamata a distinguersi dal catechismo. Nondimeno se molti di noi possono parlare anche della trinità "Nietzsche, Marx e Freud", evoluzionismo, etc. è perchè sotto quel crocifisso si insegna disinibitamente anche molto altro, persino contrario a ciò che quel crocifisso rappresenta (v. l'ammonizione di distinguere doverosamente le nostre scuole da quele coraniche), al punto che è difficile non notare una certa involontaria ironia nell'ateo che denuncia il condizionamento del crocifisso, quando probabilmente ce n'era uno anche nella sua aula, eppure...


P.s.
Se non discriminiamo il ruolo pratico del simbolo (nel suo contesto, per i suoi destinatari, etc.), ciò che esso simboleggia (una dottrina religiosa), l'apparato umano connesso al culto (la chiesa), i legami istituzionali di tale apparato con lo stato (concordati, esenzioni, finanziamenti, etc.) e altri fattori pertinenti, preferendo considerare unitariamente la rete composta da tutti questi elementi, allora diventa un topic generalista sulla chiesa (sebbene non mi pare sia questo ciò a cui ci invita il titolo del topic).