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Messaggi - Sariputra

#1306
Attualità / Re:IL PROBLEMA OCCUPAZIONALE
07 Marzo 2017, 11:45:31 AM
@Eutidemo scrive:
Forse il mostruoso DEBITO PUBBLICO ce lo ha procurato l'Europa?
No, ce lo siamo procurato da soli.


In realtà invece , proprio perché all'interno dell'area euro, in questi anni siamo riusciti a non far esplodere del tutto il debito pubblico. Con il QE della BCE che teneva e tiene artificiosamente bassi gli spread dei paesi "periferici" all'area, l'Italia ha potuto rifinanziare il suo debito a tassi d'interesse ridicoli, risparmiando una montagna d'interessi da pagare per riuscire a piazzare i suoi Btp ( teniamo conto che attualmente il maggior acquirente di questi titoli è proprio la BCE tramite il programma d'acquisto QE, alcuni sostengono che , di fatto, sia l'unico acquirente istituzionale ormai, visto che i fondi sovrani sono già corsi ai ripari... :'( ). Secondo me, un'uscita dell'Italia, come della Grecia e del Portogallo, dall'Euro non può prescindere da un default del debito pubblico. Questo dovrebbe essere messo in chiaro ai propri elettori dalle forze politiche che lo caldeggiano. Dopo il default però, come riusciranno questi paesi a rifinanziarsi sul mercato dei capitali a tassi...diciamo 'ragionevoli'? E senza questi finanziamenti l'Italia può reggere l'enorme e costosa struttura burocratica e clientelare che forma la sua ossatura (sigh!) sociale solamente con le entrate fiscali e con un limitato mercato interno dei valori? Non so, per es., di quanto oro dispone la Banca d'Italia nei suoi forzieri per determinare la forza della nuova moneta che verrebbe coniata, onde evitare una paurosa inflazione iniziale ( specialmente sull'acquisto dei prodotti energetici e a cascata, visto che tutto circola su strada, sull'alimentazione. Non possiamo paragonare l'Italia e gli altri paesi pigs dell'eurozona alla G.Bretagna, che dispone già di una sua autonomia monetaria, di una banca centrale che agisce in autonomia dalla BCE,e da una debito pubblico non rilevante ( oltre alla rete commerciale del Commonwealth...).
#1307
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
07 Marzo 2017, 09:16:30 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Marzo 2017, 08:29:44 AMRitengo utile dare tre precisazioni riguardo al relativismo, per diminuire i fraintendimenti riguardo ad esso. 1. Non ha senso usare come metodo lo spauracchio dell'anarchia, dell'immoralità o del non poterci intendere, causati dalla distruzione, da parte del relativismo, di tutti i valori, significati e criteri. Non ha senso perché sarebbe come dire: vista la gravità della situazione, dobbiamo trovare a tutti i costi un riferimento. Voler trovare un riferimento a tutti costi, giustificando l'atteggiamento "a tutti i costi" con la gravità distruttiva del relativismo, va a significare voler trovare un riferimento anche a costo di inventarselo. Insomma, è come uno che sta precipitando e pensa: "Qui la situazione è gravissima: devo trovare a tutti i costi un conforto, a costo di inventarmelo". Non sarebbe di per sé vietato inventarsi un conforto, ma il problema è che la metafisica non accetta di essere considerata qualcosa di inventato. Se la situazione è grave, non ha senso inventarsi punti di riferimento o di conforto: è più efficace prendere atto della gravità e vedere cosa si può fare. Quindi non ha senso dire che col relativismo su dà via libera alla violenza, al fare ognuno quello che pare e piace: se anche fosse così, vuol dire che bisognerà trovare modi per affrontare tale situazione, non far finta che il castello delle certezze non sia inesorabilmente crollato e non più ripristinabile al suo stato precedente. 2. Il relativismo non è un sistema di idee, ma un discorso storico. Se il relativista dice che il cielo è blu, non lo dice come affermazione di principio, ma come esperienza storica, cioè inclusa nel tempo, nello spazio, localizzata, soggetta al divenire, all'opinabilità. L'errore che tutti fanno in questo senso è trattare invece il relativismo come un sistema statico, come una matematica: "Se tutto è relativo, questa è già una pretesa di verità". No, perché nel momento in cui il relativista dice che tutto è relativo, non lo sta dicendo come affermazione di principio, ma come racconto storico, come esperienza soggettiva umana: abbiamo fatto un cammino, eravamo metafisici, ci siamo accorti che siamo umani, ci viene a risultare che tutto è relativo. Il problema è che i metafisici vengono a risultare talmente imbevuti di metafisica, da non riuscire a fare a meno di trattare il relativismo come se fosse una metafisica. Ma l'uso del verbo essere da parte del relativista non va inteso come dichiarazione astratta, oggettiva: va inteso come racconto di una storia, consapevole di essere nient'altro che una prospettiva soggettiva, soggetta al confronto delle opinioni, poiché non è altro che un'opinione, proposta di un dialogo. 3. Le affermazioni espresse dal relativismo valgono proprio perché sono soggettive. Se come relativista dico che il cielo è blu, la mia affermazione ha valore proprio perché è la mia opinione, nient'altro che la mia opinione. In questo senso si può dire che tale affermazione vale quanto me, vale quanto valgo io; se un altro mi dice che il cielo è rosso, la sua affermazione vale quanto vale lui, cioè quanto vale una persona qualsiasi. Ne consegue che quando un relativista fa un'affermazione qualsiasi, egli non sta presentando all'altro un pacchetto di verità oggettive, ma sta presentando se stesso. Il relativismo non è incontro di verità, princìpi, affermazioni: è incontro di persone. Al contrario, voler dare forza alle proprie affermazioni tentando di presentarle come qualcosa di indipendente dal proprio cervello non fa che azzerarne il valore, poiché non risulta che finora ci sia mai stato qualcuno in grado di presentare affermazioni senza aver incluso in esse l'uso del proprio cervello. Quindi le cose stanno esattamente al contrario: ciò che viene presentato come verità oggettiva o principio assoluto vale zero, perché fino ad oggi nessuno è stato in grado di mostrare l'esistenza di affermazioni indipendenti dal proprio cervello; ciò che invece viene presentato come opinione vale, perché l'opinione è offerta di un dialogo, un confronto tra persone.

Secondo me però all'atto pratico non cambia nulla. Il metafisico arriva e dice: "Ecco la verità" e un altro metafisico sostiene."No, guarda ecco, è questa la verità" dicutiamone e vediamo quale delle due è più logica. Il relativista arriva e dice: "Ecco la mia opinione attuale" e un altro relativista risponde: " No, guarda, io ho invece quest'altra opinione", discutiamone.
L'errore che fai tu, così mi sembra almeno, è quello di ritenere che il credere in una verità ti faccia AUTOMATICAMENTE diventare un dogmatico, autoritario e impositivo. In realtà il dogmatismo è qualcosa d'altro che non il credere in una verità e ha più a che fare con la volontà di potere che non con la verità stessa. In realtà anche il relativista può essere parimenti dogmatico: basta il semplice affermare:"Guarda che NON PUOI stabilire alcuna verità, perché tutto è relativo". Sia nel primo che nel secondo caso, il metafisico e il relativista diventano dogmatici. Quindi il problema non è la teoria ma la struttura stessa del pensiero a poter diventare dogmatica. Tra l'altro sostituire una verità "fissa" con una "mutevole" non risolve affatto il problema del criterio etico con cui agire, che si impone tanto al metafisico che al relativista. Che il metafisico agisca in nome di una 'verità' o che il relativista agisca in nome di un''opinione' sempre ci troviamo di fronte al dilemma del COME agire. Anche dire che il relativismo dia più importanza al soggetto e alla sua personale e mutevole opinione che non la metafisica, non mi sembra corretto. In effetti un vero metafisico ama senz'altro il confronto e lo scambio sulle sue posizioni, così come può amarlo il relativista. Il problema, se ristretto alla sfera filosofica, si risolve in ambedue i casi in un sofisticato 'cazzeggio' inconcludente. Diverso il caso in cui l'assolutismo dogmatico o il totale relativismo coinvolgano l'intero sentire della società, che cioè investano il vissuto di masse di popolazione certamente poco ' raffinate', per usare un eufemismo. L'assolutismo con un'etica imposta che genera tirannia e un relativismo, che non può coerentemente proporre alcuna etica condivisa, che può quindi trascinare verso la più totale violenza personale ( e qui, come ha ricordato Green Demetr,la lezione dostoevskjana va approfondita). 
Fare uno scattino "oltre", non sarebbe possibile? A me sembrano due "cul de sac" notevoli ambedue... :) Non mi sembra che l'usare la parola 'opinione' cambi l'agire rispetto alla parola 'verità'. L'agire cambia quando tu vuoi 'imporre' la tua opinione o la tua 'verità'. Tra l'altro il relativismo è estremamente funzionale al capitalismo e quindi, non volendolo, è di fatto uno strumento prezioso in mano proprio ad una struttura di potere e di tirannia da cui il relativista si vorrebbe liberare. Ossia: è perfetto che tutto cambi in continuazione, perché questo ci permette di non cambiare mai  :(.
#1308
Riflessioni sull'Arte / Re:C'è di più
06 Marzo 2017, 23:55:01 PM
Jean
come un pittore insegue l'opera perfetta, così l'amante insegue l'amore perfetto e l'ansia di trovarlo non si placa con l'età, ma anzi rende questa impossibile e illusoria ricerca ancor più struggente...

"Mi rivolgo a Te e non mi rispondi,
ma il Tuo silenzio mi parla al cuore.
Libri aperti sparsi sul pavimento;
la pioggia cade sulla pianta di pruno"
Ryokan Daigu, monaco dello zen*

https://www.youtube.com/watch?v=UcmABa7fpPM

Vorrei portarti con me,
una sera d'aprile, con il vento tiepido
presagio d'estate a toccarti il cuore.
Farti sedere sotto un grande ciliegio
e scuoterlo tutto per riempirti di fiori bianchi.
Poi starsene a vedere la Luna prendere forza
nel tramonto d'arancio. Con le prime luci
che si accendono timidamente sui lampioni.
E parlare di te, di me,
di tutta la piccola gente che passa lenta
e saluta con un cenno.
Del resto che importa?
Un giorno, un anno, una vita,
che serve?
Solo quest'attimo conta intero.
Si può amare, cantare, colorare le stelle
e restarsene soli, in disparte.
Eppure il segreto celato nel cuore
è solo una bolla senza vita,
al confronto con il tuo sorriso di primavera.
Riuscirò mai a capire il tuo dolore?
La tua fortezza ai confini del Regno?
Saremo sempre divisi dal sogno?
Da questo mare notturno
percorso senza sosta
dalle scie scarlatte dell'amore?
Non pensare! Non pensare!
Corri libera sui carri celesti
e canta la canzone che ti ha costruito
il padrone nell'animo; quella che solo tu conosci
e non puoi rivelare.
Io resterò solo,
ad osservarti.

Sari, 1988

*A trentatré anni ricevette l'inka, il riconoscimento che ancora oggi in ambito Zen certifica l'illuminazione; nella sua umiltà, tuttavia, Ryōkan  non raccontò mai di aver vissuto tale esperienza. Nel monastero di Entsūji scriveva poesie, praticava la calligrafia e, di tanto in tanto, cedeva al piacere di un bicchiere di sakè; i suoi componimenti ritraggono con delicatezza e ironica fedeltà questo suo vivere quieto e non privo di innocenti diletti, ma esprimono anche - con uguale finezza - tutto il dolore che lo colpì poco dopo: quello dei numerosi e prematuri lutti (in seguito ai quali divenne monaco errante), della fatica del vagabondare e del questuare, della malattia, del tornare al paese natio e di scoprire che molti degli antichi affetti erano scomparsi e la sua famiglia caduta in rovina. Infine si stabilì nell'eremo di Gogōan; lì ricevette visite, compose versi, lesse Dōgen e i classici cinesi, mendicò e spesso si fermò a giocare coi bimbi dei villaggi vicini, fino a che età e malattia gli impedirono di questuare e sopportare l'inverno della montagna: allora dovette mettere fine a oltre vent'anni di vita eremitica, "tornando al mercato" - secondo la parabola Zen dei Dieci Tori -, cioè fra la gente, cui dispensò i doni interiori maturati nella propria lunga ricerca. La giovane monaca Teishin, con la quale condivise lo studio del Buddhismo e l'amore per la poesia, fu compagna affettuosa dei suoi ultimi anni: con lei Ryōkan dialogò fin sul letto di morte nel linguaggio in cui sempre aveva espresso gli aneliti del proprio cuore - quello poetico.
#1309
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo/Assolutismo
06 Marzo 2017, 11:56:01 AM
E' preferibile un relativo assolutismo o un assoluto relativismo? Questo è il dilemma... ;D
In questa mia banale e un pò stupidotta domanda si cela in realtà qualcosa di interessante e che accomuna ambedue le 'posizioni' (ovviamente il relativista si opporrà dicendo che la sua è una non-posizione, ma per farlo dovrà usare lo stesso linguaggio dell'assolutista), ambedue sono costruzioni linguistiche. E' plausibile pertanto una distinzione reale tra queste due posizioni, entrambe costruzioni immaginarie del pensiero? Questo dire due, questo dualismo di un'unica forma descrittiva della conoscenza? Una distinzione tra assoluto e relativo ( samsara e nirvana) è una finzione. Una contesa tra idee di cui la proliferazione discorsiva si appropria perpetuando il divenire e l'impermanenza.
Se il fantasma-io che ci abita se ne appropria per darsi consistenza e una pseudo-realtà convenzionale è proprio per la sua sete d'esistere o di non-esistere e ,in base e a forma di questi desideri, ora si china sull'idea di assoluto e ora su quella di relativo. Così l'assolutista sarà molto relativo nelle sue convinzioni assolute e il relativista molto assolutista nelle sue non-convinzioni. Queste due opinioni errate sulla natura del reale non faranno che perpetuarsi non sfuggendo alla logica del loro proliferare discorsivo senza fine...
#1310
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 15:16:02 PMSe parli di fondamento, andiamo dritti al dibattito tra metafisica e relativismo; mi pare che in tal caso sarebbe fuori tema, eventualmente sarebbe meglio aprire una nuova discussione. Se ci fai caso, però, almeno per quanto sembra a me, tutte le discussioni vanno sempre a finire prima o poi nel dibattito tra metafisica e relativismo. Già rendersi conto di questo è per me un guadagno, perché orienta su una direzione in cui lavorare, approfondire.

E' certamente una delle grandi riflessioni che pone la "modernità" ed essendo ambedue visioni che tendono ad essere onnicomprensive, inevitabilmente la loro dialettica entra in moltissimi ( se non tutti...) gli argomenti 'sensibili'. 
Il discorso sul bullismo è completamente fuori tema rispetto al suicidio, è vero...
#1311
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 14:31:48 PMIl mio scopo non è ottenere dei risultati, non è riuscire a far prevalere la mia visione su quella degli altri. Il mio scopo è 1) fare ciò che sembra meglio a me; 2) in contemporanea mantenermi in ascolto per vedere se e in che modo ciò che sembra meglio a me meriti di essere migliorato, cambiato, eliminato. Di fronte a chi ama la violenza, il mio scopo non è imporre la non violenza. Il mio scopo è mettere in campo me stesso, un me stesso che in contemporanea agisce, ma anche cerca di ascoltare mettendosi continuamente in discussione.

La mia non era un'osservazione rivolta a te in particolare, ma  un riflettere su come , privando l'etica di un fondamento,  sia veramente difficile ( per me impossibile...) costruire una società che non finisca per far prevalere la forza e la soddisfazione personale o di gruppo ( e non tutte le soddisfazioni personali di molta gente sono compatibili con la libertà dell'altro, purtroppo...).
#1312
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 11:36:43 AMNon a caso infatti ho concluso col punto interrogativo. In questo senso io sono un convenzionalista: non esistendo verità stabilite, l'unica cosa che possiamo è tentare di metterci d'accordo su qualcosa. Tutto ciò che ho scritto ha il senso di mia proposta, basata sulle mie sensibilità, di metterci d'accordo su qualcosa. Così ognuno mette in campo le proprie sensibilità, la propria storia, il proprio DNA, li confrontiamo, li facciamo interagire e vediamo su cosa potremmo concordare. Qualcosa di simile aveva detto poco sopra Jacopus:
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2017, 23:44:54 PMPer contrastare questo stato di cose dovremmo però considerarci una comunità di individui uniti da ideali abbastanza simili, una collettività. In realtà la nostra società va in una direzione diametralmente opposta. Ognuno chiuso nel suo bozzolo, incapace di fare fronte comune, di scendere in piazza, di far sentire la propria voce, di metterci la faccia.

Ma come pensi sia possibile mettersi d'accordo con coloro che stabiliscono che la forza, la violenza e la volontà di potenza sono i loro valori? Costoro saranno sempre contrari alle leggi imposte ( e come si può imporre qualcosa se non con la forza? Con l'autorità della maggioranza?) dalla maggioranza che ama la cultura, l'arte e lo sport. Siamo poi sicuri che la maggioranza della popolazione preferisca delle leggi convenzionali all' esercizio della propria libertà ( anche di violenza)? Che ci sia veramente più amore e tolleranza che non odio e intolleranza nel cuore della maggioranza della gente? Personalmente non ne sono per niente sicuro. Se quindi la maggioranza si mette d'accordo per imporre leggi violente ? Come si potrebbe obiettare non avendo nessun fondamento etico da contrapporre, se non un misero parere personale su ciò che è bene o male? Questo ragionamento legittima , per esempio, che i "diversi" vengano messi a morte in alcune società, proprio perché 'urtano' contro i valori condivisi dalla maggioranza di quella particolare società. Infatti è assolutamente e tranquillamente accettato e condiviso dalla maggioranza della popolazione che questo sia giusto e buono da fare. E noi occidentali dovremmo 'imporre' la nostra visione del mondo e dire: guardate che la nostra visione della società, dove tutto è libero e relativo, è quella giusta, che anche voi dovete perseguire e , se non lo fate, può essere che arrivino i droni e i cacciabombardieri con bombe poco relative...
#1313
@A.Cannata scrive:
Parlare di addestramento significa mantenere un'idea di società guerresca, fondata sulla forza. Una società creatrice di libertà deve invece fare in modo che non ci sia bisogno di difendersi da nessuno. Il bullo tenta di creare una società di bulli, perché ha avuto la sfortuna di non conoscere tesori umani come l'arte, la cultura, la pace, il piacere della ricerca scientifica, della filosofia. È meglio costruire una società di pugili oppure una società in cui, grazie alla non necessità di doversi difendere dai bulli, sia possibile dedicarsi alle arti, alla cultura, allo sport, all'intelligenza?

Qui però, a parer mio, rilevo una contraddizione: dire che una società in cui sia possibile dedicarsi alle arti, alla cultura, allo sport e all'intelligenza è da preferire, è già stabilire una gerarchia di valore, in base a ciò che soggettivamente si ritiene superiore ( o più capace di dare soddisfazione vera) ad un'altra visione della vita. Infatti il bullo potrebbe obiettare che lui dell'arte, della cultura e dello sport non sa che farsene, non dandogli nessuna soddisfazione personale, e che invece prova ( come provano in realtà essendo intrinsecamente sadici...) molta più soddisfazione e significato per la propria vita nel tiranneggiare e umiliare il debole. E se il gay rivendica la propria libertà di passeggiare seminudo sculettando, allo stesso modo ( in assenza di leggi stabilite da una società umana e quindi basate necessariamente su ciò che la maggioranza della società ritiene sia da preferire) il bullo potrebbe rivendicare il suo diritto all'esercizio della violenza verso il debole. Perché il primo diritto è da preferire al secondo ? Perché eticamente riteniamo che la violenza e la sopraffazione sono un male, ma questo è un giudizio di valore, basato essenzialmente su una visione religiosa ( o quel che ne resta) del valore della vita umana. Il violento potrebbe obiettare che quelle visioni etiche sono superate e che l'unica cosa che ha veramente valore è la forza e la volontà di potenza. Come stabilire un fondamento autonomo dell'etica? Qualcosa che sia un recinto per la forza del violento e una garanzia per il debole ( di forza fisica) ? Al tramonto delle religioni questa è una sfida colossale per l'uomo moderno, rispetto alla quale appare del tutto ...inadeguato :(.
#1314
Che conseguenze comporta per la coscienza questo atto di violenza rivolto verso se stessi? Questa espressione di rabbia profonda verso la vita che sentiamo traditrice o insopportabile a causa del dolore?
Alla base di un gesto simile di non-accettazione c'è, a mio parere, un profondo senso di avversione, una delle più profonde radici della sofferenza. Pensiamo forse di sfuggire alla sofferenza con un atto che è nascita di ulteriore, e forse peggiore, sofferenza? Siamo proprio sicuri che la nostra vita si conclude con un semplice annichilimento, così che il darsi la morte ci metta definitivamente al riparo dal dolore? Ma ciò che nascerà non sarà segnato da questa rabbia e avversione? Non avrà come matrice un seme di grande sofferenza? La vita a volte è terribile, particolarmente dolorosa per il corpo e per l'animo, ma se il colore dell'esistenza è la sofferenza, perché siamo certi che la morte sia la fine di questa? La coscienza soffre terribilmente di questo atto di violenza verso se stessa e non potrà che generare altro dolore.
#1315
Riflessioni sull'Arte / Re:C'è di più
01 Marzo 2017, 22:22:21 PM
Umi kurete / kamo no koe / honoka ni shiroshi 
 
Il mare s'oscura 
richiami d'oche selvagge 
biancheggiano appena


Questo è un celebre haiku  irregolare attribuito a Seisei. Mentre la notte scende sul mare, s'odono richiami di oche selvatiche "appena bianchi". Il verso traduce in forma poetica un'esperienza visuale e uditiva conosciuta come "sinestesia": simultanea percezione del suono come modulazione di colori. Tale capacità, nella filosofia zen, è attribuita al Buddha e a coloro che hanno raggiunto il Risveglio.

Nelle tenebre urlanti di luce
come occhi resi ciechi
abbracciavo il Silenzio
Sari

In questo povero e maldestro haiku Sari ricorda che , anche nella notte più buia e nella situazione più terribile da vivere, c'è sempre un Silenzio pieno di colori da stringere a sé...
#1316
Percorsi ed Esperienze / Re:Mondi dell'utopia
28 Febbraio 2017, 09:46:30 AM
Mi sono imbattuto , nel mio divagare tra le piccole utopie, in quelle che prendono la forma degli "eco-villaggi", il più famoso dei quali è sicuramente The Farm , in Tennessee, ma anche Christiana, la comune storica di Copenaghen. Sono presenti anche in Italia e fanno parte del Rive, la rete delle piccole comunità ambientaliste e 'socialiste' che attirano sempre più persone. Uno dei vantaggi che queste comunità presentano è la possibilità di abbassare il costo della vita mettendo in comune tutte quelle necessità materiali che servono. Questo si paga "abbassando" il proprio tenore di vita in cambio di una qualità di vita migliore: si lavora meno, la qualità del cibo è migliore, si usa meno l'auto, si vive in modo più sano. La fine di una certa militanza politica e la crisi profonda ( irreversibile?) delle ideologie contribuisce ad attirare sempre più persone in queste comunità ambientaliste che si stanno strutturando anche come punti di ricerca e di sperimentazione ( anzi sembra che questa sia la vera vocazione per cui sono nate...) di un modo alternativo e credibile di convivenza. Quindi non comunità 'chiuse' ( vanno tranquillamente a fare la spesa anche al di fuori se necessario...) ma che tendono all'autonomia economica, costruendo possibilità lavorative al proprio interno, anche tramite l'organizzazione di corsi, seminari, conferenze, ecc. Personalmente trovo che uno spazio 'privato'  da ritagliarsi all'interno di una possibile comunità sia fondamentale. L'uomo ha bisogno di spazio, il quale contribuisce ad  abbassare sensibilmente l'aggressività innata dell'essere umano, oltre che di uno spazio 'proprio'  non invadibile da altri ( una sorta di territorio...).  Una comunità quindi formata da una rete di punti autonomi che condividono le risorse del territorio e formano una coesione imprescindibile, ma nello stesso tempo vivente di spazi propri, necessari alla stessa  autonomia umana e spirituale. mi sembra una soluzione più 'naturale', fatto salvo che , non essendoci mai vissuto, non posso formulare giudizi obiettivi sulle problematiche del 'vivere insieme'. Mi sembra così, a naso, e ricordando i periodi di forzata convivenza che ho vissuto, che l'autonomia formativa delle unità familiari, sia fondamentale...
Un'altra cosa che probabilmente forma la coesione di queste comunità degli ecovillaggi è l'ex militanza politica in forze che una famosa forumista chiamerebbe 'sinistroidi' o 'sinistre' (  evocando con questo termine qualcosa di oscuro, malefico, appunto 'sinistro'... ;D ). Personalmente vedrei più coesa una comunità che incarni anche la ricerca in campo spirituale ( certo non le comunità post-hippy convertitesi ormai in massa a pseudoguru vari...). Una ricerca però che , nascendo da spazi anche personali di vissuto, sia anti-settaria e anti-dogmatica. Come avere tanti pozzi dove attingere acqua, che poi viene messa al servizio di tutti e in grado di dissetare sia le persone che le campagne ( imprescindibile il rivalorizzare la vita agricola, liberata da ogni forma di schiavitù del bisogno)...

@Paul11
Ho letto adesso il tuo post. Per me la società attuale è gia morta, è un cadavere in avanzato stato di decomposizione, lasciato all'aperto ad ammorbare l'aria e tenuto in piedi, a mò di zombie, da fili invisibili ben manovrati da qualcuno molto panzuto. Infatti mi sento continuamente 'tirato' a destra e a sinistra , di qua e di là, e difficilmente riesco ad osservare i miei brandelli di carne che mi cadono...
Dove vogliamo andare se, proprio ieri, un famoso e attualmente discusso personaggio, come uno dei primi provvedimenti ha deciso di aumentare a 54 mliardi di $ le spese militari... :'(
#1317
Percorsi ed Esperienze / Re:Mondi dell'utopia
27 Febbraio 2017, 11:54:20 AM
Citazione di: paul11 il 27 Febbraio 2017, 09:27:46 AMCiascuno di noi può gettare la sua ancora dentro il grande oceano e dichiarare al mondo la sua esistenza, come umanità, come dignità, come sentimento: questo è il principio cardine. Ma quel principio deve relazionarsi con una donna/ maschio per formare una famiglia, con altre persone se sceglie la pace e la non la guerra. Quello che noi chiamiamo famiglia, comunità, società, Stato nasce da un PATTO, o chiamatelo come volete, ma è la relazione che lega la mia coscienza a qualcosa che sta sopra il mio partner, che sta sopra la comunità e la società fino allo Stato. E' la relazione che permette di unirmi al partner, alla comunità ecc. non come differenze, ma come tratto unitario. Se non ci fosse, ed è quello che sta accadendo noi viviamo la famiglia,comunità ecc. come "convenienza" ,come accomodamento. Senza quel patto a qualunque stormir di fronda che l avita porta con sè, problemi economici, malattie, la gente si separa. Quella relazione è fondamentale per unire le parti e sentirle come contenuto, come definizione come dichiarazione. Allora il patto ha una sua sacralità religiosa, laica, mentale, sentimentale che è al di sopra di me stesso e chi mi permette di avere un'etica che non è più opinione individuale. Qualunque società, divina o laica, famigliare o statuale prima ancora del diritto necesità di un PATTO, affinchè lo Stato diventi Patria, affinchè la famiglia acquisica sacralità com espirto unitario, affinchè noi possiamo sopportare i momenti difficli individuali e sociali sapend o d icontare suglia altri, ma in cui l'altrui perde la differenza nel momento in cui si riconosce nel PATTO. Quindi anche una società, comunità autogestita, utopistica, o que lche si vuole necessita che l epersone credano i nqualcosa al di sopra di loro stessi, che li unisca pur sapendo che ogni patto per quanto dichiarato indissolubile può essere infranto. Senza il PATTO parliamo di individui che convivono non credendo al matrimonio, che vivono in società ma individualisticamente, e così via.

La fonte dei diritti è il dovere ( verso quelli che ci vivono accanto e verso noi stessi). Se ottemperiamo ai nostri doveri , non dobbiamo andare lontano a cercare i nostri diritti. Se invece inseguiamo i diritti lasciando inespletati i doveri essi ci sfuggiranno sempre come un fuoco fatuo d'estate. Più li inseguiremo, più ci voleranno via. Per questo, a mio giudizio, qualunque tentativo di piccola comunità utopica non può che naufragare ( e infatti succede sempre così...) se i membri antepongono i loro diritti ai loro doveri. Una vera speranza utopistica di un vivere 'altro' non può che avere come suo perno la responsabilità verso i doveri generati dalle relazioni e dagli affetti. Questo insegnamento è presente pure nella Bhagavad Gita, immortalato da Krshna nelle parole: "Solo l'azione è tua. Del frutto non ti curare".
L'azione è il dovere; il frutto è il diritto.
#1318
Percorsi ed Esperienze / Re:Mondi dell'utopia
27 Febbraio 2017, 09:19:18 AM
Se un utopia collettiva appare un miraggio, visto che la maggior parte delle persone ritengono come ideale utopistico il passare da guadagnare tot a guadagnare tot, quindi semplicemente disporre di più denaro per acquistare più beni e servizi, e non certo il cambiare la società dei consumi, che amano profondamente pur criticandola,  ancora taluni  ripongono qualche speranza in piccole utopie individuali. Cose microscopiche...degli autentici puntini sperduti. Un mio caro amico , appena arrivata la famigerata pensione, ha pensato bene di abbandonare la ridente città veneta in cui viveva e, investendo tutti i risparmi e la liquidazione da grafico pubblicitario, comprarsi una "Villa" sperduta tra le colline con annessi svariati ettari di bosco, abbandonato all'incuria del tempo. Proprio ieri passeggiavo con lui tra i vigneti e i frutteti che sapientemente, lui figlio di poveri contadini, ha saputo riportare all'antico splendore. Parlandomi della sua utopia, con cui dolorosamente a sentir lui conviveva durante i lunghi anni di lavoro, riaffiorava quella nostalgia di un vivere semplice che lo pungolava continuamente e che , in un certo senso, gli faceva "sopportare" un lavoro ben presto passato da speranza a gabbia, da sogno a delusione. Sposatosi ormai "maturo" con una donna che condivideva con lui questa passione per la terra, ora ha tre figli ancora piccoli (  che lo tengono giovane a sentir lui, anche se ormai prossimo ai sessanta...) . Mentre con orgoglio mi mostrava le coltivazioni e i recinti, popolati da ogni sorta di animale da allevamento, compresa una numerosa famiglia di tartarughe, ci siamo inoltrati nel bosco che sta , poco alla volta, ripulendo dai rovi e dagli arbusti selvatici. Giunti in uno spiazzo circondato da maestosi noci, scherzando gli ho fatto notare che era il luogo ideale per un bel capanno di meditazione. Guardandomi con i suoi occhi ormai ripuliti dalla nebbia della città, come si guarda veramente un amico, mi ha detto:" Vieni, ti faccio vedere una cosa!". L'ho seguito addentrandoci nel bosco, Ad un certo punto mi ha fatto cenno di fare silenzio ( in realtà non ce n'era bisogno ché il silenzio era calato naturalmente tra noi...). "Vedi?" mi ha sussurrato indicandomi un buco nel fianco di un piccolo terrapieno "è la tana di una volpe. Qualche volta, verso sera, mi metto seduto qui e aspetto che esca. Le prime volte  vedendomi tornava dentro ...adesso ci osserviamo un pò e poi se ne va in direzione delle mie galline. Naturalmente le ho protette con una recinzione, ma lei ogni notte tenta di scavare un passaggio per raggiungerle. Al mattino io lo chiudo. Sono ormai mesi che andiamo avanti...ci divertiamo così, siamo diventati quasi amici". Dicendolo con un filo di voce mista al riso, mi ha guardato e poi: "Non mi serve un capanno di meditazione".
"Sei felice?" gli ho chiesto. "Bè...felice è una parolona, che non si sa neanche che vuol dire, direi che...adesso sto bene!".
#1319
Percorsi ed Esperienze / Re:Mondi dell'utopia
26 Febbraio 2017, 09:46:58 AM
Come mi è difficile, ostico quasi, scrivere di utopie. Anch'io, come tutti ( o quasi ) sono immerso in una strana atonia spirituale e morale, in una nuvola di nebbia dove, a tratti, si accendono delle luci per illuminare il terreno dove ci invitano a guardare; così che possiamo scegliere con cura i nuovi prodotti da acquistare. Siamo come quei carabinieri della barzelletta che, smarrita la chiave dell'auto, se ne stanno tutti sotto un lampione illuminato a cercare per terra. Alla domanda:"Ma siete sicuri che la chiave è caduta proprio qui ?" rispondono decisi:" No...ma qui è illuminato".
A cosa servono poi le utopie? Ne abbiamo vista qualcuna realizzata veramente? Il mondo di Atlantide forse? Shambhala? ...Eppure...che fascino esercitano ancora nelle menti infelici, inadatte a vivere in una società senza volto. L'utopia non sembra destinata a noi, è un'isola che non c'è. L'utopia è sorella della Speranza e l'uomo non ha più speranze, se non quella di riuscire a farsi posto, sgomitando, al banchetto di Mammona ( che strano mi fa poi sentire tutti lamentarsi del mondo, quando si discorre amabilmente viso a viso, ma continuare a perpetuarlo e aderire agli ami che lancia...).
Tra l'altro il concetto stesso di utopia è tremendamente pessimista: un luogo felice inesistente. Eppure sembra che, per non perdere del tutto la speranza, questo luogo inesistente va cercato. Va cercato in un altrove radicale, addirittura fuori dall'esistenza. Appare come una 'dis-locazione' dell'essere, la possibilità che ci parla di una dimensione dell'essere che non avevamo presente, simile alla dis-locazione che conosciamo nell'Eros, nell'amore. Addirittura questa possibilità appare come più autentica del reale, a volte, quando l'animo ci si immerge e la fa sua.  E' la possibilità della mente di vivere su piani diversi e quindi sperimentare la pressione che i pensieri utopistici esercitano su di essa per divenire reali. Implicito nell'utopia è anche il rifiuto di questa realtà, che non si accetta e si vuole cambiare. Ma questa realtà...è veramente reale? O non è essa stessa figlia di utopia? ( Utopia in questo caso più accomunabile all'incubo che al sogno felice...).
E.Cassirer definisce così utopia: "Creare spazio al possibile; contro ogni passiva acquiescenza allo stato presente". L'utopia come uno spazio aperto ad ogni possibile, persino all'impossibile come luogo ideale di valore.
Così per il Sari nasce l'impossibile Contea e le sue Ville sparse Sotto il Monte, e l'impossibile gente che l'abita: la signora Uccia e le sue favolose cipolle, l'asino saggio Anselmo, la massaggiatrice shiatsu, le  favolose libagioni e vendemmie, la sua pace un pò malinconica ma vissuta, la terra amata. Una Contea utopistica, impossibile ma che, alla mente e alla fantasia inebetita dell'inadeguato Sari, preme per diventare possibile. Ma è reale la realtà o è reale la Contea?... :-\
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Percorsi ed Esperienze / Re:Mondi dell'utopia
25 Febbraio 2017, 09:03:03 AM
Tutti noi sogniamo e desideriamo vivere in un mondo 'buono e bello'. Tommaso Moro giocando con le parole utopia-eutopia ( nessun luogo-buon luogo) definì l'utopia, mi sembra, come un buon luogo , ma inesistente. Eppure sul sogno di un buon luogo ove poter vivere sono nate le aspirazioni politiche e sociali umane e non solo.  Persino i "paradisi" di diverse religioni si presentano quasi come luoghi dell'utopia, mondi perfetti di pace e di giustizia. Il Treccani definisce l'utopia anche come : speranza, progetto, ideale. Qualcosa cioè a cui si aspira ma che, ahimè, non può avere attuazione. Ma chi metterebbe consapevolmente al mondo dei figli se, in cuor suo, non gli rimanesse nell'animo un briciolo di speranza utopistica che il mondo futuro sarà per loro un 'buon luogo' dove poter vivere? Almeno un luogo leggermente più "buono" di quello in cui si è costretti a vivere?
Ci sono utopie collettive e utopie individuali ( penso che il libero mercato, e la sfrenata competizione che si ritiene faccia migliorare l'essere umano, sia una forma di attuazione di utopia individuale).
Nell'utopia socialista 'dhammica' del Buddhadasa, che è una sorta di sogno collettivo di un ritorno al rapporto autentico con la terra, da quel che ho letto, non è presente quella radicalità del socialismo e comunismo occidentale. Intanto è ben presente il valore della famiglia come nucleo della comunità. Poi la spiritualità viene coltivata e non invece ritenuta una 'droga' per il popolino. In più si va incontro alla necessità , che definirei quasi psicologica dell'uomo di poter dire:"questo è mio", permettendo la proprietà 'sufficiente' ad ognuno, ma non l'accumulo della stessa , che è il cardine del capitalismo.
Ma ,al di là di questa particolare forma di utopia, avevo aperto e pensato il topic come uno spazio dove poter riversare la nostra voglia/nostalgia (?) di immaginare possibilità altre, diverse di poter vivere. Mi sembra che uno dei più grandi problemi dell'umanità attuale sia proprio la rinuncia stessa al sognare possibilità diverse, che alla fine, si sa, sono irrealizzabili, ma lo stesso sono sprone per tentare di cambiare le cose in maniera autentica.
Lascio questa frase di Oscar Wilde trovata su Wikipedia:
« Una mappa del mondo che non include Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo paese al quale l'umanità approda di continuo. E quando vi approda, l'umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele. »

P.S. Io, che ho una figlia adolescente, vedo continuamente quanta 'utopia' ha ancora nell'animo e quanto desiderio di giustizia. E così in molti giovani che conosco. Noi , aridi e spenti, realisti e cinici, pensiamo tra noi "Eh, cresceranno anche loro..." ( intendendo che si adegueranno al nostro cinismo).  Per me siamo invece solamente degli assassini delle loro speranze di realizzare un "buon luogo" ove vivere...